Saggio di curiosità storiche intorno la vita e la società romana del primo trentennio del secolo XIX/Lo Stato Romano all'alba del secolo XIX
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Lo Stato Romano all’alba del secolo XIX.
In mezzo alle cruenti battaglie, alle repentine cadute di troni ed alle feroci e sanguinose repressioni era tramontato il secolo XVIII, lasciando ai futuri un pesante retaggio di odio, un triste passato da liquidare. La repubblica romana, proclamata dalle truppe rivoluzionarie di Francia, era stata soffocata nel sangue ed i patrioti, all’apparire delle truppe dell’abborrito Borbone, erano stati costretti ad esulare sfiduciati e col cuore nelle lagrime, mentre l’antico Stato della Chiesa veniva taglieggiato e corso dalle milizie austriache e napoletane.
I cristianissimi eserciti, approfittando della lunga vacanza della Sede Pontificia, avevano occupato militarmente, sulla fine del 1799 e sul principio del 1800, tutte le terre di questa, inaugurando dovunque una ferocissima reazione; protestavano a parole nei loro bugiardi proclami di rioccupare le terre in nome della Chiesa, ma coi fatti lasciavano facilmente intravvedere che intendevano impossessarsene definitivamente in nome proprio.
La corte di Vienna, che da tempo mirava alle Legazioni, non lasciò intentata alcuna via per riuscire nel suo scopo: essa, nel protrarsi del Conclave di Venezia per la morte di Pio VI, vide il momento opportuno per consolidare la sua occupazione in queste regioni ed adoperò quindi ogni mezzo affinchè il Conclave si prolungasse indefinitamente. I suoi disegni restarono è vero sventati coll’elezione del Chiaramonti, avvenuta nel 4 marzo del 1800, ma ancora non volle darsi per vinta. Il ministro imperiale Ghislieri ed il Card. Hertzan fecero vive pressioni, a nome dell’Imperatore presso il nuovo pontefice, affinchè, per la sua maggior sicurezza, volesse continuare a risiedere in Venezia oppure volesse trasferirsi in Vienna; ma Pio VII, tale era il nome assunto dal Chiaramonti, che forse aveva letto il vero significato delle profferte volpine dell’Austria, ringraziò e vinse. Egli, avuta appena da Ferdinando IV la promessa della riconsegna del territorio pontificio, dalle sue truppe occupato, mandò presto i Cardinali Albani, Roverella e Della Somaglia, affinchè lo precedessero in Roma come legati e prendessero dai Napoletani la consegna del governo; egli stesso poi, nell’undici di giugno, s’imbarcava sopra una vecchia carcassa, fornitagli dal gentilissimo Governo di Vienna, alla volta dei suoi Stati. Sotto pretesto di evitare rumori gli fu vietato dallo stesso Governo di passare per le Legazioni; così il 3 luglio 1800, dopo un lungo e faticoso errare, Pio VII entrava finalmente in Roma, accolto dagli applausi generali di tutti i Romani. Questi salutavano con gioia la prossima fine dell’occupazione napoletana1 e, memori delle passate vicende, salutavano in Pio VII l’autore di quelle famose parole:
«La libertà, cara a Dio ed agli uomini, è la facoltà di fare e non fare, ma sempre sotto la legge divina ed umana. La forma democratica non ripugna al Vangelo, anzi esige quelle sublimi virtù, che s’imparano soltanto nella scuola di Cristo; esse faranno buoni democratici, d’una democrazia retta, forbita da infedeltà ed ambizioni ed intesa alla felicità comune; esse conserveranno la vera uguaglianza, la quale, mostrando che la legge si estende su tutti, mostra insieme e qual proporzione dove tenere ogni individuo, rispetto a Dio, a sè, agli altri. Ben più che le Filosofie, il Vangelo e le tradizioni apostoliche ed i santi dottori creeranno la grandezza repubblicana, rendendo gli uomini eroi di umiltà e prudenza nel governare, di carità nel fraternizzare con sè e con Dio. Seguite il Vangelo e sarete la gioia della Repubblica, siate buoni cristiani e sarete ottimi democratici»2.
Egli aveva allora 57 anni. Spettatore degli ultimi avvenimenti, s’era convinto che occorreva un nuovo orientamento nel governo della cosa pubblica, e questo comprese che volessero significargli gli applausi generali. Per far fronte alla critica situazione, in cui si trovava lo Stato della Chiesa, e riparare in qualche modo ai mali, che ne funestavano le terre, egli volle associarsi nel governo il prelato Ercole Consalvi, che egli aveva conosciuto ed apprezzato nel passato, e, dopo averlo creato Cardinale, lo nominò Segretario di Stato.
Tristissime erano in quei giorni le condizioni di Roma e dello Stato Pontificio: dopo la perdita delle Legazioni, cedute col trattato di Tolentino, i sudditi della Chiesa s’erano ridotti è vero di varie migliaia, ma l’enorme debito pubblico era restato tuttavia intero sulle loro spalle; esso ascendeva allora a 74 milioni di scudi e da tre anni non s’era pagato alcun frutto. Inoltre le vicende politiche degli ultimi tre anni del secolo XVIII avevano finito per rovinare ancora più i miseri sudditi pontifici, determinando il fallimento di molti. Coll’idea di rimediare al grave dissesto finanziario, si erano escogitate varie riforme, quale l’abolizione della carta monetata, la messa in circolazione di una grande quantità di moneta erosa di valore quasi nullo, la vendita dei beni così detti nazionali e l’introduzione degli assegnati, ma tutte queste provvidenze non ebbero altro effetto che quello di sconvolgere e dissipare maggiormente ogni cosa.
Per riparare a tutti questi mali Pio VII ed il Consalvi si accinsero ben presto all’opera con vera lena, e già nel 1800 e 1801 diedero mano ad una serie di riforme, delle quali alcune rivelano una vasta mente. Ma lo Stato della Chiesa aveva bisogno, per vivere ancora, di riforme radicali ed a queste erano contrari tutti quanti i rappresentanti delle classi privilegiate, alto clero e nobiltà, che in Roma contavano maggiormente; questi adoperarono ogni mezzo per tagliare la via al Ministro riformatore, e per paralizzarne l’energia. Così il popolo, che aveva sognato una nuova era col ristabilimento del Potere Temporale, vedendo cadere ad una ad una tutte le speranze concepite, tornò a far sentire timidamente la sua voce di protesta. Nel primo gennaio 1801 una turba circonda la carrozza papale acclamando, ma in mezzo a quelle grida di «viva», si fa sentire anche l’altro di «pane, pane»; nel settembre dello stesso anno, mentre il Papa ritorna dalla Cappella al Popolo, davanti a S. Carlo al Corso lo stesso grido s’innalza più forte, misto all’altro più feroce, rivolto al Cardinal Ruffo «a fiume a fiume». Sono fino ad ora voci deboli ed isolate, ma il loro periodico ripetersi lascia vedere che qualche cosa matura.
Note
- ↑ Veramente i Napoletani non lasciarono lo Stato Pontificio che molto tardi. Varie volte nel 1801 il nostro Diarista raccoglie le voci di partenza delle truppe napoletane, ma come i soldati della nota operetta, queste non partivano mai; dopo la pace d’Amiens, Napoleone le costrinse finalmente a sloggiare.
- ↑ Vedi: Barnaba Mons. Chiaramonti. Lettera pastorale per la diocesi d’Imola. — Diario di Nicola Roncalli. Studio introduttivo di R. Ambrosi - vol. I. pag. 199.
- Testi in cui è citato Papa Pio VI
- Testi in cui è citato Papa Pio VII
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- Testi in cui è citato il testo Diario di Nicola Roncalli
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