Sotto il velame/La fonte prima/II

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La fonte prima - II

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La fonte prima - I La fonte prima - III

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II.


La Comedia di Dante ha questo argomento, quale è esposto nel prologo di tutto il Poema Sacro. Tre bestie, e specialmente l’ultima, impediscono a Dante il corto andare del bel monte; cioè la vita attiva. Virgilio, mosso da Beatrice che è pregata da Lucia che è mandata da una Donna Gentile, propone a lui un “altro viaggio„, che è, prima, dell’attività dispositiva alla contemplazione, e poi della contemplazione, se la volontà purificata dall’ultimo fuoco sarà da sè disposta.1 È dunque il dramma della vita attiva e contemplativa. Le quali sono dai mistici raffigurate in modo diverse. Nel Convivio Dante prende, a raffigurarle, le due persone evangeliche di Marta e Maria; nella Comedia, quelle bibliche di Rachele e Lia. In vero dopo la purificazione nel fuoco, egli vede Lia che si guarda allo specchio, e Matelda che ha gli occhi, non più deboli, ma luminosi. Beatrice, d’occhi incomparabilmente vivi, poichè con la vista di essi ella lo alzerà di spera in spera, Beatrice siede con l’antica Rachele.2 Ebbene ecco una esposizione delle vicende di Lia e Rachele intese misticamente.3 Le due mogli libere di Giacobbe significano il nuovo testamento dal quale siamo stati chiamati in libertà.4 Nè sono due a caso. [p. 435 modifica]“Sono due, perchè due vite a noi sono dimostrate nel corpo del Cristo, una temporale del lavoro; l’altra eterna, della contemplazione. L’una il Signore rappresentò con la passione, l’altra con la risurrezione.5 I nomi stessi di quelle donne ce ne fanno fede. Lia vuol dire laborans, Rachele visum principium, ossia il Verbo dal quale si vede il principio. L’azione della vita umana e mortale, nella quale viviamo ex fide, facendo molte laboriose opere incerti come siano per riuscire a prò di coloro cui vogliamo provvedere, è Lia prima moglie di Giacobbe; e perciò si narra che fosse d’occhi infermi, chè i pensieri dei mortali sono timidi e incerte le loro provvidenze.6 La speranza invece dell’eterna contemplazione di Dio, speranza che ha certa e dilettevole intelligenza di verità, è Rachele: ond’ella è ancor detta di buon viso e di bella figura. Ogni piamente studioso ama costei, e per lei serve alla Grazia di Dio, dalla quale i nostri peccati, anche se fossero come il fenicio, sono fatti bianchi come neve. Chè [p. 436 modifica]Laban, cui Giacobbe servì per amor di Rachele, s’interpreta Dealbatio„.7

Non cerca la giustizia8 proprio, chi serve alla Grazia; ma vuol vivere in pace nel Verbo dal quale si vede il principio: serve dunque per Rachele e non per Lia.9 “Chi, in fine, può amare nelle opere della Giustizia quel travaglio d’azioni e passioni? Chi può desiderare quella vita per sè stessa? E così nè Giacobbe Lia„. Ma Giacobbe dopo il suo lungo servire, quando credeva d’essere unito a Rachele, ebbe invece Lia, e Giacobbe la tollerò, pur non potendola amare, e l’ebbe cara per i figli che gli diede. “Così ogni utile servo di Dio, avuta la grazia dell’imbianchimento (dealbationis) de’ suoi peccati, nella sua conversione non fu tratto da altro amore che dalla “dottrina di sapienza„.

Ora per intenderci meglio, reco il luogo della Genesi:10 “Laban aveva due figlie; la maggiore Lia di nome, e la seconda si chiamava Rachele. Ma Lia era di debili occhi: Rachele di bel viso e avvenente figura. La quale amando Giacobbe, disse: [p. 437 modifica]Io ti servirò per Rachele tua miglior figliuola, sette anni. Rispose Laban: Meglio è che a te la dia, che a un altro: rimani presso me. Servì dunque Giacobbe per Rachele sette anni; e gli parevano pochi giorni per la grandezza dell’amor suo. E disse a Laban: Dammi la moglie mia, perchè è già compiuto il tempo, che io entri a lei. Esso, chiamate molte turbe d’amici a convito, fece le nozze. E nella sera introdusse a lui l’altra figlia, Lia, dando alla figlia un’ancella di nome Zelfa. Alla quale essendo, secondo il costume, entrato Giacobbe, venuto il mattino, vede Lia; e disse al suocero suo: Che è questo che mi hai voluto tu fare? non ti servii per Rachele? perchè m’hai tu imposto? Rispose Laban: Non è nel paese nostro usanza, che noi diamo a nozze prima le minori. Compisci la settimana di giorni di questa unione; e io ti darò l’altra per il servizio che m’hai a fare durante altri sette anni. Si acchetò alla richiesta, e finita la settimana condusse in moglie Rachele, a cui il padre aveva data la schiava Bala. E finalmente, venuto a capo delle nozze bramate, preferì l’amor della seconda a quello della prima, servendo altri sette anni presso lui„.

E torniamo ad Aurelio Agostino. Egli parla della “dottrina di sapienza„ la quale è Rachele. Continua: E i più credono d’averla a ottenere “tosto che si siano esercitati nei sette precetti della legge, che riguardano l’amor del prossimo, che non si noccia ad altrui: vale a dire, Onora il padre e la madre, non fornicare, non uccidere, non rubare, non dir falso testimonio, non desiderare la donna del prossimo, non desiderar la cosa del prossimo„. E invece no: dopo aver osservati a tutt’uomo questi sette [p. 438 modifica]precetti, “attraverso varie tentazioni, quasi in mezzo alla notte di questo secolo„, ottiene, che cosa? Invece “della desiderata e sperata dilettazione della dottrina„, ottiene “la tolleranza della fatica„: Lia la faticante, invece di Rachele la veggente. Eppure ci si adatta, se il suo amore è perseverante, per giungere all’altra, “ricevuti altri sette precetti: come se gli si dicesse: Servi altri sette anni per Rachele. E tali precetti sono che egli sia povero in ispirito, mite, piangente, famelico e sitibondo di giustizia, misericorde, mundicorde, pacifico„.11 A questo punto nessuno, credo, dubiterà più. L’argomento della Comedia è la rinunzia alla vita attiva, a Lia, e l’adozione della vita contemplativa, di Rachele. Abbiamo osservato che, nella Comedia, la vita contemplativa contiene l’attiva; che, cioè, l’attiva dispone alla contemplativa; che non ha Rachele chi non prende Lia. E abbiamo veduto che ciò esprime Dante facendo che Lia, quand’esso è nella vita attiva convenevolmente esercitato e purificato, non ha più deboli gli occhi; chè ella si specchia e Matelda raggia. E abbiamo veduto che in ognun dei sette gradi del purgatorio suona una delle sette beatitudini, annoverate e disposte in un suo modo dal Poeta: in modo che, sdoppiando la fame e la sete, restino pur sette, in modo che ultima rimanga quella che è penultima, cioè la mondizia del cuore, perchè, questa, interpretata come purità dell’occhio interno, dispone immediatamente alla sapienza e alla visione. In vero Beatrice è di là con occhi di Rachele, dove si prepara una visione [p. 439 modifica]mirifica di passato e d’avvenire. E abbiamo veduto che nella discesa al centro della terra il viatore è riuscito a metter sotto Lucifero tricipite; cioè la malizia di cui ingiuria è il fine, cioè l’ingiustizia con la sua possa malefica, col malefico volere, col malefico intelletto: sì che egli, con penosa azione e passione, ha ottenuta la giustizia e la pazienza della fatica per la giustizia. Vero è che non l’ha ottenuta con l’esercizio propriamente dei sette precetti di giustizia, che sono gli ultimi sette dei comandamenti di Dio, ma (in ciò migliorando il suo testo) con l’esercizio di tutti; non di quelli soltanto di giustizia propriamente detta, ma di quelli ancora che appartengono a quella spezial giustizia che si chiama pietas e religio:12 non della sola umanità, come ha Cicerone, ma della pietà. Di più ha letto nella sua Etica che l’uomo non erra soltanto per male che faccia al prossimo, ma per male ancora che faccia a sè, abusando della sua possa appetitiva, non frenando o non ispronando i sensi, non avendo, insomma, continenza. E così ha aggiunto l’incontinenza all’ingiustizia. Ma con tutto ciò (e qui potrei gridare molto alto), ma con tutto ciò, enumerando tra lui e il suo maestro, i vari peccati che di queste disposizioni cattive derivano, sette ne trovano, sette ne dicono, sette ne fissano. Chi vorrà rimanere in dubbio che il numero settenario non sia di necessità, data l’essenza del mito, per così dire, che presiede al Poema? Giacobbe giunge a Lia dopo sette anni, cercando Rachele; giunge a Rachele dopo altri sette anni, pattuiti se non compiuti: Dante giunge a Lia [p. 440 modifica]e a Rachele dopo sette esercitazioni di giustizia, e sette purificazioni e beatitudini.

Dante ha certo mutato nell’interpretazione mistica di S. Agostino. Possiamo anzi dubitare che abbia egli attinto direttamente a questa fonte e non a qualche rivolo sceso da essa. Ma nulla c’impedisce di credere ch’esso abbia mutato, e corretto anzi, da sè. Or i cambiamenti persuadono sempre più che a base del Poema Sacro è quest’interpretazione mistica degli amori del patriarca.

In vero Dante ha enumerate e disposte diversamente le beatitudini, mettendo ultima la mondizia del cuore: per qual ragione se non per questa, di rendere più evidente il passaggio da Lia a Rachele, cioè dalla vita attiva alla contemplativa? Lia non appare a Dante dopo i primi, diciamo, sette anni; ma dopo i secondi: perchè, se non per questo, che essendo i secondi sette anni raffigurati nelle sette beatitudini, delle quali ultima è la mondizia del cuore ossia la purità dell’occhio, egli trovava coincidente con l’attitudine alla vita contemplativa la perfezione della vita attiva? e doveva trovare Lia a specchiarsi come Rachele? e trovava in Matelda gli occhi luminosi di Beatrice?

Si noti. Egli leggeva nel suo testo che i secondi sette anni sono le beatitudini. Si persuadeva, leggendo qua e là, per esempio in Ugo di San Vittore,13 che le beatitudini erano opposte ai sette peccati capitali, perchè esprimono il premio proposto [p. 441 modifica]a sette virtù contrarie a quelli. In poche parole, codesto Padre indica il legame tra questi cinque settenari, ciò sono vizi, petizioni della preghiera dominicale, doni, virtù, beatitudini.14 “I vizi sono cotali languori dell’anima o ferite dell’uomo interiore: l’uomo è come un malato; Dio è il medico; i doni dello Spirito sono l’antidoto; le virtù la salute; le beatitudini il gaudio della felicità„. È inutile ammonire il lettore della grande somiglianza di questo concetto con quello di Beda, che indicò quattro ferite dell’anima, corrispondenti, come vedemmo, alle tre disposizioni Aristoteliche, delle quali una, l’incontinenza, è duplice. Ora è ben certo che nel purgatorio Dantesco si ricuciono sette piaghe, che sono le macchie lasciate dai sette peccati capitali. Come non accogliere, dopo i lunghi miei ragionamenti, il pensiero che i sette peccati, sette e non più, in cui si risolvono le tre disposizioni o quattro ferite dell’inferno, siano pur i sette peccati capitali corrispondenti a quelli del purgatorio, come ferita corrisponde a cicatrice? Ma procediamo.

S. Agostino stesso induceva Dante a pensare ai sette peccati; perchè i precetti simboleggiati dai sette e sette anni di servaggio a Laban, se da una parte erano esortazioni a virtù, e, cioè, povertà di spirito e mitezza e vai dicendo, dall’altra erano divieto di peccato: salvo il primo, onora il padre e la madre; salvo il primo che Dante, come abbiamo mostrato, sceverava, d’accordo coi teologi, dagli altri della seconda tavola e metteva, come attinente a pietas, nella prima, con gli altri precetti attinenti a religio. Erano [p. 442 modifica]dunque divieti di peccato; e così Dante trovava nel tradizionale numero settenario dei peccati, qualche cosa di meglio e di più compito che i sei comandamenti di giustizia, col settimo di pietà! Al qual uopo parli finalmente il Sene che fu l’ultima guida di Dante. Egli dice che “sette impedimenti ci ritardano da ubbidire ai dieci precetti„. I suoi non sono propriamente i sette peccati mortali; ma sette sono, e sono opposti a dieci. E il dieci si trova col sette non solo nel Paradiso di Dante, ma e nell’inferno e nel purgatorio.15 E aggiungo che S. Bernardo contro i sette impedimenti invoca “il settiforme ausilio dello Spirito Santo„.

Nè aggiungo altro. Posso ripetere che usando della libertà concessa ai mistici, Dante interpretò e numerò a suo modo le beatitudini, fondendo quella dei pacifici in quella dei mansueti, e ponendola per terza contro l’ira; ponendo seconda quella dei misericordi, contro l’invidia; e sopratutto pronunziando ultima quella dei puri di cuori, perchè a questi è ripromessa la visione. E posso concludere che ognuno può ripudiare i miei argomenti in tutto o in parte, e credere o non credere quel che vuole intorno alle virtù e ai vizi e alle disposizioni e alle ferite; ma una cosa non può ripudiare, una cosa deve credere, che il numero di sette per i peccati dell’inferno, numero affermato nell’enumerazione di Virgilio e Dante, è di necessita: che sette e non più sono, perchè sette e non più devono essere, sette e sette essendo gli anni del servaggio di Giacobbe per Rachele.

Note

  1. Inf. I 151: Alle quai poi se tu vorrai salire.
  2. Inf. II 102, Par. XXXII 8 seg.
  3. Aur. Aug. Contra Faustum XXII 52-58. Riassumo, e qua e là cito testualmente tra virgolette.
  4. Dante da servo va a libertà: Purg. I 71, XXVII 140 segg. E specialmente Par. XXXI 85: Tu m’hai di servo tratto a libertade; esclama Dante ver Beatrice.
  5. Dante si configurò al Cristo (Summa 3a 49, 3). La sua passione si distingue, come la vita umana di Dio, in azione e passione. La sua azione consistè in ciò che il medesimo autore di Dante, nella stessa opera, nello stesso libro (cap. 28) dice: «L’azione dell’uomo che serve alla fede la qual serve a Dio, raffrena tutte le mortali dilettazioni e le costringe al lor modo naturale...» Dante risorge risalendo per i peli di Lucifero e poi mettendosi nella burella; ma riesce al piè del monte. La libertà l’ha soltanto alla cima di esso monte.
  6. Sap. 9, 14. E perciò Lia che si mira allo specchio, e Matelda che ha occhi così fulgidi, figurano che i pensieri del mortale non sono più timidi e le provvidenze sue non sono più incerte. Invero Dante è libero, e può far quel che vuole, chè quel che vorrà, sarà bene e non male più.
  7. Di chi è servo Dante, e di chi è innamorato? È servo o, com’esso dice, «fedele» di Lucia (Inf. II 98), ed è amico di Beatrice, come questa medesima afferma (ib. 61). Lucia è dunque il Laban o Dealbatio del nuovo Giacobbe che ama colei che siede vicino all’antica Rachele? Certissimamente. Lucia è quella che agevola Dante per la sua via della purgazione e lo reca sino alla porta del luogo dove saranno cancellati i sette P. E tutti i commentatori (e in ciò diedero prova di lodevole acume) hanno interpretato Lucia per Grazia. E vedremo al capitolo «La Donna Gentile e Lucia» il perchè di questo suo nome, che val proprio dealbatio.
  8. La giustizia che assomma le virtù della vita attiva.
  9. Luogo forse corrotto, ma che dà certo questo senso.
  10. Gen. XXIX.
  11. L’ordine è il novero delle beatitudini è in Dante diverso. Vedi a pag. 382.
  12. Vedi perciò la Minerva Oscura.
  13. Hugo de S. Victore, Vol. I De quinque septenis 1: «seguono le sette virtù. Prima, la povertà di spirito, cioè umiltà, seconda mansuetudine o benignità etc. Poi, in quinto luogo, si distinguono sette beatitudini. Prima, il regno dei cieli; seconda la possessione della terra dei viventi etc.».
  14. Hugo de S. V. l. c.
  15. D. Bern. In septuagesima, Sermo I.