Ricordi delle Alpi/Parte Prima/I

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Lo spiazzo di Gòmbaro

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Parte Prima Parte Prima - II
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I.

Lo spiazzo di Gòmbaro.

Era un mattino del giugno 1865, e il sole non per anco appariva dalle spalle delle montagne: vedevansi soltanto alcune leggiere nuvole qua e là sprazzate per lo cielo, e altre, piuttosto grevi, faticosamente lambire i fianchi de’ monti; tutte oramai pallenti e fuggevoli pel tepore de’ primi raggi, che [p. 18 modifica]proiettavansi splendidamente dalle vette acuminate.

Uscito di casa, costeggiai la sinistra del Màllero, per la così detta via Gòmbaro, e discesi in quello spiazzo ove, poc’oltre la metà, sulla destra, sorge il molino a zolfo, industria ch’è un tanto bene per le travagliate viti della Valtellina.

La bandiera tricolore italiana, raccomandata dall’onesto operaio dell’opificio a una asta fissa obbliquamente al di sopra della porta, sebbene impallidita per la polvere dello zolfo, mi parve il più bel saluto mattutino in quel sito, dove in alcun’ore del giorno i nostri bravi soldati facevano sentire gli spari de’ loro moschetti per l’esercizio del tiro a segno nel lato superiore della spiazzata.

Venuto dalla Liguria, pensando al passato, quando lo straniero stanziava in questa contrada, non potei a meno di ragionare meco stesso: «Grazie al cielo il battere del tamburo austriaco e il suono altiero delle sue fanfare non isveglia più gli echi di questi monti, allorchè sin dal primo mattino pareva rammentar con ischerno a questi generosi alpigiani, che la fede italiana sarebbe sempre stata un’amara illusione. A quei dì i campi d’istruzione pel povero coscritto lombardo erano sulle rive nebulose del Danubio.» — [p. 19 modifica]Ma chi ci avrebbe detto che, pochi anni da poi, abbandonate le terre venete dagli austriaci, noi saremmo entrati in amicizia con loro e ci saremmo volti alla Germania, sdegnati delle continue spavalderie della Francia? — Mutabili ragioni della politica!

Dallo spiazzo di Gòmbaro, così detto questo basso sito, spingendo lo sguardo sull’alta soprastante ripa a sinistra, vedi una scena di vegetazione robusta e selvaggia; alberi fronzuti di verde cupo; cespi e cespugli; lunghe, moltiplici e intralciate rama; e l’aria scende fresca dalla corrente del fiume, che rompe con fragore sue acque negli alti fianchi della montagna. Non potendo costeggiare il Màllero e salire, conviene pigliare l’erta via a destra, che fa capo a quella comoda e carreggiabile, per cui vassi a Mossino. Qui la scena si dipinge più vaga e dolce, e si aspira una auretta irrequieta, acre e, per la copiosa quantità de’ vapori del fiume, quasi pesante. A destra, la vaga collina di Ponchiera, ridente per viti festose e pompa d’alberi fruttiferi; donde superiormente si sovraggiudica il forte di Sondrio, ormai inutile avanzo di vecchie ragioni militari; — e, a pie’ di questo, proprio alle falde della rupe, l’amena e piccola metropoli della Valtellina, che, sebbene ci tenga, non ha certo molti fasti per [p. 20 modifica]potersi fregiare dello storico e privilegiato titolo di città.