Ricordanze della mia vita/Parte terza/XLIV. Primi accenni alla deportazione

Da Wikisource.
XLIV. Primi accenni alla deportazione

../XLIII. Incertezze ../XLV. Possibile esilio. Il murattismo IncludiIntestazione 20 ottobre 2021 100% Da definire

XLIV. Primi accenni alla deportazione
Parte terza - XLIII. Incertezze Parte terza - XLV. Possibile esilio. Il murattismo

[p. 428 modifica]

XLIV

(Primi accenni alla deportazione).

Santo Stefano, 7 dicembre 1856.

 Carissima Gigia mia,

La cosa che ti disse tuo nipote mi ha recato assai maraviglia in prima, e poi piacere. La sappiamo solamente noi altri che conosciamo quell’affare di Panizzi; anche senza tua raccomandazione, non l’avrei detta ad altri, per la condizione di questo luogo maledetto. Ma credo che tra un mese sará saputa e strombettata dai giornali. Dove adunque ci manderanno? Tu non me l’hai scritto chiaramente; e però rispondi alle mie dimande, e piglia altre informazioni piú esatte da tuo nipote.

Ci manderanno in America, va bene, ma dove? nella repubblica Argentina, mi pare che hai voluto dirmi. Dunque a Buenos-Ayres? E di chi è questo pensiero? del re, o dell’incaricato americano? E se dell’incaricato, cioè del suo governo, ti pare egli che questo espediente sia stato suggerito dall’Inghilterra? Io per me l’accetto volentieri, e credo che quasi tutti l’accetteranno. Gigia mia, è cosí terribile l’ergastolo, è cosí triste la condizione del nostro paese, che ogni mezzo, ogni via per riacquistare la libertá è accettabile. E poi io ritornerei subito in Europa, e non resterei lí un mese. L’andare e il ritornare potrebbe pigliare un otto dieci mesi, quanti ne impiegò Raffaele, quanti dice che ne impiegherá il suo amico1. Dopo otto o dieci mesi noi potremo essere uniti, ed aspettare il nostro Raffaele. Non ci sarebbe altro per me che un po’ di [p. 429 modifica] disagio pel viaggio dell’andare, ché per quello del venire, venendo libero, non soffrirei niente, e tornerei allegrissimo con la speranza di riabbracciarti. Per gli altri, se il nostro paese rimane cosí, è meglio esser liberi e non mangiare piú fave, che rimanere nell’ergastolo, o in galere: se il paese muta sorte, saranno subito richiamati. È sempre accettabile l’andar via, l’uscire di questa agonia.

Ti ricordi che ci fu mandata la copia del contratto che fecero per Raffaele quando andò a Montevideo? Devi avere quella carta: trovala, rileggila, vedi quanto fu pagato per Raffaele, e scrivimelo. Mi pare che furono pagati 400 franchi, cioè novanta ducati: dunque con la metá della spesa io ritornerò a Marsiglia o a Genova: e aggiungi che per Raffaele fu pagato e vitto e nolo, e istruzione. Fammi sapere adunque quanto fu pagato per Raffaele, che serve per regolarmi.

Io vorrei che questo affare si conchiudesse presto, fosse giá conchiuso, mi trovassi giá imbarcato, per uscire una volta di qui. Sarebbe un viaggio, non altro che un viaggio, e poi saremmo uniti, o Gigia mia adorata. E per unirmi a te, o cara sventurata mia, per unirmi a quel dilettissimo figliuolo, qual cosa, qual viaggio, qual disagio mi può parer duro? Niente, niente. Io accetto mille volte: fosse presto, fosse ora. Se sará, se verrò in Napoli, ci rivedremo, ci abbracceremo, parleremo di tante cose, ci divideremo un’altra volta per restare poi sempre uniti. Informati dunque benissimo di questo affare e scrivimi o fammi scrivere da Errico o da Cesare le piú minute particolaritá intorno ad esso. Nella Presse leggo stamane qualche parola che pare confermare questa risoluzione del re. Finché io non so che tutto è fatto approvato, stabilito, io sto sulle spine. Vorrei ancora che Errico o Cesare mi mandassero una carta, o l’atlante della Giulia, ed una geografia, o una esatta notizia del luogo, la distanza di qui, i gradi di longitudine e latitudine, prodotti, commercio, area, topografia, usi, costumi, ecc. ecc., quanto piú è possibile di saperne. Forse sarebbe buono rimandarmi l’atlante e la geografia che mandai: potrai consegnarli alla persona a cui darai la prima lettera che mi scriverai, sia Nicola, sia [p. 430 modifica] Colonna. Le notizie serviranno non solo per me ma per i compagni che vorranno lá stabilirsi. Io e Silvio ritorneremmo subito: gli altri forse rimarrebbero.

Al momento ho avuto da Ventotene una geografia, e forse dimani avrò un atlante: però non incaricarti di mandarmi né l’uno né l’altra.

Io credo che tuo nipote ti ha detto questa cosa col fine di sapere se noi l’accettiamo. Per me puoi dirgli che io l’accetto, e credo che molti anche condannati a’ ferri l’accetteranno, salvo pochi, che per mala salute non reggerebbero a sí lungo viaggio. Gigia mia non ci è altro mezzo per uscire di questi affanni: le chiacchiere degli esuli e dei giornali non hanno alcun peso per me, non mi fanno sperare un mutamento nella condizione del nostro paese, almeno per ora: il contegno della Francia è dubbio, dell’Inghilterra è imbarazzato: noi siamo gente disfatta, chiacchieroni, eroi in poltrona, come diceva il Giusti, incapace di operare fortemente e da noi: la rivoluzione è un sogno per ora, che si può sperare? Fuggire, e non altro che fuggire di qui. Ci si offre questo partito: accettiamolo per la meglio. Ci riuniremo in altra terra d’Italia, e quivi, o Gigia mia, avremo un po’ di pace dopo tanti dolori. Sta dunque di buon animo, che dopo un dieci mesi ci riuniremo a Genova, e quivi saremmo col nostro carissimo figliuolo. Quivi potremo avere spesso notizie e lettere della nostra Giulia, e forse anche vederla talvolta. Basta, aspettiamo che si conchiuda e si stabilisca, e si pubblichi la cosa, e allora parleremo del resto.


Note

  1. Giovanni Marangoni di Mantova, che fu tenente nel 45° reg. di fanteria italiana, fu fatto prigioniero a Mentana e morí nelle carceri politiche di San Michele a Roma. [N. di R. S.]