Rime (Guittone d'Arezzo)/O dolce terra aretina

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O dolce terra aretina

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Guittone d'Arezzo - Rime (XIII secolo)
O dolce terra aretina
O cari frati miei, con malamente Tanto sovente dett'aggio altra fiada


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XXXIII

Lamenta la decadenza di Arezzo ed ammonisce i concittadini a porre sollecitamente rimedio al male.


 
O dolce terra aretina,
pianto m’aduce e dolore
(e ben chi non piange ha dur core,
over che mattezza el dimina)
5membrando ch’eri di ciascun delizia,
arca d’onni divizia
sovrapiena, arna di mel terren tutto,
corte d’onni disdutto
e zambra di riposo [carca] e d’agio,
10refittoro e palagio
a privadi e a stran’ d’onni savore,
d’ardir gran miradore,
forma di cortesia e di piagenza
e di gente accoglienza,
15norma di cavaler’, di donne assempro.
Oh, quando mai mi tempro
di pianto, di sospiri e di lamento,
poi d’onni ben ti veggio
in mal ch’aduce peggio,
20sì che mi fai temer consummamento?

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Or è di caro piena l’arca,
l’arna di tosco e di fele,
la corte di pianto crudele,
la zambra d’angostia tracarca.
25Lo refittoro ai boni ha savor pravi
e ai fellon soavi;
especchio e mirador d’onni vilezza,
di ciascuna laidezza
villana e brutta e dispiacevel forma,
30non di cavalier’norma
ma di ladroni, e non di donne assempro
ma d’altro: ove mi tempro?
sí ha’, rea gente, el bon fatto malvagio,
und’al corp’hai mesagio,
35a l’alma pena, e merto eternal morte:
ché Dio t’ha in ira forte,
a te medesma e a ciascun se’ ’n noia;
e a fermato erede
ch’ai figliuoi tuoi procede,
40sí che ver’lor tristia è la tua gioia.
Ahi, como mal, mala gente
de tutto bene sperditrice,
te stette sí dolce notrice
e antico tanto valente!
45Ché di ben tutto la trovasti piena:
secca hai quasi la vena;
l’antico tuo acquistò l’onor tutto:
tu l’hai oramai destrutto,
tu, lupo [ de la greggia ] ispergitore
50siccom’esso pastore.
Ma se pro torna danno ed onor onta,
la perta a cui si conta?
pur vostra, Artin felloni e forsennati.
Ahi, che non fuste nati
55di quelli, iniqui schiavi, e vostra terra
fusse in alcuna serra

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de le grande Alpi che si trovan loco!
e lá poria pugnare
vostro feroce affare,
60orsi, leoni, dragon’pien’di foco.
O gente iniqua e crudele,
superbia saver sí te tolle,
e tanto venir fa te folle,
venen t’ha savor più che mele.
65Ora te sbenda ormai e mira u’ sedi,
e poi te volli e vedi
detro da te il loco ove sedesti;
e ove sederesti,
fussiti retta bene, hai a pensare.
70Ahi, che guai tu déi trare,
ciascun se’n sé ben pensa ed in comono
che onor, che pro e che bono,
che per amici che per tei, n’hai preso!
Che s’hai altrui offeso,
75e altri a te: ché mal né ben for merto
non fu, né será, certo;
per che saggio om che gran vol, gran sementa:
ché giá non pò sperare
de mal ben alcun trare,
80né di ben mal, né Dio credo ’l consenta.
Crudeli, aggiate merzede
dei figliuoi vostri e di voi:
ché mal l’averebbe d’altrui
chi sé medesimo decede.
85E se vicina né divina amanza
no mette in voi pietanza,
el fatto vostro solo almen la i metta;
e s’alcun ben deletta
el vostro core, or lo mettete avante,
90ché non con sol semblante
né con parlare in mal far vo metteste,
ma con quanto poteste.

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Degn’è donque che ben poder forziate,
ni del ben non dottiate,
95poi che nel male aveste ogni ardimento:
ché senza alcun tormento
non torna a guerigion gran malatia,
e chi accatta caro
lo mal, non certo avaro
100ad acquistar lo bene essere dia.
Non corra l’omo a cui conven gir tardi,
né quei pur miri e guardi
a cui tutt’avaccianza aver bisogna:
ché ’n un punto s’eslogna
105e fugge tempo, sí che mai non riede.
Ferma tu donque el piede,
ché, s’ello te trascorre e ora cadi,
no atender mai vadi;
né mai dottare alcun tempo cadere,
110se or te sai tenere.
Adonque onni tuo fatto altro abandona,
e sol pens’e ragiona
e fa’ come ciò meni a compimento:
ché, se bene ciò fai,
115onne tuo fatto fai;
se non, ciascun tuo ben va’ perdimento.
Ahi, come foll’è quei, provatamente,
che dotta maggiormente
perder altrui che sé né ’l suo non face,
120ma che quant’ha desface
a pro de tal unde non solo ha grato!
ed è folle el malato
che lo dolor de la ’nfertá sua forte
e temenza di morte
125sostene, avante che sostener voglia
de medicina doglia;
e foll’è quei che s’abandona e grida:
Ah, Signor Dio, aida!

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E foll’è anche chi mal mette e ha messo
130nel suo vicin prosmano
per om no stante e strano;
e foll’è chi mal prova e torna a esso.