Rime (Veronica Franco)/Terze rime/IV

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D’incerto autore alla signora Veronica Franca.
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IV

D’incerto autore
alla signora Veronica Franca

Rispondendo all’epistola precedente, l’amante, pur dolendosi ch’ella abbia voluto allontanarsi, spera che per la pietá di lui s’induca a tornar presto.

     A voi la colpa, a me, donna, s’ascrive
il danno e ’I duol di quelle pene tante,
che ’l mio cor sente e ’l vostro stil descrive.
     4L’alto splendor di quelle luci sante
recando altrove, e ’l lor soave ardore,
ai colpi del mio amor foste un diamante.
     7Io vi pregai, dagli occhi il pianto fore
sparsi largo, e sospir gravi del petto:
non m’aiutò pietá, non valse amore.
     10Valse, via piú che ’l mio, l’altrui rispetto:
e, benché umil mercé v’addi mandai,
pur sol rimasi in solitario tetto.
     13D’ir altrove eleggeste, io sol restai,
com’a voi piacque ed a mia dura sorte:
sí che invidia ai piú miseri portai.
     16E, s’or avvien che a voi pentita apporte
alcun dolore il mio grave tormento,
in ciò degno è ch’amando io mi conforte.
     19Dunque per me del tutto non è spento
quel foco di pietá, ch’ove dimora
fa d’animo gentil chiaro argomento.
     22Di voi, cui ’l ciel tanto ama e ’l mondo onora,
di bellezza e virtute unico vanto,
con cui le Grazie fan dolce dimora,
     25gran prezzo è ancor, se nel corporeo manto,
dove star con Amor Venere suole,
virtú chiudete in ciel gradita tanto.

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     28Se ’l vostro cor del mio dolor si duole,
s’egualmente risponde a’ miei desiri,
oh vostre doti e mie venture sole!
     31Tra quanto Amor le penne aurate giri,
non ha chi, coni’io, dolce arda e sospire,
né tra quanto del sol la vista miri.
     34Dole’è, quant’è piú grave, il mio languire,
se, qual nel vostro dir pietoso appare,
sentite del mio mal pena e martire,
     37Che poi non mi cediate nelPamare,
esser non può, ché la mia fiamma ardente
nel gran regno amoroso non ha pare.
     40Troppo’benigno a’miei desir consente
il del, se dal mio cor la fiamma mossa
vi scalda il ghiaccio della fredda mente.
     43In voi non cerco affetto d’egual possa,
quel ch’a far di duo uno, un di duo viene,
e duo traffigge di una sol percossa.
     46Troppo del viver mio l’ore serene
fórano, e tanto piú il mio ben intero,
quanto piú raro questo amando avviene:
     49quanto Amor men sostien sotto ’l suo impero
che ’n duo cor sia una fiamma egual partita,
tanto piú andrei de la mia sorte altero.
     52Si come troppo è la mia speme ardita,
che si audaci pensieri al cor ni’invia,
per strada dal discorso non seguita,
     55da l’un canto il pensar si com’io sia,
verso ’l vostro valor, di merto poco,
dal soverchio sperar l’alma desvia;
     58da l’altro Amor gentil ch’adegui invoco
la mia tanta con voi disagguaglianza,
e gridando mercé son fatto roco.
     61D’Amor, ch’a nullo amato per usanza
perdona amar, dove un bel petto serra
pensier cortesi, invoco la possanza:

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     64quella, onde ’l ciel ei sol chiude e disserra,
e, perch’a lui la terra è poco bassa,
gli spirti fuor de l’imo centro sferra,
     67prego che l’alma travagliata e lassa
sostenga; e. se non ciò, vaglia pietate
lá dove ’l vostro orgoglio non s’abbassa.
     70Di mercé sotto aspetto non mi date
lusingando martir, tanto piú ch’io
v’adoro; e quanto prima ritornate,
     73ch’al lato starvi ognor bramo e desio.