Prose della volgar lingua/Libro terzo/XL

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Terzo libro – capitolo XL

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Le voci che senza termine si dicono, sono pur quelle le quali noi poco fa raccogliemmo, Amare Volere Leggere Udire, dalle quali piú tosto si reggono e formano tutte l’altre di tutto ’l verbo, che elle sieno da alcuna di loro rette e formate. Le quali tutte, non solamente senza la vocale loro ultima si mandan fuori comunemente, o ancora senza l’una delle due consonanti, ciò è delle due R, quando esse ve l’hanno, sí come hanno in Torre, che si disse Tor via in vece di Torre via, e simili; ma è alle volte che elle mutano la consonante loro ultima, richiesta necessariamente a questa voce, nella consonante della voce, in vece di nome posta, che vi stia appresso e dall’accento si regga di lei; sí come la mutarono nel Petrarca, che disse:

E chi noi crede venga egli a vedella.

E, oltre a questo, è ancora alcuna fiata avenuto, che s’è levata via la vocale E penultima, che necessariamente esser vi dee; sí come levò il medesimo Petrarca in questi versi:

Che poria questa ’l Ren, qualor piú agghiaccia,
arder con gli occhi, e rompre ogni aspro scoglio,

in vece di Rompere; e il Boccaccio, il quale Credre in vece di Credere nelle sue terze rime disse. Ponsi questa voce del verbo, quando ella da altro verbo non si regge, sempre col primo caso: Io ho vivendo tante ingiurie fatte a Domenedio, che per farnegli io una ora sulla mia morte, né piú né meno ne farà; e ancora, Una giovane ciciliana bellissima, ma disposta per picciol preggio a compiacere a qualunque uomo, senza vederla egli, passò appresso di lui. E aviene che questa voce senza termine si pone in vece di nome bene spesso nel numero del meno: il Boccaccio: Signor mio, il volere io le mie poche forze sottoporre a gravissimi pesi, m’è di questa infermità stata cagione. Come che il Petrarca la ponesse eziandio nel numero del piú nelle sue rime:

Quanto in sembianti, e ne’ tuo’ dir mostrasti;

e ancora,

I vostri dipartir non son sí duri.

Il che non si concederebbe per aventura agevolmente nelle prose.

È ancora da sapere, che questa medesima voce senza termine si pone alcuna volta in luogo di quelle, che altramente stanno nel verbo sí come si pose dal Boccaccio: Ma questa mattina niuna cosa trovandosi, di che poter onorar la donna, per amor della quale egli già infiniti uomini onorati avea, il fe’ ravedere, in luogo di dire Di che potesse onorar la donna; e altrove, E quivi di fargli onore e festa non si potevano veder sazi, e spezialmente la donna, che sapeva a cui farlosi, in vece di dire A cui il si faceva; o ancora, Qui è questa cena, e non saria chi mangiarla, ciò è Chi la mangiasse; e altrove, E se ci fosse chi fargli, per tutto dolorosi pianti udiremmo, dove Chi fargli medesimamente disse, ciò è Chi gli facesse; o pure ancora, Coteste son cose da farle gli scherani e i rei uomini, il che tanto a dir viene, quanto Che fanno gli scherani.