Ragguagli di Parnaso (Laterza)/Centuria prima/Ragguaglio LXIII

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Centuria prima - Ragguaglio LXIII

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RAGGUAGLIO LXII

Molti popoli, consumati da’ lussi delle mense e dalle pompe del vestire, per moderar tanti dispendi, chieggono la prammatica ai prencipi loro; e non l’ottengono.


I popoli soggetti ai prencipi che risiedono in Parnaso, essendo venuti in cognizione che i lussi e le vanitadi del vestir moderno talmente sono cresciute, che non si trova patrimonio, per grande ch’egli si sia, che la vanita delle donne e l’ambizione degli uomini in poco tempo non mandino in ultima perdizione, e chiaramente conoscendo che i disordini delle pompe, giá salite tant’oltre, che l’intiera dote, ancorché esorbitantemente grande, non arriva a comprar le sole gioie per una giovane che si marita, sono la sola cagione perché i padri piú non possono maritar le figliuole loro; ed essendosi anco notato che le delizie della gola da alcuni anni in qua cosí bruttamente si sono avanzate, che la moderna crapula diserta quelle famiglie che l’antica parsimonia fece grandi, pochi giorni sono di comun consenso si presentarono tutti avanti i prencipi loro, a’ quali fecero stretta instanza che qualche utile rimedio si porgesse all’evidente rovina loro. Gratissima a tutti i prencipi fu la risoluzion fatta da’ popoli loro; e allora fu che conobbero verissimo quello che hanno scritto molti, che le prammatiche solo allora devono esser pubblicate a’ popoli, che essi stessi instantemente le ’chieggono: poiché, quando contro lor volontá sono comandate, rade volte producon frutto buono, mercé che la prodigalitá non prima spaventa i scialacquatori, che essi in faccia non abbiano veduto l’orrendo e spaventevol mostro della povertá. Tutti i prencipi dunque di comun consenso, da uomini intendentissimi, fecero far molto eccellenti prammatiche: nelle quali, risecati i lussi e le cose superflue, solo si vedeva il decoro e la riputazione del vestir onorato, e v’era il gusto e le delizie del mangiar per vivere, non di crapular per mandar in [p. 220 modifica]rovina la vita e le facultá. E poiché opera tanto desiderata fu condotta al suo fine, i prencipi comandarono che alli diciotto del corrente fosse pubblicata; ma accadette che la sera delli dicessette i gabellieri, gli affittuali e i daziari si presentarono tutti avanti i prencipi loro, a’ quali dissero che quando avessero fatta pubblicar la prammatica che intendevano essere stata compilata, domandavano difalco alle gravi imposte che pagavano: percioché le maggiori rendite delle gabelle cavandosi tutte dalle sete che venivano di Napoli, dagli orifilati che erano portati da Firenze, da’ drappi pomposissimi che erano fabbricati in Milano e da altre delizie appartenenti al vestire e al viver degli uomini, che da paesi lontani erano portate, per quella prammatica le dogane infinitamente venivano a calar di prezzo. Tanto confusi per cosí fatto avviso rimasero i prencipi, che la mattina vegnente, allora che i deputati delle nazioni comparvero per ricever l’editto che dovea esser pubblicato, risposero loro che, avendo essi uditi i giusti richiami de’ loro daziari, meglio informati di tutto il negozio della prammatica, risolveano di non voler in modo alcuno difformar le cose proprie per riformar le altrui: che vedessero d’inventar qualche prammatica che non toccasse gl’interessi loro, che per la sviscerata caritá e per la patema dilezione ch’eglino aveano verso i loro fidelissimi vas-^ salii, avrebbono data loro ogni possibil soddisfazione: ma che il voler votare la borsa pubblica per empir la privata, era desiderio fraudolente e in tutto contrario a quella ben ordinata caritá, che stima azion crudele spolpar se stesso per ingrassar altri. Per cosí risoluta e interessata risposta molto sconsolate e afflitte si partirono quelle genti; e confessarono tutte che il sanar i disordini de’ popoli, allora che la medicina qualche poco offendeva gl’interessi delle pubbliche gabelle, erano cure disperate, cancheri immedicabili.