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Sant'Ambrogio (Lucas)

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Giuseppe Giusti

Indice:The Oxford book of Italian verse.djvu Poesie Letteratura Sant'Ambrogio Intestazione 26 marzo 2022 75% Poesie

Questo testo fa parte della raccolta The Oxford book of Italian verse


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V
OSTRA Eccellenza che mi sta in cagrnesco

Per que’ pochi scherzucci di dozzina,
               E mi gabella per anti-tedesco
               4Perchè metto le birbe alla berlina,
               O senta il caso avvenuto di fresco
               A me che girellando una mattina
               Capito in Sant’Ambrogio di Milano,
               8In quello vecchio, là, fuori di mano.
          M’era compagno il figlio giovinetto
               D’un di que’ capi un po’ pericolosi,
               Di quel tal Sandro, autor d’un romanzetto
               12Ove si tratta di Promessi Sposi . . .
               Che fa il nesci, Eccellenza? o non l’ha letto?
               Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi,
               In tutt’altre faccende affaccendato,
               16A questa roba è morto e sotterrato.
          Entro e ti trovo un pieno di soldati,
               Di que’ soldati settentrïonali,
               Come sarebbe, Boemi e Croati,
               20Messi qui nella vigna a far da pali:
               Difatto se ne stavano impalati.
               Come sogliono in faccia a’ Generali,
               Co’ baffi di capecchio e con que’ musi,
               24Davanti a Dio dritti come fusi.
          Mi tenni indietro; chè, piovuto in mezzo
               Di quella maramaglia, io non lo nego
               D’aver provato un senso di ribrezzo
               28Che Lei non prova in grazia dell’impiego:
               Sentiva un’afa, un alito di lezzo;
               Scusi, Eccellenza, mi parean di sego,
               In quella bella casa del Signore,
               32Fin le candele dell’altar maggiore.

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          Ma in quella che s’appresta il sacerdote
               A consacrar la mistica vivanda,
               Di subita dolcezza mi percuote
               36Su, di verso l’altare, un suon di banda.
               Dalle trombe di guerra uscian le note
               Come di voce che si raccomanda,
               D’una gente che gema in duri stenti
               40E de’ perduti beni si rammenti.
          Era un coro del Verdi; il coro a Dio
               Là de’ Lombardi miseri assetati;
               Quello: O Signore, dal tetto natio,
               44Che tanti petti ha scossi e inebrïati.
               Qui cominciai a non esser più io;
               E come se que’ còsi doventati
               Fossero gente della nostra gente,
               48Entrai nel branco involontariamente.
          Che vuol Ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
               Poi nostro, e poi suonato come va;
               E coll’arte di mezzo, e col cervello
               52Dato all’arte, l’ubbie si buttan là.
               Ma cessato che fu, dentro, bel bello
               Io ritornava a star, come la sa;
               Quand’eccoti, per farmi un altro tiro,
               56Da quelle bocche che parean di ghiro,
          Un cantico tedesco lento lento
               Per l’aer sacro a Dio mosse le penne:
               Era preghiera, e mi parea lamento,
               60D’un suono grave, flebile, solenne,
               Tal, che sempre nell’anima lo sento:
               E mi stupisco che in quelle cotenne,
               In que’ fantocci esotici di legno,
               64Potesse l’armonia fino a quel segno.

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          Sentia nell’inno la dolcezza amara
               De’ canti uditi da fanciullo; il core
               Che da voce domestica l’impara
               68Ce li ripete i giorni del dolore:
               Un pensier mesto della madre cara,
               Un desiderio di pace e di amore,
               Uno sgomento di lontano esilio,
               72Che mi faceva andare in visibilio.
          E quando tacque, mi lasciò pensoso
               Di pensieri più forti e più soavi.
               Costor, dicea tra me, re pauroso
               76Degl’italici moti e degli slavi
               Strappa a’ lor tetti, e qua senza riposo
               Schiavi li spinge per tenerci schiavi;
               Li spinge di Croazia e di Boemme,
               80Come mandre a svernar nelle Maremme.
          A dura vita, a dura disciplina,
               Muti, derisi, solitari stanno,
               Strumenti ciechi d’occhiuta rapina
               84Che lor non tocca e che forse non sanno;
               E quest’odio, che mai non avvicina
               Il popolo lombardo all’alemanno,
               Giova a chi regna dividendo, e teme
               88Popoli avversi affratellati insieme.
          Povera gente! lontana da’ suoi,
               In un paese qui che le vuol male,
               Chi sa che in fondo all’anima po’ poi
               92Non mandi a quel paese il principale!
               Gioco che l’hanno in tasca come noi. —
               Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale
               Colla su’ brava mazza di nocciuolo,
               96Duro e piantato lì come un piuolo.