Rime (Guittone d'Arezzo)/O cari frati miei, con malamente

Da Wikisource.
O cari frati miei, con malamente

../Poi male tutto è nulla inver peccato ../O dolce terra aretina IncludiIntestazione 13 settembre 2008 75% poesie

Guittone d'Arezzo - Rime (XIII secolo)
O cari frati miei, con malamente
Poi male tutto è nulla inver peccato O dolce terra aretina


[p. 83 modifica]

XXXII

Difesa ed esaltazione del suo fervore come frate gaudente.


 
     O cari frati miei, con malamente
bendata hane la mente
nostro peccato e tolto hane ragione!
E certo apresso ciò per gran neiente
5

[p. 84 modifica]

no nd’apella om giomente,
ché d’omo non avem più che fazone.
Che se descrezione,
arbitro, poder, cor, senno e vertute
noi fue dato in salute,
10a nostra dannazion lo convertemo;
ché tutto adessa avemo
fatta descrezion, malvagio ingegno,
arbitro, servo di peccato tutto,
defensore e sostegno
15e campion di disragion, podere,
cor che contra piacere
ha tutte cose oneste e graziose
ed ha per dilettose
quelle tutte che legge e Dio disdegna,
20e saver che disensegna
dritto, Dio, e malvagitá n’aprende,
vertù, ch’ogne vertù pena dar sotto
e vizi cria e in poder li stende.
     Demonio a Dio e corpo ad alma avemo
25e lo secol tenemo
patria propia, somma, eternale.
E ciò è, lassi!, unde bendati semo,
per che ciascuno remo
tenem, vogando quanto potem ver male.
30Or chi è ora leale,
chi fedel, chi benigno, chi cortese
non m’è certo palese;
ma chi è malvagio e chi galeadore
e chi per disamore
35e per malvagitá e falseza ingegna
amico o frate, veggione a comuno.
E quel per maggior regna
e maggiormente orrato e pro è fatto,
che mei sa di baratto,
40treccando e galeando ad ogne mano;

[p. 85 modifica]

e se soave e piano
umile Dio temendo alcun se trova
che non baratto mova,
misero, vile, codardo è tenuto;
45per che d’offender lui vago è catuno,
e soi vicin tutti peten trebuto.
     Ma non galea alcun tanto, né mira,
né davante se tira,
non segualo penser noia ed affanno:
50soperbia, cupidezza, invidia e ira
tanto no volle e gira,
che nostre menti poso alcun non hanno.
Vergogna porta e danno
e travaglio vi ha più chi più ci tene,
55e mal vi ha più che bene
chi più ci ha di piacere e men di noia;
ch’onne mondana gioia,
tarda, corta, leggera, è de nòi mesta;
la fine, u’ pende tutto, è sola doglia.
60Ma noia è sempre presta,
lunga, grave, e sol ha fine a morte!
Ov’è solazo in corte,
u’ poso in zambra, u’ loco, u’ condizione,
ove, quando stagione,
65dove puro piacer paresse un punto?
Legno quasi digiunto
è nostro core in mar d’ogne tempesta,
ove pur fugge porto e chere scoglia,
e di correr ver morte ora non resta.
70 O struggitor di noi, se qui è gravezza,
ov’è donqua allegrezza
Forse ’n inferno, ove corremo a prova?
E siem più stolti ch’apellam stoltezza,
se de tanta mattezza
75alcun si parte, poi veritá ritrova;
e mirabile e nova

[p. 86 modifica]

cosa tenem no chi mai fa, ma bene;
ed entra gli altri mene
biasmato e crociato avete, poi
80Dio mi partí da voi;
e dove più d’onor degno m’ha fatto
esso meo car Segnor, la sua merzede,
più me biasmate matto,
dicendo pertenevame gaudere,
85poi tempo, agio, podere
e bella donna e piacentera avia;
e ch’è grande villia
e fera crudeltá disnaturata,
la qual non fu trovata
90in fera alcuna, und’om parlasse mai,
ch’abandoni figliuol che picciol vede,
com’io tre picciolelli abandonai.
     Or come potev’io, matti, gaudere
ov’è gran despiacere?
95Oltra ch’io dissi: Chi meglio adimora?
Non tempo, non loco, non podere,
né mia donna in piacere
mi fue giorno giá mai tanto quanto ora,
ch’onne soperchia cura,
100unde non posa voi corpo né core,
mi tolle el meo segnore.
Und’eo mi gaudo quasi; e se per questo
eternal vita acquisto,
sí gran mercato mai non fue veduto.
105Ben agia chi noi pria chiamò gaudenti,
ch’ogn’omo a Dio renduto
lo più diritto nome è lui gaudente;
ché qual più aspramente
religione porta, ha più dolzore
110d’ogne mondan segnore,
s’è di spirito bon, ché contra voglia
ogni dolcezza è doglia.

[p. 87 modifica]

Non io, ma voi donqu’ai figliuoli spietosi,
procacciandoi languire infra i languenti,
115ed eo li mei gaudere infra i gaudiosi!
     Ora s’eo fosse a mia guisa segnore
d’ogne terren riccore,
giovane sempre e deretano in vita,
ed albergasse solo nel meo core
120tutto mondan dolzore,
e ogne noia da me fosse partita
come cosa fallita,
e fosser fatte a lo piacer meo fine
figlie e moglier reine
125e tutti re i figliuoi, sí mi seria
oltra pensier mattia
non tutto abandonar ciò, Dio seguendo;
ché, solo, in gran diserto, ognunque pena
per lo meo Dio soffrendo,
130vale meglio. Non tale bene vale
quanto ben ver ver male?
Primo: ben temporal val men che neente,
ver ben che non dismente;
secondo: ben terreno è fastidioso
135ver ben divin gioioso;
terzo: ben ch’ha mal fine è di mal peggio,
e mal che tolle peggio e ben ch’a meglio mena,
sommo, eternal ben chiamar lo deggio.
     O caro segnor meo e dibonare,
140como m’osa blasmare
alcun, se m’ho donato te seguire?
Tanto m’hai fatto e fai e mi dei fare,
nol porea meritare,
se mi seguisse ogn’omo in te servire.
145O che mert’ho, bei sire,
che, pria che ’l mondo formassi, m’amasti?
ed apresso creasti
non fera giá, ma omo razionale;

[p. 88 modifica]

e non di popol tale,
150che non conosca te, ma di tua gente.
Creato m’allevasti ed allevato
fuite contra a presente:
tu corpo ed alma in terra e in mare spesso
mi defendesti d’esso;
155chi t’è contra seguiva ed altro tutto;
e m’hai di loco brutto
e tempestoso dato agiato e santo;
faimi gioioso manto,
e parti a grado tuo de tutto rio,
160e di’ me coronare e far beato
ed in eterno empiermi onne desio.
     O vengiator di mia onta, o ventore
d’onne meo percussore,
o ver soccorso a tutti miei bisogni,
165pur non de te me slogni,
ferro, foco, infermitate, affanno,
omo, fera, demonio o cosa quale
tener poreami danno?
Nulla certo: ma prod’è in te durando.
170Ma io solo peccando
mi posso corpo ed alma aucider leve;
ché dove mal m’è greve
e bene rende me picciol savore,
non è che poco amore.
175Languendo gauderea, como gaudea
in fede intera ed in amor corale
Lorenzo al foco ed alla croce Andrea.
     Capitano d’Arezzo Tarlato,
non te mirar montato:
180te smonti giá, ché valle han tutti i monti,
sí come in plusor ponti
tu medesmo n’hai saggio alcuno fatto.
Ned obriar che d’ogne monte el sommo
è sempre istremo e ratto,

[p. 89 modifica]

185e che finghiosi e pien d’oncin son valli
e li plusor for calli.
Ahi, che laid’è di gran monte avallare
e nel valle afondare:
nel valle d’ogne valle ed eternale
190sentina a tutto male;
e che bell’è d’esti monti salire
in quel monte eternal d’ogne ben sommo,
e d’esta vita vil grande partire!