Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo II.

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CAPITOLO II.

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CAPITOLO I. CAPITOLO III.

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CAPITOLO II.

CHIESE PREROMANICHE — S. GIOVANNI DI SINIS — S. GIOVANNI D'ASSEMINI — FRAMMENTI DECORATIVI E ISCRIZIONI BIZANTINE.


L'arte romana per opera di greci artefici divenne arte bizantina, la quale rappresenta non un nuovo stile, ma una trasformazione dello spirito latino a contatto delle forme orientali. Ed in Ravenna, in Grado, in Sicilia, nelle Puglie sorsero quelli edifici, rudi e disadorni all'esterno, che internamente brillano di ricchi mosaici, in cui l'oro e le gemine preziose sfaccettano in mille raggi la tenue luce diffondentesi dalle arcuate finestre.

Anche nella nostra isola dovettero svolgersi queste forme architettoniche giacchè dal primo trentennio del secolo VI e per non breve corso di tempo la Sardegna fu una provincia dell'impero di Bisanzio.

Nè questa signoria fu solo nominale, ma tanto si compenetrò nella vita e nelle istituzioni che l'influenza greca nel linguaggio, nella diplomatica, nel dritto apparisce evidente anche nel secolo XI, quando la Sardegna crasi già sottratta di nome e di fatto al dominio degli imperatori di Oriente e ne reggevano le sorti da più che un secolo i regoli o giudici nazionali.

La nostra cattedrale conserva in una sua cappella una Madonna, [p. 20 modifica]splendente d'oro e di bellezza. Intorno ad essa fiorisce una fine e pia leggenda, comune del resto a molti altri antichi simulacri d'Italia.

Vuolsi che la vaga madonnina sia stata scolpita da S. Luca e da Costantinopoli trasportata a cura del Cagliaritano Eusebio, vescovo di Vercelli. alla città di Cagliari, con nave guidata da una corte di angeli e di cherubini. Il simulacro è indubbiamente opera del XIV secolo, ma la tenue leggenda può interpretarsi come un portico simbolo del trapiantarsi dell'ellenismo nell'isola, perpetuato dal nostro popolo attraverso gli oggetti suoi più cari.

Ed infatti molti frammenti decorativi ed epigrafici nonchè parecchi edifici attestano dell'influenza dei costruttori bizantini nell'architettura dell'alto medio evo in Sardegna.

Tale è la Chiesa di S. Giovanni di Sinis, nell'agro di Cabras in vicinanza ad Oristano e presso le rovine dell'antica e fiorente città di [p. 21 modifica]Tarros. Le origini e le vicende di questa chiesa ci sono ignote: si volle veder in essa la cattedrale di Tarros cristiana, ma ciò non è che una congettura, giacchè nessun documento veramente ineccepibile ci dice quando la città venne abbandonata e se essa perdurò fino all'epoca che gli elementi costruttivi e stilistici permettono d'assegnare all'antico tempio. L'aver i presuli d'Oristano assunto il titolo di abate di S. Giovanni di Sinis fa presumere che a questa chiesa originariamente fosse annesso un monastero.

Essa presentemente è a tre navate coperta da volta a botte e comunicante per mezzo di arcate poggianti su massicci pilastri. Anche i due muri perimetrali e laterali hanno la struttura a pilastri ed archi. chiusi questi ultimi posteriormente.

Il prospetto, sormontato da un frontone che segue l'andamento della volta a botte, non ha ornamentazione alcuna e la porta che in esso è aperta è rettangolare, semplicemente contornata da una fascia di marmo.

La navata centrale è terminata da un'abside circolare e sopra le ul[p. 22 modifica]time quattro pilastrate si svolge il tamburo, sostenente la piccola volta a bacino, costituente la cupola.

La forma di questa chiesa è basilicale e non differenzia da quelle di tante altre chiese medioevali sarde, del XI o XII secolo, se non che alcune forme costruttive come la cupola e la volta a botte inducono a ritenere che originariamente dovea avere tutt'altra struttura.

Mancando ogni qualsiasi elemento decorativo, giacchè la chiesa ha le pareti nude senza frammenti di pittura, di scultura o di semplice ornamentazione, che di solito guidano la studioso nei riscontri stilistici, procedetti per identificare le forme primitive ad un esame tecnico delle parti architettoniche.

I risultati confermarono la prima impressione, giacchè potei riscontrare:

1°) La volta che copre la navata centrale è relativamente moderna;

2°) I muri della navata centrale e delle navatelle furono eretti posteriormente al nucleo centrale, so cui poggia il cupolino.

3°) Della struttura originaria della Chiesa non resta che detto nucleo centrale e le braccia trasversali.

Ridotte in tal modo le parti originarie ed eliminate le aggiunte posteriori è facile completare l'iconografia primitiva, partita in quattro braccia a modo di croce, che s'intersecano secondo quattro piloni sostenenti il tamburo su cui poggia la cupola per mezzo di quattro pennacchi. Di più i piloni hanno gli angoli rientranti in modo da permettere il collocamento in dette pilastrate di quattro colonne, che ora più non esistono. Questa particolarità costruttiva è degna di nota, giacchè la ritroveremo in altra chiesa, colla quale S. Giovanni di Sinis presenta molte affinità.

Nei muri terminali delle braccia trasversali della croce sono aperte [p. 23 modifica]due finestre bifore, in cui la colonnina è sostituita da un semplice pilastrino in pietra da taglio senza capitello e senza base. Abbiamo la forma iniziale di quelle bifore, che posteriormente vennero rese più eleganti e più svelte dalle colonnine col pulvino, permettente agli archi un'imposta corrispondente allo spessore della muraglia. Questa forma arcaica con ferma l'origine preromanica di S. Giovanni di Sinis.

Alle forme costruttive di questa chiesa dovettero influire le catacombe di S. Salvatore, le quali ne distano circa quattro chilometri. Queste catacombe poste presso ad alcune rovine romane, malgrado non siano state ancora ne studiate, nè menzionate, sono interessantissime e costituiscono il più pregevole ed interessante monumento isolano dei primi tempi del cristianesimo.

La chiesetta soprasuolo è relativamente moderna e non presenta niente d'interessante. Ai sotterranei s'accede mediante una gradinata svolgentesi in uno stretto passaggio coperto da un voltino a botte. In quell'andito sono aperte due porte, una di fronte all'altra, per le quali si perviene a due camere rettangolari di m. 4,30 X 3,26 ciascuna, coperte ancor esse con volte a botte. Lo stretto passaggio fa capo ad un vano circolare, coperto da volta a bacino cd illuminato dall'alto, che costituisce il nucleo centrale delle catacombe, comunicando esso con altre due camere laterali terminate da absidi e con altra circolare, che è l'ultima [p. 24 modifica]dell'edificio sotterraneo. Si ha una disposizione planimetrica, che ricorda i più antichi edifici cristiani: la struttura è prettamente romana con muratura di laterizi opportunamente collegata con altra di pietrame informe.

Le pareti delle diverse camere sono intonacate a stucco lucido, conservante tutt'ora traccia di antiche pitture. Più che pitture sono schizzi, figure eseguite a caso, alcune abilmente, altre con tecnica ed arte infantili. In una parete di una camera absidale sono traccie di un gruppo interessantissimo rappresentante una lotta fra un leone ed un uomo dalle [p. 25 modifica]forme erculee. Nelle altre pareti e nell'abside della stessa camera sono schizzate alcune navi, dhe leoui, un Eros e diverse figure di donne de lineate con maestria dal tipo classicamente pagano. Esse vennero eseguite al di là di qualunque preoccupazione mistica e sono di gentile arte, piene di grazia voluttuosa e di vita. Una di esse dalle linee formose, che rievoca la Venus Genitrix, solleva con una mano i veli che le coprono i turgidi seni e le belle forme. Fra questi schizzi e queste figure di donne ricorre spesso il monogramma RI e sono intercalate frasi scritte in greco corsivo. la di cui esatta interpretazione potrà portare non lieve luce sulle origini di queste forme pittoriche. Non un simbolo cristiano, non il monogramma di Cristo che attestino la fede di chi rese nelle pareti, con decise lince, figure voluttuose di belle donne. D'altra parte l'iconografia dei sotterranei segue la disposizione delle prime chiesette cristiane specialmente nelle forme absidali delle due cappelle laterali e della camera terminale. È vero che nelle costruzioni cimiteriali più antiche le tetre muraglie coprivansi di scene tratte dalla vita reale e molto spesso dalla mitologia pagana tanto che nelle catacombe di Priscilla e di Domitilla, nelle quali meglio che altrove si possono studiare le origini della pittura primitiva cristiana, questa è stranamente impregnata di paganesimo; ma se la tradizione è pagana, nell'antica forma l'arte si penetra di spirito cristiano. Qui no, forma e spirito sono schiettamente inspirate al paganesimo più libero e più licenzioso. [p. 26 modifica]Statua di Bacco rinvenuta in Cagliari nel 1904. [p. 27 modifica]

Queste contradizioni non permettono ora di poter dare un sicuro giudizio su questo interessantissimo monumento: forse l'ipotesi che più concilia queste forme cozzanti fra loro è quella dell'origine pagana dei sotterranei, costrutti ed usati come carceri e poscia serviti come rifugio nei primi tempi del cristianesimo. Con ciò si spiegherebbero la disposizione a celle, poste sotto il livello del suolo e gli schizzi delineati da qualche artista, che nel tedio della prigionia volle rievocare senza una direttiva pittorica immagini impure e dar forma d'arte a sogni libertini.

Qualunque sia l'origine di queste, che vengono chiamate catacombe, è certo che esse furono nei primi secoli, forse nel IV secolo, adibite al culto cristiano.

Non ritengo la costruzione cimiteriale, mancando qualsiasi indizio di loculo o di pittura funeraria.

Nel nucleo centrale è un pozzo, poco profondo, in cui è perenne una fresca lama d'acqua. Questo può spiegare la destinazione che dai primi cristiani venne data a questi sotterranei, qualunque sia la loro origine. A mio parere essi dovettero servire di battistero in tempi di persecuzione. Infatti non è spiegabile con l'ordinario uso degli edifici di culto la presenza del pozzo nella parte centrale della chiesa sotterranea. [p. 28 modifica]Inoltre la poca profondità del fondo, la presenza ininterrotta di una fresca lama d'acqua e le traccie di alcuni fori, per cui mediante tavole potevano i convertiti scender giù nell'acqua, rendono attendibile questa Terme remane in Fordongianus. destinazione, la quale ha molti riscontri e molte analogie colle prime forme battisteriali.

Ai primi tempi del cristianesimo non aveasi altri battisteri che le rive dei fiumi e le fontane. Ancor oggi nella prigione Mamertina a Roma [p. 29 modifica]esiste il pozzo miracoloso, in cui, secondo un'antica tradizione, S. Pietro c S. Paolo battezzarono i loro guardiani. In alcuni battisteri primitivi l'acqua era fornita da puzzi come nelle catacombe di S. Elena o da sorgenti naturali come in quelle di Priscilla e di Callista.

Fu solo colla cessazione delle persecuzioni al tempo di Costantino che si cominciò a costrurre battisteri sub dio, edifici speciali. che non differivano dalle chiese propriamente dette se non per la loro destinazione.

La cripta di S. Salvatore forse in origine ebbe altra invocazione, giacchè era frequente dedicare i battisteri al precursore di Cristo. Ad Avanzi di ville romane in Cagliari, ogni modo ciò che non può essere messo in dubbio si è che i sotterranei di S. Salvatore, per le forme costruttive, per le pitture e per le iscrizioni costituiscono un monumento d'arte cristiana di grande interesse e merita uno studio ampio e speciale più di quanto io abbia fatto in questi cenni brevi e riassuntivi.

L'oratorio di S. Giovanni d'Assemini fu ancor esso elevato con forme costruttive bizantine, come può desumersi da un'attenta disamina.

La più antica memoria riflettente questa chiesetta si conserva in un [p. 30 modifica]diploma dell'archivio Capitolare della Chiesa di S. Lorenzo di Genova, con cui Trogotorio di Ganale, giudice di Cagliari, e suo figlio Costantino concedono nel 1108 alla Cattedrale di Genova la Chiesa di S. Giovanni e rinnovano la promessa annua di una libra d'oro: Ego ludice Trogotori de Gunali cum filio meo domnu Costantini.... fazo custa carta pro S. Ioanne de Arsemin, qui dabo ad sancto Laurenzio de Ianua pro Deus et pro anima mea ecc. ecc.....1.

La facciata non ha niente di notevole ed è posteriore alla fondazione della Chiesa. Nell'interno due navate larghe n. 2,00 disimpegnano per mezzo d'arcate quattro cappelle. All'incrocio delle due strette navate formanti una croce greca a braccia eguali s'imposta sopra un tamburo a sezione quadrata una piccola volta a bacino.

Anche in questa chiesa dobbiamo distinguere il nucleo originario dalle posteriori costruzioni; queste sono costituite dalle quattro cappelle, che, coperte da un rozzo letto a vista, sono appiccicature evidenti e per la diversa struttura muraria e per non essere collegate organicamente ai muri antichi. [p. 31 modifica]Eliminando queste aggiunte risultano in modestissime proporzioni le stesse forme bizantine della chiesa di S. Giovanni di Sinis c di S. Saturnino in Cagliari.

Nell'altare è murata un'iscrizione in caratteri greci, che porta uno sprazzo di luce sulla chiesetta. È contornata da una doppia fascia di perline in rilievo, che attesta come facesse parte di qualche monumento, probabilmente sepolcrale, dedicato alle persone in essa ricordate. Trascrivo l'interpretazione fattane dal Prof. Taramelli:

O Signore, abbi pictà del tuo servo Torcatorio, arconte di Sardegna e della serva Geti2.

Lo Spano ed il Martini ritennero — erroneamente come vedremo in appresso — trattarsi del Torcotorio, che governò il giudicato di Cagliari dal 1108 al 1129 e che donò la chiesa di S. Giovanni d'Assemini al Duomo di Genova.

A pochi metri dell'oratorio di S. Giovanni sorge la Chiesa Parrocchiale di S. Pietro, che contiene fra le sue mura alcuni frammenti decorativi bizantini e sulla soglia ha incisa la seguente inscrizione in carat[p. 32 modifica]teri greci, la quale ricorda probabilmente l'erezione e la dedicazione di detta chiesa, che è ancora oggi sotto l'invocazione di S. Pietro:

In nome del Padre, del figlio e dello Spirito Santo, io Nispella Ochole (?) (costrusse il tempio) in onore dei Santi corifei gli apostoli Pietro e Paolo e S. Giovanni Battista e della Vergine martire Barbara. affinchè per le loro preghiere din a me il Signore la liberazione dei peccati.

Anche quest'iscrizione venne dallo Spano attribuita al Torcotorio del XI secolo.

In un mio studio sulla chiesa di S. Saturnino di Cagliari3 trattando accidentalmente di queste epigrafi, le ritenni anteriori al mille. Infatti le lettere, clegantemente incise, ed i pochi motivi ornamentali sono sufficienti a determinare forme stilistiche molto più antiche delle romaniche del mille e dei secoli susseguenti. Inoltre la carica di protospatharius, che si riscontra in un'altra iscrizione coeva di Villasor, indica ancora una soggezione alla corte di Bisanzio non concepibile nel Torcotorio della seconda metà del XI secolo, che nei suoi atti ed in ispecial modo nella donazione fatta ai [p. 33 modifica]monaci di Monte Cassino esercita la sua podestà come Giudice e Re libero da ogni ingerenza anche nominale dell'impero. Un'altra considerazione distrugge l'attribuzione dello Spano e cioè il Torcotorio menzionato nell'iscrizione d'Assemini avea per moglie Nispella, mentre quello del mille avea per consorte Vera, la pia donna, che indusse prima il marito e poscia il figlio suo Costantino a larghe e ricche concessioni verso gli ordini monastici ed in ispecial modo verso i monaci di S. Vittore di Marsiglia: Ego indigi Trocodori de Ugunali cum mulieri mia Donna Vera et cum filiu men Donnu Costantinu4.

Queste conclusioni vennero confermate di recente dagli studi dei Professori Solmi e Taramelli, che pervennero a risultati interessantissimi per la storia medioevale della Sardegna.

Negli scavi eseguiti venti anni or sono dal Vivanet presso l'antica chiesa di S. Nicolo di Donori insieme ad interessanti resti di materiale epigrafico d'età romana, vennero fuori frammenti decorativi ed iscrizioni greche, che furono oggetto di un recente ed interessante studio del Taramelli, che attribuì queste ultime ad iscrizioni funerarie assai eleganti, di persone elevate, probabilmente del IX o X secolo.

In una casa privata di Mara sono due bassorilievi marmorei, recanti croci greche incluse in cerchi, di fattura bizantina, e nel fianco della chiesa parrocchiale è murata una piccola scultura marmorea molto corrosa, rappresentante una figura d'uomo vestito di lunga tunica manicata, figura che per quanto rovinata accenna ad epoche ed a forme bizantine.

Le iscrizioni della distrutta Chiesa di S. Sofia fra Decimoputzu e [p. 34 modifica]Villasor presentano grande analogia coi frammenti di S. Giovanni di Assemini e per la forma delle lettere e per la decorazione a perline.

Faccio mie senz'altro le considerazioni esposte dal Taramelli nello studio sovradetto: « Due delle iscrizioni sono sopra una coppia di mensole decorate da un ramoscello di fiori a voluta, alla loro estremità; l'altra più lunga è incisa sopra due robusti listelli di marmo, decorati da una doppia fascia di perline e nodetti, i quali come quello della iscrizione di S. Giovanni d'Assemini potevano far parte o della decorazione della porta o di un ambone o d'altro monumento 20 eretto in quella chiesa dalle persone ricordate dall'iscrizione e per il motivo decorativo come per lo stile ricordano il fregio dell'ambone del Duomo di Torcello, riferito al secolo X circa, alla quale età può convenire la grafia dell'epigrafe, elegante ma alquanto incerta » 5.

Trascrivo, tradotte, queste iscrizioni:

O Signore, abbi pietà dei servi di Dio, Torcotorio, reale protospatario, e di Salusio, nobilissimi arconti nostri, così sia. Ricordati anche o Signore del tuo servo Ozzoccorre.

Signore abbi pietà del tuo servo Unuspete e della consorte di lui Soreca.

È d'aggiungersi infine a questo bel nucleo di documenti epigrafici e decorativi di carattere bizantino la seguente iscrizione, conservantesi nell'altare della chiesa parrocchiale di S. Antioco: O Signore abbi pietà del tuo servo Torcolorio, protospatario e di Salusio arconte e della moglie(?) Nispella. [p. 35 modifica]In una parete esterna della chiesa è murato un bassorilievo, che reca una porzione di figura umana, vista di fronte, con lunga tunica a maniche, con colletto ornato e con larga fascia al petto6.

Da questo non indifferente materiale epigrafico rinvenuto in una ristretta porzione dell'isola il Prof, Solmi pervenne col suo fine discernimento di storico e di critico a congetture, che sono sprazzi di luce nel buio che avvolge l'origine dei giudicati7.

Fondandosi nell'avvicendamento del nome di Torcotorio a quello di Salusio, il Solmi distingue il nome personale del giudice dal nome pubblico o di governo. Mentre questo è sempre identico, Torcotorio o Salusio, invece, il nome personale, che talora si identifica col nome di governo, può essere qualche volta da questo essenzialmente diverso.

E questo avvicendamento dei due nomi, qualunque sia quello privato che abbia il giudice, permette insieme al contenuto delle iscrizioni bizantine d'integrare la serie dei giudici, iniziandola col Torcotorio, imperiale protospatario e arconte di Sardegna, ricordato nell'iscrizione di S. Giovanni d'Assemini. A questi, che ebbe per moglie Geti e che regni probabilmente intorno alla metà del X secolo succedette il figlio Salusio, già aggregato, come risulta dalle iscrizioni di S. Sofia al trono del padre, ed [p. 36 modifica]erede poi dei suoi titoli e del suo potere. Sulla fine del X secolo e nei primi decenni del seguente governò il giudicato di Cagliari il Torcotorio. della lapide di S. Antioco, marito a Sinispella e contemporaneo di S. Giorgio di Snelli. Con Mariano Salusio, menzionato in una carta greca di S. Vittore di Marsiglia, s'inizia la serie dei giudici precedentemente accertati dagli storici sardi.

Questi risultati confermano il lento ed amichevole distacco dalla Sardegna dalla dominazione di Oriente.

L'ultimo ricordo di un'effettiva dipendenza da Bisanzio appartiene all'anno 687 e mostra l'esarca residente in Ceuta, ancora a capo di un « Africanus exercilus » e di un exercitus de Sardinia, costituito come corpo distinto entro l'esarcato africano.

« Caduta Cartagine e Ceuta, scrive il Solmi, agli ultimi del VII secolo e mancati così gli ultimi centri dell'antico esarcato d'Africa, l'impero Greco lasciò in pieno abbandono anche l'isola, che n'era parte, separata ormai da un ampio mare, che divenne il * campo pericoloso delle imprese saracene; nè più la flotta greca varcò oltre le coste della Sicilia, dove si accentrò l'estrema punta occidentale del dominio bizantino. I duca di Cagliari restò a capo dell'exercitus Sardiniae sotto la signoria nominale dell'impero greco; si vestì forse dei pomposi titoli * delle alte magistrature bizantine, ma in realtà divenuta la soggezione vuota apparenza, resa ereditaria la carica, ogni rapporto coll'impero bizantino venne ad essere illanguidito e sui primi anni del secolo VIII la Sardegna sembra restare esclusa dall'organizzazione tematica Orientale e interamente libera da ogni dominazione di Bisanzio ». [p. 37 modifica]Questo per i riguardi storici; dal punto di vista dell'arte i numerosi frammenti bizantini, ai quali fino ad ora non si dette importanza alcuna, le Chiese di S. Giovanni di Sinis, di S. Giovanni d'Assemini, di S. Sofia di Villasor, di S. Stefano di Maracalagonis, di S. Antioco di Sulcis, d S. Saturnino di Cagliari, sfuggite alle indagini degli studiosi, attestano un periodo architettonico bizantino, che già si presenta intenso e che lo sarà maggiormente, quando con indagini sistematiche si procederà allo studio di tante strutture ora nascoste sotto gl'intonaci e gli stucchi seicentisti 1 Altri frammenti bizantini rinvenni nel paramento della chiesa medioevale di S. Gemiliano in Samassi. [p. 38 modifica]

Ne poteva esser altrimenti e le conclusioni storiche che traggonsi dalle iscrizioni bizantine e le congetture che su di esse e su altre prove poterono formarsi, rendono attendibile quest'influsso e questo fiorimento d'arte bizantina nell'isola, che non poteva sottrarsi alle manifestazioni di vita dell'impero che la congiungeva al mondo latino.

Queste forme greche perdurarono anche quando venne a mancare la effettiva, se non nominale, dipendenza agli imperatori d'Oriente.

Discendenti dagli arconti o patrizi della corte di Bisanzio. i giudici conservarono negli atti ufficiali colle cariche bizantine le forme diplomatiche e la lingua greca; e come queste forme si mantennero fino al XI secolo, così anche gli allievi ed i discendenti degli artefici greci conservarono le norme costruttive bizantine, fino a quando si dischiuse per la Sardegna una nuova fase col rinnovamento, che prorompe nel XI secolo al contatto delle fresche energie delle civiltà di Pisa e di Genova.

  1. Tola, Cod. Dipl. vol. 1, pag. 180.
  2. A. Taramelli, Iscrizioni Bisantine della Chiesa di S. Giovanni e della Chiesa Parrocchiale d'Assemini in Notizie degti Scavi, a. 1906, fasc. 3.
  3. D. Scano, La Chiesa di S. Saturnino in Bullettino Bibliografico Sardo, vol. 110, pag. 146. Cagliari, Tip. Unione Sarda,
  4. Tola, Cod. Dipl. Sardo, vol. 1. pag. 154.
  5. A. Taramelli, Iscrizioni Bizantine ecc. ecc., pag. 132.
  6. A. Taramelli, Iscrizioni Bizantine ecc. ecc., pag. 137.
  7. A. Solmi, Le carte volgari dell'Archivio Arcivescovile di Cagliari, Firenze, Tip. Galileiana, pag. 69.