Sessanta novelle popolari montalesi/XXXIII

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XXXIII. Il Paradiso Terrestre

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XXXII XXXIV

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NOVELLA XXXIII


Il Paradiso Terrestre (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


Un signore ricco 'gli avea la su' donna gravida, e siccome gli aspettavano il parto con gran bramosia, secondo il costume di que' tempi volsano che un filosafo vieniss'a prognosticare la sorte della creatura prima che nascessi. Il filosafo dunque, doppo fatto le su' cirimonia, disse: - Sarà un bambino bello, vegnente, 'struito, vittorioso: ma quando lui sarà grande, anderà via da casa e vo' nun lo vedercele ma' più. Guà! fu una nova d'allegrezza e con dolore da ultimo. Dice il signore tutto sgomento: - Come si fa? Nun c'è egli nissun rimedio? Arrispose il filosafo: - 'Gli è difficile contrastare al destino; ma provate. Tienetelo sempre in casa il figliolo, che si diverta per il giardino, e quando è grande dategli moglie. Pol essere che con la moglie accanto a lui gli passi la voglia di fuggir via. In ugni mo', nun ène cosa assicurata. Al su' mese il bambino nascette, e sarebbe stato una contentezza de' genitori, se loro nun avessan'uto sempre fitta nel core quella spina della su' sorte: lo rallevorno con premuria, in nel palazzo degli spassi nun ne mancavano, e c'era un giardino co' più be' fiori e alberi del mondo da svagarsi a piacimento. Ma più che lui cresceva con gli anni 'struito, sverto e vittoriente, come avea detto quel filosafo, più i genitori stevan per lui in pensieri; massime su' madre spesso lo guardava con le lagrime agli occhi sospirando, sicché il ragazzo un giorno gli domandò: - Melo dite, mamma, in che modo vo' piagaste in nel guardarmi? Dice lei: - I' piango e sospiro, perché un filosafo prognosticò alla tu' nascita, che te [ [p. 287 modifica]287] da grande ci areresti dibandonato e che nun ti si vedrebbe ma' più. Scrama il ragazzo: - Ma che vi pare! Come si fa a credere a codeste cose sciocche? Io per me vi prutesto che nun vi dibandonerò mai. Ma a questa su' prutesta la madre nun si racconsolava punto; aveva paura del destino. Quando il ragazzo fu di diciott'anni, che oramai 'gli era un giovanotto fatto, un giorno 'gli andiede a trovare i su' genitori: - Mi faresti una grazia? - Che grazia vo' tu? Parla, che siem pronti a contentarti, - gli arrisposano. Dice lui: - Decco! I' veggo tutti andar fora dal portone del palazzo, e a me mi tocca a rimanere sempre serrato qua drento. Lassatemi un po' vedere anco a me qualcosa di novo. A questa domanda que' poeri genitori sentirno un gran dolore, e si sforzorno di persuadere il figliolo a 'un nuscire di casa: ma propio furno sforzi inutili. Dice lui: - Ma di che avete paura? Ch'i' mi dilontani e nun torni ma' più? Oh! che credete davvero alle bugìe d'un filosafo? 'Gnamo! rassicuratevi pure, ch'i' nun ho punta voglia di fuggire di casa. Datemi uno stioppo, de' cani e un servitore per accompagnarmi, e vo' vederete che la sera i' viengo sempre per cenare assieme. E' nun gli potiedan dire di no; gli dettano lo stioppo, i cani e il servitore, e il giovanotto tutt'i giorni andeva a caccia, si divertiva a vagolare pe' boschi e poi a buio arritornava a cena con il babbo e con la mamma, e loro quasimente principiorno a credere che i prognostichi del filosafo fussano stati tante bugie. Poeri sciaurati! pur troppo gli erano la verità! Presto il giovanotto 'gli ebbe i su' vent'anni: ène l'età de' bollori del sangue; sicché stracco di far accosì la listessa vita e sfranchito oramai dall'uso della caccia, si presenta a' su' genitori: - Sentite, nun me l'innegate; ma i' vo' ire per il mondo, vo' vedere de' paesi novi, della gente nova. A star qui mi ci annoio. Lassatemi ir via per un viaggio, e doppo un anno i' ritornerò. Que' disgraziati di genitori, se nun morirno a questa domanda del figliolo, fu propio un miracolo: 'gli era inutile opporsi, tanto il su' destino nun lo potevano scansare; sicché pensorno più meglio di dirgli che lui facessi il piacere suo, e che soltanto s'arricordasse di loro per rivienirsene a casa a rivedergli. - Eh! nun vi dubitate, - lui scramò. - Di voi nun me ne scordo, e al tempo ch'i' ho detto i' sarò qui [288] [p. 288 modifica]con voi nel palazzo. Ve lo 'mprumetto dicerto. Accosì, con un servitore fido che gli messano per su' compagno, il giovanotto doppo abbracciato il babbo e la mamma, che pur troppo piagnevano e erano disperati, andette via e andò fora per la campagna in verso dove le gambe e la su' volontà gli parse che lo menasseno. Camminavano svelti que' dua, e nun si pole dire quanti mai paesi visitorno: ma doppo qualche mese al giovanotto nun gli garbò più d'esser sempre accompagnato dappertutto dal su' servitore; lui voleva piena libertà, sicché gli disse un giorno: - Senti, i' vo' restar solo. Te arritorna a casa, e portagli le mi' bone nove e i mi' saluti al babbo e alla mamma. I' seguiterò a girare da per me il mondo; in capo a un anno però, siccome i' ho imprumesso, i' viengo a ritrovargli i mi' genitori, e che nun stian troppo 'n pensieri de' fatti mia. Il servitore, ubbidiente a' comandi de' padroni vecchi, nun voleva in nissun modo lassarlo il giovanotto; ma ugni supprica, ugni ragione che portava nun gli valse, e bisognò bene che lo lassassi fare e che si dilontanassi da lui; si dissano addio, e uno andiede da un lato e un da quell'altro. Quando dunque il giovanotto fu solo, cammina cammina, deccotelo per un bosco che cominciava la notte, e di repente nasce una gran burrasca, che l'acqua cascava giù a catinelle, e i lampaneggi e i toni non ismettevan mai; pareva propio che il mondo rovinassi. Quel poero viaggiatore 'gli era bagnato come un pucino, con un freddo addosso e una fame 'n corpo da nun si dire, sicché raggricciato da' patimenti ugni tanto scramava: - Mi sta bene! S'i' devo retta al babbo e alla mamma, questo nun mi succedeva. Che gran bue i' sono stato! Essere un signore che nun gli mancava nulla, e ficcarsi accosì in questi risti e in queste pene! E chi sa s'i' la scampo. Infrattanto lui andeva innanzi a tentoni, e finalmente si trovò a un palazzo ben alluminato e con il portone aperto; nun ci vedde nissuno, sicché il giovanotto nentra, sale su per le scale, ma persona viva nun apparisce. Guarda di qua, guarda di là, de' padroni e de' servitori nun pareva che lì ce ne fussano: - Oh! che sia un palazzo deserto? Va in verso un salotto e nel mezzo c'era una bella tavola apparecchiata; si mette a siedere e mangia pure; [ [p. 289 modifica]289] la fame nun gli mancava davvero. Doppo, chiama, aspetta, tutto inutile, nissuno viense a domandargli quel che lui voleva; sicché, stracco, pensò meglio di pigliare un lume, cercarsi una cammera e buttarsi a dormire. Dice: - Domani pagherò il conto. A levata di sole il giovanotto si sveglia, nesce di letto e in nel salotto trova la culizione bell'e ammannita; lui credeva di vedere almanco qualcuno. Che! niuno gli si presenta. Dice: - Oh! che lavoro è egli questo? Che sia il palazzo degli 'ncanti? Basta! qui ci sto bene e qualcosa poi succederà per sincerarmi di queste meraviglie. Se c'è spesa, i' pagherò quando vengano a portarmi 'l conto. Piglia dunque uno stioppo e se ne va a caccia per insino all'ora di desinare; e, per nun farla tanta stucca, vo' dovete sapere che lui né al desinare, né alla cena nun potiede riscontrare mai qualche abitante del palazzo, e però la sera, insenza più confondersi, prese il solito lume e se n'andette a letto diviato. Dice: - Sarà quel che sarà. Nun erano dimolte ore che il giovanotto dormiva, quando in sulla mezzanotte gli parse di avere una persona a lato. Lui tasta e sentiede bene che 'gli era una donna, e questa donna lo lassò fare a su' modo e nun gli disse mai nemmanco una parola; sicché lui, incuriosito, battiede l'acciarino per accendere il lume e vederla; ma la donna la sparì a un tratto prima che lui avessi 'l tempo di guardarla. Anco la sera doppo, abbeneché ci mettessi tutto lo 'ngegno, nun ci fu verso che il giovanotto fusse bravo a scoprire quella che andeva a tienergli compagnia dientro al letto. Allora lui pensò di preparare un moccolino e far le finte di dormire forte; e difatto, la notte finiti i soliti complimenti il giovanotto ficurava di russare a bono, e quando s'accorgette che la donna 'gli era addormita davvero, pian pianino accese il moccolo e tirò giù le lenzola. Che stupore! Delle donne a quel mo' in nel mondo nun se ne trovano! Co' capelli biondi come l'oro, fresca rosata, pienotta e fatta proprio con lo scarpello! Il giovanotto chinato su lei la divorava con gli occhi; ma per su' disgrazia nun abbadò al moccolino, e una gocciola di cera brucente viense a cascare in sullo stommaco di quella bellezza, che si riscoté e si svegliò. Scrama tutta impermalita: - Briccone! tu m'ha' tradito. Sie' stato troppo curioso e la contentezza d'avermi 'n segreto nun t'è bastata. Dunque ti [290] diban [p. 290 modifica]dono. No più palazzo, no più mangiare né bere, e me tu non mi vedra' ma' più in questi loghi. Dice lui: - Vi correrò rieto 'n capo al mondo. Perdonatemi, via! Ma quella gli arrispose: - Che! Ma se te vo' riavermi, vieni a cercarmi dov'i' sto. I' sto nel Paradiso Terrestre. Ma bada, per arrivare insin là 'gli è difficile. C'è da valicare un ponte sottile sottile, e tre fabbri sotto gli archi fanno la guardia e bucano con un chiodo arroventato il temerario che s'arristia all'intrapresa. Pure, se ti rinusce di passare, doppo c'è un giardino, poi una viottola e 'n fondo un palazzo; quello 'gli è il mi' palazzo. Se verrai a capo di nentrare e trovarmi, allora ti perdonerò, e tu potra' restar sempre con meco. E profferite queste parole sparisce. Il giovanotto rimanette lì come ismemoriato; nun dormì più, da culizione nun più, niente c'era più in quelle parti; gli conviense andarsene, e per la via piagneva e sospirava nun sapendo addove arrivoltarsi per trovare il ponte del Paradiso Terrestre. Doppo camminato un bel pezzo a caso, riscontrò un vecchino, che in nel vederlo a quel modo mezzo ammattito gli domandò: - Che v'è egli successo? In dove andate voi? Dice lui: - Una gran disgrazia m'è successo. I' avevo trovo da star bene e ho tutto perso per la mi' curiosità. I' ero al possesso della più bella donna del mondo e m'è sparita dagli occhi, perché volsi cognoscerla al lume; e ora per ritrovarla devo fare delle cose 'mpossibili: passare un ponte sottile sottile con tre fabbri che bucano ugni temerario con un chiodo rovente e l'ammazzano 'nnanzi che sia di là. - Nun vi sgomentate per questo, - disse il vecchino, - che vi darò io un rimedio per i buchi de' fabbri. Tienete: questo è un unguento, e ugni volta che un de' fabbri vi fora con il chiodo, voi ugnete le piaghe e quelle subbito guariranno. Il giovanotto tutt'allegro prendette l'unguento, e doppo ringraziato il vecchino per la su' bontà, seguitò il su' viaggio, e cerca di qui, domanda di là, finalmente arriva al ponte del Paradiso Terrestre. A male brighe che i fabbri lo veddano da lontano, cominciano a soffiare ne' fornelli per arroventire e' chiodi, e sbergolavano: - Deccolo, deccolo il temerario! Vieni, vieni! Degli arditi ce n'ènno stati dimolti, ma a nimo gli rinuscì di passare. In ugni mo', il giovanotto, spinto dalla gran passione, si fece [ [p. 291 modifica]291] coraggio e mettiede i piedi in sul ponte; e il primo fabbro a bucarlo nello stomaco, nelle braccia; ma lui con l'unguento guariva in nel mumento le piaghe. E accosì valicò il ponte, abbeneché quegli altri du' fabbri accaniti gli sforacchiassino le gambe, le mane e la testa. Quando fu di là dal ponte, il giovanotto si trovò dientro a un bellissimo giardino di piante e di fiori rari, con vasche piene di pesci di tutti i colori e uccelli che cantavano su per gli alberi, e una viottola guarnita di rose e di gelsumini menava a un palazzo stupendo, addove la prima porta 'gli era d'argento, e quella di mezzo d'oro massiccio, e l'ultima di cristallo. Il giovanotto con una bacchettina picchiò alla porta d'argento e subbito gli viense aperto. Che ti vo' vedere! C'era un branco di ragazze d'una bellezza propio di paradiso, che te lo pigliorno il giovanotto per le braccia e lo mettiedano in nel palazzo: - Bravo! bravo! qui nun ci si patisce di nulla e nun si fa che godere. Vieni, vieni dalla padrona che t'aspetta. - Accosì il giovanotto arritrovò la su' amante e steva con lei notte e giorno, e il tempo gli passava tra le delizie d'ugni sorta insenza che lui se n'accorgessi. Ma che volete! Anco il troppo godere agli uomini viene a noia. Il giovanotto principiò a ripensare alla 'mprumessa d'arritornare a casa fatta a su' madre e a su' padre, e volse andare a rivedergli. Tutte quelle belle donne badavano a dirgli: - Nun te n'andare, che tanto gli è inutile. A quest'ora son tutti morti ne' tu' paesi. - Come! - arrispondeva lui. - Oh! quanto 'gli è chi son qua dientro? E quelle: - Dimolti anni. Ma quando si sta bene nun ci se n'avvede. Dacci retta, nun andar via. Bada, che a sortir di qui c'è la morte che t'aspetta. - Ma lui ostinato nun ci voleva credere, e nun ci fu verso di trattenerlo, sicché quelle donne gli dissano: - Fa' dunque a modo tuo; ma te ne pentirai troppo tardi. Ma per farti capace di quanto ti si vole bene, prendi questa cavalla rossa, montaci su e nun iscender mai; se tu scendi, sie' morto. Il giovanotto le ringraziò e si mettiede in sulla sella, e po' via. Passa la viottola, passa il giardino, passa il ponte; e quando fu di là vedde un contadino che guidava un par di bovi magri aggiogati a un carro pieno di sacca, e le sacca gli cascavano infra le rote: - Aiuto, aiuto! - sbergolava quel contadino; sicché il giovanotto [292] [p. 292 modifica]senza pensarci ferma la cavalla e scende giù per aitare il contadino a raccattar le sacca e rimetterle in sul carro; ma il contadino di repente lo prendette per il collo e gli disse: - I' son la Morte. 'Gli è tant'anni ch'i' ti cerco e i' ho consumo tante ciabatte! Ora però nun mi scappi. E intrafinefatta diviato lo strozza. Accosì 'gli ebbe la su' fine quel giovanotto e i su' genitori nun lo riveddan ma' più. Eppure se lui nun nesciva dal Paradiso Terrestre nun moriva e poteva godersela per sempre. Ma tanto il su' destino nun lo scansa nimo!