Ricordanze della mia vita/Parte terza/LXXI. Verso l'esilio (contin.)

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LXXI. Verso l'esilio (contin.)

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LXXI

(Verso l’esilio)

(continuazione).


Rada di Cadice, n febbraio 1859.

 Gigia mia carissima,

Siamo qui dal 26 di gennaio, e ci staremo altri pochi giorni finché sará pronta una bella nave a vela americana, che ci dovrá condurre a New-York. Forse tra due o tre o quattro giorni partiremo, e dopo un mese sarò nella benedetta America. Questa lunga e noiosa dimora è stata per le difficoltá trovate a noleggiare una nave, prima fu una spagnuola, poi si ruppero le pratiche col capitano spagnuolo, e tutto è conchiuso con l’americano; il quale dicono ci tratterá bene, e ci condurrá presto. Io non desidero altro. Intanto io sto bene, anzi benissimo, e tutti stanno bene, e Poerio stesso, che giorni fa è stato ammalato e pareva che non potesse seguitare il viaggio, ora sta quasi bene, e verrá.

Io consegnerò questa al comandante Brocchetti gentile persona, il quale te la fará capitare quando potrá giungere in Napoli; e da lui, se lo farai dimandare, potrai avere nuove precise di me. Tu sai che io son contento di tutto, e non soglio dar noia a nessuno: ma voglio farti sapere che ho ricevuto cortesie.

Ti ho scritto per la posta: ma ti sará giunta la lettera, o giungerá? Ho scritto a Panizzi a Londra, e credo che egli ti avrá dato nuove di me, e forse mandata anche la lettera che scrissi a lui. Un negoziante di Cadice, per ordine ricevuto dai signori Heath di Londra, mi ha passato cento lire sterline.

Studiare non posso perché la testa non mi regge, il frastuono è grande, e stiamo stivati: dovrei studiare l’inglese, ma come piglio un libro mi si oscura il cervello, poi gli [p. 480 modifica] occhi, e piglio sonno con gli occhiali sul naso. Penserò dunque a questo povero straccio di corpo, e quando l’avrò affermito un poco, baderò allo spirito, e alla lingua inglese. Tanto piú che ora la galera continua, e non si parla altro che della galera, perché di altro non si sa né si può parlare. Nessuno si avvicina a noi, e siamo soli in mezzo alle acque, trattati bene sí, ma ancora prigionieri. Io ardo del desiderio di porre piede a terra e darmi a correre solo, solissimo per le campagne, e sentirmi libero: e non mi par vero ancora che potrò ottenere questo bene. Quando sarò libero, allora ti scriverò a lungo perché avrò che dirti e che contarti. Penso sempre a te, o mia diletta; la tua cara immagine mi sta sempre innanzi la mente e dentro l’anima mia, e vagheggio l’avvenire quando potremo essere insieme, e contarci i nostri dolori. Come stai, o Gigia mia? che fai? che pensi? Forse tu credi che sto per giungere in America, ed io sto in una rada a vista di una cittá che chiaman Cadice, e di molti altri legni, e prigione sopra un piroscafo napolitano. Quando ci rivedremo? quando rivedrò il caro nostro Raffaele? Ho sofferto dieci anni, bisognerá tirare un altro paio di mesi: e dipoi sarò libero. Pazienza adunque, pazienza.

Che fa la nostra Giulia, e come sta? e la sua bambina? Io mi ricordo che quando tu mi mostravi cotesta bella bambina, le dicevi sempre: «Vedi il nonno, vedi il nonno», e ripetevi quel benedetto nonno tante volte, quasi per volermi far ricordare bene che sono nonno, e temendo che in un viaggio cosí lungo, e in un paese cosí lontano io non avessi a dimenticarmi di esser nonno. E ci è stata un po’ di vendetta dalla parte tua, che tu ti sei sentita chiamar nonna, ed io no, e tu in poche ore hai voluto fare a me una girata di tutti i nonni che sono stati dati a te. Io ho notato ogni cosa, ed ora che sono oltre a mille miglia lontano da te, e senza paura di sentirmi ricantare quel nonno, te n’ho voluto scrivere, per mostrarti ancora che di animo sto tranquillo, di corpo bene, e penso sempre a te, ed alla Giulia nostra, e ad Errico, ed a tutti. [p. 481 modifica]

Finirò questa lettera quando la consegnerò al comandante nel punto che passeremo su la nave americana; cosicché saprai quando sarò partito da Cadice, e potrai congetturare quando potrò essere a New-York.

Desidero di aver nuove di Placco, di quel povero amico mio, con cui ho diviso tanti dolori. Per oggi addio, o mia Gigia. Sta di buon animo, ed abbi cura della tua salute che è vita mia e de’ nostri figliuoli. Ti abbraccio caramente. Un bacio alla Giulia, e ad Errico. Addio, addio.