Sessanta novelle popolari montalesi/XXXII

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XXXII. La Ragazza serpe

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XXXI XXXIII

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NOVELLA XXXII


La Ragazza serpe (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


A un pover'omo, che gli morì la moglie giovane, gran disgrazia! gli era rimasa una bella bambina di nome Rosina; ma lui nun poteva guardarla, come fanno le mamme, sicché credé più meglio di trascegliersi un'altra donna per su' seconda sposa, e anco da questa seconda sposa gli nasce una bambina, piuttosto brutta, e la chiamorno Assunta. Le bambine da grandi andevan fora e a scola assieme, e quando tornavano a casa l'Assunta, sempre piena d'astio, diceva a su' ma': - Mamma, la gente fora in nello scontrarci dice: L'Assunta è mora e brutta, ma la Rosina è bella, rosata e garbosa! I' non vo' più andarci con la mi' sorellastra, mamma. Dice su' madre: - Guai la gente 'gli ha ragione. Te nasci da una mamma un po' scura di carni, e però anco te sie' mora. Nun ci abbadare alle chiacchiere. Scranna l'Assunta: - Anco voi, mamma, mi volete male! In ugni mo', io con la Rosina nun ci vo' più. Pensatela come vi garba. E in quel mentre si mettiede a piagnere e a disperarsi. Le mamme vere, si sa, ènno tutte per il su' sangue, sicché per accontentare l'Assunta la su' madre gli domandò: - Ma che ho io da fare? Arrisponde l'Assunta: - La Rosina mandatela a badare alle vacche e dategli una libbra di canapa da filare; e se lei torna la sera con le vacche affamate e insenza tutta la canapa filata per bene, picchiatela con un bastone, che accosì lei divierrà brutta. Abbeneché un po' a malincore, la matrigna si piegò tavìa a' capricci della su' figliola, e chiamata la Rosina gli disse: - Te con l'Assunta nun [ [p. 281 modifica]281] occorre che tu ci vadia più. Ti maridò a badare le vacche e fagli l'erba, e te mi filerai anco una libbra di canapa; e se te torni la sera a casa insenza il filato finito e insenza le vacche satolle, ti pago io con un bastone. Te ha' 'nteso e ch'i' 'un abbia a ripricare. A questi brutti comandamenti la Rosina, che nun c'era avvezza, rimanette ammutolita, e gli conviense ubbidire per nun buscar delle legnate; sicché la mattina doppo andiede ne' campi con le vacche e con la rocca piena di canapa al pensieri, e per istrada ugni tanto scramava: - Vacchine mia! com'i' farò io a segarvi l'erba, s'i' ho da filare tutta questa roccata di canapa? Qualcuna bisogna che patisca. Ma a queste su' parole tutt'a un tratto s'arrivolse una delle vacche e gli disse: - Nun ti sgomentare, Rosina: segaci l'erba per istasera e no' ti si filerà e ammatasserà tutta la canapa. Abbasta che tu dica:

Vacchicina, mia Vacchicina! Con la bocca fila fila, Con le corna 'nnaspa 'nnaspa, Fammi presto la matassa.

Quando a buio la Rosina riviense a rimetter le vacche in nella stalla, con seco portò un bel fastello d'erba e la canapa filata e ammatassata che era propio uno 'ncanto. Che! l'Assunta nun si sapeva dar pace a quella vista, e la rabbia se la mangiava viva. Dice a su' ma': - Domani la Rosina che vadia al solito con le vacche; ma vo' gli ate a dare in scambio du' libbre di canapa, e se lei nun la fila tutta bastonatela a morte. La poera Rosina bisognò bene che ubbidissi, e per istrada si rammaricava della su' sorte: - Vacchicine mia! com'i' farò atamani a segarvi l'erba? Oggi la mi' matrigna e' m'ha rincarato 'l compito. E' n'ho du' libbre da filare di questa canapa. Ma la solita vacca gli disse: - Nun ti sgomentare; il lavoro ti si fa noi, e te segaci l'erba. Abbasta che tu dica:

Vacchicina, mia Vacchicina! Con la bocca fila fila, Con le corna 'nnaspa 'nnaspa, Fammi presto la matassa.

Arritorna la sera a casa la Rosina col su' fastello dell'erba e le du' libbre di canapa bell'e filate e annaspate, che pareva un lavoro di fate. L'Assunta nun sapeva più che strade scerre, [282] e l'aschero [p. 282 modifica]la divorava da nun si credere. Dice: - Ma com'è successo che gli è rinusco 'n tutto 'l giorno badare alle vacche, segargli l'erba e po' anco filare la canapa e ammatassarla accosì? Arrispose la Rosina: - Eh! vedi quel che vol dire esser bone e nun aver astio al prossimo? Si trova ugni sempre chi ci aita. Son le mi' vacchicine che m'hanno aitato. A questa nova l'Assunta rimanette e subbito corse dalla su' mamma: - Mamma, domani la Rosina tientela a far le faccende di casa, che con le vacche ci vo' io e datemi la canapa da filare. Su' madre dunque la contentò, e l'Assunta con una bacchetta 'n mano picchia in sulla coda, picchia in sul groppone le vacche, e quando fu al prato mettiede la canapa nelle corna di quelle; ma siccome le vacche nun se ne devan premuria, l'Assunta con la bacchetta nun faceva che picchiarle a morte, sicché le vacche incattivite cominciorno a rimenar le corna, e la canapa s'arruffò tutta. Quando poi l'Assunta riviense a casa la sera insenza fastello d'erba, con le vacche tutte fracasciate e la canapa in un batuffolo, su' madre 'gli era dimolto impermalita e gli domandò quel che mai lei aveva fatto. Dice l'Assunta: - Queste vaccacce maladette a me nun m'han volsuto dare retta, e i' l'ho ritrovo con le legnate. Dice su' ma': - Tu sie' pure sgarbata e dispettosa, la mi' figliola! Lo credo! A codesto mo' chi vo' tu che t'ascolti? E se lei volse filare la canapa, bisognò farne prima tanta stoppa. Doppo qualche giorno che l'Assunta nun si poteva dar pace, e sempre cercava di fargli del male alla Rosina, lei andette da su' madre e gli disse: - Mamma, i' ho voglia di mangiare i gallonzoli. Mandate la Rosina, stasera a cogliergli in nel campo di quel contadino laggiù. Su' madre dunque per contentarla chiamò la Rosina e gli comandò d'andare a cogliere i gallonzoli in nel campo del contadino. Dice la Rosina: - Come? Volete voi ch'i' vadia a rubbare? Ma io queste cose nun l'ho ma' fatte. E poi, s'i' vo là di notte accosì, il contadino mi tira dalla finestra; mi piglia per una ladra. Arrispose l'Assunta, che appunto bramava che il contadino l'ammazzassi la Rosina: - Si, sì, tu ha' da ire; e se tu nun vai, le son legnate. Sicché a quella poera sciaurata gli conviense ubbidire per nun buscarne da quelle donnacce birbone. Dunque va la Rosina per [ [p. 283 modifica]283] cogliere i gallonzoli e trova una rapa e si mette a sbarbarla; tira tira, nun gli rinusciva cavarla fora; ma tanto tirò che finalmente la rapa viense, e sott'essa c'eran cinque bôtte piccine piccine; un covo di bôtte, via. La Rosina le prendette con le mane e volse mettersele in nel grembio; ma una gli cascò per le terre, e in nello sforzo per riagguantarla per aria la Rosina l'abbiaccò e gli rompiede uno zampino. Dice: - Poera bestia! i' nun l'ho fatto a posta. Quell'altre quattro bôtte lì nel grembio alla Rosina ci stavan bene accoccolate e a un tratto si dissan tra di loro: - Che gli si dà a questa ragazza per il servizio che lei ci ha fatto? Che lei diventi la più bella del mondo e splenda quanto il sole, anco quando gli è nuvolo. E accosì sia. Ma la botta azzoppita scramò: - A me nun me l'ha fatta giusta! Lei ci aveva a badare di nun buttarmi per le terre e trepilarmi. Dunque, che lei diventi per su' gastigo una serpe quando lei vede il sole, e nun possa ritornar ma' donna che nentrando nel forno a brustoline. Torna la Rosina a casa co' gallonzoli mezzo allegra e mezza no; su' madre e l'Assunta rimaseno in nel vederla a quel mo' imbellita, e che lei risplendeva come il sole, sicché addove lei era ci si vedeva di notte quanto di giorno; e lei arraccontò tutto quel che gli era successo in nel rubbare i gallonzoli e sbarbar la rapa: - La colpa nun è mia. Almanco, fatemi la carità di nun mandarmi al sole, insennonò diviengo serpe. La Rosina dunque non sortiva ma' fora alla spera del sole, ma soltanto di sera allo scuro, oppuramente in nel tempo nuvoloso; e una volta che lei steva alla finestra di casa lavorando e cantava delle storielle, passò fistiettando per di lì il figliolo del Re, e vòlti gli occhi addove si partiva un gran chiarore, vedde questa ragazza che a guardarla soltanto accecava. Scrama: - Chi ma' pol essere una simile bellezza in questo capannuccio da contadini? Diviato va su in nella cammera e principia a fare delle domande, sicché la Rosina gli manifestò la su' disgrazia. Dice il figliolo del Re: - Non me ne' mporta di quel che vi pole succedere; ma i' ho delibberato che vo' diviengate la mi' sposa. Una simile bellezza nun deve stare serrata accosì in una casuccia di contadini. Dice la madre: - Ma che vole, Maestà? Lei si mette in un brutto impiccio. Lei ristia che la spos [p. 284 modifica]a [284] gli divienga una serpe, se per disgrazia gli sbatte addosso la spera del sole. Arrisponde il figliolo del Re: - Vo' non ci avete a' pensare a questo caso. Mi pare a me che vo' ci ate astio contro di questa ragazza. Ma i' vi comando di menarmela al palazzo, e vi manderò una carrozza tutta chiusa per mettercela dientro, e accosì a lei il sole nun gli farà male. Quattrini poi, se vi garbano, nun vi mancheranno dicerto per il vostro incomido. Addio a presto e ci siemo intesi. Alla matrigna e all'Assunta gli bisognò striderci su', ma nun c'era versi di disubbidire al figliolo del Re, e però feciano di mal garbo e a malincore tutt'i preparativi per la partenza della Rosina. Finalmente arriva la carrozza e la Rosina ci rientrò colla su' matrigna per compagnia. La carrozza gli era di queste all'antica, che ora nun se ne veggan più; tutta serrata, con soltanto un occhio 'n vetta, da aprirsi a piacimento per via di dare l'aria a' viaggiatori, e rieto alla carrozza ci steva ritto un Cacciatore, come quegli che usavano una volta a Firenze, con le penne al cappello, tutto pieno di fronzoli e la su' spada ciondoloni da' fianchi. La matrigna coll'assinto di fargli del male alla Rosina, per l'aschero che aveva perché lei diventava Regina, disse al Cacciatore: - Galantomo, i' vi do' dieci paoli di mancia se vo' aprite l'occhio di vetta alla carrozza quando ci sbatte su il sole. I' nun posso stare accosì affogata 'n questa cassa. - Sissignora, - arrispose il Cacciatore, - i' farò come la comanda. Doppo un bel pezzo di strada 'gli era mezzogiorno e il sole isfolgorava di tutta forza, sicché la matrigna diede il cenno al Cacciatore di spalancar l'occhio della carrozza, e subbito un raggio picchiò in sulla testa della Rosina, e lei si trasficurò in serpe e se n'andette via fistiando a tutto potere per il bosco. Il figliolo del Re a male brighe vedde la carrozza insenza la Rosina e che la matrigna maliziosa gli arraccontò a su' mo' quel che era successo, tutto sgomento piagneva a calde lagrime, e ci mancò poco che nun facess'ammazzare la matrigna assieme col Cacciatore; ma poi s'abbonì, pensando che quello doveva essere il destino della Rosina. Anco ne' palazzi reali i Principi ci hanno la cucina e il forno per fare le pietanze, cocere i pasticci e tutte le robbe bone che usano i signori; noialtri poeri se ne fa con di meno. Dunque un [ [p. 285 modifica]285] giorno il coco era tutto acciaccinato per ammannire un gran desinare, perché a Corte vienivano dimolti 'nvitati, e siccome bisognava che riscaldassi pure il forno, si mettiede a opera con della stipa nova che gli avevano porto la mattina. In nel buttare la stipa dientro al forno acceso, il coco a un tratto s'accorse che in un fastello ci steva rimpiattata una serpe; ma nun fu a tempo a levarla, e quella abbrustolì nel mezzo alle fiamme; e in quel mentre che il coco alla bocca del forno badava a cercare della serpe, deccoti sorte fora una ragazza ignuda e che splendeva quanto il sole. Il coco dapprima rimané come di sasso a simile miracolo; ma poi principiò a sbergolare: - Corrite, corrite, m'è apparsa una fanciulla in nel forno! A quell'urlìo viense la Corte e il figliolo del Re, e lui ricognobbe la Rosina, la prendette per la mana e la menò con seco in cammera; e doppo, s'intende, fu fatto lo sposalizio, e la Rosina, rotto lo 'acanto a quel mo', vivette Regina felice e contenta e nun ebbe più nulla a temere.