Storia della vita e del pontificato di Pio VII/Libro II - Sommario VI

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LIBRO VI.






SOMMARIO.


La Francia intima guerra alla Russia. Napoleone varca il Niemen: invade il territorio nemico: occupa Smolesko: entra in Mosca evacuata dai russi. Incendio della città: disastri dell’esercito. Invano offre pace allo czar. Stretto dalle circostanze torna a Parigi. Decimato è l'esercito dal furore dei cosacchi, dall'ira degli elementi. Il senato,ligio ai voleri di Napoleone, ordina una nuova leva. Tenta l'imperatore riconciliarsi con Pio VII e recasi a Fontainebieau. Questi resiste, quello abbandonasi all'impeto della collera. Si rinnovano gli assalti e il papa sopraffatto dalle insistenze di alcuni vescovi e cardinali, ceda e segna i preliminari di un concordato, che dovea rattificarsi dopo il ritorno dei porporati. Per non urtare le suscettibilità imperiali decide Pio VII di scrivere a Napoleone e annullare quell'atto, che potea tornar dannoso alla santa sede. Partecipa ai cardinali la lettera, e la spedisce a Parigi. Napoleone prorompe in minaccie letali, e decide di dare pubblicità e forza di legge a quella larva di concordato, dichiarato dal papa irrito e nullo. Si rinnovano i rigori verso l'augusto prigioniero: il cardinal di Pietro, creduto autore di quella lettera, è deportato. Stretto dalle angustie, derogando alle antiche leggi, provvede il papa al futuro conclave e le sue determinazioni partecipa al [p. S6 modifica]sacro collegio. Il rigore dei nemici non giunge ad alterare l'amabilità del suo carattere, le soavità dei suoi modi. Napoleone tenta di nuovo la sorte delle armi, e vince la battaglia di Lutzen. Maria Luisa partecipa a Pio VII la vittoria ottenuta sugli alleati. Si tratta della pace, e fra le imposte condizioni avvi quella di restituire il papa al possesso dei suoi domini. Rifiuta Napoleone, e inevitabile diviene la guerra. Scrive Pio al nunzio apostolico di Vienna Severoli e la lettera, affidata al conte Tominaso Bernetti di Fermo, giunge al destino. Sieque la sanguinosa battaglia di Lipsia. Torna Napoleone a Parigi: i sovrani alleati minacciano le frontiere. Il papa, fidente in Dio, attende nel silenzio della prigione al vantaggio della chiesa universale, e acremente rimprovera il vescovo di Saint Flour, che ad onta dei suoi divieti, amministra quella diocesi. Al declinare della potenza napoleonica per tutte le chiese di Francia pregasi pubblicamente per la liberazione del papa. Invano l'imperatore sollecita una nuova leva di uomini. IL senato glie la ricusa. Gli eventi s'incalzano: gli alleati guadagnano terreno: sente Napoleone il bisogno di restituire al pontefice la libertà e invia diversi negoziatori di pace, ma invano. Pio VII nulla accorda all’imperatore che, cedendo alla forza degli avvenimenti, ordina la di lui immediata partenza. Il papa si divide dal popolo che lo acclama, e dai cardinali che lo accompagnano con i desideri e coi voti. [p. 47 modifica]


LIBRO VI



L'
Inghilterra e la Russia turbava la pace del potente imperatore dei francesi. Mostravasi l'una amica poco sincera, l'altra dichiarata nemica. Ad abbatter la prima eragli mestieri umiliare la potenza dell’altra: opponevansi al disegno napoleonico vastissimo impero, orridi freddi, sterminati deserti. Vennesi a trattative, ma finte: si esagerarono le offese, lievi cose e non tali da far correre la mano alla spada. Da ambo le parti desideravasi guerra, e guerra s'ebbe e mortale. Ne parleremo per sommi capi, perchè veggasi omai giunta la pienezza dei tempi vaticinati da Pio. L'Austria, la Prussia in tanta commozione di animi, per non essere artigliate dal vincitore, stimarono di non rimanersi neutrali. Bramavano è vero umiliata la potenza francese, ma sapeano dalle armi loro occupata Stettino, Custrin, Glogan, Danzica sino al Niemen, e collegavansi prudentemente alla Francia. I due vasti 1mperi aveano preparate le armi e tutto era disposto quando, a maturare maggiormente i disegni, i due imperatori tornarono sulle trattative di pace. Intanto poderose schiere francesi eransi messe in movimento per la Polonia: ivi quelle trovaronsi dei coalizzati, per cui in giugno l' [p. 48 modifica]esercito riunito sulle sponde del Niemen sommava a trecento mila soldati, sessantadue mila cavalieri e mille pezzi di artiglieria. L'esercito russo, abbivaccato sulla sinistra riva del fiume, risultava di sessantanove divisioni di fanteria, e otto di cavalleria. Questo numero di combattenti era di gran lunga inferiore a quello dell'armata francese, ma avea dal suo lato tutto l’ardire della nazionale difesa, la infinita devozione dei popoli verso Alessandro, la costanza dei soldati, buoni nei primi impeti, migliori negli ultimi. Sperava Napoleone per la minacciata rottura con gli svedesi, per la guerra combattuta dai russi contro la porta ottomana. Il dì ventidue giugno corse la sfida fra le due nazioni. Parlò Napoleone ai soldati: ricordò loro Friedland e Tilsett; disse della guerra giurata agl’inglesi, delia mancata parola. Dopo averli animati a battaglia, fece avvicinare al Niemen i soldati; varcato il fiume la notte del ventiquattro giugno su tre ponti costruiti presso Kowno, videsi il territorio russo invaso dai soldati di Francia. Evitarono i moscoviti l'attacco, perchè determinati di spingere l'armata francese nella pericolosa immensità dei deserti. Ritirandosi i comandanti russi, le truppe incendiavano, devastavano, distruggevano gli edifici e le case che lasciavano in abbandono.I francesi in mezzo al fuoco e alle rovine entrarono a Wilna, s'impadronirono di Witepsk, occuparono Smolesko già arso e distrutto e si diressero alla volta di Mosca. Dopo una lunga misteriosa ritirata fermavasi l'armata russa sulle sponde della Moskova, cingea il campo di forte trinceramento, ed attendendo a piè fermo i francesi, disponevasi alla battaglia. Vide Napoleone giunto il momento di misurarsi col suo potente nemico: arringò i soldati: parlò loro delle glorie di Marengo, di Montebello, e l’incuorò alla battaglia.

II. Dopo una notte piovosa spuntò il sole sgombro affatto di nubi. L'ebbe a lieto presagio e gridò ai suoi: ecco il sole di Austerlitz. Diffondevasi il motto per tutto l’esercito, destavasi in cuore ai soldati l'entusiasmo. Si [p. 49 modifica]venne con ardore alla pugna: il combattimento durò due ora. Superarono i francesi le trincere nemiche: i russi abbandonarono in disordine il campo di battaglia: evacuarono Mosca. Rostopchin, governatore della città costrinse gli ufficiali civili e i magistrati ad allontanarsi. Fuggirono i magnati dall'antica metropoli dell'impero, si allontanarono i cittadini di ogni ordine, di ogni condizione, si atterrarono le porte delle prigioni, si lasciarono le case deserte, andarono gli abitanti a vivere nei prossimi boschi. Mosca, città ricca di duecento mila anime, parve un deserto. Entrò Napoleone il dì quattordici settembre: eredevasi nel centro della grandezza, era in quello d’una sventura, di cui non presenta esempi la storia. Acquartieravasi appena l'esercito nei militari alloggiamenti quando su vari punti della immensa città sollevaronsi globi di faville e di fumo. Vani furono gli sforzi usati per ispegnere il vasto incendio eccitato dalla mano dei russi, vani gli sforzi per salvare la città degli czari fondata dai tartari. Le schiere atterrite guardavano le fiamme stridenti e fremevano. Gli edifici, formati in gran parte di legno, erano esca facile al fuoco, che prorompea da ogni lato e illuminava di una luce sinistra l'ultimo trionfo delle armi francesi. I grandiosi palagi, il Kermelino furono devastati dall'ira dei soldati di Francia. Il timore, lo sdegno offrivano alimento alla militare vendetta. Vista tanta rovina, Napoleone offrì pace al nemico. Mentre, fremendo, attendea le risposte, una mano di cosacchi, audacemente aggirandosi intorno all’armata napoleonica, le vettovaglie intercettavano, le communicazioni interrompevano, la situazione dell'esercito francese ogni giorno più incerta e perigliosa rendevano. Ben vide, che al pari degli elementi era per la salute della grande armata a temersi l'accortezza dei russi, che aveanlo con inauditi sacrifici tratto a disperati partiti. Irruppero alla inaspettata i russi presso Vinkovo sopra un grosso corpo di cavalleria e fecero la condizione dei francesi in quelle regioni deserte più deplorabile. Cadute le speranze di pace, la sera del di dieciotto ottobre si dispose l’armata ad allontanarsi da Mosca. Era

Giucci. Vita di Pio VII. — II [p. 50 modifica]disastrosa la ritirata: camminavano i soldati a ritroso sulle ceneri e a traverso dei macigni ancora fumanti. Lo seguiva un lungo ordine di carri, ove stavansi collocate le ricchezze dei russi: arazzi orientali, preziose stoviglie, suppellettili tolte al Kermelino: insigni trofei, ma troppo misero premio ad impresa di tanta mole! Ogni passo era contrasegnato da un combattimento, ogni combattimento da perdite sanguinose. Gli elementi, la rabbia, la disperazione congiuravano insieme alla distruzione di un'armata poc'anzi florida e bella, di un esercito prode, ma sventurato, che avea ogni giorno segnalato con una vittoria. Andavansi verificandosi i presagi di Pio, e la collera del Signore cominciava a pesare sopra la Francia, che unita all'Italia, vedea perire con la gioventù più animosa le sue speranze più belle. Ovunque passava la truppa appiccavansi incendi: il timore, lo sdegno era alimento alla militare vendetta Le prime file destavano il fuoco: distruggevano le ultime gli edifici, che la fiamma avea risparmiati. Con incredibili stenti trascinavansi le artiglierie, le casse, i bagagli: le provvigioni di guerra mancavano, mancavano le vettovaglie e i foraggi. Veniva meno il coraggio, il freddo, questo potente alleato della Russia, incominciava a pungere uomini non avvezzi a sostenere i rigori del nord. Intanto continuavano i cosacchi la loro opera di distruzione: inquietavano, intercettavano, manomettevano. A cielo aperto, in case o fumanti o vuote di abitatori, in terre abbandonate, fra i disastri del verno, nella penuria di foraggi e di viveri e col timore del nemico, che l'incalzava alle spalle, procedeva l'esercito, che ad ogni passo perdea uomini, cavalli e cannoni.

III. Era il dì sette novembre: trovavasi il centro della grande armata nelle vicinanze di Dorogobus quando all'improvviso si addensarono le nubi, si scatenarono i venti, cadde turbinosa la neve, pungente, insoffribile divenne il freddo. Avvilironsi. i soldati, perderono la loro attitudine guerriera, divennero sordi al comando. Parve, tremendo a dirsi, l'esercito intero una massa confusa di uomini famelici, assiderati. Altri abbattuti dai turbini, [p. 51 modifica]altri sfiniti di forze, altri vinti dallo spavento caddero a terra per rimaner sepolti in mezzo alle nevi. Precipitavano molti nei profondi burroni, molti, tenendo conserte al petto le braccia, agghiacciati morivano. Privi di nutrimento i cavalli, estenuati dal disagio e dalla fatica, non assuefatti ai geli settentrionali, perivano. Erano i soldati costretti ad abbandonare ad ogni passo arredi, bagagli, spoglie, equipaggi, suppellettili, artiglierie. Il giorno nove novembre un terzo dell'armata era perito, la cavalleria quasi distrutta. Rimanevansi, spettacolo miserando, insepolti i cadaveri di uomini e di cavalli, destinati ad impinguare le sponde della Beresina e del Niemen1. In tanta sventura chiamati a consiglio i marescialli di Francia, ordinava Napoleone di proseguire rapidamente la marcia. Essa divenne micidiale per l'accanimento dei russi e per l'ira degli elementi. Alcuni corpi francesi vidersi costretti ad aprirsi la strada con il ferro alla mano, altri rimasero prigionieri di guerra. Furono fieri gli assalti, sanguinosi i combattimenti, la carneficina tremenda: Napoleone istesso corse il pericolo di cader prigioniero in mano ai russi. Scortato nella fuga dai soldati di Napoli sino alle vicinanze di Wilna, volò a Parigi, ove giunse inaspettato il giorno dieciotto decembre con la speranza di ristorare di nuove leve i sostenuti disastri. [p. 52 modifica]

IV. E il senato, ligio alla volontà imperiale, una leva decretò di trecento mila uomini: grave sacrificio dopo le perdite sopportate! Maggiori peraltro erano i suoi bisogni, i suoi desideri più vasti. A vendicare le sopportate sciagure l'imperatore dei francesi acerbamente ferito nell'amor proprio, vide come eragli mestieri restituire la pace alla chiesa, riconciliarsi col papa per conquistare le simpatie nazionali. L'amore di Pio era in cuore ai sovrani ed ai popoli. In Germania ministri e principi la deportazione del pontefice pubblicamente biasimavano: col racconto dei patimenti sostenuti dal papa i sudditi cattolici mirabilmente infiammavano: contro la nazione e il governo, di cui temevano la potenza Gravi suonavano in Polonia i rimproveri, e veniva meno lo zelo dei popoli versa l'imperatore per le ingiurie fatte alla santa sede. Buon maestro eragli divenuto il timore, per cui vide che l'accomodarsi col papa potea assicurargli la benevolenza e il rispetto del mondo cattolico. Erano cinque mesi decorsi dacchè Pio VII, quasi dimenticato, stavasene nei castello di Fontainebleau, quando Napoleone accortamente al cominciare dell'anno mille ottocento tredici spedivagli un ciamberlano a domandar notizie di sua salute: cortesia usata e ricambiata fra corti amiche. Sensibile il papa a questo inatteso atto di urbanità, inviava a Parigi il cardinale Giuseppe Doria, che un tempo sostenne la nunziatura di Francia, personaggio d'illustri natali, ben affetto a Napoleone, alla grandezza delle corti, alle forme diplomatiche per nobiltà di prosapia e per lunga consuetudine accostumato. Accolto con molto favore, e riaperte seco lui le negoziazioni fu scelto dall'imperatore De Voisin: vescovo di Nantes, personaggio accetto alla corte, abile negoziatore, professore della Sorbona, autore lodato di opere in difesa della religione cattolica. Presentò questi al pontefice un foglio contenente diverse proposizioni, per le quali volevasi Pio e i suoi successori obbligati a nulla ordinare in opposizione alle quattro proposizioni gallicane: che la nomina del sacro collegio fosse per due terze parti ai principi cattolici devoluta: che [p. 53 modifica]disapprovasse il papa con un breve la condotta dei cardinali, che ricusaronsi dall'assistere alla ceremonia del matrimonio di Napoleone con l'austriaca arciduchessa Maria Luisa. Premio della concordia. promettevasi l'immediato ritorno dei cardinali detenuti in varie città della. Francia: esclusi dal perdono, ed impediti dal ritorno Pacca è di Pietro. Negoziatori con De Voisin inviavansi i vescovi di Treviri, di Eureux, i cardinali Doria, Dugnani, Ruffo, De Bajane, e l'arcivescovo Bertazzoli, che ebbero stanza nell’imperiale castello. Si cercò in tal modo di espugnare nelle conferenze la costanza di Pio, e di disporlo ai sacrifici, che imponevagli l'inflessibile imperatore. Cominciavasi dal rappresentargli lo stato lacrimevole della santa sede; parlavano di Roma quasi interamente spogliata del venerando suo clero: parlavano delle cattedre vescovili vedove da molti anni dei loro pastori: facévasi dagli accorti discorsi travedere possibile lo scioglimento di quei legami, che tutte le chiese, come al suo centro, congiungono alla chiesa romana. Per fare nell'animo del pontefice impressione maggiore rammentavano la dura prigionia di tanti cardinali, di tanti prelati, di tanti sudditi affezionati all’apostolica sede. Dipingevano essi con parole commoventi l'aspra condizione di rispettabili personaggi tradotti da città in città, da prigione in prigione e aggiungevano che a tanti mali unico rimaneva rimedio: la riconciliazione fra loro. Le insidiose parole agitavano l'animo del pontefice estremamente indebolito dalle sostenute sciagure. Napeleone, cui era ben noto come fosse grande il numero dei cattolici in Francia, maggiore assai di quello che comunemente credevasi, volea ad ogni costo abbattere la fermezza di Pio: volea una riconciliazione se non vera, almeno apparente. Sperò che un sistema di dolcezza avrebbe strappato dal suo labbro quelle concessioni, che la violenza non aveva ottenute, e di tutti i mezzi si valse; dei quali poteva disporre. Tanta sagacia, tante arti prevalsero finalmente. Quando i prelati francesi si avvidero che il papa opponea debole resistenza ai loro assalti, alle loro noiose insistenze cessarono dal tormentarlo, [p. 54 modifica]per serbare all'imperatore la gloria di conchiudere il trattato fra la santa sede e la Francia. La sera del diecinove gennaro mille ottocento tredici, lasciata improvvisamente Parigi, Napoleone e Maria Luigia giunsero a Fontainebleau. Ritiraronsi modestamente i cardinali e i vescovi, che stavano alla presenza del papa, quando il potente signor della Francia entrò nella stanza e lo abbracciò e lo baciò con la tenerezza e la cordialità di un amico. Stupiva a questi atti insoliti di amorevolezza Pio VII, che nella inesauribile bontà del suo cuore le lunghe angoscie, le patite ingiurie non a Napoleone, ma all’ire inique ascrivea della polizia francese, inesorabile nel sospetto, nelle cautele spietata. Corrispose il papa amorevolmente alle dimostrazicni dell'imperatore, dappoichè mal potea nello stato di debolezza in cui era, presagir quello, che voleasi da lui. E dicasi pure: Pio amava Napoleone, e a fronte delle angustie sostenute avea sempre valutati i militari talenti, e alcune buone qualità dell’imperatore, e quegli amplessi, e quel bacio ricordò sempre con compiacenza. Non si parlò quella sera di concordato: la conversazione non ebbe interesse, dappoichè alle conferenze, agli assalti i di seguenti erano destinati.

V. E il giorno venne. Stavano l'un l'altro in atteggiamento diverso, e con l'animo agitato da cure opposte e da speranze contrarie fra loro, Napoleone e Pio VII. L'uno nel vigor della età, superbo per la grandezza dell'impero e del nome, ma mal sicuro pei nuovi casi di guerra: l'altro estenuato dal peso dei mali sofferti, dai dubbi dell'avvenire, ma sicuro in Dio. Paterne, amorevoli erano le parole del papa, ma la dolcezza, non iscemava l’autorità: aspre e crudeli suonavano le rampogne dell’imperatore, ma per queste non si sgomentava il buon vecchio. Avvezzo all'impero assoluto, spiaceva a Napoleone la resistenza opposta da Pio e concitato, e sdegnoso andava misurando a grandi passi la sala, e sollevando la voce, battea con la mano sopra lo scrittoio: della vivacità dell’alterco non solo la stanza abitata dal papa, ma risuonavano le sale vicine. Molto si scrisse in Italia, [p. 55 modifica]moltissimo in Francia di questo colloquio. Narravasi, che nell’impeto dell’ira, trascorse Napoleone ad atti indegni di sua grandezza2, ma nol consente il rispetto, e non lo conferma la storia, dappoichè: a Pio VII, tornato al governo della chiesa e dei suoi stati, domandavasi in Roma se doveasi prestar fede alla fama, che narrò il fatto, e Pio dichiarò mendace quel grido. Ma se Napoleone non trascorse a fatti iniqui, non risparmiò a parole e ad insulti: prese un tuono autorevole con l'augusto suo prigioniero, e osò chiamare il padre dei credenti uomo non abbastanza versato nella scienza dei canoni. Non rispose Pio all'insulto dell’uomo di guerra e nella mansuetudine del suo carattere, calmatevi, dissegli, con accento amorevole, calmatevi, o sire. Libero in Roma, prigioniero in Savona, ospite a Fontainebleau sento il dovere di porre in opra ogni mezzo per serbare illesa l'unità della chiesa, l'indipendenza della santa sede. Sono nelle vostre mani, fate di me ciò che vi aggrada, mi troverete voi irremovibile nell'adempimento dei miei doveri. L'apostolica semplicità, la fortezza. d'animo mostrata dal papa scossero Napoleone, che nell’altontanarsi da lui, eragli largo di encomî, e non dubitava dirgli, che nel suo caso non avrebbe egli diversamente operato. Lontano però dal rinunciare ai suoi propositi, abbandonava ad altri il grave incarico di combattere la costanza di Pio.

VI. E non mancarongli abili ed energici negoziatori, che avendo assicurato il loro appoggio al governo, spiavano il momento opportuno a serbar la promessa. Vinsero le insistenze. Quello che l'animo generoso del pontefice avea [p. 56 modifica]tanto tempo negato alle minaccie e alla potenza del più grande dei Cesari, accordò alle arti noiose dei diplomatici francesi, alle preghiere, ai consigli dei cardinali Doria, Dugnani, Ruffo, De Bayane, che uniti all'arcivescovo Bertazzoli, uomo di cuore eccellente, ma di animo timido, che per amore di pace aveano assunto l'ufficio di mediatori. Esagerando essi i pericoli di uno scisma, che poteva verificarsi, annunciando le nuove persecuzioni, che dovevano temersi, studiavansi di persuaderlo a far cessare i deplorabili mali, ond'era agitata la chiesa, a schiudere le prigioni di stato, ove cardinali, vescovi, ecclesiastici e laici devoti alla santa sede, erano sostenuti. Sventura, che in quell’angustia una voce amica, un generoso consiglio non rinfrancò il coraggio del pontefice combattuto! Un cenno bastava, una parola per ridestare in quell'animo forte l’antica energla. I cardinali tacevano, piangea Bertazzoli tenerissimo amico di Pio nel vederlo in quell'alternativa penosa; i vescovi, cui era a cuore la conclusione del concordato stringevansi nelle spalle quasi per invitarlo alla rassegnazione. A Pio che in tanta concitazione di affetti ora all'uno ora all'altro volgeasi, dissero non esser quello un concordato fra la santa sede e la Francia, ma solo i preliminari a conchiuderlo: libere ad ambedue il modificare, l'escludere gli articoli, lo stabilirne dei nuovi: valido l'atto solo allora che fosse per le rattifiche confermato. L'animo titubante del papa.sperò consiglio dal tempo, dal parere dei cardinali, dei quali si prometteva il ritorno, infine dalla generosità imperiale. Napoleone, che stavasi anziosamente guardandolo e sulle venerande sembianze del pontefice potea per certi segni legger la lotta, che questi sostenea con se stesso, dubitava. Il cardinale Giuseppe Doria, mentre presentavagli la penna per sottoscrivere, a rinfrancarne il coraggio, prometteagli che quell'atto sarebbe tenuto segreto finchè tutti i cardinali, dal pontefice consultati, non avessero dato il loro assenso al trattato. Pio VII senza il voto del cuore: Napoleone contento dell’avere in qualche modo espugnata tanta costanza, sottoscrissero il foglio malaugurato il dì venticinque gennaro mille [p. 57 modifica]ottocento tredici. Esso, che non ebbe mai forza di legge, rimarrà storico documento di un vero abuso di forza esercitato da principe secolare a danno del gerarca di santa chiesa. Non tardò il papa ad avvedersi, avere quell'atto una gran parte offuscata della gloria da lui con tante sofferenze acquistata, avvisò energicamente al riparo, e l'ottenne grande e solenne qual si dovea da pontefice magnanimo e virtuoso3. L'umiltà eroica, da lui dimostrata, i segni del suo pentimento tali e così intensi si giudicarono da muovere per questo atto solo al pianto i cardinali, che verso il capo augusto della chiesa raddoppiarono i sentimenti di venerazione e di affetto4.

VII. Immediatamente lettere del ministro dei culti corsero il vasto impero per restituire alla libertà quanti erano cardinali o esiliati o sostenuti nelle prigioni di stato. Temeasi il ritorno di Pacca e di Pietro da Napoleone giudicati nemici: ma la parola era data e le prigioni di Vincennes e di Fenestrelle si aprirono d'ordine imperiale. Per illudere la Francia e l'Europa era interesse napoleonico il dare ogni notorietà possibile all'atto segnato a Fontainebleau, che dovea tenersi segreto: Questo silenzio assicurato dai cardinali e dai vescovi, da Napoleone promesso, sperato dal papa, fu rotto. Sul timore che il prossimo arrivo dei cardinali poteva provocare una ritrattazione, [p. 58 modifica]avrebbe troncati i vasti disegni, che eransi concepiti, venne in modo solenne annunciato al corpo legislativo dall’arcicancelliere Cambacérès, e al popolo parigino dal trarre delle artiglierie e da altri segni di pubblica gioia. Il monitore francese diede nome di concordato ad un atto, che sebbene facea cessare in parte lo stato di violenza, in cui era il pontefice, e il sacro collegio, pure e per il modo con cui fu redatto, e per le conferme invano desiderate non può esser considerato che come preliminare di quello. I giornali pubblici a proprio modo quelli articoli commentando, dissero concordi fra loro il sacerdozio e l'impero: in tutte le chiese di Francia e d'Italia per imperiale comando si cantò solenne Te deum. Ricchi doni inviaronsi a coloro, che presero parle a quell'atto memorando e fatale. Dichiarati ufficiali della legione d'onore i cardinali Doria e Ruffo, cavaliere della corona ferrea il prelato Bertazzoli, ebbero essi una scatola d'oro in brillanti col ritratto di Napoleone: un anello fu dato al prete cappellano di Doria, che avea copiato gli articoli: danari ai familiari del papa distribuironsi. Ad onta della jattanza e dei dispacci imperiali, con cui annunciavasi la gran novella, e del trionfo vantato da quanti erano ligi al governo, due terzi della Francia e dell'Italia ostinatamente negarono i tristi fatti di Fontainebleau, dissero tradito il papa, menzognero il grido, che annunciò: quel trattato tanto al mondo sembrava impossibile l’abbattere anche per poco la costanza del magnanimo Pio.

VIII. Erasi appena Napoleone allontanato dall’imperiale castello, tutto lieto della sua effimera vittoria quando il papa ritornando sulle fatte concessioni cadde in una profonda malinconia, e intese i primi sintomi di una febre, che prostrò interamente le forze, che l’andavano abbandonando. Bastò l’arrivo del cardinal di Pietro seguito da Litta, e da Gabrielli, perchè il papa prendesse seriamente a meditare sulle conseguenze sinistre, che potevano derivare dall'aver posta la sottoscrizione ad un atto, che doveva esser base di trattato definitivo. Tanto fu intenso il dolore, e l'amarezza del cuor suo d'astenersi più [p. 59 modifica]giorni dal celebrare la messa: ai cardinali, ai vescovi francesi domiciliati nel castello non dubitò svelarne la causa. I consigli di dotto e pio porporato lo indussero ad accostarsi di nuovo all'altare. Tormentato dalla idea di aver potuto con quell’atto scandalizzare il mondo andava seco stesso pensando al riparo, vi pensavano i cardinali, quando Pacca e Consalvi, che avevano affrettato il viaggio per trovarsi al fianco del santo padre, l'uno dopo l’altro nel giorno istesso giunsero a Fontainebleau. Parve per la loro presenza anziosamente desiderata, che l'animo addolorato del papa si sollevasse in qualche modo dallo stato di oppressione, in cui era. L'uno gli fu compagno di prigionia nel Quirinale: nudriva per l'altro particolare sentimento di affetto. Si rialzarono le speranze: il castello su cui regnava dapprima una solitudine, un silenzio profondo, ed una mestizia che piombava nel cuore si rianimò per la presenza dei porporati, che nel vederlo pallido in volto, incurvato sotto il peso degli anni, solleciti e affettuosi avvicinaronsi ad esso, e gli furono larghi di assistenza e di ajuto. Si permise al pontefice di chiamare presso di se i cardinali, nei quali riponea maggior confidenza, e la scelta cadde su Mattei decano del sacro collegio, della Somaglia; di Pietro, Gabrielli oltre Consalvi e Pacca, che già avevano stanza nel castello di Fontainebleau5. Spiacque la deferenza, ma fu obbliata dalla virtù dei cardinali ben lontani dal portare per questo atto di parzialità nuove amarezze al cuore del santo padre addolorato abbastanza da quanto era avvenuto. Si seppe per la Francia, che le porte dell'imperiale castello erano aperte a quanti voleano visitare il padre dei credenti, e persone di ogni condizione non solo vennero da Parigi; ma intrapresero lunghi pellegrinaggi per assistere alla messa da lui celebrata, baciargli i piedi e ammirar da vicino l'uomo; a cui erano [p. 60 modifica]rivolti gli sguardi di tutto il mondo cattolico, che ne lodava lo zelo apostolico, la fermezza del carattere, e l'umiltà singolare, per ricevere di sua mano il pane eucaristico. Tanto bastò per rianimare nel cuore dei francesi la fede. Fra le persone, che visitarono il papa ricordiamo i vescovi della Francia e dell'Italia chiamati da Napoleone a Parigi per trattare della esecuzione del concordato: prelati delle chiese francesi erano gli arcivescovi di Besanzone, e di Bourges, il vescovo di Avignone: prelati delle chiese d'Italia, della Torre arcivescovo di Torino, Bonsignori vescovo di Faenza da Napoleone nominato patriarca di Venezia; d'Osmond, e Beaumont, l'uno eletto arcivescovo di Firenze l'altro destinato alla sede arcivescovile di Bourges: era con questi Doria vescovo di Albenga, e Selvi vescovo di Grosseto in Toscana: ultimo stavasi un tal prete parroco di Anversa designato alla sede vescovile di Boisle Due nel Brabande olandese. Aveano dessi più o meno offesa la Santa Sede, aveali il papa con i brevi diretti ai vicari capitolari di quelle Diocesi condannati severamente. Ad onta di tutto questo vollero presentarglisi, e osarono farsi annunciare con un titolo, che avea il Santo Padre ad essi costantemente negato. La sua clemenza li accolse così, che parve immemore dell’offesa, che avea ricevuta e dello scandalo, che la loro disubbidienza avea provocato non suonò sul suo labbro un rimprovero, non mostrò con la severità dello sguardo, ch'era sdegnato; disse loro parole di carità. Essi ne menarono vanto: parteciparono agli aderenti, agli amici non avere il papa disapprovata la loro condotta, averli anzi accolti con tenerezza paterna. Sedotti dall'ambizione non videro, che al santo padre debole, infermo, con la mente fissa nel fatal concordato, del quale avea sottoscritti i preliminari, che servir dovevano di base, mancò quella energìa di cui tante e luminose prove avea date.

IX. Alla corte devota al pontefice era dalla sagacia napoleonica aggiunta una schiera di persone ligie alla imperiale potenza. Più influenti fra questi erano i vescovi di Treveri, di Nantes, di Evreux che assumevano l’incarico [p. 61 modifica]di onorare in apparenza il romano gerarca e di spiare in segreto e riferire del papa e dei cardinali non che le parole, i pensieri. Stavasi in Fontainebleau governatore del palazzo il generale conte di san Sulpizio, e quel colonnello Lagorse, che noi vedemmo carceriere in Savona, scorta del papa nel precipitoso viaggio intrapreso nel cuor dell'inverno, quindi custode del bersagliato pontefice in quella imperiale residenza. Pacca e Consalvi andati a Parigi per inchinarsi all'uomo fatale, per virtù d'armi, e per somma potenza: temuto in tutta l'Europa, erano tornati presso al papa, quando l'arcivescovo Bertazzoli presentò ai cardinali, che chiameremo palatini, e a quelli, che dimoravano nella città copia del concordato e del biglietto a lui scritto la sera istessa, in cui appose la firma agli articoli, che doveano a suo tempo rattificarsi6. Ingiungeva il papa ai cardinali di scrivere il loro parere intorno a quell’atto, di proporre le misure, e di suggerire gli espedienti, che nella loro prudenza giudicavano efficaci a rimuovere le conseguenze, che potevano temersi. Breve era il tempo accordato alla interessante redazione del foglio, indeclinabile il dovere di consegnarlo in proprie mani al pontefice.

X. Difficile ed imponente deve credersi la condizione, in cui trovavasi il sacro collegio per la domanda del papa. Potea con voto favorevole ledere i diritti della santa sede, e compromettere la dignità del supremo pastore in faccia al mondo cattolico: un voto contrario potea chiamare sull'inerme pontefice l'imperiale vendetta. Non doveva impugnarsi la esistenza di un alto sottoscritto dal capo della chiesa e dall'imperatore dei francesi: non [p. 62 modifica]doveano concedersi alla secolare autorità privilegi e prerogative, che tutta manomettevano la ecclesiastica disciplina. Arduo era il cimento, qualunque fosse la risoluzione rischiosa. Stavansi i cardinali lontani da Roma, ove i documenti, le memorie serbate nei nostri pubblici e privati archivi offrono sempre ricca messe agli studi, spesso la occasione di decidere sull'appoggio di vecchi esempi. Non era dato ad essi il giovarsi del consiglio dei teologi, dei canonisti, dei consultori delle congregazioni romane quà e là dispersi dal turbine politico, ch'era passato su Roma e avea tutti gli ordini sconvolti di quella organizzazione mirabile, per la quale il clero e gli ordini monastici portano tutti alla santa sede il tributo della loro dottrina: edificio sublime, che Napoleone istesso non dubitò di chiamare il capo d'opera della prudenza. Sorvegliati, temuti era impossibile ad essi o almeno pericoloso l'adunarsi, e il discuter fra loro, perchè nell'animo dei ministri dell'imperatore avrebbero suscitata l'idea di una congregazione cardinalizia che dovea assolutamente evitarsi. Avvisarono pertanto ai mezzi di consultarsi a vicenda senza destane nell'animo di quelli, che esercitavano severa sorveglianza su loro, la diffidenza e il sospetto Ora al passeggio, or nelle stanze del cardinal Pignatelli, che giacea infermo incontravansi, proponevano dubbi, deliberavano Videsi il sacro collegio diviso in varie sentenze. Agli uni parea, ed eran questi i più timidi, doversi migliorare le condizioni del trattato, aggiungere ad esso qualche articolo favorevole alla santa sede: ad ottenerlo proponevano la discussione con i deputati dell'imperatore. Voleano gli altri, e questi erano i più animosi, ritrattazione pronta, energica, generale: questo diceano unico riparo allo scandalo dato al mondo cattolico, unico mezzo per rimovere i gravi mali, che gli articoli del concordato poteano recare alla chiesa A sostegno della loro opinione adducevano essi l'esempio di Pasquale II, che avendo ceduto alle violenze di Enrico V non dubitò nel concilio lateranense da lui ordinato, confessare il suo fallo, e ritrattare con cristiana franchezza quelle concessioni, che una sacrilega violenza [p. 63 modifica]aveagli strappate dal labbro. Dalla discussione di queste due opinioni una terza ne scorse sostenuta da Roverella, da Doria e da Monsignor Bertazzoli. Essi accostandosi al parere di quelli, che gli articoli del concordato dichiararono contrari alla ecclesiastica disciplina, dannosi ai diritti della santa sede, ingiuriosi al pontefice, proponevano riaprire le trattative, non per venirne a capo, ma per attender consiglio dalle circostanze e dal tempo. Agevole, dicevano essi, il troncare le conferenze, facile il trovare pretesti per annullare quell'atto solenne di cui vedevano andare Napoleone. più superbo che delle vinte battaglie. La loro opinione non prevalse si perchè giudicata poco leale e indecoroso al loro sacro carattere il dimenticare che, conseguenza immediata di quell’atto, alcuni fra essi erano liberi usciti dal carcere, molti richiamati dal lungo esilio, tutti vicini al papa. Alla prudenza dei padri parve impossibile l’ottenere, che i plenipotenziari dell'imperatore volessero pure una volta portare ad esame basi fondamentali discusse, stabilite, sanzionate dalla sottoscrizione dell’imperatore e del papa. Parlò energicamente Pacca, parlò con coraggio e con eloquenza meravigliosa Consalvi. Uomini generosi, che aveano resi eminenti servigi al pontefice, dimostrarono, che le clausule volute dagli uni non avrebbero mai corretti articoli essenzialmente contrari alla disciplina della chiesa, e al decoro della sarita sede. Provarono ad evidenza non ammissibile la opinione dei pochi che cercavano consiglio dal tempo: avvenga che non era isfuggito alla loro intelligenza, che questo andavasi migliorando, che Napoleone, abbattuto dai disastri di guerra, avea spiegato. un tuono meno severo, una volontà che cedeva all'impero delle circostanze: pur non piegavasi al partito di lasciar sussistere certi patti e tali condizioni, che nel progresso dell’età avrebbero facilmente creati imbarazzi alla santa sede. Imperocchè in qualunque controversia potesse in seguito verificarsi, egli è certo, che il trattato di Fontainebleau non contradetto, non annullato, reslavasi come un'arma in mano ai sovrani, che ricordando quello che dal papa erasi concesso all'imperatore, [p. 64 modifica]avrebbero potuto in parità di circostanze abusar dell'esempio. I solidi argomenti dell'uno, la franca ed animata vivacità dell'altro, lo zelo di cui avevano ambedue date nobili prove nell'adempimento dei propri doveri, in fine le traccie delle patite sventure, che manifeste leggevasi sul loro volto trianfarono delle incerte sentenze. Le discordanti opinioni dei cardinali si fusero in una sola: la ritrattazione, pura, semplice e coraggiosa: questa si volle e a conseguirla si adoperano tutti concordemente.

XI. Queste cose i cardinali aveano deciso fra loro: restavano a discutersi i modi di rivocare con atto pubblico ed efficace quanto incautamente era stato promesso: chè non voleasi per umano rispetto mancare ai propri giuramenti, al volere di Pio, alla dignità della santa sede. Il cardinal Consalvi, che più di ogni altro conoscea da vicino le virtù modeste del pontefice, assunse l'incarico di pariargli. Parea duro suggerimento quello, che lo consigliava a ritrattare in faccia al mondo cattolico ciò che avea pochi dì innanzi accordato all'imperatore. Ma Pio si mostrò grande qual’era; intese la voce amica che ridestava nel suo animo l'antico coraggio, e più che rassegnato, contento si dispose con santa gioia a subire le conseguenze di un passo incauto, che avea compromessa la sua dignità, il bene della chiesa, la tranquillità di Roma e del mondo cattolico Vedean bene i cardinali e vedea il papa che questa risoluzione avrebbe sicuramente irritato Napoleone: temevano essi, che la prima manifestazione dello sdegno imperiale avrebbe nel suo impeto disperso il sacro collegio, rinnovate le antiche violenze: si atterrivano nel pensare, che se in mezzo a tante contradizioni e in quelle spaventevoli circostanze veniva a mancare il pontefice sarebbe stato difficile l'adunarsi in conclave per dare a Pio VII un successore. Animati però dalla parola di Dio, che ba promesso la sua assistenza alla chiesa; memori dei prodigi operati dalla provvidenza allorchè sul principio del secolo convennero i cardinali in Venezia per procedere alla elezione del nuovo universale pastore, andavano fra loro escogitando i modi, che doveano adottarsi [p. 65 modifica]nel compiere questo grande atto d'interesse religioso. Voleasi sulle prime, che un foglio sottoscritto dal papa dichiarasse nulli e di nessun valore gli articoli del concordato, che questa risoluzione fosse manifestata a voce al sacro collegio, al pubblico per note scritte. Non prevalse questo consiglio, dappoichè i padri dissero, che alla lealtà, alla buona fede, la quale deve primeggiare in tatti i rapporti che la santa sede ha con i sovrani cattolici, mal conveniva, senza addurre le cause, senza avviso preventivo, revocare, condannare un atto che per le apposte sottoscrizioni, avea tutte le apparenze di convenzione già stabilita fra il capo della chiesa e l'imperatore dei francesi. Si parlò di una lettera, che il papa poteva scrivere a Napoleone, e questa parve riparazione meno clamorosa e più certa. Alle osservazioni dei cardinali Pignatelli napolitano e Saluzzo piemontese, che l’imperatore ferito nell'amor proprio, contradetto nei suoi progetti, raddoppiando la sorveglianza e il rigore, avrebbe della lettera e della ritrattazione taciuto, rispose il senno di Consalvi e di Litta, i quali proposero dovere il papa ai cardinali dimoranti a Fontainebleau partecipare la ritrattazione, leggere la lettera e imporre il dovere di far noto, o tosto o tardi, al mondo cattolico il grande atto operato da Pio. Così, dicevano i padri, può il papa compiere il suo dovere, senza mancare ai riguardi dovuti all’imperatore. Fermi i consigli, si discussero i modi di porli in opera. Consalvi, a cui dai colleghi era confidato il peso di esplorare l'animo del pontefice e disporlo alla revoca, dubitava: ma il papa udito appena che il bene della chiesa, l'onore del pontificato supremo, il voto unanime dei cardinali consultati a tant'uopo domandavano a lui questo sacrificio, facendo tacere nel cuore ogni sentimento di amor proprio, anzi che mostrarsi turbato per il partito imposto dalla prudenza, accolse con gioia il consiglio e ringraziò l'amico cardinale, che parlavagli a nome dei suoi. colleghi. Tanta forza ebbe la virtù in quell’animo da farlo superiore ad ogni umano riguardo quando si dispose a compiere con coraggio quella

Giucci. Vita di Pio VII. — II [p. 66 modifica]ritrattazione giusta necessaria, ma dolorosa. Operando in tal guisa mostrò chiaramente Pio VII esser privilegio delle anime virtuose sorger più grandi della loro istessa caduta.

XII. Doveasi, e ciò era ben arduo, adottare un temperamento , che assicurando l'esito, urtasse meno le suscettibilità napoleoniche: doveasi, per quanto il comportava l'ira dei tempi, salvare il sacro collegio dalla collera imperiale, il cui scoppio prevedevasi formidabile: doveasi, e questo massimamente era in cuore ai cardinali e al pontefice, annullare in modo autentico un atto, il quale col volgere dei tempi potea addursi ad esempio in pregiudizio della sede apostolica. Bello e prudente era il divisamento proposto di scrivere direttamente a Napoleone: avrebbe un atto pubblico ferito in modo sensibile l’orgoglio dell'imperatore che, immemore delle promesse, per solenne ambasciata al senato, per le stampe e segni di molt'allegrezza avea annunciato a tutto l'impero, l'unico e breve trionfo da lui ottenuto sul venerando pontefice. Grandi furono le cautele adoperate nel regolare questo imponente bisogno: minutò la lettera, la lesse ai cardinali, che il visitavano, prese quindi a trascriverla di suo pugno. Ora per timore di esser sorpreso interrompeva il lavoro, ora per soverchia stanchezza. Vedeasi circondato da custodi, che sotto le viste di mostrarsi ossequenti, lo sorvegliavano: sapea che una mano indiscreta apriva gli armadi: che agenti segreti andavano esaminando le carte lasciate su i tavolini nel momento, in cui o celebrava, o ascoltava la messa dell'arcivescovo Bertazzoli: vedeasi per chiari indizî, che la sorveglianza era divenuta più noiosa, e più assidua dopo il ritorno dei cardinali. Era mestieri pertanto contraporre arte ad arte, e il fece egli con quell'avvedutezza che può essere ispirata soltanto dal desiderio di compiere un santo dovere. Al sopragiungere della sera i cardinali a vicenda assumevano la cura pericolosa di portar seco loro la minuta e la lettera per [p. 67 modifica]riconsegnarla al papa il dì susseguente7. Questi allora riprendeva il travaglio, e poichè l'angoscia dell'animo, la debolezza fisica, da cui era oppresso fecegli talvolta omettere qualche parola e più spesso imbrattare lo scritto, videsi sovente obbligato a lacerare il foglio e riprendere con pazienza il lavoro. Fra questi imbarazzi fu compiuta la lettera il giorno ventiquattro marzo mille ottocento tredici, e il papa, che volentieri l'avrebbe con sua allocuzione partecipata ai cardinali, dovè limitarsi a chiamare il colonnello Lagorse per affidare al soldato l’incarico di presentarla all'imperatore. Muovea questi per Parigi quando Pio VII, invitati ad uno ad uno in udienza segreta i cardinali, diede loro a leggere l'allocuzione e la lettera. E poichè ebbe compiuto con umiltà eroica questo santo dovere, le sue sembianze, alterate dal dolore, tornarono a rianimarsi, appetì il cibo, passò notti tranquille, convinto com'era di avere con risoluzione magnanima posto saldo riparo a quei mali, cui videsi esposta la chiesa. Con questa lettera, per la quale il papa con coraggio apostolico trionfò di se stesso o dei nemici della santa sede, confessa l'errore commesso nel sottoscrivere gli articoli, che doveano esser base di definitivo trattato: parla del suo rimorso, del suo pentimento, lamentasi della pubblicazione data ad un atto [p. 68 modifica]non ancora sottoposto al consiglio dei cardinali, non ancora rattificato. Valendosi dell'esempio di Pasquale II, che pentito di una concessione fatta ad Enrico V non dubitò ritrattaria come irrita e nulla; dichiara che alcuni articoli debbono modificarsi, alcuni sono intrinsecamente contrari allo spirito della chiesa, e perciò ineseguibili sotto ogni rapporto: quindi animosamente li rifiuta, quinci per la conclusione di un solido accomodamento all'imperatore con soavi, ma energiche parole fervorosamente si raccomanda.

XIII. Giunse la lettera al suo destino: Napoleone partecipando l'accaduto al consiglio di stato, nell'impeto della collera chiamò il papa prete ostinato, quindi, abbandonandosi ad un fiero risentimento, aggiunse doversi omai disperare degli accordi se non facea saltar la testa a qualche prete di Fontainebleau, intendea i cardinali8. Queste le voci moventi da Parigi; più sinistre quelle ripetute sommessamente nelle sale del castello, sussurrate all’orecchio dei familiari. Giunsero esse a destare lo spavento nell’animo del papa e dei porporati che, udite le minacce, più del bene della sede apostolica, che di loro solleciti si dimostrarono. Mentre la prudenza del sacro collegio avvisava al riparo dei mali, che doveano prevedersi, a Parigi varie sentenze agitavansi nel consiglio di stato per paralizzare gli effetti della ritrattazione del papa. Osava perverso consigliere ricordare l'esempio di Arrigo VII per invitarlo a dichiararsi capo della religione nei suoi domini. Rigettata l’iniqua proposta dal buon senso dell’imperatore9, prevalse lo scaltro partito di tener segreta la lettera, che comprometteva tanta parte d'interessi e di speranze napoleoniche. Scrittori ligi alla imperiale potenza i vantaggi enumeravano che doveano attendersi da questo atto, che il deputato De Pard [p. 69 modifica]chiamava l’opera la più luminosa del senno napoleonico. Solo i buoni piansero in segreto nel vedere come abusavasi del papa prigioniero e ingannato, del quale si sopprimevano le voci e i voleri si conculcavano. Lo strepito con cui i francesi annunciarono in Roma la seguita concordia fra Pio VII e Napoleone rese cauti i romani, che non vollero prestar fede all'annunzio e il dissero o esagerato o impossibile.

XIV. Primo a subire le conseguenze di un atto, che onorò tanto Pio VII e provocò tanto sdegno fu il cardinal di Pietro. Sapeasi in corte, che posto appena in libertà, avea questi raggiunto il pontefice, e primo fra i suoi colleghi aveagli i propri sentimenti sugli articoli del concordato liberamente manifestati: il dolore e il pentimento di Pio fu creduto effetto dei suoi consigli, e si volle tener lontano dal papa un uomo d'indomato coraggio e di profonda dottrina10. Destato la notte del cinque aprile da un commesso di polizia, senza alcuna insegna di sua dignità, senza veder pur uno dei suoi colleghi, stretto dalla violenza, lasciò il castello. Questa vittima del sospetto viaggiava per Oxorre quando di buon mattimo presentavasi Lagorse colonnello per partecipare ai cardinali, e in special modo a Consalvi e a Pacca, che quel loro collega andava rilegato in una città della Francia, perchè scoperto nemico e perturbatore dello stato: che l’imperatore era con essi irritato, perchè lasciavano nella inazione il pontefice: quindi, vedi coerenza, vietavasi loro di parlar di affari al papa, di tener corrispondenza in Francia e in Italia, se pur non volevano la propria libertà compromettere. Più o meno animose furono le risposte, che s'ebbe il gendarme dai cardinali, ma tutte improntate di quello spirito, che non si arresta innanzi al pericolo, ove trattasi di compiere un sacro dovere. [p. 70 modifica]Due decreti corsero per l'impero: il primo, che al concordato di Fontainebleau dava forza di legge: l'altro, che ne comandava l'osservanza agli arcivescovi, ai vescovi, ai capitoli della Francia e dell'Italia. L'imperatore, fatto cauto dagli eventi di guerra e dalla lettera di Pio, non osò chiedergli la esecuzione del concordato, e fu ventura, dappoichè bastava questa domanda per mettere il pontefice nel duro bivio o di dare la istituzione canonica ai vescovi dall'imperatore proposti, o di vedere sotto i suoi occhi medesimi nelle chiese della Francia e dell'Italia suscitato uno scisma. La esecuzione di tanto progetto rimandava a guerra vinta: gli eventi si opposero al desiderio e pochi mesi bastarono a distruggere il sogno di una monarchia universale e le conquiste di venti anni. Intanto nell’imperiale castello gli ordini e le prammatiche adottate interamente si variarono: un mal celato dispetto leggevasi sul volto di quanti erano custodi e carcerieri di Pio. Riprese la via di Parigi il conte di san Sulpizio generale e sopraintendente del palazzo. Davasi a pochi facoltà di vedere il papa: chi avvicinavalo, divenuto prigioniero di stato, non doveva uscir più dal castello. In corte infinite cautele adoperavansi, perchè la ritrattazione del pontefice fosse a tutti nascosta. Non si parlò della lettera, non del dolore e del pentimento di Pio: solo per atti sdegnosi videsi che la magnanima risoluzione del papa avea sconcertati grandi disegni. Le sevizie, i rigori che segnalarono la prigionia di Savona, vidersi tutti adottati, duplicati in Fontainebleau. Si volle domata la pazienza col rigore, la resistenza con le minacce: si giunse a sperare che la miseria avrebbe atterrito il pontefice e i cardinali, ma invano: che l'uno mostrossi fermo sostenitore dei diritti della santa sede, gli altri formarono un muro di bronzo intorno al pontefice, così che la storia può dire, che tutti contribuirono dal canto loro a render nulla ed inefficace quella larva di concordato. L' ira provocò la vendetta, questa non ebbe più modi, dacchè videsi impossibile l'espugnare tanta costanza. Agli abitanti della città, ai forestieri che domandavano di assistere alla [p. 71 modifica]messa celebrata dal papa e da monsignor Bertazzoli, e talvolta profittavano di questo incontro per baciargli il piede, fu negato l'ingresso. Si fece anche di più: la santità, la modestia del buon Pio VII non isfuggì all’atticismo francese che, a far mostra di bello spirito, ride delle cose più rispettabili e venerande, e tanto più volentieri acuisce l'ingegno quando trattasi di colpire chi ha conquistato la riverenza e l’amore altrui. Nel recarsi all'udienza del papa diceano i vescovi francesi, desiderosi di salire a qualsiasi prezzo in grazia a chi regna « Andiamo a sentire le storielle di Tivoli, d'Imola e di Cesena. » Aggiungevano malignamente i carcerieri essere il papa indifferente a qualunque bisogno , rifiutarsi persino dall’andare a diporto fuori di castello: diceano, che il capo della cristianità non chiedea libri alla imperiale biblioteca: che attendeva a certe bisogna di rattoppi di vesti, che meglio ai servi, che alla maestà del pontefice convenivano. Ignoravano costoro volere il papa con questi atti umili e lacrimevoli mostrare al mondo cattolico starsi il pontefice massimo, padre dei fedeli, prigioniero in mano ai nemici, che cercavano opprimerlo, spaventarlo, lontano dai suoi più cari, che ne avrebbero interpretati non che i bisogni, i pensieri11. Non chiedea libri alla biblioteca dell’imperatore, ma domandavali al dotto abate Garnier, direttore di san Sulpizio, che inviava al castello le omelie di San Leone, il concilio di Trento, il diritto canonico di Pirrhing. E a noi pure piace ripetere la ragione tutta santa addotta da quel tenero amico di Pio VII che fu il cardinal Pacca, aver cioè il papa un crocifisso, ai piedi del quale, nella solitudine in cui aveanlo ridotto, attingeva ando il coraggio e la sapienza.

XV. Richiamati i vescovi a Parigi, solo i cardinali, e fu ventura, divisero fra loro il piacere di assistere e confortare il pontefice isolato da tutti. L'ufficio di [p. 72 modifica]sorvegliare i prigionieri e il castello era confidato a Lagorse. E a chi piacesse sapere quale fosse il carattere dell'uomo d'armi, che s'ebbe dal sire dei francesi l'incarico di vegliar custode di Pio e fece talvolta desiderare Radet, diremo che, nato a Brives, piccola città del Lemosino, fu religioso dottrinario sotto i Borboni, buon soldato nelia rivoluzione francese, sotto l'impero colonnello della gendarmeria, arma lodata, cui non perviensi in Francia, che per isquisite prove di onoratezza: civile ed urbano nel tratto, devoto a Napoleone sino all’entusiasmo, marito due volte per divorzio, mal celava l'astio suo verso i preti, dacchè vedeali confidenti in Dio e poco disposti a curvarsi innanzi al suo idolo. Le dure condizioni, a cui videsi ridotto il papa, l'incertezza degli avvenimenti, il fondato timore che potevano i cardinali esser confinati nelle province del vasto impero persuasero il santo padre a stabilire con una bolla le regole da osservarsi nei futuro conclave, ove alle tante calamità, che contristavano il mondo cattolico , quella dovesse aggiungersi di veder vedovata la chiesa. Non era sfuggito alla penetrazione del sacro collegio la strana idea manifestata da Bonaparte generale della repubblica nel sottoscrivere il trattato di Tolentino, aver la Francia delle mire sulla elezione del futuro pontefice: potea temersi, che Bonaparte imperatore avrebbe degli antichi re d'Italia, e degl'imperaratori bizantini le vecchie pretenzioni di nomina e di conferma rinnovellate. A facilitare la nuova elezione a varie disposizioni delle antiche costituzioni apostoliche derogavasi, e ai modi di render nulli gli sforzi dei temporanei interessi c la prepotenza degli uomini provvedevasi. Alla compilazione di queste leggi suggerite dalla prudenza, premurosa ed assidua opera prestarono i cardinali Consalvi, Pacca e Mattei. La bolla che dovea provvedere a tanto interesse e salvare la chiesa da supremo pericolo fu cautamente dal papa partecipata al sacro collegio. Dopo questo atto parve Pio rassegnato e tranquillo così che 1 rigori sempre duri, talvolta puerili contro lui adoperati non giunsero ad alterare l'amabilità del suo [p. 73 modifica]carattere, la soavità dei suoi modi. Venerato dai francesi, temuto dai napoleonidi, ammirato dai protestanti, rispettato dall’Europa visse prigioniero un anno e mezzo in quel castello, che ricorda tanta parte della istoria di Francia12 e non uscì mai dalle stanze ove, ad ore determinate, visitavanlo i cardinali commossi ed edificati alle pene durate da quel rispettabile e santo vegliardo. Anch’essi i principi di santa chiesa alloggiati in castello, o nelle case dei cittadini vissero vita rassegnata e modesta per non esporre il sovrano a nuove amarezze presso un governo sospettoso, che temea quella che egli chiamava politica dei preti italiani. Cauti i cardinali fuggivano la occasione di farsi vedere in città: affezionati al papa, visitavano ogni giorno il castello, talvolta, per non ispirar diffidenza, incontravansi presso Pignatelli di Napoli, e Scotti di Milano: |’uno per severità di carattere, l’altro per soavità di costumi commendevoli e cari ai colleghi. Convien dire che al sentimento di futura riscossa aprivasi il cuore di Pio, dappoichè leggo che negl’intimi colloqui avuti con Pacca, il papa parlò spesso della compagnia di Gesù con risoluzione tanto ferma, e con tale emozione di affetti da fare presentire a Fontainebleau quello che dovea in Roma verificarsi più tardi.

XVI. Mentre in un angolo della Francia [p. 74 modifica]tormentavasi l’inerme e mansueto pontefice io sguardo dell’Europa era rivolto a Napoleone, che con uno slancio meraviglioso e con immensi sacrifici, ristorate le perdite, riorganizzato l’esercito, disponevasi a nuova guerra. La Prussia stanca delle umiliazioni durate stavasi unita per desiderio di vendetta all’Inghilterra e alla Russia: accostavasi alla lega la Svezia, smaniosa anch'essa di scuotere il giogo dell'insopportabile signore e riacquistare le provincie con grave dolore sacrificate all'amicizia di Francia. E poichè la stagione correva propizia, e gli animi erano meravigliosamente concitati, si aprì la campagna. La battaglia di Lutzen guadagnata coi coscritti il due maggio mille ottocento tredici, rialzò le speranze napoleoniche. Perdea, è vero, i duchi d'Istria e del Friuli, Bessières, e Duroc, decimava la valorosa legione italiana capitanata da Pieri, ma rialzava il coraggio del grande esercito, e abbattea le speranze e i progetti delle potenze alleate. Un paggio spedito dalla corte recava a Fontainebleau lettera di Maria Luigia per partecipare al papa la vittoria ottenuta sugli alleati. A questo atto che in apparenza cortese veniva a ribadire le catene di Pio, dovevasi una risposta. Inteso il parere dei cardinali si deciso usar parole freddamente urbane per non mostrar compiacenza di un avvenimento che aggravava le condizioni del prigioniero. E poichè era a prevedersi che avrebbero i giornali dell'impero facilmente quella lettera pubblicata, vi s'innestò qualche lagnanza intorno all'arresto del cardinal di Pietro e alle sevizie di cui era egli la vittima. Tanto bastava a far cessare da una corrispondenza, che poteva assumere un carattere pericoloso. A quella prima battaglia guadagnata seguiva la vittoria di Boutzea, di Wurschen, la strage portata sull’Elba, la occupazione di Dresda. Tanta fortuna spaventò la coalizione. L'Austria, che meditava nuove alleanze, si offerse mediatrice fra le parti belligeranti: le imprese di guerra se non paralizzate farono interrotte da quelle della diplomazia, che conchiuse a Plesswitz un armistizio e scelse Praga per trattare della pace definitiva. Giovandosi l’imperatore dello [p. 75 modifica]sgomento concetto per gli ultimi fatti, stavasi fermo sulle pretese. Sicuri gli altri nel loro diritto e forti negli accordi segnati, voleano ristretta la potenza francese al Reno, alle Alpi, alla Mosa, voleano ristorate le potenze delle perdite sopportate, restituito a Roma il pontefice. Alla ambizione napoleonica parvero impossibili gli accordi proposti, dappoichè non voleva egli perder quello che avea conquistato e non voleva l’Europa sostenere più a lungo il suo giogo: inevitabile pertanto divenne la guerra. Ripensando dopo il volgere di un mezzo secolo agli avvenimenti, che si successero con rapidità spaventosa, dobbiamo confessare, che sul grand’uomo, il quale avea vinta la gloria di Cesare e emulata quella di Carlo magno, pesava la mano di Dio. Sapea egli Macdonald vinto in Slesia, Ney prostrato a Berlino, Vandamme sorpreso a Kulm: vedea l'inimico pronto a sboccare da tutte le parti: avea intesa la dichiarazione di Francesco I di agire contro quella potenza, che avrebbe ricusata la pace, eppure sotto il peso di tanta mole, osava disprezzare il consiglio dei suoi, senza vedere il malcontento cresciuto, stanca delle conquiste la Francia, pronta la confederazione renana ad abbattere la sua potenza, vicino il momento in cui le dinastie umiliate avrebbero rialzata la fronte13.

XVII. I rigori usati a Fontainebleau per nascondere al papa gli avvenimenti mondiali erano grandi, ma non tali da impedire ad una voce amica di penetrare nelle sale del castello per dirgli, starsi alle porte di Francia gran pressa di uomini e d'armi: essere omai tempo di far sentire ai plenipotenziari delle potenze raccolti a Praga, [p. 76 modifica]ch'egli padre dei fedeli gomea vittima della forza , che i bisogni della chiesa chiedeano il suo ritorno in Roma, che lo volea l'interesse e la pietà dei monarchi cattolici. Consalvi non era uomo da farsi sfuggire la occasione: scrisse Pio di suo pugno all’imperatore austriaco: il giovane conte Tommaso Bernetti di Fermo, quindi governatore di Roma, cardinale, segretario di stato, che stavasi a Fontainebleau a fianco dello zio cardinal Brancadoro, ebbe l'incarico di portare la lettera ad un cavaliere alemanno, Wandervek , alla santa sede sinceramente devoto. Vestito alla foggia di mercadante, recossi questi a Vienna e al nunzio pontificio monsignor Severoli consegnò la lettera del santo padre. Racchiudevasi in quella e la solenne protesta di non aver mai rinunciato ai domini temporali di santa chiesa, e la preghiera all’imperatore di ammettere al congresso di Praga un rappresentante del papa a difesa degli incontrastabili suoi diritti. Eseguì l’inviato con esattezza e fedeltà l'incarico ricevuto: consegnò la lettera, giunsero le risposte pel nunzio, ma tante cure non ebbero effetto, dappoichè i negoziatori delle potenze belligeranti, abbandonando le trattative, mostrarono aver troppo in cuore la guerra per rendere o difficile o impossibile ogni concordia. Aveano i diplomatici appena convenuto del modo, con cui doveasi trattar degli accordi, quando, pei cessati poteri, si ritirarono. Videro le potenze europee, che non era più tempo di rimanersene inoperose e si strinsero tutte in un patto. Napoleone alla dichiarazione di guerra fatta dall'Austria contrapose il decreto di nuova levata di duecento ottanta mila soldati14. Non è nostro intento discorrer le vicende della guerra terribile, la quale prostrò le forze dell’uomo che avea imposto il giogo all'Europa, bastandoci di ricordar quello che si annoda all’istoria dei patimenti e dei trionfi di Pio VII. Il fiore della gioventù francese ed italiana bagnò di sangue le nordiche pianure di Lipsia; l'imperatore che avea [p. 77 modifica]assistito a tante battaglie, che avea nel corso di venti anni trionfato dei suoi nemici, tremò in vedere i monti di cadaveri sacrificati al suo fasto. Nel calore del combattimento i soldati della Sassonia e del Wuttembergh passarono nelle file nemiche: Poniatowscki , dichiarato maresciallo di Francia, per atti di personale valore, perì nel tentare il guado della Mulda, che fra i suoi gorghi travolse gran parte dei combattenti, risparmiati dal ferro degli alleati: Napoleone istesso conservò a stento la vita pel valore dei prodi che lo circondarono e lo difesero a prezzo del proprio sangue. Anzioso di riparare ai disastri sofferti nella Germania e nella Spagna, egli che avea veduto staccata da lui la confederazione del Reno, l'Elvezia divenuta neutrale, cadute in mano alle potenze alleate le piazze dell’Oder, dell’Elba, della Vistola; che vedea in fine cadere a brani la sua potenza, era ritornato a Parigi il di nove novembre per ristorare le perdite, ordinava una leva di trecento mila uomini, formava quattro campi di riserva ad Utrecht, a Metz, a Bordeaux e a Torino: ma era tardi: i nemici minacciavano la frontiera.

XVIII. Pio VII nel silenzio della prigione, in mezzo alle fortune di guerra, che fremeagli d'intorno, pregava la pace, e per quanto eragli dato intendea al bene della chiesa. Amareggiato dalla condotta del cardinale Maury, che imprudentemente avea osato di offenderlo, non seppe contenere lo sdegno allorchè presentavasi a lui Guglielmo Augusto Jaubert, che nominato vescovo di saint Flour ad onta del pontificio divieto, come vicario eletto da quel capitolo amministrava quella diocesi. Usando di un accento, che male accordavasi con la sua abituale bontà dicevagli: chi siete voi? Alla risposta del prelato francese, e con qual diritto, prese a dirgli, governate voi quella diocesi? E possono, aggiungea sospirando, e possono trovarsi uomini di chiesa tanto ignoranti dei propri doveri da violare i canoni da noi ricordati nei brevi che abbiamo diretti a Parigi e a Firenze? E a lui, che non dubitava invocare a propria difesa le consuetudini e le pretensioni della chiesa di Francia rispondea altre [p. 78 modifica]gravi parole, dopo le quali il congedava dalla sua presenza. Iddio però che dagli affanni fa nascer sovente inaspettati conforti alle ingiurie sopportate da Pio offriva consolazione suprema il compianto di tutto il mondo cattolico. Andavasi in Francia ed in Italia destando la pubblica e privata pietà in modo, che non solo nelle case, ma nelle chiese pubblicamente pregavasi per la libertà e incolumità del pontefice massimo. Un invito a stampa liberamente diffuso per le sale della vecchia aristocrazia francese, invitava i signori ad una novendiale preghiera intimata per la festa di san Pietro in vincoli, e annunciavasi lindul:enza concessa in tale occasione dal papa. Per le indagini della polizia si seppe, che varie dame col mezzo del cardinal Pacca aveano questo favore implorato e ottenuto dal santo padre. Tacque il governo, perchè gli eventi sinistri di guerra aveano ammorbidite tante volontà inflessibili in lieta fortuna. Giunsero ciò non ostante lettere a Fontainebleau per consigliare il papa e i cardinali a procedere con maggiori cautele nell'accordare grazie spirituali ai fedeli. Avvicinavasi la pienezza dei tempi vaticinati da Pio. Audace Napoleone, sperando abbattere col valore e con l’arte le forze imponenti, che minacciavano di schiacciarlo, convocò il corpo legislativo per associarlo alla difesa comune, e chiese, ultimo sacrificio, una nuova leva per assicurare all'impero onorevoli condizioni di pace: ma quegli uomini sino allora ligi ed obbedienti a colui, che li aveva arricchiti, visto incalzarsi gli eventi, opposero resistenza alla volontà imperiale. Il momento era terribile; le armate, che stringevano la Francia al levante e al settentrione andavano guadagnando terreno: mormorava il popolo, desideravano i generali conservare gli onori e le fortune acquistate: a colmare la misura delle sciagure, accennava Murat di volere imitare la condotta di Bernadotte. Sapea bene Napoleone, che l’eroismo spagnolo avea sconcertata gran parte dei suoi orgogliosi disegni; che sovrani e popoli erano del pari scandalizzati dei mali, che pesavano sulla chiesa. [p. 79 modifica]Lusingare Ferdinando VII, secondare il voto unanime dei cattolici chiedenti la libertà di Pio VII era opera di prudenza. Vide con occhio linceo quanto era a farsi in quel grave pericolo e lo tentò con coraggio: se non raggiunse lo scopo può dirsi che non il genio, ma gli mancarono le forze. Sciolse in fatti il corpo legislativo: abbandonò alle mani di abili negoziatori la cura di pacificare la Spagna e riconciliarsi con Pio. L'assumere il supremo comando delle truppe, che aveva raggranellate giudicò opera degna di lui e il giorno venticinque gennaro mille ottocento quattordici lasciò Parigi e uscì in armi per opporsi all'oste austriaca e prussiana, che a danno della Francia minacciava d'invadere la Sciampagna.

XIX. Vari sorsero in tanta concitazione di affetti negoziatori di pace inviati da Napoleone a Fontainebleau. Prima presentavasi a Consalvi la marchesa Anna Brignole, dama di corte, italiana per nascita, francese per simpatie. Certo, che un sorriso di pietà avrà sfiorato il labbro di quell'insigne uomo di stato nel vedere a quale ambasciatrice fidavasi l’arduo incarico di trattare degli accordi fra l'impero e la chiesa. Diceagli: averla Tailleyrand di tanto messaggio pregata: che tutte le volontà erano determinate a vantaggio della santa sede; che un cardinale inviato a Parigi bastava a comporre in pace le differenze. Cortesemente rispondeva Consalvi farebbe al papa noto e il desiderio e l'inchiesta: tornasse: udrebbe le risposte di Pio. Innanzi ad esso adunaronsi i porporati: videro che le sorti napoleoniche declinavano: risposero doversi non a Parigi, ma a Roma trattar degli affari che interessano la chiesa. Mancata quella speranza si tentarono nuovi mezzi. Fallot de Beaumont vescovo di Piacenza, da Napoleone destinato alla sede metropolitana di Bourges, riceveva dagli imperiali ministri il mandato di recarsi al castello. Scopo alla visita era la riconciliazione fra 1 papa e l'imperatore: pretesto l'offrirgli omaggio per la evenienza del nuovo anno. Pio lo comprese e affabilmente risposegli non voler trattare [p. 80 modifica]degli accordi se non libero e indipendente: sa Dio, soggiungeva con voce sommessa, quante lacrime ho sparse pel preteso concordato, del quale porterò il dolore al sepolcro. Non sarà mai che io mi faccia ingannar nuovamente: lasciatemi morir degno dei mali che sopporto da tanto tempo. Il vescovo non ebbe cuore di prolungare le insistenze, baciò al santo padre la mano e riprese la via di Parigi. Audacemente presentavasi più tardi il cardinale Maury, ma il papa non che secondario, rifiutavasi pur dal vederlo. Questi atti umili, dopo tante iattanze, provano che volea il governo napoleonico rallentare la violenza verso l’ augusto prigioniero, ma non volea mostrarsi o debole, o intimidito dai casi di guerra che si succedevano, s'innalzavano con rapidità spaventosa. Sperò la politica dare alle condiscendenze imposte dagli eventi di guerra l'importanza di un'offerta generosa e spontanea. Convien credere che la resistenza opposta da Pio alle arti usate per vincerlo ispirasse serî timori al gabinetto francese, dacchè vediamo un colonnello dei gendarmi impegnato a ristabilir la concordia fra il pontefice e l'imperatore. Lagorse parlò a Pacca e a Consalvi, ma questi saviamente gli ricordarono avere egli stesso pochi dì innanzi proibito loro di trattare col papa di affari. Tornò allora il vescovo Beaumont a Fontainebleau per domandare nuova udienza, ch'eragli sulle prime nefata. Scriveva egli allora e l'arcivescovo Bertazzoli sottoponeva al pontefice il progetto del vescovo francese, in cui dichiaravasi che Napoleone offrivagli il ritorno in Roma e la restituzione delle provincie ultimamente aggiunte all'impero. Il papa, che finalmente degnavasi di riceverlo, quando il vide alla sua presenza, con quella dolcezza che non scema l'autorità, uscì in queste solenni parole: I dominî di san Pietro non sono una mia proprietà: appartengono essi alla chiesa. Dite al vostro imperatore, che se i miei peccati mi toglieranno di riveder Roma, vi tornerà il mio successore, malgrado gli sforzi del governo francese. Volea l'inviato assumere le difese di Napoleone e lodare la sua buona volontà. Io, soggiunse [p. 81 modifica]il papa: fido più negli alleati che in lui. Questa risposta, che i diplomatici diranno imprudente, produsse l'effetto del fulmine. Il vescovo sbalordito , paralizzato chiedevagli la spiegazione di ciò, che del resto era chiarissimo. Non conviene a me il darla, nè a voi l'udirla. Tornò due volte il prelato all’assalto, finchè vinto dalla costanza del santo padre, dissegli con parole sommesse, che sarebbe immantinente tornato a Roma; chè così voleva l'imperatore. Mi seguiranno i cardinali, aggiungeva il papa, ma rispondevagli Beaumond: vietarlo alta ragione di stato. Rassegnato il pontefice, se si vuole, disse, trattarmi da semplice religioso, non vi ha bisogno che di una vettura: che mi si appresti: anelo trovarmi in Roma per adempiere i doveri del mio pastoral ministero. L'imperatore sa bene, diceagli il prelato, quanto deve alla maestà del sommo gerarca: avrà scorta onorevole, assistenza di un colonnello. Sorrise amaramente Pio VII, e nel congedarlo conchiuse: non sarà almeno nella mia vettura! In tal modo l'imprudente Beaumond annunciava al supremo gerarca che la persecuzione avea raggiunto il suo termine, che Iddio avea finalmente esauditi i voti di tutto il morido cattolico15. Fra le parole pronunciate dal papa, dobbiamo ricordare quelle che un sentimento ineffabile di carità chiamavagli sulle labbra quando al vescovo che congedavasi disse: assicurate l'imperatore che non sono suo nemico: nol potrebbe permettere la religione, nol soffrirebbe il mio cuore. Io amo la Francia.

XX. La storia dolente della prigionia sopportata da [p. 82 modifica]Pio ha omai raggiunto il suo termine. Poche ore ancora: e vedremo l’augusto pontefice non più fra i custodi, che lo sorvegliano, ma in mezzo ai figli che lo rispettano e lo compensano con l'ossequio degli affanni eroicamente durati. Era di poco trascorso il meriggio quando tre carrozze, che movevano da Parigi, entrarono nel castello. Ai cardinali riuniti a tavola presentavasi più tardi Lagorse colonnello, che in aria di mistero volgea la parola a Mattei decano per dire a tutti, che un ordine imperiale ingiungevagli di ricondurre in Roma Pio VII. Pensarono i porporati che l' allontanare il papa da Fontainebleau fosse opera suggerita dalla prudenza, dappoichè l'esercito degli alleati avanzavasi a gran giornate. Parve al colonnello che esultassero i padri a quell’annuozio, per cui, mal celando il dispetto, aggiunse malignamente, che nulla eravi di nuovo per loro; che ove avessero usata prudenza e moderazione maggiore, potevansi gli accordi conchiudere con soddisfazione reciproca. Punto dal sarcasmo, sorse animoso Mattei e risposegli: la condotta del sacro collegio esser lontana dal meritare rimproveri di mancata prudenza. Portatori della lieta novella corsero intanto alcuni di loro nelle stanze del papa, e il pregarono di domandare che tre o due, e fosse pur uno dei cardinali, lo avessero accompagnato: volerlo, aggiungevano, l'amore del sacro collegio, la sua deteriorata salute, la dignità del pontefice. Il sole non era ancora al tramonto quando Lagorse, presentatosi al santo padre, diceagli, si disponesse al viaggio. Per dove, domandò il papa: per Roma, risposegli l'uomo d'armi. Pio VII fissò gli occhi su lui, quasi volesse leggere in essi il segreto della missione che avea ricevuta. Se ne avvide il colonnello, ed aggiunse: son questi, padre santo, gli ordini che ho ricevuti. A me non è dato penetrare i consigli di gabinetto per assicurare la santità vostra, che le disposizioni adottate non debbono variarsi. Domandò di aver seco qualche cardinale: gli si rispose non consentirlo il governo: compagni di viaggio avrebbesi l'arcivescovo Bertazzoli, il dottor Porta, Ilario Palmieri, Vincenzo Cotogni; medico l'uno, gli altri familiari del [p. 83 modifica]papa. Da quel momento a niuno fu dato l'avvicinare l’augusto prigioniero. Geloso esecutore della volontà imperiale, il colonnello non abbandonò più le stanze del santo padre: udire la messa, chiamare intorno a se i cardinali, dar loro l'addio, benedirli furono le cose coraggiosamente domandate e ottenute dal papa in quel momento supremo.

XXI. Se fu grande l’amore manifestato da Pio al sacro collegio in quell'ora lungamente desiderata, non fu minore la tenerezza dei cardinali verso il pontefice. L'alba del giorno ventitrè settembre mille ottocento quattordici sorse nunzia di grandissimi avvenimenti. I cardinali, che abitavano nel castello e gli altri domiciliati in città, erano sedici, adunaronsi tutti nelle sale del castello per presentare al papa l’omaggio del loro affetto. Ispirava riverenza e pietà il cardinal Pignatelli di Napoli che, paralitico e infermo, fecesi portar di peso ai piedi del santo padre. Mancandogli le parole, la piena degli affetti manifestò con le lacrime. Intese Pio la eloquenza di quel silenzio, cercò rassicurarlo con amorose parole, lo alzò dall’umile posizione in cui era, invitandolo a confidare in Dio. Dopo avere assistito alla messa, passarono i cardinali nelle stanze del papa, che sereno in volto e nella sua rassegnazione tranquillo, fecesi a dire di averli chiamati intorno a se per fare ad essi la sua volontà manifesta: quindi con voce animata dalla confidenza aggiungea: so che, o riuniti o dispersi, terrete voi quella condotta che alla dignità e al carattere vostro conviene. Ovunque vorrà condurvi la provvidenza mostri il vostro contegno come grande è il dolore che sente ognuno di voi per le calamità della chiésa. Nel separarmi da voi consegno al cardinal Mattei decano del sacro collegio un foglio d'istruzioni, che compendia la mia volontà e stabilisce le norme che io vi propongo, dalle quali, lo spero, niuno vorrà allontanarsi. Principi di santa chiesa, fedeli ai vostri giuramenti, sostenitori zelanti dei diritti dell'apostolica sede, io vi comando, parola mai usata da Pio VII, di non prestarvi ad alcun trattato, che sugli affari temporali e spirituali altri osasse proporvi. Fedeltà, obbedienza sommessamente giurarono i cardinali al [p. 84 modifica]pontefice, che dopo ciò in quella istessa sala e alla loro presenza si assise a tavola, gustò un poco di cibo. Parlavano insieme di cose indifferenti quando l'orologio del castello batteva le undici del mattino. Si alzò il papa che, rassegnato e tranquillo, si diresse all'oratorio, seguito da quanti gli erano d'intorno. Pregò brevemente nella tribuna della cappella, benedì i pochi che stavano in essa e, appoggiato al braccio del cardinal Mattei, scese nel cortile del castello, ove lo attendevano le vetture. Fu spettacolo consolante il vedere come, ad onta dei rigorosi divieti, gran numero di persone, scalate le mura dei giardini, penetrate nel cortile, genuflesse in mezzo alla neve chiedeano al padre dei fedeli la benedizione, e compativano le sue sventure. Li benedì il papa con effusione di cuore, indi salì in carrozza con l'arcivescovo Bertazzoli. In quel momento solenne la moltitudine commossa tenne un profondo silenzio, ma vistolo appena allontanare dal castello, proruppe in gemiti ed in singulti. Piangeva il papa, i cardinali piangevano e in quelle lacrime era l'angoscia del passato, la speranza dell'avvenire, insomma le consolazioni e i dolori di che si compone la vita.

  1. Diceva Napoleone al cardinal Caprara, che la scomunica non facea cader le armi dalla mano dei suoi soldati. Nella lettera seritta al principe Eugenio leggesi « Croit-il, que ses excomunications feront tomber les armes des mains de mes soldats. » Narra il conte di Segur generale al servizio dell'impero e testimonio oculare di questa grande catastrofe, che le armi parvero insopportabile peso alle loro braccia assiderate. Nelle frequenti cadute sfuggivano ad essi dalle mani, spezzavansi, perdevansi nella neve. Se si rialzavano, se ne trovavano privi, perchè non le gettavano, ma erano loro svelte dalla fame e dal freddo. Lo stesso fatto si riporta al tom. XX cap. V di Segur « Le soldat ne pouvait tenir ses armes: elles s'échappaient des mains des plus braves » e altrove « Les armes tombaient des bras glacés, qui les portaient » Cap. VII.
  2. Corse per la Francia, e per l’Italia un opuscolo, che si disse dettato dal Visconte di Chateaubriand col titolo « Bonaparte e i Borboni » nel quale si asserisce aver Napoleone in un impeto di sdegno afferrato il papa per i capelli, e di averlo ingiuriato villanamente. È a sperarsi che non debba registrarsi anche questa fra le amarezze durate dal venerando pontefice: ce ne convince la civiltà dei tempi, ia mansuetudine ‘di Pio, la gentilezza della nazione.
  3. Al cardinal Pacca, che uscito dal castello di Fenestrelle, affrettò il viaggio per trovarsi alla presenza del papa e il lodava delle tante prove di costanza che avea date, pieno di dolore rispose Pio VII. Ma ci siamo in fine sporcificati. Vedi Pacca Mem. Stor, part. 2. Cap. V.
  4. Non crediamo di riprodurre un documento che costò tante lacrime al virtuoso, e santo pontefice. Per questa strana convensione, che tolse tutte le attribuzioni, i diritti e le prerogative alla chiesa romana, si afflissero i cardinali e più di essi il pontefice. Appena venne letta dagli amici della santa sede fu giudicata o falsa, o impossibile ad eseguirsi. Toglievasi a Pio VII e ai suoi successori la sovranità di Roma, e si obbligava il pontefice a dimorare in Francia o dovunque piacesse all'imperatore dei francesi inviarlo.
  5. I cardinali che dimoravano in città con libero accesso al castello furono Brancadoro, Oppizzoni, Litta, Galeffi, Scotti, Ruffo-Scilla, Pignatelli e Saluzzo.
  6. Napoleone, alla cui penetrazione non potea sfuggire la esitazione di Pio VII uel sottoscrivere quell'atto, gl'inviò un biglietto col quale fecesi a dirgli, che il concordato riguardava soltanto oggetti e materie spirituali, e non dovea temersi che per quella sottoscrizione avesse egli o direttamente, o indirettamente in alcun modo rinunciato ai propri diritti.
  7. Il cardinal Pacca narra il modo tenuto dal papa e dai porporati per deludere la vigilanza dei custodi. Crediamo valerci delle sue parole, perchè veggasi che nè più ostinata, nè più crudele poteva essere la sorveglianza. « La mattina, egli scrive, dopo che era ritornato dalla messa vi andavano il cardinale di Pietro ed il cardinale Consalvi e gli recavano il foglio, sul quale avea scritto il giorno innanzi, ed il papa o in loro presenza, o dopo che si erano ritirati, continuava alquanto il lavoro. Alle ore quattro e mezza pomeridiane entrando io (Pacca) nella sua camera, riprendeva egli lo scritto e vi aggiungeva poche altre righe: dipoi mettendo la minuta e lo scritto medesimo sotto il mio abito portavo quelle carte nella casa dove alloggiava il cardinal Pignatelli, d’onde si faceano riportare al palazzo da persona sicura il giorno dopo. Questa faccenda durò per molti giorni. Pacca, memorie storiche, part. III, cap. VII.
  8. Vedi detta opera, part. III, pag. 341.
  9. Ce serait, rispose Napoleone al suo consigliere , casser les vitres.
  10. Napoleone temeva l’ influenza di quest’uomo insigne. Dopo la sottoscrizione dei preliminari del concordato, con sorriso ironico disse al papa « Ora che viene il cardinal di Pietro vi andrete subito a confessare » (Pacca, part. III, cap. VII)
  11. Troviamo quest’accusa ripetuta nelle memorie del signore di Savary duca di Rovigo. Tom. VI
  12. L’imperiale castello di Fontainebleau distante circa trentacinque miglia da Parigi è un imponente, ma informe aggregato di edifici costruiti in diverse età. Al gusto barbaro del secolo XII e XIII unisce la severità delle linee del secolo XV e dei tempi a noi più vicini. Talvolta l’abitarono i re di Francia, più spesso le loro favorite. Cristina di Svezia nella galleria detta dei cervi condannò a morte e fece uccidere Monaldeschi. In quelle sale si tennero varie negoziazioni politiche, e furono seguati molti trattati di pace. Nacque Enrico llI in questo delizioso soggiorno, circondato da folle boscaglie. Ai nostri tempi aggiunse rinomanza al castello la prigionia di Pio VII e l’abdicazione di Napoleone. Volle la provvidenza che in questo luogo rinunziasse all’impero colui che invano osava costringere il papa alla rinunzia dei propri diritti.
  13. Napoleone, che nella campagna di Russia, disprezzando i consigli di Murat, il quale avvisavagli fare i russi una guerra viva, avea risposto « S'egli è soldato solamente quando fa caldo, se ne torni al monte Tabor » anche in questo supremo momento non curò gli avvertimenti di Oudinot, che proponevagli di ritirare l’armata sul Reno per essere ancora in condizione di dettare agli alleatì i patti di pace.
  14. Moniteur 5 ottobre 1813.
  15. Stefano Fallot di Beaumond vescovo di Piacenza, nominato quindi arcivescovo di Bourges, ardente promotore dei progetti napoleonici, al cadere dell’impero sopportò altissime umiliazioni. Vide egli tutto il giornalismo francese scagliarsi contro di lui. Nei giornali istessi che lo avevano diffamato pubblicò egli nel mille ottocento quattordici le sue difese, ma invano. La universale opinione lo aveva condannato. Grave certamente fu la sua colpa, ma ad uomini assennati parvero o ingiuste o troppo animose le accuse. Giucci. Vita di Pio VII — II