Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli (1920)/XXIII. Tenzoni di rimatori perugini/I. Tenzone tra ser Marino Ceccoli, ser Cecco Nuccoli e Gilio Lelli

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I. Tenzone tra ser Marino Ceccoli, ser Cecco Nuccoli e Gilio Lelli

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I. Tenzone tra ser Marino Ceccoli, ser Cecco Nuccoli e Gilio Lelli
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I

TENZONE TRA SER MARINO CECCOLI,
SER CECCO NUCCOLI E GILIO LELLI


I — SER MARINO
I perugini stanno abbassando la potenza dei signori da Pietramala.

Io veggio scolorir gli aurate sasse
e sgranellale fuor del colle azzuro,
e l’uno e l’altro devenir si oscuro,
4che quase paioli d’ogne luce casse.
Le lor vertu sen van con lente passe,
forte piangendo per lo scoglio duro,
per trovar loco, che lo’ sia securo,
8dove riposen loro spirte lasse.
Né mur né fosso né poggio né ombra
non è, che de eostor si faccia albergo;
11ancie ciascun da sé glie schiude e sgombra.
Le lor vertute caminan ver’l’ergo;
la cruda petra un griffon bianco ingombra,
14cinto d’intorno d’un vermiglio asbergo.

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2 — SER CECCO
Ma è a temere che la loro fortuna risorga.

Non se credea che mai discolorasse
l’orata petra fuor del franco muro,
con l’agiur campo, nel qual raffiguro;
4ma che vigore e forza raddoppiasse.
E, ben che mò ritrosa si voltasse
sua prospera fortuna, poco curo,
sperando sempre; ché’1 tempo futuro
8subito fa salir quai son piú basse.
Tu vederai, se Morte non l’adombra,
farne voltar com’altra volta el tergo,
11e tremar piú, che non fa la codombra,
fuggendo coni’el pesce innanzi a mergo:
non ci varrá recar pietre né ombra;
14di cotal chiosa mia risposta vergo.

3 — GILIO
No, se il loro abbassamento è voluto da Dio.

Se l’antica potenza ritornasse,
che strusse Catenina dal conzuro,
s’io guardo ben con l’intelletto puro,
4non credo che cosí vittoriasse;
ma par che Dio tal opra destinasse,
si, che non vale altrui Tesser maturo,
né signoria, se bene il ver misuro,
8che, com’è suo voler, noi permutasse.
Chi crede ch’altro sia, dico ch’è ombra;
e può dir chi reggea: — S’io pur sommergo,
11colpo de vostra spada non m’adombra.
Ma, se speranza, con la quale io pergo,
da Táspera fortuna me disombra,
14disfatto sia s’ancor non vi dispergo. —