Relazione del generale Del Mayno sulla sommossa di Milano del 1898

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Luchino Del Mayno

1898 Relazione del generale Del Mayno sulla sommossa di Milano del 1898 Intestazione 1 giugno 2018 75% Da definire

Milano, addi 20 maggio 1898


Prodromi

Pel 1° Maggio furono tenuti a disposizione dell'autorità di P.S. nelle varie caserme 800 uomini di fanteria e 4 squadroni di cavalleria dalle 8 alle 22,45. Per disposizione però di questo Comando tutta la truppa del presidio rimase consegnata nei rispettivi quartieri, e fu mandato un plotone di cavalleria a tutela della polveriera di Novate, con lo scopo altresì di assicurare le comunicazioni con quell'importante deposito di materie esp1osive.

Nessun reparto di truppa prestò l'opera sua all'esterno delle caserme.

Il giorno 4 maggio il Prefetto richiese che si continuassero le misure di vigilanza adottate pel 1° maggio, e, perdurando tuttavia disordini nelle province limitrofe, pregava di voler disporre che fossero ogni giorno dalle ore 19 in poi e a cominciare dal 4 maggio stesso tenuti a disposizione dell'Autorità di P.S. due battaglioni della forza complessiva di 400 uomini. Questo Comando stabilì all'uopo un turno fra i corpi, essendo indifferente all'Autorità politica l'avere la forza ora detta piuttosto in una che in altra caserma.

Essendo lo stesso giorno 4 stato indetto il richiamo alle armi della classe 1873, furono prese misure di sicurezza e sorveglianza colla collaborazione dei Reali Carabinieri.

La richiesta dell'Autorità politica facendo presagire la possibilità di prossimi torbidi, ordinai che se malauguratamente si dovesse usare il fuoco, non s'impiegasse mai il fuoco a volontà, ma quello a salve, consigliando il fuoco di riga per tenere la truppa alla mano e misurare la repressione alla stregua della imprescindibile necessità.

Rammentando che l'impiego delle truppe quando è affidato alla Autorità di P.S. riesce ben sovente disordinato e disseminato col pericolo che, se le cose si fanno serie, ne avvengano collisioni fra le truppe stesse, ordinai che le truppe di fanteria fossero al comando di ufficiali superiori e colonnelli: per coordinarne eventualmente l'azione, disposi, d'accordo coll'Autorità prefettizia, che al minimo cenno di disordini, il Generale Radicati si portasse al Palazzo Reale per ricevervi dalla truppa e dalla Questura notizie dello svolgimento dei fatti, e che a quel cenno si recasse in Questura un ufficiale di questo comando col compito di tenermi informato delle successive dislocazioni delle truppe e delle notizie in generale.

Diedi istruzioni verbali al Generale Radicati che, se le dimostrazioni fatte imponenti non si potessero sciogliere colle truppe a disposizione dell'Autorità politica, facesse loro prendere in Piazza del Duomo (obbiettivo costante dei dimostranti) uno schieramento che non contrastasse al mio arrivo colle riserve (Caserma S. Francesco e Caserma di cavalleria); riserve che intendevo portare in Piazza per Via Dante e strade collimanti.

Il 5 maggio alle ore 23,30 pervenne a questo Comando dal Prefetto l'informazione che all'entrata degli operai negli stabilimenti il mattino del 6 maggio si sarebbe organizzata una dimostrazione pel rincaro del prezzo del pane. Erano richiesti perciò a disposizione dell'Autorità di P.S. dalle 5 del 6 maggio in poi due battaglioni per ciascuna delle Caserme S. Francesco e Medici e due squadroni in ciascuna delle Caserme S. Vittore e Montebello.

6 maggio - Le notizie dei fatti di Pavia e della morte del figlio dell'onorevole Mussi, colà avvenuta in conflitto colla truppa, rendevano probabile lo scoppio di disordini; perciò questo comando credette opportuno di tener consegnato nelle caserme l'intero presidio e fu rimandato un plotone di cavalleria verso Novate.

La mattinata passò tranquilla. All'uscita degli operai dagli stabilimenti, voci di disordini presero qualche consistenza e si cominciò a notare un certo fermento nei quartieri industriali ed in Piazza del Duomo; in seguito a ciò, alle ore 13 furono mandati, dietro richiesta, 2 battaglioni del 47° Fanteria a Palazzo Reale.

Venne arrestato un individuo che distribuiva manifesti sovversivi, e che pare avesse lanciato dei sassi contro gli agenti di P.S. Un attruppamento di circa 2000 persone reclamanti la liberazione dell'arrestato tentò di bloccare l'ufficio di Questura in via Napo Torriani. Fu richiesto l'intervento del drappello comandato alla Stazione Centrale, il quale, accorso alle 13,55, riuscì a disperdere i dimostranti e rimase a guardia dell'ufficio di Questura fino a che non fu sostituito da reparti del 57° Fanteria, chiamati com'è detto in seguito

Alle 15 e tre quarti furono richieste due compagnie allo Stabilimento Pirelli, ove cominciavano a formarsi attruppamenti; ne fu dato ordine al 57° Fanteria.

Giunte le compagnie, agli ordini del Maggiore Montuori cav. Luchino, a destinazione alle ore 16 e un quarto, i dimostranti, che già avevano rotto i vetri e le persiane dello Stabilimento, si sciolsero e la tranquillità parve per un momento ristabilita.

Il battaglione si ritirò nel locale del Trotter, lasciando un plotone nell'interno dello Stabilimento Pirelli.

Alle 17 e mezza dietro richiesta dell'Autorità di P.S. il Comandante il battaglione mandò un drappello di 15 uomini comandato dal Furiere Dessi a protezione dell'ufficio di P.S. (Sezione S. Gregorio). Il rimanente rimase in località intermedia.

Alle 18 e mezza le truppe si poterono di nuovo ritirare nel locale del Trotter, lasciando però la squadra all'ufficio di Questura. Questa doveva essere cambiata alle 18 e tre quarti da altra squadra, Sergente Pupillo, perché potesse consumare il rancio.

In questo mentre, improvvisamente una turba di oltre 1000 dimostranti si diresse contro l'ufficio di Questura e procedette all'assalto di esso, svellendone lo stemma e tentando di romperne il portone. Esauriti tutti i mezzi persuasivi, fece schierare davanti alla porta dell'ufficio la squadra del Furiere Dessi che fu accolta a sassate. Furono dati i tre squilli di tromba inutilmente; continuando la sassaiola fece una scarica in aria; la truppa stava per essere soverchiata dalla folla sempre più inviperita e, visto cadere mortalmente ferito un agente di P.S., per un colpo esploso dai dimostranti, il drappello fece fuoco.

Il drappello del Sergente Pupillo, accorso prontamente, veduto impegnata la truppa, apri pure il fuoco.

Al rumore degli spari le due compagnie agli ordini del Maggiore Montuori presero tosto le armi e di corsa si portarono sul posto; al loro apparire la folla si volse in fuga.

Non fu possibile accertare il numero dei morti e dei feriti, tosto trasportati dai rivoltosi, tuttavia le voci raccolte accennavano a 4 morti e 2 feriti gravi. Della truppa furono feriti da sassi un ufficiale e 7 soldati; un soldato leggermente da colpo di arma da fuoco.

Alle 19 e un quarto l'ordine era ristabilito ed alle 20 giungevano al Trotter 2 squadroni dei Lancieri Firenze, stati richiesti alle 19,30, quando l'opera loro non era necessaria, perciò furono rimandati subito in caserma.

Alle 24 furono messe in libertà anche le truppe di fanteria.

Sciolti gli assembramenti di Via Napo Torriani, una parte dei dimostranti impadronitisi di uno dei cadaveri lo mise in una vettura tranviaria diretta a Piazza del Duomo, dove giunse seguito, pure in tramvai, da circa 300 persone.

In Piazza del Duomo il cadavere fu tolto loro di mano e tosto trasportato in tramvai al Cimitero monumentale.

In Piazza la folla andò crescendo, e parte di essa, malgrado un furioso temporale, seguì il morto. Temendosi disordini per questo fatto a Porta Volta, furono colì inviate 2 compagnie del 47° Fanteria, dalla Caserma di S. Simpliciano e mezzo squadrone di cavalleria. Queste truppe rimasero sul posto sino alle 24.

L'assembramento in Piazza del Duomo prendeva proporzioni sempre più crescenti, per cui, ad evitare disordini, furono chiamati i due battaglioni del 47° che trovavansi fin dalle 13,30 nel Palazzo Reale. Questi procedettero allo sgombero della Piazza, che si potè compiere gradatamente senza bisogno di far ricorso alle armi, per quanto minacciosa fosse l'attitudine della folla verso le truppe.

7 maggio. - Il Prefetto della Provincia comunicò dover tutte le truppe del Presidio rimanere il 7 consegnate nelle caserme, e richiese che un battaglione di fanteria ed uno squadrone fossero per 1e 5,30 del 7 corrente tenute nel locale del Trotter, a disposizione dell'Autorità di P.S. Furono designati un battaglione del 58° Fanteria ed uno squadrone dei Cavalleggeri di Lodi.

A seconda delle istruzioni della S.V. diedi ordine al Reggimento artiglieria a cavallo di completare al più presto il caricamento degli avantreni, operazione che fu ultimata per le ore 7,30 del 7 maggio.

Fin dalle primissime ore del mattino si raccolsero voci allarmanti che dimostravano quanto fosse il fermento nella popolazione. Gli operai non si recavano al lavoro, ma, formando assembramenti in prossimità degli stabilimenti, discutevano sugli avvenimenti del giorno precedente ed assumevano un atteggiamento sempre più irrequieto nel quartiere verso Ponte Seveso.

Verso le 9,30 giunse notizia che turba di operai con bandiera rossa, movevano da Ponte Seveso verso i quartieri industriali di Porta Venezia, Porta Garibaldi e Porta Tenaglia per far desistere dal lavoro e dirigersi per varie vie in Piazza del Duomo.

Fu richiesto un battaglione alla Questura (57° Fanteria), 2 battaglioni a Palazzo Reale (47° Fanteria), 2 compagnie alla Prefettura (58° Fanteria).

In vista della piega che prendevano gli avvenimenti ordinai che tutti gli squadroni si tenessero coi cavalli insellati ed alla mano, pronti ad essere impiegati, ed alle 10,40 ordinai che essi si portassero al trotto, al Largo Cairoli e si mettessero agli ordini del Colonnello Vicino Pallavicino, Comandante la III Brigata di cavalleria.

Era appena formata questa massa di cavalleria, quando ricevetti richiesta di truppa dalla Questura per far sgombrare il Piazzale della Stazione Centrale invaso dai tumultuanti, che si opponevano alla partenza dei treni e minacciavano di arrecare guasti ai binari.

Mandai colà il Colonnello Vicino coi 5 squadroni, raccomandando di agire colla massima energia e rapidità.

Mentre la cavalleria eseguiva ottimamente l'incarico affidatole, giunse la notizia che era stata eretta una grossa barricata sul corso Venezia all'altezza di Via Palestro, formata da carrozze tranviarie, da carri e da mobili presi nelle case viciniori, in cui erano penetrati i rivoltosi. La Questura richiese l'intervento della truppa e notificò che inviava sul posto carabinieri e guardie. Ordinai al Colonnello Vicino di mandare dalla Stazione Centrale il più celermente possibile due squadroni a prendere di rovescio la barricata passando per la strada di circonvallazione e di riunire poi i rimanenti squadroni a Largo Cairoli appena la loro presenza non fosse più necessaria alla Stazione.

Nello stesso tempo mandai ordine al Generale Radicati, che trovavasi al Palazzo Reale fin dalle prime ore del mattino, di mandare contro alla barricata un battaglione del 47° Fanteria.

L'azione della cavalleria era resa difficile dalla circolazione di tramvai, per cui, autorizzato da V.S., ordinai che essa fosse sospesa (ore 11,40). Poco dopo fui informato dalla Questura che i rivoltosi di Corso Venezia avevano effettivamente invaso alcune case ed avevano iniziato il saccheggio del Palazzo Saporiti.

Diedi ordini allora alla Brigata di artiglieria a cavallo, accasermata a S. Simpliciano, di mandare una batteria a Palazzo Reale ed un' altra al Largo Cairoli dove erano giunti gli squadroni dopo l'operazione alla Ferrovia. Questa 2° batteria doveva attendere a muovere che fosse giunto a S. Simpliciano lo squadrone Cavalleggieri di Lodi mandato fin dal mattino al Trotter, il quale doveva. servirle di scorta. Anche il battaglione del 58°, distaccato al Trotter dalle 5,30, fu richiamato ed indirizzato a Piazza del Duomo.

Alle ore 12 ricevetti in comunicazione dal Prefetto dispaccio telefonico diretto alla S.V.: "Oggi si pubblicherà manifesto col quale si affida alla Autorità militare ristabilimento ordine. Prego pertanto V.S. assumere da ora direzione. Questura resta sotto i suoi ordini per quanto riguarda aiuto concorso a ristabilire ordine. Prefetto Winspeare"

La Sommossa

Malgrado la provvida azione del Generale Radicati dal Palazzo Reale e le precise notizie che mi mandava l'ufficiale che avevo in Questura mi ero persuaso che dal Comando non m'era possibile parare agli avvenimeti, perché le notizie di disordini mi giungevano troppo tardi, e ravvisai necessario, previo accordo colla S.V., di stabilirmi in Questura ove le notizie dalle porte della città e dagli uffici delle sezioni di P.S. affluivano facilmente.

La barricata di Porta Venezia, il saccheggio delle case Saporiti e Morisetti mi facevano temere non trattarsi delle solite dimostrazioni popolari, fatte audaci e baldanzose dalla consueta longanimità della forza pubblica, ma di un pericoloso movimento con seri propositi di rivolta e di saccheggio.

Avuto dalla S.V. chiare e precise istruzioni di oppormi a qualunque costo a che il partito del disordine non soverchiasse, appena fui in Questura eseguii il progetto da tempo meditato: concentrare tutta la forza disponibile nella Piazza del Duomo, S. Fedele e della Scala, restando così padrone di tutte le direttrici principali che conducono dal centro alla periferia - rifiutare qualsiasi guardia a banche ed uffici pubblici in prossimità di queste piazze - assicurare invece fortemente con distaccamenti la Stazione, il Reclusorio, le Carceri, l'Officina del gas e dell'elettricità, il Palazzo del Comando e la Prefettura - puntare offensivamente colle forze disponibili di fanteria nelle direttrici ove fossero segnalati disordini, impiegando la cavalleria di Largo Cairoli alla periferia, i bastioni permettendo ad essa rapido ed energico movimento.

Il passaggio della direzione degli avvenimenti dall'Autorità politica all'Autorità militare mi fu reso facile dalla preventata presenza in Piazza del Duomo del Generale Radicati e delle sue truppe. Al momento in cui assunsi la direzione delle operazioni pel ristabilimento dell'ordine avevo disponibili le seguenti truppe:

  • 47°: 3 battaglioni colle reclute inquadrate, istruite col metodo ginnastico militare.
  • 57°: 3 battaglioni senza reclute.
  • 58°: 10 compagnie colle reclute inquadrate, istruite col metodo ginnastico militare.
  • 2° Bersaglieri: 10 compagnie colle reclute inquadrate, istruite col metodo ginnastico militare.
  • 6 squadroni Lancieri Firenze.
  • 4 squadroni Cavalleggeri Lodi.

Inoltre il battaglione Morbegno del 5° Alpini giunto alle ore 18 del 6 qui a Milano, richiamato dalle sue sedi estive da V.S. Fra le13 e le 17 arrivarono pure per ferrovia due compagnie del battaglione Tirano e due del battaglione Vestone del 5° Alpini, il 2° battaglione del 48° Fanteria da Como, un battaglione del 91° ed uno del 92° da Novara; a notte due compagnie del battaglione Alpini Edolo.

Le informazioni che mi furono date in Questura confermavano che i moti iniziati avevano carattere prettamente rivoluzionario, e di aperta rivolta.

Provvidi allora ad assicurare colla forza strettamente necessaria la difesa delle Caserme a tenore dello studio ordinato dalla S.V con lettera delli 30 Marzo u.s. N. 1058, e quella delle Case di detenzione e delle Officine del gas ed elettrica, e chiamai in piazza del Duomo il Generale S. Martino con tutte le sue truppe disponibili della Brigata Abruzzi accasermata a S. Francesco, 7 compagnie del 2° Bersaglieri e 6 compagnie del 5° Alpini, di cui 4 allora giunte alla Stazione.

La barricata di Porta Venezia era formata da 7 vetture tranviarie, da un carro a botte e da alcuni mobili: nello interno delle vetture erano state collocate donne e fanciulli, arte malvagia che si vide impiegata ovunque; sul rovescio di questa barricata ne era stata costruita un'altra di minore robustezza ed altezza con tavole tolte da una casa in riparazione. Le case laterali erano state occupate dai rivoltosi, i quali dalle finestre e dai tetti iniziarono tosto una fitta sassaiuola sulle truppe accorse, contro le quali furono diretti parimenti colpi d'arma da fuoco. La barricata a tergo fu presa dai due squadroni di cavalleria inviati colà dalla Stazione; quella principale dai carabinieri e dalle guardie di P.S. primi accorsi e dal battaglione del 47° Fanteria mandato colà da Palazzo Reale.

Rimosso il materiale, venne richiamata gran parte della truppa; malgrado la presenza di due plotoni di cavalleria e l'occupazione stabile di palazzo Saporiti per parte d'una compagnia di fanteria, si ebbero in Corso Venezia sino alle 16 continui tentativi di barricate che si accentuarono verso detta ora a Porta Venezia, dove si voleva appiccare il fuoco agli uffici del dazio. Ogni tentativo fu sventato mediante il pronto accorrere della truppa la quale, come da ordine, agiva colla massima energia.

L'azione in Corso Venezia era da poco impegnata quando mi pervenne notizia (ore 14) che una grossa turba di rivoltosi per Via Torino aveva tentato di irrompere in Piazza del Duomo.

Era stata arrestata dal 2° battaglione del 57° Fanteria Maggiore Montuori, il quale fatto segno a fitto getto di sassi e di tegole dai tetti e a spari di pistole e di fucili, per non essere soprafatto aveva dovuto rispondere col fuoco, e quindi aveva preso l'offensiva, arrestato un momento da una barricata all'altezza di via Asole. Il 2° battaglione del 57° dovette lasciare parte della sua forza a sbarrare le vie adiacenti lateralmente a Via Torino, ed il compito della marcia offensiva contro i rivoltosi sempre tumultuanti ed aggressivi fu affidato al 1° battaglione del 57° (Maggiore Giardini) a cui furono aggiunte due compagnie del 58° Fanteria. In quella circostanza gli squadroni 2° e 4° Lancieri Firenze caricarono ripetutamente in via Torino e Porta Genova con ammirevole abnegazione.

Ordinai allora che una compagnia bersaglieri dalla Caserma S. Eustorgio rimontando il Corso di Porta Ticinese cercasse di prendere alle spalle o di fianco i rivoltosi.

Dirigeva personalmente le operazioni il Generale Radicati.

La colonna spedita da Piazza del Duomo avanzò rapidamente sino al Carobbio, sventando i tentativi di barricate sempre rinnovati dai rivoltosi lungo la via Torino; ma al Carobbio essa dovette arrestarsi. A 200 metri dal Carobbio, in Corso Porta Ticinese era stata eretta una grossa barricata e molte delle case di detto corso erano occupate dai rivoltosi annidatisi sui tetti ed alle finestre da cui traevano sassi, tegole e colpi di arma da fuoco. La barricata era formata da tavole, vetrine divelte dai negozi, carri, mobili, alta 1,20 circa; sul dinanzi era stata scavata una larga e profonda buca.

Giunto in quel momento, mi persuasi che ogni ora di ritardo che si fosse lasciata ai rivoltosi sarebbe stata da essi utilizzata per accrescere la resistenza delle barricate, che la sosta offensiva delle truppe ne avrebbe accresciuto la baldanza e l'audacia e decisi di spingere il Generale Radicati colle compagnie sottomano ad un immediato attacco. Le porte delle case erano tutte sbarrate, le finestre occupate da gente di ogni sesso ed età attratta da una morbosa ed incosciente curiosità ad assistere al conflitto imminente.

Con slancio ammirevole in mezzo alla pioggia di proiettili d'ogni specie provenienti dalle case (a far cessare la quale ordinai fossero mandati sui tetti di alcune delle case più elevate, squadre di tiratori) mossero le compagnie precedute dai Generale Radicati

Senonché superata la prima barricata, ne vidi parecchie altre di varia consistenza scaglionate in tutta la profondità del Corso di Porta Ticinese, ond'è che ravvisai necessario coadiuvare l'azione della colonna del Generale Radicati facendo aggirare per via San Vito e Via della Chiusa le resistenze dei rivoltosi compito che assegnai alla 1° Compagnia del 57° Fanteria guidata da un Sergente volontario Milanese, pratico di quelle vie secondarie. Questa attaccò e prese due barricate fortemente difese allo sbocco di via Crocefisso ed alla Chiusa.

Con queste disposizioni furono superati gli ostacoli e si raggiunse la piazza S. Eustorgio, dove intanto una turba di facinorosi cercava di assaltare la Caserma dei Bersaglieri difesa dal Tenente Colonnello Calligaris con solo una compagnia e mezza (75 uomini).

Il Generale Radicati inseguì la folla sino a Porta Ticinese ed uniformandosi alle direttive ricevute, ritenendo oramai vinta in quella direzione ogni resistenza, iniziò il ritorno in Piazza del Duomo, dopo di avere rinforzato colla compagnia Bersaglieri, la truppa alla Caserma di S. Eustorgio. Ma giunto di fronte alle Torricelle di S. Lorenzo trovò nuova resistenza.

Ivi nel frattempo erano state ricostruite successive e robuste barricate intercettanti il passo. Il Grande volto dell'Arco di S. Lorenzo, barricato esso pure, era stato occupato in alto dai rivoltosi riusciti a forzarne la porta e di la al coperto facevano fuoco sulla truppa: vivo fuoco partiva così frontalmente e dalle case laterali al naviglio: sul dinanzi della barricata erano stati tesi fili di ferro.

Informato di tale fatto ordinai che un battaglione (Tenente Colonnello Citati del 58°) movesse celermente da Piazza del Duomo a prendere di rovescio la posizione, di nuovo occupata dai rivoltosi, per farla ormai finita. Anche quest'operazione fu condotta ottimamente, così che mentre il Generale Radicati aveva rintuzzato la resistenza all'Arco di S. Lorenzo, l'apparire della colonna Citati determinò la fuga dei rivoltosi, parecchi dei quali rimasero sul terreno, parecchi furono arrestati.

Vinte le resistenze nella direzione di Porta Ticinese (ore 19,30) lasciai due compagnie all'Arco e Torticelle di S. Lorenzo che più non tolsi né di giorno né di notte.

Debbo far rilevare la non comune abilità dei rivoltosi nello scegliere il punto di resistenza nel Corso di Porta Ticinese e nelle modalità di occupazione. Scelsero la strozzatura nel Corso di Porta Ticinese che il Colonnato di S. Lorenzo taglia longitudinalmente e stringe maggiormente l'occupazione degli archi del ponte; 1'immediata vicinanza del naviglio che taglia le linee di operazione; le barricate forti, sempre precedute da altre deboli ma sufficienti a forzare la truppa a temporaneo arresto; le barricate costruite nelle vie viciniori di G. Giacomo Mora e Pioppette per guardarsi i fianchi, sono una riprova assoluta di un piano prestabilito e ben studiato, e danno prova altresì che li vi si trovavano uomini tatticamente esperti a dirigere e coordinare la resistenza.

Altra prova evidente che speciali disposizioni erano state prese in precedenza la si ebbe nell'evidente servizio di esplorazione e di informazione fatto colle biciclette. Per avere il massimo delle truppe disponibili di fanteria nelle ore poco adatte all'impiego della cavalleria, feci, fin dalle 17, venire in Piazza del Duomo gli squadroni e la batteria del Colonnello Vicino per occupare gli sbocchi della Piazza, sostituendosi alla fanteria e specialmente ai reparti del 5° Alpini stanchi dalle lunghe marce del giorno precedente e che appena giunti erano stati impiegati, senza che loro fosse possibile prendere cibo.

Poco dopo ricevetti avviso che era stato decretato lo stato d'assedio nella città e nella provincia di Milano.

Alle 19 giunsero in Piazza del Duomo i due battaglioni del 91° e 92° Fanteria e parte di quello del 48°, essendo l'altra parte stata mandata alla caserma dei Reali Carabinieri in via Moscova, che era minacciata. Giunsero pure a Porta Ticinese 2 squadroni di Cavalleggieri Umberto I che furono tosto impiegati nelle vicinanze. Più tardi 3 batterie del 6° Artiglieria.

Alle 15 fui informato che nel Corso Garibaldi e nelle Vie Moscova e Palermo erano state costrutte parecchie barricate, che altre erano in via di costruzione e che i rivoltosi avevano manifestata l'intenzione di appiccare il fuoco al Magazzino dei foraggi in via Palermo.

Diedi ordine al Colonnello Bosco del 2° Bersaglieri di recarsi tosto colà con 4 delle sue compagnie, una batteria d'artiglieria ed uno squadrone Lancieri di Firenze, di agire colla massima celerità ed energia - e di impiegare il cannone a polvere prima e, se ciò non bastava, a mitraglia.

Il Colonnello Bosco marciò celermente e tenendosi sempre in testa alla sua colonna prese brillantemente d'assalto, alla baionetta, otto barricate, di cui alcune assai forti, fugandone i difensori senza che fosse necessario l'impiego dell'artiglieria. Occupate tutte le vie adiacenti, malgrado il getto delle tegole e i frequenti spari, a procedette a vari arresti. Anche qui la tenacia nel costruire ricostruire le barricate, l'opportuna abile scelta del centro di resistenza, l'abile concetto direttivo emergente dalla ubicazione e reciproca relazione delle barricate, mette in chiara luce lo studio preventivo di questi mezzi di rivoluzione. Alle ore 23 ogni resistenza era vinta; perciò alle 24 ritirai le truppe, ormai stanche, in Piazza del Duomo, tenendo presidiato il quadrivio Via Moscova, Corso Garibaldi e Porta Venezia. Nella notte fu provvisto per la distribuzione del pane ai soldati e del foraggio ai cavalli.

Si organizzò pure il servizio di rifornimento delle munizioni. Diedi ordine che prima delle 4 e mezza dell'8 i richiamati fossero inquadrati nelle compagnie del 47°, 57° e 58°.

8 maggio - In seguito ad ordine di V.S. feci proseguire alle ore 3 del giorno 8, con treno speciale, per Monza le 2 compagnie del battaglione Edolo giunto alle 12,40, mentre per via ordinaria era diretto a quella volta uno squadrone del Lancieri Firenze (9°).

Nelle prime ore del giorno 8 ricevetti il rinforzo di due battaglioni del 53° Fanteria, di un battaglione del 6° Alpini e di un altro del 4° Alpini. Quest'ultimo ordinai rimanesse alla Stazione Centrale per mantenervi l'ordine ed assicurare l'incolumità correndo voce di probabile sciopero del personale ferroviario.

Colle truppe stanche e prevedendo che la sommossa non aveva detto l'ultima sua parola, e dovendo inoltre proteggere colla forza l'esecuzione degli scioglimenti di molte associazioni sovversive ordinati da V.S. era necessario tenere al centro della città la massima forza possibile per poterla impiegare al momento e nella direzione che le circostanze sarebbero per richiedere.

I rinforzi giunti mi resero possibile però di estendere l'occupazione sino alle porte della città. Perciò suddivisi il perimetro bastionato in 4 settori, affidando al Generale S. Martino ed ai Colonnelli Volpini, Parvopasso, Guarneri, il comando delle truppe ad ognuno dei settori.

Il Generale Radicati rimase al Comando della riserva in Piazza del Duomo.

Compito delle truppe dei settori era quello di opporsi a qualsiasi tentativo d'irruzione in città, e di assicurare l'ordine nei sobborghi, ed a tale uopo assegnai loro qualche reparto d'artiglieria e di cavalleria.

La repressione rapida e rigorosa dei tumulti del giorno precedente e la presenza dell'artiglieria sui bastioni speravo avrebbero valso a far desistere i rivoltosi da ulteriori tentativi, almeno nell'interno della città.

Fu vana speranza - a Porta Ticinese ed a Porta Garibaldi riuscite inefficaci le cariche a fondo della cavalleria e l'azione a fuoco della fanteria, fu necessario ricorrere al cannone, solo mezzo per avere ragione di una folla che l'esaltazione e il desiderio di rivincita rendeva audace, aggressiva e sprezzante d'ogni pericolo.

A Porta Ticinese l'arresto di alcuni studenti provò che alla popolazione del sobborgo s'erano aggiunti elementi estranei.

Giungevano intanto da vari punti notizie di guasti arrecati alle linee telegrafiche e ferroviarie da manipoli di rivoltosi.

Alla stazione di Porta Sempione, ostruiti i binari di corsa, rotto il telegrafo, fu necessario il fuoco di fucileria per far cessare l'opera di distruzione. E tale fatto si ripeté due volte nel corso della giornata. Prima una, poi due, poi tre compagnie Bersaglieri dovettero lottare tutto il giorno per preservare il Gazometro di Porta Lodovica dagli assalti dei rivoltosi a cui inflissero sensibili perdite. La cavalleria fu mandata a più riprese a scacciare manipoli di malintenzionati intenti a rovinare le linee ferroviarie nei punti in cui essi guasti sono più pronti e più efficaci, cioè ai bivi.

Le perquisizioni ai circoli ed associazioni di cui la S.V. aveva decretato lo scioglimento, per quanto appoggiate da agenti di P.S., da Carabinieri e da forti reparti di truppa, diedero luogo a frequenti collutazioni ed a qualche conflitto. Una di queste perquisizioni doveva essere fatta a due circoli socialisti siti in locali fra loro vicini in Corso Garibaldi; mezzo squadrone di cavalleria, inviato a protezione dell'operazione, fu fatto ritirare dai funzionari di Pubblica Sicurezza, i quali ritennero che data l'ubicazione dei circoli e il grosso assembramento minaccioso che si stava formando, si aveva la quasi certezza di non riuscire, con sola cavalleria, al mandato loro affidato. Fu richiesto un battaglione di fanteria (92° Fanteria) il quale giunse sul posto alle 18 e 3/4. Era appena cominciata la perquisizione e la truppa in parte adoperata ad allontanare la folla, quando improvvisamente dalle case ???? circostanti al quadrivio di Corso Garibaldi e via Moscova, nello stesso punto in cui il giorno precedente eransi erette le barricate, cominciò sulla truppa il getto di sassi, tegole e colpi di rivoltella.

A tale aggressione rispose vivacemente il battaglione del 92° Fanteria ed accorse il battaglione del 91°, che trovavasi poco discosto. Nutrita fu la fucilata contro le finestre ed i tetti e la truppa non potè far valere la legge se non dopo un quarto d'ora di fuoco.

In questo conflitto mori colpito il soldato Tomasetti Graziantonio della 8° Compagnia del 92° Fanteria.

Il Generale S. Martino, accorso da P. Garibaldi, trovò sul suo passaggio e rovesciò alcune piccole barricate, e giunse quando l'ordine era già stato ristabilito. Lo stesso Generale dovette, durante tutto il giorno fare frequenti distaccamenti nel sobborgo di P. Tenaglia, sempre minaccioso, e mandare sulla sera più volte truppe ad opporsi alla costruzione di barricate in via Anfiteatro.

Questi sono i fatti più salienti del giorno 8, non valendo la spesa di citare molti incidenti di minore importanza sia in città che nei sobborghi; incidenti che vennero specialmente sedati col continuo e largo impiego di cavalleria.

Anche questa notte le truppe dovettero bivaccare nelle vie della città, malgrado la stanchezza sempre crescente. Si riuscì a dar pane e vitto al soldato, gli squadroni a turno erano mandati ai quartieri per foraggiare i cavalli e dar loro momentaneo ristoro.

Nella notte le informazioni date dalla truppa, dai Carabinieri, dai funzionari di P.S. lasciavano ritenere che se il moto insurrezionale cittadino era fiaccato, gli animi però nei sobborghi non erano depressi. Notizie, prima vaghe, poi sempre più positive, mandate da privati e da Stazioni di Carabinieri, facevano credere che da Pavia e dalle campagne movessero torme di male intenzionati accorrenti a Milano, ove supponevano di portar l'ultima mano al partito della rivolta, che ritenevano trionfante o vicino a trionfare.

9 maggio. - Nella notte dell'8 al 9, e nelle prime ore del mattino giunsero le due brigate Generali Marras e Riva-Palazzi, cui feci distribuire buon numero di carte topografiche della città e sobborghi, e per tenerle compatte portai la 1° in Piazza del Duomo, come riserva, e la 2° all'Arena, affidandole il settore esterno da Porta Magenta a Porta Tenaglia, per il che dovetti modificare il riparto degli altri settori.

Il compito assegnato alle truppe pel giorno 9 era: tenersi ad ogni costo padroni delle porte della città, e di portare gradatamente più avanti nei sobborghi la zona di occupazione stabile (come mi era stato ordinato dalla S.V.).

Nelle prime ore del mattino i rapporti dei Comandanti di settore accennavano ad uno stato di cose assai migliorato, ma confermavano il movimento di affluenza dall'esterno verso Milano e più specialmente tendente al tratto fra Porta Ticinese e Porta Vittoria.

Si ebbero nuovi tentativi di distruzione alla Stazione di Porta Sempione, tosto repressi dalle Compagnie Alpine colà distaccate, ed ora in un punto ora in un altro minacce di assembramenti, che l'apparire della truppa faceva abortire.

Frequenti e rapide punte di cavalleria impedirono pure vari tentativi di guasti alle linee Ferroviarie.

Alle ore 13 ricevetti avviso dal Colonnello Volpini, che verso Porta Vittoria e Porta Monforte notavasi un grande movimento di persone. Mandai colà uno squadrone di cavalleria (Capitano Emo dei Lancieri di Milano) il quale, con ben diretta operazione, riuscì ad arrestare nelle cascine in cui eransi asserragliati un centinaio di rivoltosi, che condusse nel vicino locale della Prefettura.

Alle ore 13.55 senza che nulla mi segnalassero le truppe in servizio sui bastioni mi pervenne da V.S. il seguente dispaccio telefonico: «Partecipo che venne impegnata battaglia a Porta Venezia.»

Disposi perciò immediatamente che il Generale Marras con due battaglioni, una batteria e due squadroni si recasse alla Porta indicata il più celermente possibile e nello stesso tempo chiedevo informazioni al Comandante le truppe a Porta Venezia. Questi mi rispose di non avere nessun reparto impegnato.

V.S. giungeva in questo frattempo in Questura e contemporaneamente venivo a sapere che anziché a Porta Venezia l'azione si stava svolgendo a Porta Monforte. Fui ancora in tempo a dirigervi la colonna del Generale Marras.

Come V.S., recatasi sul posto, ha potuto di poi rilevare, i rivoltosi avevano occupato le case fra Porta Venezia e Porta Monforte prospicienti a breve distanza il bastione intermedio e, di là, traevano colpi d'arma da fuoco sulla truppa, malgrado questa rispondesse mirando alle finestre.

Pare che più frequenti partissero i colpi dal convento di frati all'angolo del Viale Monforte e Corso Concordia, e non essendo possibile penetrarvi per l'altezza del muro di cinta, il Colonnello Volpazi vi fece aprire una breccia mediante pochi colpi sparati da una sezione del 6° Artiglieria, per la quale la truppa poté penetrare ed eseguire l'arresto di una sessantina di persone parte frati, parte borghesi appartenenti alle più basse classi sociali.

Altro arresto di 42 persone fu eseguito poco dopo all'Osteria Acquabella.

L'impiego del cannone, la rapida azione delle truppe e gli arresti eseguiti fecero cessare ogni resistenza, di modo che quando giunse sul posto il Generale Marras trovò tutto ritornato in calma.

Le truppe dell'ora detto Generale rimasero però sul posto sino a notte inoltrata.

Dopo gli avvenimenti ora brevemente narrati non si ebbero fatti salienti di rivolta e si apriva l'animo alla speranza che incidenti gravi non ne sarebbero più avvenuti.

10 maggio - Molti operai avevano mostrato la mattina del giorno 8 e nel pomeriggio del 9 di voler riprendere il lavoro e la S.V., comunicandomi d'aver disposto che l'indomani, 10, gli stabilimenti industriali fossero riaperti, mi dava l'incarico di assicurare fin dalle prime ore del mattino l'ingresso degli operai agli opifici.

Comunicai ai Comandi di settore essermi prefisso pel giorno lo il duplice scopo: "1° di proteggere l'affluenza degli Operai alle officine ed agli opifici per la regolare ripresa del lavoro; 2° di rassicurare gli animi dei buoni nelle campagne circostanti alla città e nello stesso tempo far capire ai malvagi che la sorveglianza era continua e vigilante e pronta la repressione"

Mentre affidavo il raggiungimento del primo scopo ai comandanti di settore, disponevo direttamente della massima parte della cavalleria per operare allo esterno della città nell'intento sopra indicato.

Ritorno al lavoro

Il mattino del 10 il lavoro fu ripreso in tutti gli stabilimenti senza che si verificasse il minimo inconveniente. Solo all'ingresso degli operai dello stabilimento Gola & C. accadde un fatto che merita di essere rilevato perché dimostra che forza d'intimidazione abbiano i partiti sovversivi sugli operai.

Una sola donna portatasi all'ingresso dello stabilimento nel momento in cui, aperte le porte, gli operai si accingevano ad entrarvi, guardandoli fisso esclamò: "Voglio un po' vedere chi va oggi a lavorare!"

Finché non giunse la truppa la donna non si mosse e nessuno di quegli operai osò entrare nell'opificio.

Dal giorno 10 l'ordine non fu più turbato; solo nelle campagne, or qua or là, si manifestarono e si manifestano tutt'ora minacce di scioperi di contadini, che la presenza della truppa e l'azione conciliatrice degli Ufficiali bastarono finora a sventare.

A poco a poco ho fatto diminuire l'entiti dei reparti nell'occupazione delle porte e di determinati punti all'interno della città; e pur rimanendo le truppe sempre pronte e vigilanti ho concesso loro, nella misura consentita dalle esigenze, il riposo di cui avevano tanto bisogno.

Nelle tristi giornate ora trascorse, ho constatato, colla maggiore soddisfazione, come, malgrado i prolungati disagi e le gravi fatiche incontrate nell'adempimento di un dovere quant'altro mai increscioso, ufficiali e soldati abbiano dato prova del più alto sentimento di disciplina e di virtù militari e cittadine.

Ciò spicca nel modo più evidente nei richiamati.

Presentatisi il 6, inquadrati nella notte fra il 7 e l'8, tennero condotta ammirevole.

Molti dovettero impiegare le armi non solo nella propria regione natia, ma nella natia città. Non uno mancò al dovere suo, nè esitò minimamente a farlo.

Il Tenente Generale Comandante la Divisione
DEL MAJNO