Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799/Capitolo XXIII

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XXIII

LEGGI — FEDECOMMESSI


Io seguo il corso delle mie idee anziché quello de’ tempi. Tanti avvenimenti si sono accumulati e quasi addensati in si breve tempo, che essi, invece di succedersi, s’incrocicchiano tra [p. 119 modifica]loro, né se ne può giudicar bene se non osservandone i loro rapporti.

Il momento della rivoluzione in un popolo è come un momento di tumulto in un’assemblea: i dispareri, il calore della disputa, destano tanti e sí vari rumori, che impossibile riesce far ascoltare la voce della ragione. Se allora un uomo rispettabile per la sua prudenza e pel suo costume si mostra, gli animi si acchetano, tutti l’ascoltano: il suo nome gli guadagna l’attenzione di tutti, egli può far udire la voce della ragione. Nel primo momento l’opinione è necessaria per dar luogo alla ragione; ma nel secondo conviene che la ragione sostenga e confermi l’opinione.

Oue’ fatti che finora abbiam riferiti aveano per iscopo il guadagnare la confidenza del popolo prima che il governo avesse agito; ma il governo dovea finalmente agire e dovea colle opere meritarsi quella confidenza che avea giá guadagnata... Esso si occupò dell’abolizione de’ fedecommessi e della feudalitá, che formavano presso di noi i piú grandi ostacoli all’eguaglianza ed al governo repubblicano.

L’istituzione de’ fedecommessi porta seco lo spirito di conservar i beni nelle famiglie, spirito non compatibile coll’eguaglianza nelle repubbliche ben ordinate. Forse, cosí in Roma come in Sparta, l’amor dell’eguaglianza avea fatto nascere lo spirito della conservazione de’ beni. Ma i nostri fedecommessi non aveano di romano altro che il nome e le formole esterne di ciò che chiamasi «sostituzione»: queste antiche sostituzioni, unite alle idee di nobiltá ereditaria e di successione feudale, avean prodotto presso di noi un mostro, di cui a torto incolperemmo i romani. Nel regno di Napoli, ove tutte le ricchezze sono territoriali, si erano i fedecommessi moltiplicati all’estremo, e moltiplicato avevano ancora il numero de’ celibi, degli oziosi, de’ veri, de’ litiganti, ecc.

La riforma fu semplice e ragionevole. Non si distrusse la volontá de’ testatori che fino a quel tempo aveano ordinato de’ fedecommessi, tra perché una legge nuova non deve mai annullare i fatti precedenti, tra perché la riforma della proprietá non [p. 120 modifica]deve distruggerne il fondamento, il quale altro non è che il possesso autorizzato dal costume pubblico1. Ma i beni de’ fedecommessi rimanendo liberi in mano de’ possessori e la legge proibendo di ordinarne de’ nuovi, una sola generazione sarebbe stata sufficiente a produrre quella divisione che si desiderava, ma che, ordinata dalla pubblica autoritá, si sarebbe mal volentieri accettata.

A’ secondogeniti ed a’ legatari fu disposto darsi il capitale di quella parte del fedecommesso di cui godevano la rendita: cosí ebbero anche essi una proprietá da trasmettere ai loro figli. Il calcolo de’ capitali fu ordinato farsi sulla rendita alla ragione del tre per cento; e cosí, in una nazione ove i fondi sono in commercio alla ragione non minore del cinque e del sei per cento, le porzioni de’ legatari venivano indirettamente a duplicarsi, e si correggeva, senza violenza, quella disuguaglianza che lo spirito di primogenitura avea introdotta nelle porzioni de’ figli di uno stesso padre.

Questa legge fu saggia e ben accetta a tutti: i possessori stessi de’ fedecommessi non perdevano tanto colla cessione ai legatari, quanto guadagnavano coll’acquistar la libera proprietá de’ loro beni in una nazione che incominciava a sviluppare qualche attivitá. I legami de’ fedecommessi erano giá mal tollerati, e da’ dissipatori che volean abusare dei loro beni, e da’ saggi i quali voleano usarne in bene.

Forse sarebbe stato giusto aggiugnere alla legge la condizione aggiuntavi dall’imperatore Leopoldo, allorché fece la riforma dei fedecommessi di Toscana. Giudicando questo ottimo sovrano che manca alla giustizia chiunque priva del diritto alla successione un uomo nato e nodrito con esso, riserbò la capacitá di succedere ai fedecommessi non solo ai possessori, ma anche ai chiamati giá nati o da nascere da matrimoni contratti prima della legge, molti de’ quali eransi fatti colla speranza di una successione fedecommessaria. [p. 121 modifica]

Rimanevano ancora alcuni altri oggetti da determinarsi: rimaneva a prendersi delle misure sui tanti e sí ricchi monti di maritaggi che vi sono in Napoli e che altro in realtá poi non sono che fedecommessi di famiglia e di gente... Ma tali oggetti dipendevano dalla legge testamentaria, dallo stato della nazione e da tante altre considerazioni, che era meglio aspettare tempo piú opportuno. Di rado nella rivoluzione francese ed in quelle che sono scoppiate in conseguenza, di rado si è peccato per soverchia lentezza in far le leggi: spessissimo per soverchia precipitanza.

Note

  1. Una legge, dice Macchiavelli, che guarda molto indietro, è sempre tirannica.