Ricordanze della mia vita/Parte terza/LVIII. Il disastro di Sapri
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LVIII
(Il disastro di Sapri).
Santo Stefano, 14 luglio 1857. Ore 3 e mezzo p. m.
Gigia mia, stamane ho saputo la notizia del disastro di Sapri, e sono addoloratissimo, e maledico quegli scellerati che sotto specie di libertá, standosi da lontano, mandano giovani generosi a morire, anzi ad essere macellati. Io non so che ti scrivo, ho la testa confusa, come il cuore trafitto.
Tre giorni fa ti mandai una mia lettera pel solito marinaio, che è tornato, e non mi ha portato tua risposta. Che debbo pensare? Fosse avvenuta qualche disgrazia? a chi? a te? ad Errico? Credo che costá debbono essere grandi rigori, grandi arresti, e peggio. Scrivimi ogni cosa, come prima. Qui non abbiamo altra restrizione che non potere scendere ed io non scendo neppure quando posso scendere. Il comandante non è tristo, e questo ci assicura.
Io non ti scriverò piú pel solito marinaio, fintantoché non mi sarò assicurato. Attendo dunque il ritorno di Colonna. Ti abbraccio, ed addio, dolorosamente, addio.
DS. La notizia qui venuta è stata scritta ad Agresti. Che nel giornale ufficiale si leggeva che il giorno 3 la gente sbarcata a Sapri, era stata assalita da truppe e da urbani: che ne erano morti cento, e trenta feriti: il resto sbandati.
Ora udiremo condanne, fucilazioni, ergastolo, ferri. Povero paese, lacerato in mille guise dagli sciocchi e dai tristi! Scellerati quelli che mandano questa gente senza conoscere bene il paese, e senza venire essi nei pericoli nei quali mandano gli altri. Sciocchi, stolti, scellerati quei di dentro che dicono a quei di fuori: «Venite», e spacciano bugie, e fanno credere che sta per iscoppiare il vulcano, che non è altro che la loro pazza testa. Quanto sangue, quanti mali, quante lagrime per queste imprese sconsigliate. Vorrei scriverti tante cose, ma non so quello che scrivo. Addio di nuovo.