Canti di Castelvecchio/Canti di Castelvecchio/Il poeta solitario: differenze tra le versioni

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Canti di Castelvecchio - Il gelsomino notturno Canti di Castelvecchio - La guazza
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IL POETA SOLITARIO



O dolce usignolo che ascolto
     (non sai dove), in questa gran pace,
cantare cantare tra il folto,
     là, dei sanguini e delle acace;

t’ho presa — perdona, usignolo —
     una dolce nota, sol una,
ch’io canto tra me solo solo,
     nella sera, al lume di luna.

E pare una tremula bolla
     tra l’odore acuto del fieno,
un molle gorgoglio di polla,
     un lontano fischio di treno...

Chi passa, al morire del giorno,
     ch’ode un fischio lungo laggiù
riprende nel cuore il ritorno
     verso quello che non è più.

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Si trova al nativo villaggio,
     vi ritrova quello che c’era:
l’odore di mesi-di-maggio
     buon odor di rose e di cera.

Ne ronzano le litanie,
     come l’api intorno una culla:
ci sono due voci sì pie!
     di sua madre e d’una fanciulla.

Poi fatto silenzio, pian piano,
     nella nota mia, che t’ho presa,
risente squillare il lontano
     campanello della sua chiesa.

Riprende l’antica preghiera,
     ch’ora ora non ha perchè;
si trova con quello che c’era,
     ch’ora ora ora non c’è.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Chi sono? Non chiederlo. Io piango,
     ma di notte, perch’ho vergogna.
O alato, io qui vivo nel fango.
     Sono un gramo rospo che sogna.