Scritti vari (Leopardi)/I. Da 'Le Rime di F. Petrarca' con l'interpretazione di G.L./4. Prefazione dell'interprete (1839)

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4. Prefazione dell'interprete (1839)

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4.

PREFAZIONE DELL’INTERPRETE

(1839)

Pubblicato questo comento l’anno 1826 in Milano, alcuni l’accusarono d’inutilitá, dicendo che il Petrarca è chiaro da sé medesimo. Questi tali è credibile che non comperino Pe[p. 289 modifica]trarchi con conienti, e però a loro non è dovuta alcuna risposta. Altri gli diedero lode di esattissima brevitá, altri lo biasimarono di secchezza, altri di «. superflua prolissitá». Molti stranieri mi ringraziarono non senza maraviglia di poter leggere un poeta italiano coi medesimi sussidii che si hanno per leggere i latini e i greci. L’edizione di Milano fu venduta prestamente. Piú ristampe ne sono state fatte in questi dieci anni: nessuna con saputa mia; tanto che ritengono insino agli errori della prima stampa. Richiesto di giovare, se potessi, all’edizione presente, pongo qui avanti alcune poche avvertenze. In primo luogo questo «comento», che io chiamo piú volentieri «interpretazione», si diversifica tanto dagli altri comenti che abbiamo sopra il Petrarca, quanto si assomiglia a quelli che gli antichi greci e latini fecero sopra gli autori loro. Per lo piú non è altro che una traduzione dei versi o delle parole del Poeta in una prosa semplice e chiara quanto io ho saputo farla. Ogni volta che ad intendere il testo sono necessarie notizie storiche o mitologiche, si porgono brevemente. Non è passata in silenzio nessuna difficoltá della quale io mi sia accorto; e dovunque io non ho inteso, ho confessato espressamente di non intendere, acciocché il lettore, non intendendo, non si credesse né piú ignorante né meno acuto dell’interprete, come tutti gli altri comentatori vogliono che egli si tenga in tali occasioni. Quelli che mi riprendono di troppa abbondanza, non nell’esposizione di ciascun luogo o di ciascun vocabolo, ma nella quantitá dei vocaboli e luoghi che io spiego, hanno ragione, se considerano questo comento come fatto per loro: ma se lo considerano come fatto per tutti, anche per le donne, e, occorrendo, per li bambini, e finalmente per gli stranieri, non mi debbono biasimare di aver procurata a questi ogni comoditá, senza alcuno incomodo degli altri; i quali non sono mai sforzati di voltare gli occhi al comento nei luoghi che intendono; e con si piccolo dispendio di carta e d’inchiostro, che qui in Napoli, dove nel 1828, ristampando questa interpretazione, vollero, come dissero [p. 290 modifica]elegantemente, «spogliarla della sua superflua prolissitá», appena di dieci o quindici piccolissime paginette lo poterono accorciare. Che se spesso m’avviene di dichiarare una stessa voce o maniera piú e piú volte, s’ha a considerare, fra l’altre cose, che il Petrarca non è di quegli scrittori che si leggono dal principio alla fine seguitamente; ma qua e lá, per lo piú a salti e senz’ordine; onde è conveniente che il lettore abbia a ciascun luogo tutto ciò che gli bisogna per intenderlo; e non sia costretto di andare alla ventura pescando in tutto il comento le dichiarazioni che gli occorrono. Quanto al testo, ho seguitato alla cieca quello del professore Marsand, oggi usato universalmente; non che esso sia né che io lo creda netto di lezioni false. Ma l’assunto del Marsand, come mi diceva egli stesso in Milano, non fu altro che di rappresentare fedelmente le tre edizioni antiche da lui citate nel suo proemio, e giudicate ottime, lasciando altrui la critica di si fatto testo; parte, si può dire, intatta non solo nel Petrarca, ma in tutti gli autori nostri antichi, quantunque cosi necessaria in questi come nei greci e nei latini. Ma non era della natura della mia interpretazioncella l’entrare in questo campo. Forse lo tenterò alcun giorno in un «Saggio di emendazioni critiche delle Rime del Petrarca», la materia del quale ho da piú anni in serbo; e forse, in compagnia di molti altri miei disegni, anche questo se ne andrá col vento. Ancora l’ordine dei componimenti del Petrarca sarebbe corretto in molta parte, e, quello che è piú, la forza intima, e la propria e viva natura loro, credo che verrebbero in una luce e che apparirebbero in un aspetto nuovo, se potessi scrivere la storia dell’amore del Petrarca conforme al concetto della medesima che ho nella mente: la quale storia, narrata dal Poeta nelle sue «Rime», non è stata fin qui da nessuno intesa né conosciuta come pare a me che ella si possa intendere e conoscere, adoperando a questo effetto non altra scienza che quella delle passioni e dei costumi degli uomini e delle donne. E tale storia, cosi scritta come io vorrei, stimo che sarebbe non meno piacevole a leggere e piú utile che un romanzo. [p. 291 modifica]In una cosa si discostano l’edizione di Milano e la presente da quella del Marsand; cioè nella punteggiatura; la quale io medesimo colla maggiore diligenza che mi fu possibile, volli fare del tutto nuova. Opera assai tediosa a fare, ma che può essere quasi un altro comento; perché infiniti sono i luoghi del Petrarca e degli altri antichi, che punteggiati scarsamente o soverchiamente o male, appena si possono intendere, e punteggiati avvedutamente e con misura, diventano chiarissimi. In questa nuova edizione ho cercato che fossero corretti gli errori tipografici della prima, ch’io aveva segnati accuratamente giá da gran tempo, e che il comento fosse migliorato con parecchie mutazioni ed aggiunte ch’io aveva in ordine. La lontananza e l’angustia del tempo non mi hanno consentito di piú. Se avessi potuto a bell’agio rivedere il comento dall’un capo all’altro, e paragonarlo col testo, avrei fatto molte altre innovazioni: e certamente avrei scancellato ogni parola che io per baldanza giovanile lasciai scorrere, poco riverente verso il Petrarca; la stima del quale di giorno in giorno, non ostante i suoi mancamenti che tutti sanno, cresce in me tanto, quanto ella scema in qualche imbrattatore di fogli che non mi degno di nominare. Anche avrei fatto uso della scelta, assai ricca, di annotazioni sopra il Petrarca pubblicata poco dopo la prima edizione di questo comento in Padova dal signor Carrer; opera che io non ho veduta, ma che stimo degna di menzione a rispetto si del nome del compilatore, e si di avere udito molto commendarla. Il comento che i Borghi e compagni aggiunsero al Petrarca che stamparono nel 1827 in Firenze, non è altro che una storpiatura del presente. Napoli, 1836.