Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XI. - Origine del sistema planetario eliocentrico presso i Greci/VIII. - Riassunto delle conclusioni principali
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VIII. RIASSUNTO DELLE CONCLUSIONI PRINCIPALI.
55. I risultati ottenuti nei capitoli che precedono si possono ordinatamente e brevemente riassumere nel modo che segue:
I. — Nelle più antiche loro costruzioni del sistema cosmico, i Greci partirono dall’idea che tutte le circolazioni dei corpi celesti dovessero farsi simmetricamente intorno ad un unico centro, coincidente col centro dell’universo. Tale è il concetto che domina nel sistema di Filolao, nei due schemi esposti da Platone nel X della Repubblica e nel Timeo, e che forma la base fondamentale delle sfere omocentriche di Eudosso.
II. — L’idea d’introdurre una circolazione parziale di alcuni astri intorno ad un centro diverso da quello del mondo non fu prodotto di speculazione teoretica, ma fu risultato diretto dell’osservazione. Lo studio dei movimenti di Mercurio e di Venere, e delle variazioni del loro splendore apparente condusse Eraclide Pontico a porre nel Sole, e non nella Terra, il centro delle loro orbite. Con questo egli ottenne non solo il modo di rappresentare le anomalie del loro corso zodiacale molto più semplicemente ed esattamente che ad Eudosso non fosse riuscito di fare colle sfere omocentriche; ma giunse fino ad un certo punto a spiegare le variazioni nella loro distanza. Questa fu la prima forma, sotto cui fu concepita l’ipotesi del moto di un astro su di un epiciclo mosso alla sua volta sopra di un deferente concentrico colla Terra.
III. — Le grandi variazioni dello splendore apparente di Marte avevano reso in ogni tempo assai difficile l’ammettere, che nella Terra fosse il centro della sua circolazione. Nè di queste variazioni, nè delle anomalie del corso zodiacale di Marte, Eudosso aveva potuto dare una spiegazione anche soltanto approssimata. L’esame delle osservazioni di questo pianeta fece vedere, che se esso descriveva un circolo, questo non poteva esser centrato sulla Terra, ma doveva aver il centro in qualche punto della linea che dalla Terra passa per il Sole. Esclusa l’idea (che dovette allora sembrare, ed era infatti assurda) di far centro dell’orbe di Marte un punto ideale privo d’ogni fisica entità, si vide che questo centro non poteva essere nitro ve che nel Sole, come già nel Sole era il centro delle orbite di Mercurio e di Venere. Così nacque il pensiero di far muovere l’astro su di un eccentro mobile, di cui il centro, collocato costantemente nel Sole, descriveva con questo intorno sulla Terra una rivoluzione nello spazio di un anno.
IV. — L’ipotesi dell’eccentro mobile studiata nei suoi effetti, mostrò di corrisponder bene alle osservazioni non solo di Marte, ma anche di Giove e di Saturno. Anche a questi fu dato il Sole per centro dei movimenti. Così mentre i matematici si applicavano a perfezionare il sistema d’Eudosso, dai fisici fu per la prima volta concepita l’idea di porre il centro comune delle orbite dei cinque pianeti minori nel Sole, la Terra rimanendo centro dell’universo, della rivoluzione mensile della Luna, e della rivoluzione annua del Sole stesso; e si arrivò allo schema oggi detto di Ticone. Eraclide Pontico vi aggiunse di proprio la rotazione della Terra intorno al suo asse.
V. — Da questa fase delle deduzioni era ovvio arrivare all’idea copernicana, attribuendo la quiete al Sole ed ai centri delle orbite planetarie, e la circolazione annua alla Terra. Tale passo definitivo si compiè ancora durante la vita di Eraclide Pontico, il quale ce ne ha conservato memoria; e forse fu compiuto da Eraclide stesso. — Ma per ragioni che ora non siamo più in grado di apprezzare, Eraclide non adottò questo modo di vedere; e lo considerò soltanto come un’ipotesi teoretica, capace di dare una spiegazione sufficiente delle anomalie planetarie, ed equivalente a quella, che si poteva dedurre dalla sua ipotesi propria.
VI. — Ad Aristarco di Samo si deve il vanto, non solo di aver riconosciuto l’eccellenza del concetto copernicano, ma ancora di averlo adottato come ipotesi sua propria; e di averne pubblicata la spiegazione e le dimostrazioni in iscritti espressamente consacrati a questo argomento. Anch’egli, come Eraclide, ha dovuto esser condotto al sistema eliocentrico del mondo dalla necessità di porre nel centro delle orbite celesti, non già punti ideali e vuoti d’ogni entità fisica (come si fece più tardi), ma i corpi allora considerati come i più importanti dell’universo, quali la Terra (centro alla rivoluzione della Luna), ed il Sole (centro alla rivoluzione della Terra e dei cinque pianeti). Le orbite da lui adottate erano tutte circoli concentrici al Sole, punto centrale dell’universo; ad eccezione di un solo epiciclo, descritto dalla Luna intorno alla Terra e con essa aggirantesi di moto annuo intorno al Sole.
VII. — La difficoltà di far prevalere nell’opinione universale la mobilità della Terra contro i dogmi ritenuti per indiscutibili dai Platonici, dai Peripatetici, e poco dopo anche dagli Stoici, non permise che le idee di Eraclide e di Aristarco portassero i loro frutti. Quando i matematici finirono per convincersi, che le ipotesi d’Eudosso e di Callippo erano insufficienti a salvare i fenomeni, si diedero ad escogitare nuove ipotesi, che non contradicessero ai placiti delle scuole dominanti. A tale scopo essi abbandonarono il principio, tenuto fermo fin allora, che ogni circolazione di un astro dovesse farsi intorno alla Terra, od almeno intorno ad un altro astro. Profittando dall’idea del moto epiciclico, applicata già da Eraclide ai pianeti inferiori, e dell’altra idea dell’eccentro mobile, assegnato da Eraclide ai pianeti superiori, essi dimostrarono che si potevano rappresentare le apparenze di tutti e cinque i pianeti colla sola ipotesi degli epicicli, purchè si abbandonasse la condizione che il centro dell’epiciclo fosse designato in natura da un segno qualunque visibile; e così riuscirono al sistema degli epicicli mossi su deferenti concentrici alla Terra, che fu poi generalmente adottato fino ad Ipparco, e ancora da altri dopo di lui. Questo sistema aveva il grande vantaggio di prestarsi bene a rappresentare i movimenti celesti per mezzo di sfere solide, surrogatesi poco a poco alle sfere d’Eudosso nelle scuole, specialmente dei Peripatetici. Aveva inoltre il pregio di introdurre una certa uniformità nelle ipotesi di tutti e sette gli astri erranti, non escludendo la Luna ed il Sole. Il metterli tutti e sette nella medesima categoria importava moltissimo in un tempo, in cui cominciava a farsi sentire nell’astronomia l’influsso dell’astrologia matematica, portata in occidente da Beroso Caldeo, e coltivata poi con zelo dagli Stoici e dai Neopitagorici. È facile comprendere infatti, come le ipotesi di Eraclide, e ancora più quelle di Aristarco, dovessero riuscire incompatibili con una dottrina, fondata essenzialmente sulla immobilità della Terra al centro del mondo, al servizio della quale eran destinati tutti gl’influssi dei sette pianeti, oltre a quelli delle stelle fisse. Caratteristiche a questo riguardo sono le espressioni di Dercillide Platonico, il quale presso Teone Smirneo1 dichiara degni di maledizione tutti quelli che mettono in quiete il cielo ed in moto la Terra, perchè essi sconvolgono i principi dell’astrologia.
VIII. — Gli eccentri mobili di Eraclide anch’essi furon considerati come una forma d’ipotesi, con cui si poteva rappresentare il moto dei pianeti superiori, e che presto si vide essere geometricamente equivalente all’ipotesi epiciclica. Tale identità era già nota ad Apollonio di Perga un secolo circa dopo Eraclide, e cinquant’anni dopo Aristarco. Gli eccentri di Apollonio avevano ancora la stessa forma e disposizione, che quelli d’Eraclide Pontico, o sebbene non fossero più necessariamente centrati sul Sole, obbedivano però ancora alla condizione di mantenere costantemente il loro centro sulla linea condotta dalla Terra pel Sole alla sfera celeste. Quindi egli considerava la loro applicazione come limitata ai soli pianeti superiori, per i quali infatti erano stati immaginati da Eraclide, o da qualche suo contemporaneo. Ma questa limitazione fu causa, che l’ipotesi degli eccentri mobili venisse presto abbandonata, anche per la minore facilità, con cui essa si prestava a rendere intuitivamente perspicua la dimostrazione dei fenomeni. Un’altra ragione di abbandonarli fu l’impossibilità di adattarli al sistema delle sfere solide, al quale servivano invece benissimo gli epicicli.
IX. — Tutto questo svolgimento teoretico ebbe per iscopo di rappresentare soltanto la grande anomalia planetaria, quella che produce le stazioni e le retrogradazioni. La necessità di introdurre anche l’anomalia zodiacale non fu riconosciuta, a quanto pare, prima d’Ipparco. La scoperta dell’anomalia zodiacale fu forse anche una delle cause, per cui fu presto abbandonato il sistema d’Aristarco. Finchè le orbite di questo sistema potevano considerarsi come circolari, concentriche, ed uniformemente descritte, la sua semplicità e la sua simmetria dovevano essere un potente argomento in suo favore. Ma tale semplicità e simmetria non si potevano più conservare introducendo l’anomalia zodiacale. Era allora inevitabile d’ammettere in esso moti eccentrici ed epiciclici, simili a quelli di cui più tardi fece uso Copernico. Così il principio fondamentale rispettato in tutti i primi sistemi cosmici dei Greci, e mantenuto ancora da Aristarco, di non ammettere nel cielo circolazioni intorno a punti ideali privi di ogni fisica entità, andava perduto; con esso andavan perdute la simmetria e la semplicità che costituivano il pregio principale del sistema d’Aristarco in un’epoca ancora incapace di risalire al vero principio fisico regolatore di tutti quei movimenti. Poichè dunque da un lato gli eccentri e gli epicicli si imponevano in qualunque modo, ed era forza ammettere nel cielo circolazioni intorno a punti ideali; e poichè d’altra parte era stato trovato dai geometri il mezzo di rappresentare, con questi nuovi ordigni, l’andamento dei fenomeni celesti senza scuotere dal centro la Terra, senza urtare contro i pregiudizi dominanti nelle scuole filosofiche, e senza sconvolgere i principi dell’Astrologia; qual ragione rimaneva di attenersi ancora alle speculazioni, soltanto a mezzo elaborate, di Eraclide Pontico e d’Aristarco?
Note
- ↑ Theonis Smyrnei, Astronomica, ed. Martin, p. 328.
- Testi in cui è citato Filolao
- Testi in cui è citato Platone
- Testi in cui è citato Eudosso di Cnido
- Testi in cui è citato Eraclide Pontico
- Testi in cui è citato Tycho Brahe
- Testi in cui è citato Niccolò Copernico
- Testi in cui è citato Aristarco di Samo
- Testi in cui è citato Callippo di Cizico
- Testi in cui è citato Ipparco di Nicea
- Testi in cui è citato Teone di Smirne
- Testi in cui è citato Apollonio di Perga
- Testi SAL 100%