Storia della vita e del pontificato di Pio VII/Libro I - Sommario III

Da Wikisource.
Libro I - Sommario III

../Libro I - Sommario II ../Libro I - Sommario IV IncludiIntestazione 20 dicembre 2020 75% Da definire

Libro I - Sommario II Libro I - Sommario IV
[p. S3 modifica]

LIBRO III





SOMMARIO.


La compagnia di Gesù a preghiera di Ferdinando IV è restituta al regno delle due sicilie. Vagheggia Napoleone la corona di Carlo Magno e di Clodoveo: il senato glie la decreta: desidera esser consacrato dal papa. Pratiche fatte in Roma dal cardinal Fesch. Vario parere del sacro collegio: cede Pio, che spera veder restituito il cattolicismo alla Francia: partecipa in concistoro la sua risoluzione e parte da Roma con numeroso seguito. Dimostrazioni fatte al papa durante il suo viaggio. E festeggiato a Firenze e a Torino. Varca il Moncenisio, traversa la Francia: riceve grandi accoglienze a Lione, ove muore il cardinal Borgia. Giunge a Fontainebleau. Napoleone l'incontra a St. Hérem: ambo entrano in una carrozza per diriggersi alla imperiale residenza. Decide Pio di non procedere alla coronazione se prima non riceve la dichiarazione dei vescovi costituzionali. Napoleone la esigge: essi la prestano. Il due dicembre è scelto per la cerimonia. Coronazione solenne nella metropolitana. L'avvenimento è partecipato a tutta la Francia. Celebra Pio VII le funzioni natalizie nella cattedrale. De Seine modella il suo ritratto. Visita i pubblici stabilimenti e promuove il bene della religione. A sua domanda sono ristabilite le figlie di san Vincenzo di Paoli, aumentata la dotazione delle parrocchie,

Giucci. Vita di Pio VII— I. [p. S3 modifica]restituita ai vescovi la libertà d'azione nei giudizi spirituali e disciplinari. Provvede alla gioventù destinata al culto: tratta degli affari germanici: tiene concistoro a Parigi: visita la chiesa di s. Germano. Roma non ha notizie del papa: è inondata dal tevere. Sostiene al fonte battesimale Carlo Luigi secondogenito di Luigi Bonaparte. Si crede che voglia l'imperatore ritenere il papa a Parigi: energica risposta di Pio VII. Napoleone prima di diriggersi a Milano ne permette la partenza. Accoglienze fatte al papa in Francia e in Italia. Ha in Torino un colloquio con Napoleone. In Parma lo attendono diversi cardinali. Visita il monistero dei cassinesi e si trattiene familiarmente con essi. Entra in Toscana, ove riceve le ritrattazioni di monsignor Ricci. Muove per Arezzo, giunge a Perugia festeggiato da tutti; rientra in Roma: prega innanzi al sepolcro del principe degli apostoli. Ricorda in concistoro le prove di simpatia ottenute e i vantaggi religiosi recati alla Francia. Napoleone invia doni e n'e ricambiato. Si variano le condizioni d'Italia. L'imperatore cinge in Milano la corona ferrea. Và monsig. della Genga a Ratisbona. Chiedesi l'annullamento del matrimonio di Girolamo Bonaparte. Pio si rifiuta: disqusti fra l'ambasciatore francese e il segretario di stato. Una banda di ladroni in festa le provincie di marittima e campagna. In Roma si risarciscono vari monumenti e si provvede alla pubblica morale. [p. 131 modifica]


LIBRO III


S
ino dagli esordi del suo pontificato mostravasi Pio VII altamente inclinato a ristabilire la compagnia di Gesù. Protetti da Caterina II, eransi i padri riuniti nella Polonia russa: avendo meritato della civiltà di quel vasto impero, Paolo I facea per essi molto di più: chiamavali nella capitale, confidava loro l’amministrazione della chiesa cattolica di Pietroburgo, ove salivano in tanta considerazione di virtuosissimi uomini da meritare che nel 1800, a preghiera dell'imperatore, fosse approvata da Pio VII la loro unione. Un breve segnato dal papa il dì sette marzo 1804 permise che i sacerdoti componenti la congregazione e quelli che si sarebbero in seguito ascritti, seguissero le regole di sant'Ignazio approvate da Paolo III, e l'antico nome, che ad onta delle patite sventure era in cuore a tanti, liberamente assumessero. Ristabilita così la compagnia di Gesù in Russia, tre soci vennero in Italia, e a Parma, ove la pietà del saggio duca Ferdinando III avea in tre convitti i gesuiti suoi sudditi riuniti, posero stanza. Dichiarava però il papa doversi procedere in questo delicato affare con somma cautela, perciò ottennero la istituzione di un convitto solo, ove dovevano istruirsi nelle [p. 132 modifica]scienze e nelle lettere quelli che erano destinati alla Russia. Più felici riuscirono le trattative della corte siciliana. Il padre Angelini venuto in Italia per fondarvi un ospizio polacco, s'intese invitato dai reali di Napoli a condursi colà. Propose egli ristabilirvi la compagnia: Ferdinando IV la volle, la protesse Carolina costantemente, ad onta della contrarietà manifesta del potente ministro Acton, e della

opposizione della corte di Spagna. Fluttuava incerto l’animo del pontefice, ma inteso dal re che sperava per questo mezzo riformati i costumi della gioventù del suo regno, paternamente secondava la domanda e con un breve segnato il giorno trenta luglio 1804 decretava che come per condiscendere alle petizioni di Paolo I ristabilita avea sino dal 1804 la compagnia di Gesù nell'impero russo, così a preghiera di Ferdinando re delle due Sicilie, in vista delle circostanze dei tempi presenti restituiva a quel regno la compagnia di Gesù per informare ai buoni costumi la gioventù, per istruirla nelle sane dottrine.

II. Approssimavasi l'ora, in cui alla grandezza di Bonaparte non potea più bastare il dominio supremo di Francia. Su i campi di Marengo avea egli presa a vagheggiare la corona di Carlo magno e di Clodoveo: l'eccitamento del senato glie ne appianava la via: le repubbliche più celebri nella storia dei popoli, dicea sommessamente ai suoi piedi Neufchàteau, o si concentrarono sull'erta dei monti o si racchiusero dentro le mura di una città: all'aumentarsi delle provincie, inclinarono alle tirannidi che divennero insopportabili perchè esercitate a nome di libertà: accettasse per bene della Francia insegne, titolo e autorità imperiale. Cui rispondea il console: averlo la nazione rivestito d'alti poteri: volerne per gratitudine assicurare il vantaggio: accettare questa novella prova di devozione per assidersi su di un soglio innalzato dalla volontà della nazione, assicurato dalle vittorie di quindici anni. Io spero conchiudeva, sottoponendo alla sanzione la legge della eredità, che la Francia non dovrà mai pentirsi dell'avere amata la mia famiglia. Il giorno dieciotto maggio 1804 un senato consulto decretavagli l'altissimo titolo e le prerogative imperiali [p. 133 modifica]rendea ereditarie nella sua discendenza1. Lieto di quanto offrivagli la Francia, volle dalla religione rafforzato quell'atto, che ben pareagli legittimato il suo dominio, ove la mano del sommo pontefice avesse le sue imprese guerriere con solennità di chiesa avvalorate. Ad onta delle abili ed energiche pratiche del ministro francese, in Roma per due mesi si fecero gravi discussioni sopra le dimande di Napoleone e del suo rappresentante cardinal Fesch. Chiedeva segretamente il parere dei cardinali, ondeggiava fra i dubbî l'animo paterno di Pio VII, cui ben parea atto ingeneroso l'unger dei sacri crismi la fronte del nuovo sire, quando il nipote di s. Luigi stavasi nel castello di Mittau in Curlandia aspettando gli eventi: sentivasi d'altra parte stretto dal desiderio di assicurare alla Francia religiosi vantaggi per l'imperiale favore. -In tanta dubbiezza e disparità di consiglio mischiavansi sempre le voci energiche dei ministri ed agenti di Francia: è giunto il momento, andavano accortamente insinuando, l’avventurato momento, in cui la riconciliazione della chiesa con l'impero verrà pienamente consolidata dalla presenza augusta del santo padre: la sua condiscendenza congiungerà con la monarchia il popolo francese, distruggerà il germe delle rivoluzioni che hanno miseramente insanguinate quelle contrade. Merita, aggiungeva il ministro, un particolare favore la Francia, la figlia primogenita della chiesa romana: il viaggio del santo padre può e deve produrre un totale cambiamento [p. 134 modifica]nei rapporti politici e morali della nazione con Roma: conserverà la Francia e il suo moderatore supremo riconoscenza indelebile verso quegli, le cui inestimabili virtù chiamarono al governo della chiesa universale: vuole Napoleone che siano resi a Pio VII gli onori istessi che da Carlo magno ottenne il pontefice Leone III. Non tutti però mostraronsi favorevoli a queste parole e alla forza del loro significato. Divisi erano i sentimenti e diverse ragioni adducevansi dall'una parte e dall'altra2. Alcune lettere di Napoleone vennero a calmare i timori di Pio. Assicurava la prima che le armi russe non sarebbero mai scese in Italia: prometteva con l'altra equa soddisfazione sul rapporto del concordato stabilito con la repubblica italiana: l'invitava con l'ultima a consacrarlo imperatore dei francesi. Il felice effetto, così scriveagli l'uomo alla cui grandezza mancava ancora quel sacro carattere che è impresso dalla religione, il felice effetto che provano la morale e il carattere del mio popolo pel ristabilimento della religione cristiana mi anima a pregare vostra santità di darmi una novella prova dell'impegno ch'ella prende ai miei destini ed a quelli di questa grande nazione, in una delle più importanti congiuntùre che possano offrire gli annali del mondo. Io la prego a venire, per imporre nel più eminente grado il carattere della religione alla ceremonia della consacrazione [p. 135 modifica]e della incoronazione del primo imperatore dei francesi. Questa ceremonia acquisterà un nuovo splendore, quando sarà compiuta da vostra santità medesima attirerà essa su noi e su i nostri popoli la benedizione di Dio, i cui decreti reggono a suo beneplacito le sorti degli imperi e delle famiglie. Vostra santità conosce i sentimenti affettuosi che da tanto tempo nutro per lei e da essi può arguire il piacere, che mi offrirà questa occasione di poter darne alla santità vostra nuovi argomenti. Latore di questa lettera in vece dei due vescovi, che eransi domandati, fu il general Caffarelli, uomo di carattere affabile e dolce, addetto alla persona dell’imperatore: sapeasi in Roma aver egli manifestata molta gioia in occasione del concordato. Il papa lo accolse con somma benevolenza. Il cardinal Fesch da parte del signore di Francia assicuravagli che il viaggio avrebbe non solamente per iscopo l'incoronazione, ma che i grandi interessi della religione formata ne avrebbero la parte principale: che sarebbero trattati nei vicendevoli consigli del papa e dell’imperatore: che i risultamenti dovevano potentemente contribuire la progresso della religione e al vantaggio della stato. Ponderate prudentemente le ragioni, il bene della religione trionfò degli ostacoli così che il papa, radunati intorno a se i cardinali, dopo aver dimostrati in concistoro i vantaggi, che poteva attender la chiesa da questa risoluzione, conchiudeva aver Napoleone restituita alla Francia la religione cattolica, aperti e purificati i templi, riedificati gli altari, ben meritato della cattolica religione: voler pertanto imprimere un sacro carattere sulla sua fronte, invocare sul suo capo le benedizioni di Dio: volerlo l'Imperatore energicamente, dando con ciò, manifestissimo segno di benevolenza e di rispetto verso la sede apostolica: aver perciò tutto disposto all'oggetto, sicuro, che la imperiale parola, il nuovo favore che riceveva dal pastore universale della chiesa e finalmente la sua presenza in Francia avrebbe le dolorose ingiurie riparate e quelle vastissime regioni alla filiale riverenza verso la santa sede felicemente restituite. [p. 136 modifica]

III. Ed ecco Pio VII sull'esempio di Simplicio, di Gregorio magno, di Clemente VII omai disposto a muover da Roma per condursi a Parigi e cinger sul capo a Napoleone l’imperiale corona. Tutte le trattative erano State tenute segrete ai romani, ma non in tal modo che dalle sale dei cardinali e più dalle lettere che giungevano da Francia non fossero in qualche modo congetturate. Parlavasi per la città in vari sensi della vicina partenza: chi la diceva utilissima a Roma e alla chiesa, chi fatto timido dalle sventure passate, sosteneva che Pio VII sarebbe rimasto in Francia: errarono nelle sentenze. Si animarono le due capitali. In Roma impartivansi con un breve al cardinal Consalvi le facoltà necessarie a governare lo stato: con un biglietto in data dei ventiquattro ottobre erano prevenuti i ministri esteri della risoluzione presa dal santo padre. Nobilissimo corteggio doveva seguirlo alla città imperiale. Era fra i cardinali Antonelli, Borgia; Di Pietro, Caselli, Braschi, De Bayane: fra i prelati, gli arcivescovi e i vescovi eran Fenaja vicegerente di Roma, Bertazzoli elemosiniere, Devoti segretario dei brevi ai principi e Menochio sacrista: i palatini Gavotti maggiordomo, Altieri maestro di camera e Testa segretario delle lettere latine: i comandanti delle guardie nobili, il duca Luigi Braschi, il principe Paluzzo Altieri: sopraintendeva al viaggio il marchese Sacchetti col titolo di foriere maggiore. Erano nel corteggio Mauri e Minicocci ufficiali della segreteria di stato e Folchi impiegato presso la segreteria dei memoriali. Camerieri segreti seguivano il santo padre Mancurti, Calderini, cappellano Braga, maestri delle ceremonie Zucchi e Fornici, caudatario Frediani. Il teologo padre Fontana dei barnabiti, quindi cardinale di santa chiesa, il dottor fisico Porta, il chirurgo Ceechini lo precedevano: quattro corrieri di gabinetto, due aiutanti di camera e quindici persone destinate ai bassi servigi chiudevano il pontificio corteggio. Il cardinal Fesch partito da Roma un giorno prima del santo padre, come ministro di Francia, mostravasi tutto intento a raddolcire le fatiche del lungo viaggio. Non era sorta l'alba [p. 137 modifica]del dì due decembre quando Pio VII uscito dal palazzo del quirinale recavasi nella basilica vaticana per celebrare il sacrificio incruento nell'altare papale: pregò quindi innanzi alla tomba del principe degli apostoli. Complimentato dal cardinale duca di Yorck, dall'arciduchessa Marianna d'Austria, accompagnato sino alla porta della basilica dal segretario di stato, accoglieva nella sua carrozza i porporati Antonelli e Borgia, e per la porta Angelica usciva da Roma. Il sacro tempio, la piazza del vaticano, le strade erano affollate di popolo, e di popolo desideroso di salutare l’augusto viaggiatore era fiancheggiato il ponte milvio e la via flaminia. Benediceva il venerando pontefice ai suoi sudditi, che auguravangli prosperoso viaggio, mediato ritorno. Intanto nei paesi di Francia, peri quali dovea transitare Pio VII e in Parigi disponevansi le più dignitose accoglienze. L' arcivescovo cardinal De Belloy emanò lettera pastorale per annunciare alla capitale della Francia l’arrivo del supremo gerarca di santa chiesa: si prepararono gli appartamenti per il papa e per il suo seguito, si diedero disposizioni perchè, appena avesse egli posto piede nelle terre dell'impero, fosse ovunque in onorevole modo festeggiato ed accolto. Il cardinale Cambacères accompagnato dal senatore d’Abonville e dal ceremoniere Salmatoris, d'ordine di Napoleone, movea da Parigi per officiare Pio VII a nome del signor della Francia; attendevano essi in Torino. Transitando per i suoi stati era circondato dalla sua guardia nobile, incontrato dai vescovi, festeggiato dal popolo che accorrea sulle strade per salutarlo. Passando per Monteresi giunse la sera in Viterbo: dopo aver celebrato il dì quattro la messa nel monistero di santa Rosa, mosse per Montefiascone ove attendevalo il cardinal De Maury, ch'ebbe con lui lungo colloquio. Dicesi aver quel porporato fatta preghiera al papa di celebrare il sacrificio incruento nella chiesa dei carmelitani in Parigi, ove tanti ecclesiastici avevano perduta la vita durante l’epoca del terrore. Sul fiume Paglia, che segna i confini dei due stati, i dragoni toscani rilevarono la scorta [p. 138 modifica]pontificia. Complimentato e seguìto a nome della regina reggente d’Etruria dal senatore Salvetti varcò il fiume, entrò in Radicofani accolto dal principe Corsini maggiordomo di sua maestà, da Giuseppe Morozzo nunzio apostolico a quella corte e dai vescovi di Chiusi e Saona. Proseguendo il viaggio era ricevuto in san Quirico nel palagio dei Zondadari, ove onorava di una sua visita il cardinal Fesch sorpreso da un mal di gola. Giunto in Siena visitava la cattedrale, accompagnato dall'arcivescovo, dai vescovi circonvicini, dal senatore Serganti, da vari ciamberlani e dai nobili senesi: ricevuto nel palagio reale dal conte Selvatico venuto anch'esso appositamente da Firenze per presentargli l'omaggio di filiale rispetto della regina reggente, proseguì il dì seguente il viaggio alla volta di Firenze. Giunse sul far delle tre pomeridiane alla real villa di san Casciano, ove la regina, circondata dalle sue dame, onorevolmente lo accolse. Arrivato sul declinare del giorno alla distanza di un miglio da Firenze rivide il conte Selvatico che con gli equipaggi di corte lo attendea per condurlo alla capitale. Visitando la metropolitana era ricevuto dal dotto arcivescovo Antonio Martini, che vestito in pluviale e accompagnato da sei vescovi in dalmatica tenenti le aste del baldacchino gli fecero ossequiosa accoglienza. Erano le due della sera quando onorevolmente accolto dalla regina Maria Luisa di Borbone, ritiravasi nel magnifico appartamento a lui preparato. Si eresse una cappella nella sala detta degli stucchi, ove conferì il sacro crisma al fanciullo Carlo Ludovico re di Etruria, ch'ebbe patrino il cardinale Antonelli. Era Livorno in quei giorni oppressa da orribile contagio: speravano gli agenti inglesi giovarsi di questa circostanza per proporre di rimanere in Firenze: speravano che i cordoni sanitari che dovevano stabilirsi, avrebbero arrestato il suo viaggio e contrariati i disegni dell’imperatore. Lo comprese Pio VII e nella sua lealtà disprezzava il consiglio. Lasciò Firenze e per la via che da Pistoia mette a Modena proseguiva il viaggio. In quella città di Toscana fu gratamente sorpreso nel veder la regina che vi si trasferiva per onorare il vicario di Gesù Cristo e rinnovare a viva voce gli [p. 139 modifica]attestati della sua devozione alla di lui sacra persona. Raggiungeremo il papa a Torino, bastandoci il riferire che cordiali furono e rispettosi gli attestati ricevuti a Modena, a Reggio, a Parma, a Piacenza, ad Alessandria della paglia ove cinque mila uomini fecero ala al suo passaggio. Salutato a Pieve-Pelago dal marchese Stampa di Soncino a nome della repubblica italiana, ad Asti da Menon di S. Mery, della cui opera non potea certamente lodarsi, mostravasi Pio VII umano e cortese. Pervenne la notte del dodici nella città di Torino; accolto, corteggiato dagli inviati di Napoleone, vi si trattenne un giorno e adorò la sacra sindone da quel capitolo portatagli nel palazzo. Muovea per Susa li giorno quattordici, passava il Novarese, varcava il Mont-Cénis e a Luzemburg facea sosta la sera. Erasi avuto il pensiero di preparare una nobilissima sedia ricca di ornamenti in seta ed in oro per Pio VII, cinque pei cardinali, due per i principi che accompagnavano il papa. S'incamminò il giorno sedici alla volta di St. Jean de Maurienne, e partì il dì seguente per Cambery. Giungeva alla gola del Echelles scavata nel vivo sasso, quando si offerse allo sguardo del santo padre commovente spettacolo di devozione e di filiale riverenza. Quelle immense moli, le cui cime soverchiano le nubi, quei burroni, quegli erti fianchi che incutono spavento a chi si fa a riguardarli, in cui può dirsi che il ghiaccio non è mai percosso dai raggi del sole, erano pieni di popolo che inerpicavasi su di essi e faceano con la varietà dei colori il più vago contrapposto agli orrori della natura: quadro che esprimeva a meraviglia la gioia, la pietà, la religione di quegli abitanti delle alpi. Vedevansi le truppe provinciali che faceano ala al clero che in dalmatica procedea per accogliere sotto serico baldacchino il supremo pastore dei credenti, il magnanimo e mansueto Pio VII, che commosso guardava e benediceva i fedeli che precipitavansi ai suoi piedi, che gli offrivano i figli ed imploravaro con lacrime incessanti la sua apostolica benedizione. Alle falde dell’erto monte alzavasi un arco trionfale composto di verdi mirti, decorato di concetti bibblici allusivi al viaggio del gerarca di santa [p. 140 modifica]chiesa. Lo attendeano in questo luogo i cardinali Fesch e De Bayane che lo avevano preceduto e non pochi ragguardevoli personaggi. Proseguivasi il viaggio: si giunse la sera al ponte di Beauvoisin, ove il papa prendea riposo per diriggersi il dì seguente a Lione.

III. Erano i ponti del Rodano e della Saona, pei quali transitava Pio VII ornati degli emblemi imperiali e sacerdotali: vedeansi le sponde coperte di popolo plaudente al passaggio del supremo pastore della cristianità: grande e nobile oltre ogni credere fu il trattamento offertogli dal cardinale arcivescovo, grandissima la pietà dei francesi nell'onorare il papa che muoveva da Roma per ungere dei santi crismi l'imperatore. Vecchi, donne, fanciulli correvano sulle orme del santo padre, che a somiglianza di quel Dio, di cui era in terra il vicario, sebbene oppresso da quelli che lo precedevano e lo seguivano, andava ripetendo: «lasciate che i fanciulli mi si avvicinino », e con amore di padre accarezzavali, benedicevali. Fu in questa seconda città della Francia, fu in mezzo a tanta esultanza di popolo, che una non preveduta sventura amareggiò il cuore del papa. Il cardinale Stefano Borgia che lo aveva seguito, colpito da un mal essere che erasi manifestato sino dal passaggio del ponte di Beauvoisin, cadde mortalmente infermo e non potè proseguire il suo viaggio sino a Parigi. Gli si prodigarono le più energiche cure, ma non potè sopravvivere alla intensità del suo male. Nella cattedrale rivide il papa con compiacenza paterna il duca Braschi e il principe Altieri, capitani della sua guardîa nobile. Partì il di seguente per Rennes, giunse a Moulins, proseguì a Domne, ove diede avviso del suo prossimo arrivo all'imperatore. Pervenne la sera del ventiquattro a Nemours: primo varcò un ponte costruito novellamente: sul fare del mezzogiorno del dì venticinque giungeva a Fontainebleau. In tutte le città della Francia avea per ordine di Napoleone ricevuti Pio VII gli onori militari: il clero francese seguito dai prefetti dell'impero, vestito in abito sacerdotale, lo attendeva ai confini di ciascun dipartimento. Può dirsi che fu la sua una marcia trionfale: ricevè gl'indirizzi di tutte le autorità civili [p. 141 modifica]ed ecclesiastiche in latino, in italiano, in francese: fu ammirato il modo disinvolto e soave con cui nelle medesime lingue rispondeva egli al saluto. Era questo lo spettacolo offerto al sommo pontefice dalla nazione rientrata felicemente in grembo alla chiesa cattolica. Al ministro Fouchè, che chiedevagli più tardi come avesse trovata la Francia, rispondeva Pio VII: « Sia benedetto il cielo! Noi l'abbiamo attraversata in mezzo ad un popolo inginocchiato. Oh quanto eravamo lontani dal crederlo!» Napoleone che avea lasciato il castello per condursi alla caccia, ebbe avviso che avvicinavasi il papa: gli andò incontro: avvennesi in lui alla croce di St. Hérém: affettuosamente abbracciaronsi, che il curvarsi riverente al suo piede non avrebbe consentito il magnanimo pontefice. Sei carrozze di corte, in una delle quali sedevano i due sovrani raggianti di gioja, scortati da numerosa cavalleria imperiale, fra una doppia fila di truppa e allo strepito delle artiglierie si diressero alla imperiale residenza, ove furono ricevuti dai grandi ufficiali della casa e dal cardinal legato a latere, venuto appositamente a Fontainebleau per fargli omaggio. Tranquillo e dolcemente commosso era il volto di Pio, sfavillava «d'una gloria soddisfatta la fronte di Napoleone: salirono insieme la scala degli stucchi dorati e giunti sull'alto che separa i quartieri, dopo cordiali saluti, si divisero. Pio VII, preceduto dal gran ciamberlano, dal gran maresciallo di palazzo e dal gran ceremoniere di corte, entrò negli appartamenti a lui destinati: ne uscì dopo breve riposo: vide l’imperatore: visitò poco dopo l'imperatrice e fu soddisfatto dei religiosi sentimenti da essa manifestati3. Erano appena decorse quattr’ore quando l' [p. 142 modifica]imperatore restituiva al papa la visita: parlavagli allora Pio VII dei vescovi costituzionali, e diceagli che attendeva da essi una formale e sincera dichiarazione di esser ritornati in seno alla chiesa ortodossa: parlavagli delle rimostranze a lui fatte dal clero di Francia, ricordavagli una memoria sottoscritta da ventotto vescovi della chiesa gallicana. Prometteagli Napoleone soddisfazione pronta ed intera, ma Pio VII che non acquietavasi alle promesse, con coraggio apostolico dichiarava al potente signore di Francia che per l'interesse della chiesa, per decoro della santa sede, per tranquillità della sua coscienza a costo d’affrontare l'imperiale suo sdegno, non avrebbe egli abbandonato il palazzo di Fontainebleau, senza-aver prima ottenuta la dichiarazione richiesta. A questa energica volontà del papa manifestavasi un sentimento di sdegno sul volto a Napoleone, ma lo compresse, che ben doleagli vedere per questa determinazione del pontefice ritardata la ceremonia della sua incoronazione. Un ordine imponente comandò allora ai vescovi costituzionali di soddisfare immediatamente ai desideri del papa, così che poco dopo si videro affluire a palazzo le loro dichiarazioni in questi termini concepite: « Dichiaro alla presenza di Dio che professo attaccamento e sommissione ai comandamenti emanati dalla santa sede e dalla chiesa cattolica, apostolica, romana sugli affari religiosi della Francia: supplico inoltre sua santità ad accordarmi la sua apostolica benedizione. » Narrasi che a Napoleone, allorchè accompagnava Pio VII ai suoi appartamenti, leggevasi ancora sul volto la interna emozione dell'animo: taceano ambedue, ambedue erano visibilmente commossi. Due vescovi che con ostinazione sino dal 1802 eransi rifiutati, condiscesero i primi. Le Coz arcivescovo di Besanzone contradicea all’autorevole invito : prometteva peraltro che il dì successivo si sarebbe prostrato ai piedi del papa per assicurarlo di sua obbedienza. Il vescovo di Stransbourgh nel basso Reso monsignor Saureine osava solo rifiutarsi all'invito. Pentito più tardi d'una ostinazione che rendealo oggetto di scandalo e di meraviglia, nel successivo gennaro, umiliatosi innanzi a Pio, dichiarava di aver abbandonata [p. 143 modifica]sinceramente la costituzione civile del clero di Francia, chiamavasi calunniato e mal compreso nelle sue intenzioni, pregava il papa ad accogliere le sue giustificazioni. Io sono, conchiudeva il prelato, di cuore e di spirito sommesso ai giudizi della santa chiesa. Era questo il migliore trionfo ottenuto dal romano pontefice nel suo viaggio a Parigi. Soddisfatto di questa prova di filiale ossequio, diriggevasi alla capitale, accompagnato da quell’esterno apparato che imprime un carattere alla maestà. Tutto disponevasi per la ceremonia del giorno due decembre: splendidamente adornavasi la chiesa metropolitana: il cardinale arcivescovo pubblicava lettera pastorale per disporre gli abitanti della vasta città a quell’atto. Non mai brillò, egli dicea al suo popolo, la religione con tanto splendore, quando nella memoranda circostanza, in cui tutto ciò che avvi di sublime e di grande sopra la terra concorre ad accrescere lo splendore, a destare la meraviglia. Napoleone che implora il concorso del pontefice, il pontefice che seconda le sue religiose dimande. L'uno abbandona la propria sede e viene fra noi, modello d'ogni virtù, a benedire questo popolo, a felicitare questo impero: l’altro, benchè prima investito della suprema magistratura, quindi chiamato dal voto universale della nazione ad assidersi sopra un soglio, convinto che Dio è quegli che dà ai principi la potestà, chiama testimonio di sue promesse quegli che è il re dei re, vuole che il di lui vicario sopra la terra riceva nelle sue mani il giuramento ch'egli depone innanzi all'altare. Queste ed altre erano le ragioni con le quali quel venerando porporato chiimava i parigini ad assistere all'augusta ceremoma che secondo il rito di santa madre chiesa dovea compiersi in quella vasta' metropoli, alla quale volgevano cupido ed indagatore lo sguardo quanti erano potentati in Europa.

IV. La presenza del santo padre in Parigi, l’abituale sua dolcezza, l'amabilità del suo carattere anche a coloro che non credevano alla religione ed al papa, ispiravano venerazione e rispetto. Varie deputazioni sollecitarono l'onore di presentare al capo del mondo cattolico la [p. 144 modifica]espressione del loro ossequio. Il signor di Neufchàteau presidente del senato dicevagli che la consecrazione imperiale avrebbe resa più venerabile la maestà sovrana e più cara l'autorità del sommo pontefice: il signor De Fontaines presidente del corpo legislativo e uno degli uomini più eminenti della Francia con eloquenti parole ragionando al di lui cospetto, prendeva a dirgli: la Francia ha veduto nascere uno di quegli straordinarî uomini che di tempo in tempo sono inviati da Dio al soccorso degli imperî prossimi alla caduta, mentre Roma ha veduto splendere sul solio pontificio le virtù apostoliche della prima età della chiesa: il sacerdozio e l'impero, aggiungeva egli, si danno la mana per respingere ogni pericolosa dottrina: esse cedono alla doppia influenza della religione e della politica. Il papa, che parve commosso a quelle voci, cortesemente risposegli e benedì all'oratore4. Il sig. Fabre de l'Ande ultimo parlava al papa e alla testa di dieciotto tribuni e in una città in cui era permesso di lodare un uomo soltanto, osò encomiare il pontefice. Per le vaste sale della Tuilleries s'intese parlare dei miglioramenti introdotti nell'agro romano, della protezione accordata alle arti, del libero commercio proclamato in Roma la prima volta, degli scavi felicemente tentati, delle manifatture, degli opifici aperti con infinito vantaggio degli stati romani. Piacevolmente sorrise Pio VII quando dal tribuno udì gli encomi per la soppressione della moneta erosa, dovuta al suo zelo: nobilissima prova di una volontà energica che può e vuole assicurare la tranquillità dei sudditi, la utilità del commercio. In mezzo a queste ora private, ora pubbliche dimostrazioni di rispetto, giunse il giorno destinato alla ceremonia solenne. Battevàno le nove del mattino quando il papa uscì dalla Tuilleries, seguito dalla sua nobile corte, per discendere nel palazzo dell'arcivescovo, che vestito di [p. 145 modifica]porpora, lo attendeva sul limitar della scala, ove il De Beloy accompagnò il santo padre che assunse i sacri indumenti, mentre la processione imponente diriggevasi alla chiesa metropolitana. I parrochi di Parigi, il clero francese, i vescovi, gli arcivescovi, i cardinali formavano il corteggio. Ultimo muovea il santo padre, preceduto dal crocifero, da due cappellani segreti che portavano le mitre, delle quali dovea egli far uso e dal turiferario. Sette accoliti sostenevano i candelieri: il suddiacono latino avea al fianco il suddiacono e diacono greco. Il cardinale assistente in pluviale, il cardinal diacono in dalmatica e finalmente due cardinali diaconi assistenti sollevavano il lembo inferiore della sacra veste assunta dal papa che procedea in mezzo ad essi. La guardia d'onore facea corteggio al pontefice e ai porporati. E poichè con questo apparato maestoso giunse. alla porta del tempio, dal cardinale arcivescovo, che lo attendea genuflesso, ricevè l'aspersorio con il quale sparse l'acqua lustrale sul clero e sul popolo: quindi sotto un baldacchino, sostenuto dai canonici metropolitani, entrò nella chiesa. Allorchè con musica sacra di Lesneur s'intesero risuonar le volte di quell’antichissimo tempio del versetto: Tu es Petrus etc., sorsero in piedi quanti già erano raccolti in apposite tribune funzionari e impiegati pubblici e stranieri invitati alla ceremonia5. Si attese un ora e mezza prima, che Napoleone Giuseppina giungessero nella chiesa: mentre nel tempio, ove tutta Parigi [p. 146 modifica]era raccolta, dai sacri ministri cantavasi ferza, essi nel palazzo dell'arcivescovato assumevano gli abiti e gl'imperiali ornamenti. Narrasi che sul venerabile volto di Pia, sedente in trono, circondato dal clero, potè dai circostanti notarsi un aria di profonda mestizia, la quale faceva vivo contrasto con l'imponente apparecchio e la gioia solenne, che o vera o falsa tutti studiavansi dimostrare. I ministri ed altri pub- blici funzionari visto che poteasi dare interpretazione sinistra alla malinconia dal pontefice manifestata, dissero trar questa la sua origine dal tristo annunzio della morte del cardinale Stefano Borgia, avvenuta in Lione. Nol credevano i più, sì perchè dessa verificavasi nove giorni prima della consacrazione, sì perchè era nota da quattro giorni a Pio VII e già i pubblici fogli aveano annunziato che quel messaggio giungea col mezzo di un corriere straordinario a Parigi. Entrò nel tempio l’ imperiale corteggio alle dodici. Senza che il volto del pontefice acquistasse maggiore serenità, davasi principio alla ceremonia, la quale dovea compiersi secondo il poutificale romano, tranne alcune piccole innovazioni per ordine dell’imperatore introdotte da Salvatoris. Quando Napoleone e Giuseppina entrarono nella balaustra, scese il papa dal trono per incontrarli. Videro i circostanti con emozione di animo accostarsi il venerando vecchio al nuovo signore della Francia, e proruppero in un grido universale e spontaneo « Viva Pio VII, viva il nostro santo padre. » A non isturbare la gravità della funzione si cercò impedire quel libero slancio di divozione e rispetto verso il vicario di Gesù Cristo, nel momento in cui accingevasi ad invocare le benedizioni del cielo sul nuovo principe e sulla Francia. Intuonò il papa l'inno allo Spirito Santo, compiuto il quale con ferma voce fecesi a dirgli: « Pomettete voi innanzi a Dio, agli uomini, di mantenere la pace nella chiesa di Dio, di serbare al sommo pontefice romano l'obbedienza e l'attaccamento che ad esso è dovuto, in forza dei sacri canoni, e delle ecclesiastiche leggi? » Ponea la mano su i santi evangeli Napoleone e rispondea: prometto, e promise, che nuovo Carlo magno sarebbe il perpetuo difensore della cattolica fede. [p. 147 modifica]Approssimavasi allora il santo padre a Napoleone e a Giuseppina, che accompagnati dal grande elemosiniere, dal primo cardinale arcivescovo e dal vescovo più anziano di Francia, inginocchiavansi innanzi all’altare. « Promettete, aggiungea il papa, di proteggere le vedove e gli orfani, di distruggere l infedeltà? Con ferma voce prometto rispondeva: Napoleone. Sparse allora il sommo sacerdote dei santi crismi la fronte e le mani d’ambedue gli eletti, pregò brevemente, e tutti gli abitanti della Senna, che erano presenti notarono che grosse lacrime irrigavano le guacie del santo padre in quell'istante memorando e solenne. Voltosi quindi all’eletto disse con voce energica « lo scettro del vostro impero è uno scettro di equità e di giustizia. » Incominciava quindi la messa, accompagnata dalla musica imperiale composta da Paesiello, che avea oltre a cinquecento esecutori, durante la quale le corone imperiali furono benedette e benedetta la spada, il manto, gli anelli. AI cenno dei prefetti delle ceremonie scesero dal piccolo trono che sorgea presso l’altare, approssimaronsi al pontefice, che recitando analoga prece ad une ad uno consegnava ad esso tutti gli emblemi della dignità imperiale. Stese allora Napoleone la destra, e presa la corona, ch'era deposta sopra l'altare, se ne cinse da se stesso la fronte: approssimandosi quindi all’imperatrice la coronò di sua mano. Accompagnati dal sommo pontefice andarono gli eletti ad assidersi nel vasto e splendidissimo trono che era collocato alla metà del tempio frà la porta maggiore e l'altare. Intuonò il papa la preghiera. In hoc imperii solio etc. abbracciando quindi l’imperatore si volse al popolo ed esclamò « Vivat imperator in aeternum » Accompagnato dal gran maestro delle ceremonie, preceduto dagli araldi d'arme tornò Pio VII all'altare, proseguì la messa solenne : il grande elemosiniere, dopo letti gli evangeli, ricevè dal diacono il messale, che fu baciato dai sovrani dei francesi. Pretendono alcuni che durante la consacrazione l’imperatore emettesse frequenti sbadigli, quasi segno di noja ed impazienza; lo dissero altri effetto o di stanchezza o d'indisposizione di salute. Celebrato il sacrificio incruento le volte del vasto [p. 148 modifica]tempio di nostra Donna risuonarono dell'inno ambrosiano. Compiuta la solenne cerimonia allontanavasi Napoleone ed il suo corteggio dal tempio. Rimasto il papa quasi solo ed unico oggetto degli sguardi e dell’affetto di tutti, il paterno suo cuore fu soddisfatto pei sentimenti religiosi dei parigini che gli, si affollavano d’intorno in modo, che parea difficile lo svilupparsi dall’onda di popolo, che volea contemplare d'appresso le venerande sembianze del successore di Pietro. Ricondotto all'arcivescovato sotto il baldacchino, ammisse al bacio del piede il clero francese che aveva assistito alla consacrazione e col corteggio istesso che precedentemente il condusse alla metropolitana, restituivasi alle Tuilleries. E mentre, abbandonate le antiche insegne repubblicane rese tremende dalle renane, dalle italiche, dall'egiziane vittorie, sul campo di marte il nuovo sire con nuovi auspici consegnava ai soldati le aquile, dall'imperial gabinetto diriggevansi circolari agli arcivescovi e ai vescovi della Francia, con le quali l’imperatore facevasi a dire « la provvidenza mi ha ben dato nuove forze per portare il peso della corona, che ha posta sul mio capo: la vera soddisfazione che il mio popolo ha dimostrata in occasione della mia consacrazione, seguita nello scorso giorno con tutto ciò che poteva aggiungere di pompa e solennità la presenza di nostro signore papa Pio VII capo visibile della chiesa universale, le acclamazioni, che hanno accompagnata l'angusta ceremonia penetrarono il mio animo di un profondo sentimento, che non potrà mai cancellarsi. Ad ottenere pertanto dall'essere supremo, che così visibilmente protegge l'impero, che si degni di unire alla sacra unzione che ho ricevuta, tutte le grazie che la sua bontà mi fa sperare, che mi accordi la prudenza, prima virtù dei sovrani, che mantenga il mio popolo nella pace, e nella tranquillità, oggetto delle mie cure € nelle quali ravviserò sempre la più solida gloria del mio regno, desidero che vengano fatte pubbliche preghiere in tutte le chiese dell'impero».

VI. Accompagnato dai cardinali, dai prelati, dai principi romani che trovavansi in Parigi, scortato da un [p. 149 modifica]distaccamento di corazzieri, trasferivasi il papa nella chiesa metropolitana il di del natale. Ricevuto alla porta del tempio dal cardinale De Belloy arcivescovo e da quanti erano arcivescovi e vescovi nella capitale della Francia, entrava in chiesa, della quale non erano stati rimossi gli addobbi e le decorazioni, che servirono alla consacrazione dell'imperatore dei francesi. Vi accorsero i parigini e furono colpiti dallo splendore imponente, che accompagna e circonda le funzioni celebrate dal sommo pontefice. Dopo la messa onorava di sua presenza il palazzo arcivescovile ed eragli nella gran sala dal cardinale de Belloy presentato il celebre statuario de Seine, che così feceasi a parlargli. « La vostra presenza in Parigi renderà quest'epoca memoranda. Vuole la Francia contrasegnarla con un opera monumentale: essa ci appartiene, essa è destinata a ricordare alle età future, che venne, che dimorò fra noi il padre di tutti i fedeli. Voi non potete negare questo segno di benevolenza all'amore, al rispetto dei vostri figli. Fui io prescelto a ritrarre in marmo le vostre anguste sembianze. Ricevete l'omaggio del mio profondo rispetto, accordatemi questo onore: volgete in fine, o padre santo, lo sguardo alle persone che vi circondano e direte essere io l’interpetre dei loro veri pensieri ». Fattosi quindi innanzi de Mons gran vicario, e grande elemosiniere dell’imperatore, presentava al papa la deputazione dei medici dell’Hotel Dieu. Parlò con dignitose parole a nome dei suoi colleghi il dotto Reveilliere Lepreuz, che invitava infine il pontefice a visitar l'ospedale, ove al suo nome erasi innalzata una lapide. Sarebbe nojoso ricordare le numerose deputazioni, le visite fatte dal papa ai diversi stabilimenti pii, ai musei imperiali, agli opifici, alle fabbriche parigine. Parleremo delle più importanti limitandoci a dire, che quanti erano in quella città deputati ad assistere alla incorenazione imperiale, sollecitarono tutti l'onore d’inchinarsi ai suoi piedi. Così la Francia che avea nel delirio delle passioni disprezzata la religione cattolica, fece generosa ammenda dei propri falli innanzi al capo visibile della chiesa [p. 150 modifica]

VII. Vari furono i templi nei quali celebrò il sacrificio incruento : ricordiamo quello di san Tommaso di Aquino, di s. Eustachio, ove benedì una cappella consacrata alla vergine. Visitò la chiesa gotica dedicata al protomartire santo Stefano; accompagnato dal vescovo di Carcassona, pregò sulla tomba di santa Genueffa, e quel tempio, che duranti le aberrazioni republicane , era stato convertito in un sacrilego panteon contaminato dalle ceneri di coloro, che affrettarono la corruzione del secolo, venne purificato dall'augusta presenza dell'universale pastore della cristianità. Accompagnato da uno scelto numero di dragoni e di corazzieri sino al di là di Scures, giunse a Versailles. Non gli fu dato ammirare l'eleganza degli appartamenti, la ricchezza delle gallerie perchè impedito dai fedeli, che anziosi gli si affollavano d'intorno e devoti si precipitavano ai di lui piedi. Visitò il museo di storia naturale, ammirò la biblioteca annessa a quello stabilimento ove era ricevuto dal consigliere di stato Fouroroy, direttore del giardino delle piante, il quale prese a dirgli, che dopo il giorno memorando per la Francia, in cui erasi la sacerdotale sua mano posata sul capo dell’uomo, che avea fatta la felicità della nazione, dopo la visita fatta alle chiese della capitale, era giusto venisse egli a confortare di sua presenza un tempio di genere ben diverso: un tempio cioè ove stanno raccolte le mirabili produzioni della natura: esso come i cieli narrano la gloria di Dio. Il naturalista, aggiungea, ora scavando i minerali, che giacciono sepolti nelle viscere della terra, ora studiando le piante, che ne adornano la superficie, ora esaminando i varî animali, che abitano la terra, l’aere e l’acqua rende un omaggio di lodi alla mano creatrice che li trasse dal nulla; e cosa lusinghiera per noi, o padre santo, il presentarvi i monumenti della sapienza di quel Dio, del quale siete il rappresentante frà noi. » Visitò quindi la zecca delle medaglie: giunto innanzi ai bilancieri fu coniata in oro la medaglia con l'effigie del papa in abiti pontificali, avente in capo il triregno con la leggenda » Pius VII P. M. Hospes Napoleonis Imp. Il rovescio della medesima esprimea il giorno, in cui aveva Pio VII [p. 151 modifica]visitato il vasto edificio. La seconda medaglia rappresentava il santo padre e nel rovescio la metropolitana di Parigi col motto « Imperator sacratus: leggevasi nell’esergo » Parisiis secundo decembris MDCCCV. Visitò quindi la famosa fabbrica imperiale delle porcellane di Sevres, lo stabilimento dei ciechi, l'ospedale della casa di Dio, al quale, come indicammo, era stato invitato dalla commissione dei medici 6. Mostravagli in quella circostanza il generale Eustormel un insigne reliquiario: il legno della croce, che Goffredo di Buglione nel 1099 diede a Remboldo d’Eustormel, che primo inalberò la bandiera sulle mura di Gerusalemme. Parole, che onorano altamente gl’italiani pronunciò innanzi ad esso Gousselin, quando visitò l’imperial biblioteca. « In questo recinto egli disse, ove stassi raccolto il ricco tesoro delle umane cognizioni è giusto il ricordare che la vostra Roma, o padre santo, è stata per la Francia quello che la Grecia fu per l'Italia. Furono i vostri predecessori che, accogliendo i dotti sopravvissuti alla distruzione dell'impero di Oriente, ridestarono sul compiersi del secolo decimo quinto la face della scienza omai vicina ad estinguersi: è dovuto alla protezione da essi accordata s'ivi fiorirono dapprima per ispandersi quindi sulle terre francesi, ove acquistarono tanta perfezione. I nostri onorevoli successi non ci fanno dimenticare i nostri primi maestri e ci è dolce il rammentarlo al successore di tanti gloriosi pontefici. L’aggirarsi che fece egli per le vaste sale di quel magnifico stabilimento nella rigorosa stagione riuscì dannoso alla sua cagionevole salute. Risorto appena dagl'incomodi sostenuti, visitava Napoleone e Giuseppina per render grazie delle sollecitudini prodigategli.

VIII. L'animo del pontefice, sempre intento ad assicurare il grande interesse della religione, giovavasi di tutte [p. 152 modifica]le occasioni per conseguirlo. Trattenevasi ancora in Parigi perchè volea personalmente trattare con Napoleone ed ottenere quelle larghezze che gli erano state promesse. Molte cose domandava egli all’ Imperatore per bene della religione, per la libertà della chiesa, per il decoro del clero: altre ne otteneva in fatto, altre in parola. Con soddisfazione di tutta la Francia ristabilivasi a sua dimanda il pio istituto di san Vincenzo di Paoli : assicurava aumento di dotazione alle diocesi e alle parocchie, rendea libera l'azione dei vescovi nel giudicare le cause spirituali e disciplinari del clero e nel punirne con pene canoniche le dilinquenze. Per le sue amorevoli sollecitudini diminuironsi gli ostacoli, che incontrava la gioventù desiderosa di dedicarsi all'altare: provvidesi a sua domanda alla cristiana educazione della prima età, all’assistenza dei moribondi. Trattò coll’imperatore della Francia degli affari germanici: ebbe parole: non conseguirono gli effetti sperati. Dovendosi provvedere alla chiesa di Ratisbona e a dieci sedi vacanti, tenne nell’episcopio concistoro segreto. Assiso sul trono, ammise al suo cospetto i due cardinali francesi Stefano Uberto de Cambacieres arcivescovo di Rohan e Giovanni Battista de Belloy arcivescovo di Parigi che non avevano ancora conseguito il cappello cardinalizio. Imponealo il papa sul loro capo recitando la consueta preghiera. Ringraziò Belloy anche a nome del suo collega il santo padre che amorevolmente rispose. Innalzò quindi la chiesa di Ratisbona nella bassa Baviera in metropolitana per l'Alemagna, nominando a quella sede Teodoro de Dalberg elettore ed arcicancelliere dell'impero germanico ed antico elettore di Magonza, che già in virtù dei decreti della santa sede, da oltre a due anni amministrava quella diocesi. Pose Pio VII la nuova metropolitana al luogo e posto di quella di Magonza, di Treves, di Cologna, di Salisbourg assegnandogli suffraganei i vescovi, che appartenevano a quegli arcivescovati. Era questa operazione preludio di nuove disposizioni relative alla chiesa alemanna che sventuratamente non ebbero luogo: nominò quindi i vescovi di Poitiers in Vienna di Francia e della Rocchelle nella Gironda inferiore. Il [p. 153 modifica]secondo concistoro era dal papa tanuto nell’imperiale palazzo: furono per esso proviste cinque chiese del loro pastore. Memore Pio VII d’aver un tempo appartenuto all’inclito ordine benedettino volle visitare la chiesa di s. Germano des Pres: ricevuto da Guineau questi fecesi a dirgli: questo luogo fu, santo padre, la culla dell'ordine di san Benedetto, ordine venerando a cui il vostro nome aggiunge una gloria: sotto queste tacite volte meditarono sulla religione, sulla morale, sulla storia e su tutte le scienze utili all'uman genere i Mabilloni, i Mont Fancon e gli altri uomini insigni, la cui memoria sarà eterna frà noi, come sono eterni i benefici da essi apportati alla religione, alle scienze, alle lettere, alla civiltà mondiale. Questa chiesa è antica quanto la monarchia francese. Devastata dai Normani fu nel secolo XII ricostruita e consacrata dal pontefice Alessandro III. » Rispose con cortesi parole Pio VII, che nella chiesa medesima collocò la prima pietra d'un altare consacrato alla vergine.

IX. Raramente giungevano in Romale notizie del s. padre. Sapeasi, che in Francia nobilissima gara erasi destata nel tributare omaggi al vicario di Cristo; diceasi avere il papa sopportata una malattia, conseguenza della fredda stagione; che erasi ristabilito: era in tutti vivissimo il desiderio di vederlo finalmente restituito all'amore dei sudditi, alla sua sede apostolica. Intanto ai romani già grandemente contristati dalla lunga assenza del principe e dal sospetto di un vicino irrompere di armi sovrastava nuova sciagura. La notte del trentuno gennaro 1805 il vento sud ovest soffiando con violenza frà la torre clementina e quella di san Michele, ove il tevere s'immette nel mar tirreno, spinse indietro le acque. Rimontando esse verso la sorgente, andavano vorticose ad unirsi a quelle che o discese dai monti, o tributate dai fiumi minori, ingrossano il tevere nel suo corso. Alle acque che debordavano bastò una notte per invadere la via di ripetta, la contrada dell'orso, i luoghi più bassi di Roma. Coperte dalle acque vedevansi le campagne, che si allargano alle falde del monte Mario. Alberi, masserizie, carri, bestiami colti all’improviso, [p. 154 modifica]sotto un cielo, dopo larghe pioggie tornato sereno, erano travolti dalla corrente, che ingrossavasi a colpo d'occhio. Si ebbero in questa escrescenza, che superò di circa cinque palmi quella terribile del 1768, a deplorare anche vittime umane. Era spettacolo miserando a vedersi le contrade, le piazze di Roma allagate dal minaccioso irrompere delle acque, che dopo essersi distese per i prati, le vigne e gli orti che forniscono la città dei loro prodotti, si allagavano, rendevano impraticabili la porta angelica, la flaminia, la portuense. Tutta intera la piazza agonale, quella di sant'Apollinare, di sant'Agostino, di sant’Eustachio erano sotto acqua: stavano per oltre dodici palmi sott'acqua le vie basse del ghetto, così che le merci chiuse in quei fondachi vennero guaste dal limaccioso sedimento delle arene travolte dal fiume: che penetrò in borgo pio, allagò l'ospedale di santo spirito: gl'infermi dalle corsie vennero in fretta traslocati nel palagio del prelato commendatore. Misurate le acqueraccolte nel centro della piazza del panteon segnavano desse la profondità di due canne. Grande fu lo spavento della città, grandissima la energia mostrata dal governo, mirabile la carità spiegata dagli abitanti. Su piccoli battelli correvano a portar soccorsi alle case occupate dalle acque e principi romani, e cittadini, ed ecclesiastici: distinguevansi su tutti il giovane principe Aldobrandini. Il cardinal segretario di stato, non contento di aver adottate energiche misure per alleviare i danni cagionati dalle acque, salì su fragile battello, e portò egli stesso soccorsi in danaro e provigioni di pane agli abitanti della contrada dell'orso, compensato abbastanza dalle benedizioni del popolo, che sulla via libera dalle acque, e sulle fenestre stavasi ammirando questo atto generoso di umanità. Sul declinare del due febraro, memorando ai romani pel terremoto avvenuto nel 1703, s'intese da un punto all’altro della città un grido di gioia. Eransi veduti i primi sintomi di decremento segnato dal tevere, che nel corso della notte rientrò nel suo alveo, lasciando nelle vie e nelle piazze un fango denso e malsano, che disparve per le misure di provvidenza prontamente adottate. Al [p. 155 modifica]cuore di Pio VII addolorato da questa sciagura fu conforto il sapere, che il previdente e coraggioso Consalvi, da lui lasciato al governo di Roma avea con la energia e con lo zelo giustificata la scelta. Lodevolissime del pari si giudicarono le precauzioni da lui adottate per allontanare da Roma la febre gialla che erasi manifestata in Livorno.

X. Proseguivasi in Parigi a dar prove di rispetto a Pio VII. Umiliavagli Lalande la sua opera delle longitudini: il famoso incisore Drovin presentavagli una tavola esprimente il trionfo della religione. Una dolcissima emozione si diffuse sul volto venerando del papa nel ricevere questa offerta. Visitò l'insigne stabilimento tipografico diretto da Marcel: nel percorrere le vaste sale vide posti in azione cento cinquanta torchi che in diverse lingue stampavano in altrettanti fogli l’orazione domenicale. Tributò egli quel pregiato lavoro al padre dei credenti, che eragli largo di encomî. Ebbe David l'onore di eseguire il di lui ritratto. Applaudito ovunque si fece vedere, guadagnò la stima e il rispetto di tutta la Francia, che il riguardava con sentimenti di sincera pietà. A muovere l'animo imperiale esponeva Pio VII in una lunga nota i suoi diritti e le sue speranze, e concludeva « faccia Iddio, che per la vostra gloria e per consolazione dell'animo nostro scrivasi di voi ciò che la chiesa registrò nei suoi annali del figlio di Carlo magno che a Stefano IV tutto quello concesse che all'imperatore avea domandato. Ossequiosa fu la risposta data da Napoleone a questa nota: gli effetti e i vantaggi sperati dal pontefice e dalla chiesa non conseguirono. Intanto al cuore dei romani omai pesanti divenivano gl'indugi: temevasi veder chiuse a Pio le vie del ritorno. Napoleone, che visitava il papa frequentemente volle partecipargli in modo officiale la nascita di Carlo Luigi Napoleone secondogenito del gran contestabile dell'impero suo fratello, che fu da Pio VII tenuto al fonte battesimale. Credesi, che uno dei grandi della corte, mentre il papa prendeva le sue disposizioni per tornare in Roma, abbiagli progettato di andare in Avignone, o di accettare il palazzo dell’arcivescovato di Parigi: aggiungevasi, che si sarebbe stabilito [p. 156 modifica]un quartiere privilegiato, ove gli ambasciatori delle potenze cattoliche accreditati presso il pontefice, terrebbero la loro residenza. Napoleone tanto non aveagli certamente mai detto, ma può credersi, che in una corte ove l'imperatore esercitava tanta potenza sulla parola non meno che sul pensiero, niuno avrebbe azzardato di porre in campo un progetto che fosse ai suoi disegni contrario. Bastò peraltro una parola di Pio VII per dissipare il pericolo. Si sostiene, disse egli, che noi dovremo esser ritenuti in Francia. Ebbene: ci si tolga pure la libertà: a tutto abbiamo noi provveduto. Prima di allontanarci da Roma giudicammo esser cosa prudente il sottoscrivere una regolare abdicazione , che dovrà aver valore se la provvidenza ha deciso che debba esserci impedito dalla violenza il pacifico ritorno alla nostra sede. Quel foglio che assicura un successore alla cattedra di san Pietro, ove altri volesse gettarci in un carcere, fu da noi consegnato al cardinale Pignatelli arcivescovo di Palermo. In tal modo chi può credere di aver in ostaggio il romano pontefice, dovrà avvedersi non aver altri in mano che un povero monaco che chiamasi Barnaba Chiaramonti.

XI. Tanta fermezza non mancò di produrre favorevoli effetti. Riferito il tutto a Napoleone, che era già sulle mosse per andare a Milano, diede questi la sera istessa gli ordini della partenza. La separazione fu meno amichevole del primo incontro a Fontainebleau. L'iperatore era stato contradetto nei suoi vasti progetti: Pio VII avea veduto dissipate le sue più belle speranze. Furono offerti magnifici e ricchi doni al papa: erano ricusati. Si offrirono pensioni ai cardinali: imitarono anch'essi l'esempio di Pio. Il giorno quattro aprile 1805 lasciò la capitale della Francia per far ritorno in quella del cristianesimo, ove era ardentemente desiderato. D'ordine imperiale lo accompagnava de Brigode ciamberlano di corte. Notarono i parigini che il pontefice era mestissimo nell'atto della partenza e quando sul far del mezzo giorno si pose in carrozza, sebbene piovesse direttamente, vidersi gli atri delle Toulleries e la piazza e le vie che mettono all'imperiale palagio [p. 157 modifica]ingombrate di popolo che facea voti pel suo prosperoso viaggio, e implorava la benedizione dal padre comune dei fedeli. Napoleone sdegnando dividere seco lui gli omaggi del popolo lo precedeva di qualche giorno. Giunto a Fontainebleau ammise al bacio del piede un gran numero di granatieri della guardia imperiale e moltissimi cittadini. Destò entusiasmo a Trojes e a Semur in Briennais: passò per Shalons, ove può dirsi che lo attendevano tutti gli abitanti della Borgogna, desiderosi di venerare il capo visibile della chiesa. Prendea riposo nei giorni della settimana maggiore e Shalons sur Saòne e in quell'antica cattedrale eseguiva le ceremonie solite a praticarsi in Roma. La mancanza peraltro dei sacri arredi, dei quali fa uso il papa nei suoi pontificali, non gli permise il giorno di pasqua di celebrare solennemente il divin sacrificio: recavasi però nella chiesa dedicata a san Pietro, ove erasi eretto un palco, dal quale con le formole. consuete compartiva al popolo la benedizione apostolica. Postosi di nuovo in viaggio si diresse a Màcon, ove tanto popolo attendea il suo passaggio, che appena appena le guardie che circondavano il santo padre giunsero a salvarlo dall’urto dei devoti che gli si affoliavano intorno, anziosi di vederlo d'appresso, di baciargli i piedi, le mani, di toccar le sue vestì, d'essere benedetti i primi. Caddero alcuni soldati oppressi dall’urto della folla irrompente da tutti i lati: era il papa sorretto da quattro o cinque persone, che per salvarlo gli si erano fatte d’appresso: eppure Pio VII commosso da tante prove di affezione, reggendosi appena fra le loro braccia, sorridea amabilmente al buon popolo Màconese. Avvicinandosi il dì appresso a Lione, incontrò una schiera di giovani che formarono la di lui guardia d'onore e fecero il servizio di palazzo. Conviene credere il papa altamente soddisfatto dell’accoglienza Lionese, dappoichè sovente ne tenne parola e lungamente ne serbò la memoria. Durante la sua dimora in quella città con solenne e pubblico rito restituì al culto divino il duomo di Foarvieres, santuario in quelle contrade celebratissimo per la devozione dei popoli. La mattina del giorno venti si diresse alla volta di Chambery. [p. 158 modifica]Fu impossibile ammettere al bacio del piede tutti colore che il domandavano con fervide istanze: videsi il palazzo della prefettura, ove il papa avea preso stanza, circondato da una moltitudine di fedeli, disposti a vegliar la notte per vederlo almeno una volta quando dovea di buon mattino condursi a saint Jean de Maurienne, ove giunse il di ventuno. Vi dimorò due giorni: mosse quindi pel Luxembourg, valicò le Alpi, passò a Susa, giunse la sera in Torino, ove fu visitato da Napoleone. Ambo alloggiati nel palagio dei re sabaudi, ambo stretti lunghe ore a colloquio. Godeane Napoleone, godeane Pio VII che sperava: il popolo subalpino laudente dicea stretti insieme di vera amicizia il papa e l'imperatore. Lasciando Napoleone che meditava imprese guerresche e intanto con finti simulacri di battaglie sui campi di Marengo ricordava le antiche vittorie, il di ventisette mosse Pio per Asti, quindi per Alessandria e Voghera, donde pervenne a Piacenza. I cardinali Caselli, Spina, Bellisomi, Oppizzoni lo aspettavano a Parma, ove giunse il di primo maggio. Ricevuto nel monistero di s. Giovanni della congregazione casinense, si trattenne domesticamente con l'abate Campobasso e coi monaci. Da quella sua residenza scrisse all'imperatore ricordar egli con tenerezza paterna gli onori a lui resi dalle autorità locali, dalle milizie e le prove di devozione ottenute dal popolo. Celebrò messa nella cattedrale parmense e onorò di sua assistenza il solenne possesso del cardinal Casini eletto vescovo di quella città. Per la via di Reggio e di Modena toccò i con- fini della Toscana, ove attendealo il senatore Salvetti e la guardia nobile, che lo scortò sino al castello di Caseggiolo. Era ivi aspettato dalla regina reggente circondata dai suoi due piccoli figli Carlo Lodovico e Luisa Carlotta, venuti appositamente per fargli omaggio. Accompagnato dai cavalieri toscani Sergardi, Salvetti e Seristori, sull’imbrunire della sera, in mezzo alle acclamazioni del popolo entrò in Firenze per la porta s. Gallo. Si recò al tempio di santa Maria del Fiore, visitò i santuari e i monisteri di quella città e si ebbe nei giorni in cui si trattenne in Firenze rispettosi e filiali accoglimenti dalla piissima regina d'Etruria. Iddio al [p. 159 modifica]paterno cuore del pontefice preparava un'altra consolazione in quella città. Erano insorte differenze fra la santa sede e monsig. Scipione de Ricci sotto il pontificato di Pio VI. Fomentando quel prelato il fuoco della discordia, patrocinava le opere dei giansenisti Soaneu, Mesonguì, Gourlin, fautore mostravasi caldissimo di Bajo e Quesnello. Gravemente censurate dalla bolla Auctorem fidei le proposizioni del sinodo di Pistoia, stavasi il vescovo novatore confinato nella sua villa di Rignano. Il lodato arcivescovo di Firenze monsignor Martini, ora con gravi, ora con amorevoli parole invitavalo a ritrattarsi. Ostinato il Ricci dicevasi calunniato dai perversi e ossequente al pontefice. Morto Pio VI scrivea lettere al successore, dichiarandosi di cuore e di mente cattolico; queste sue proteste per altro, lungi dall'essere soddisfacenti, alimentarono le discordie. Al papa che recandosi in Francia transitava per Firenze, fece monsig. Ricci tenere nuove dichiarazioni di obbedienza e di fede. Mandavagli al suo ritorno da Parigi a dire Pio VII che se avesse la sua ritrattazione sottoscritta avrebbelo volentieri abbracciato. Esiggersi da lui intera sottomissione ai decreti della santa sede, all'autorità pontificia; e poichè pubblico era stato lo scandalo, pubblica doversi rendere la sua dichiarazione. Sottosorisse il prelato: monsignor Fenaja era latore di quel foglio che meritavagli di essere accolto onorevolmente nel palazzo Pitti da Pio VII e dalla regina di Etruria. L'abbracciò il papa con effusione di cuore, esortandolo a vivere nel centro della unità, perchè avea Iddio schiusi ad esso i tesori della sua provvidenza. Lieto di questa ritrattazione disponevasi il papa a rientrare nei suoi stati.

XII. Mosse per la frontiera di Toscana la guardia nobile pontificia. Partì il papa il giorno dieci per Arezzo, arrivò il dì seguente a Cortona, d'onde proseguì per Perugia, ove giunse sul far della sera. Visitò il santuario di Assisi, passò a Spoleto, quindi per la nuova strada di Otricoli giunse a Nepi, ov'era atteso dal cardinal Consalvi, che rivide con indicibile piacere. Incontrato alla Storta dall’ambasciatdre di Spagna de Vargas y Laguna e da un [p. 160 modifica]gran numero di patrizì romani, si diresse alla capitale. Sul ponte Milvio risarcito dai danni sofferti per la inondazione del tevere, era aspettato dalla sua nobile corte e dal popolo, affollavantesi rispettoso e plaudente lungo le vie che doveva percorrere. Siccome un editto governativo avea annunciato che dopo la dolorosa assenza di oltre a sei mesi il pontefice tornava in mezzo ai suoi sudditi, così tutti corsero a gara per festeggiarne l'arrivo. Lasciò la via flaminia e per la strada che mette a porta angelica volle trasferirsi alla basilica vaticana. Grave per anni stavasi su i liminari del tempio l'ottuagenario cardinal duca de Yorck, circondato dal sacro collegio : lo attendeva la prelatura, il senato, le nobiltà, il capitolo vaticano. Recavasi innanzi alla confessione ove riceveva la benedizione eucaristica compartita dal cardinale a più che trenta mila persone adunate in quella basilica. Già le tenebre si addensavano sull’immenso tempio quando il papa per impulso religioso recavasi innanzi al sepolcro del principe degli apostoli. Egli che avea fervorosamente pregato, prima di allontanarsi da Roma, volle al ritorno porgere le sue vive azioni di grazie a san Pietro che incolume avealo serbato fra i pericoli di un disastroso viaggio intrapreso nel cuore dell’inverno per apportar beneficio alla religione e richiamare la Francia all'antico cattolicismo. Trascorreva il tempo e il papa genuflesso stavasi tutto in sè raccolto ai piedi dell'altare in mezzo ad un popolo che attendeva in silenzio di vederlo sorgere da quell’umile posizione. Cresceva l'oscurità, non erasi preparata la chiesa ad una funzione notturna e Pio VII continuava a pregare. Vistolo tutto assorto in meditazione profonda avvicinavasi ad esso il cardinal Consalvi per domandargli se mai fosse indisposto. Amorevolmente il papa gli strinse la mano dicendogli non dubitasse: significare la sua prolungata preghiera null'altro che un eccesso di consolazione nel vedersi restituito dalla provvidenza ai suoi stati. Sorgea poco dopo da quella specie di estasi prodotta dal sentimento della riconoscenza: nell’allontanarsi dalla basilica era sul limitare del tempio inchinato dall'arciduchessa d'Austria Marianna e dal principe [p. 161 modifica]ereditario di Baviera. Stanco dalle fatiche durate diriggevasi al palazzo quirinale in mezzo alle vie abbellite dai lumi e coperte da un popolo numeroso ch’egli passando benediceva. Così ebbe termine un viaggio di cui variamente hanno parlato i contemporanei che lungi dal considerare la gravezza dei casi, i quali determinarono il pontefice a secondare l’imperatore, dopo avere interpellato il parere del sacro collegio, senza pensare alle conseguenze che da una efficace opposizione potevano derivare, audaci il vituperarono, accusandolo di soverchia condiscenza.

XIII. Echeggiava tutta Roma di applausi: i pubblici edifici, i superbi palagi dei principi, le umili case degli artigiani, i fondachi, le botteghe, le vie più neglette della città eterna brillavano d'immense luminarie: nelle sale del campidoglio ricche di oggetti artistici dai pontefici raccolti a gloria di Roma, a vantaggio delle arti, il senatore Abondio Rezzonico invitava il patriziato a festeggiare il ritorno del pontefice massimo: che è nell'umana natura non mai valutarsi meglio un beneficio, che dopo averlo per alcun tempo perduto. Nel tempio di Aracoeli rendevansi a Dio grazie solenni, nelle sale accademiche dell'Arcadia e della Tiberina dicevansi le lodi del santo padre, nelle case narravansi dai domestici, col papa tornati di Francia, le parigine meraviglie, le napoleoniche magnificenze: era però una gioia, una soddisfazione che dovea durar poco. Pio medesimo ricordava con compiacenza quello che avea veduto, mostrava le medaglie coniate in suo onore, ricordava le prove di filiale tenerezza ottenute in Francia e in cuor suo proponeva dotar Roma e lo stato non meno che l'Italia, la Germania e l'Irlanda di quella schiera generosa di sante donne che diconsi sorelle della carità e si consacrano con abnegazione spinta sino all'eroismo alla cura dei poveri infermi. Intimato il concistoro volle il papa con solenni parole narrare ai cardinali quali fossero e quante le prove di tenerezza e di amore ottenute in Francia e mostrare come il suo soggiorno nella capitale di quell’ impero , la sua presenza nelle città visitate avea novellamente i cattolici riuniti al capo visibile della chiesa. Eravi

Giucci. Vita di Pio XII [p. 162 modifica]diceva egli, dalla fama manifestato nella nostra assenza con quanto fervore di animo, con quali sentimenti di soda pietà hanno i popoli della Francia in noi venerato il successore di san Pietro. Ci gode l'animo in accertarvi che le notizie a voi giunte o non eguagliano la verità o la trascurano. L'amore, lo zelo, l'esercizio delle cristiane virtù, il sentimento della religione purissima risorge in Francia. Piacque a Dio render fecondo di benefici il nostro viaggio, e i vescovi tutti che noi accogliemmo solleciti, che confortammo di nostre parole ci fecero sicuri, che per noi erasi provveduto al vantaggio spirituale di quell’inclita nazione. Visitammo le parocchie di Parigi, di Lione, di altre città cospicue di Francia e abbiamo di nostra mano offerto il pane eucaristico a migliaia di francesi, che compunti e devoti appressaronsi alla sacra mensa. Vedemmo come erasi a consolazione degl'infermi, alla educazione dei giovani provveduto. Fummo ovunque circondati da una schiera interminabile di cattolici che noi seguivano, noi accompagnavano riverenti e mai sazî mostrantesi di ricevere dalla nostra mano la benedizione apostolica. Rendea quindi noti ai porporati i pregi del clero francese: lodava lo zelo, la fatica, la vigilanza dei vescovi: esaltava del clero minore la docilità, l'obbedienza, la dottrina: diceva in fine di esser lieto di poter rendere essi questa testimonianza di encomio alla presenza del sacro collegio, assiso sulla cattedra del principe degli apostoli, in faccia a tutta la chiesa. Faceasi in ultimo con gravi parole a rammentare il vescovo pistoiese Scipione de Ricci che, fatto ossequente alla santa sede apostolica, avea con pubblica ritrattazione agli antichi scandali riparato ed erasi felicemente rimesso sulle vie fuori delle quali non v'è salute. Con queste ed altre consolanti parole il pontefice mostrava ai porporati avere utilmente sei lunghi mesi dimorato lontano dall'apostolica sede, dalla diletta sua Roma. Giungeva intanto testimonio dell’ imperiale favore per mezzo del cardinal Fesch un triregno, del quale Napoleone facea dono a Pio VII, di superbo lavoro, splendidissimo per gemme e perle orientali: otto nobilissimi arazzi esprimenti altrettanti fatti del [p. 163 modifica]nuovo testamento; tre grandi tappeti bellissimi per disegno, per vaghezza e varietà di tinte: due candelabri che andarono a decorare la biblioteca vaticana e vari oggetti di porcellana per uso del santo padre, che in ricambio inviava all'imperatore un sorprendente cameo rappresentante la continenza di Scipione ed altri oggetti di sommo valore per la materia e per l’arte.

XIV. Mentre però in Roma godevasi pel ritorno del supremo gerarca nuovi cambiamenti subivano diverse parti dell'Italia superiore. Era nel corso delle umane cose che ristabilita in Francia la monarchia, subissero un egual sorte l’italiane repubbliche. Melzi che erasi recato a Parigi per la festività della incoronazione con la consulta di stato e i deputati dei varî dicasteri, conosciuti chiaramente i desiderî del nuevo sire, fattosi innanzi al trono del vincitore di Marengo, aveagli detto, esser Bonaparte fondatore della repubblica italiana: doverne egli essere re: stabili vasi che la corona di Francia e d’Italia ambe posassero sulla sua fronte: dopo la sua morte fossero separate per sempre: eragli intanto data facoltà di crearsi un successore fra ì figli o legittimi o adottivi, escluse le donne. Trovavasi ancora Pio VII a Parigi, quando Napoleone, pregato a recarsi a Milano per cingere la fronte della corona di ferro, rispondeva di accogliere i voti del popolo portatigli da Melzi, dalla consulta di stato, desiderare il momento di trasmettere la corona al più giovane dei suvi figli. Melzi giurò obbedienza, la giurarono i deputati. Napoleone andò, come vedemmo, a Milano. Doveansi da noi queste cose ricordare per intelligenza di quelle che andremo narrando. Alla capitale dell'Insubria sospettosi ed incerti erano volti gli sguardi di tutta l'Europa. La corona dei re longobardi serbata in Monza il ventisei maggio, alla presenza del cardinal Caprara legato a latere, passò sulla testa di Napoleone. Spedivano i sovrani ambasciatori per onorarlo; Pio VII limitavasi al fargli dire come le cose le quali a Napoleone erano di gloria, riuscivano a lui giocondissime. Tali erano le italiche condizioni quando giunse in Roma lettera del cardinal Caprara, con la quale da parte dell' [p. 164 modifica]imperatore faceasi a domandar cosa che al papa recava una qualche sorpresa. Voleasi nunzio alla dieta di Ratisbona monsignor vescovo di Orleans e ciò domandavasi mentre il papa avea già nominato a quel posto monsignor Annibale della Genga. Vide Pio non esservi miglior partito che scrivere direttamente a Napoleone e il fece con una felicità che poteva appena sperarsi. Noi, scriveagli in data del dieciotto maggio, abbiamo partecipato all'elettore che cadeva la nostra scelta sul prelato Annibale della Genga: questi è già in relazione con esso, ed oggi riceve lettera autografa da quel principe Francesco Il: molti sovrani della Germania sono di lui soddisfatti, dappoichè ebbero il destro di conoscerne la sagacità e la prudenza. Come potremmo, o sire, senza compromettere la dignità di questo personaggio favorevolmente conosciuto in quell'impero, cangiare idea, e quello scegliere che ha l'alto onore di essere raccomandato da voi? Della Genga visitò come nunzio apostolico quei paesi, ne conobbe l'indole, avvicinò gl'individui con i quali dovrà trattare i gravissimi affari religiosi che noi gli abbiamo commessi, dei quali a voi è nota la responsabilità e l’importanza. Corre tempo dacchè egli si occupa a studiare profondamente le questioni, che domanda lumi, che chiede consigli a coloro cui sono note sì fatte materie. Noi pure abbiamo seco lui ragionato più volte, gli abbiamo comunicati i nostri sentimenti su questo interessante subbietto. Egli è a noi unito, egli a preferenza di qualunque altro prelato potrà in Ratisbona assicurare il buon esito di un negoziato sì grave e di una responsabilità tanto profonda. Non ci mancherà, conchiudeva, al grand'uopo la mediazione della maestà vostra che noi ardentemente desideriamo. Penetravasi di sì gravi ragioni l'imperatore, che il ventitrè del mese istesso rispondevagli, che qualunque fosse il legato che sua santità avrebbe spedito alla dieta di Ratisbona, potea farsi fondamento sulla sua assistenza amichevole, perchè gli affari della Germania cattolica riuscissero a seconda dei desiderî manifestati dal papa. Pesava sul cuore del nuovo imperatore dei francesi un parentado contratto dall’ultimo dei suoi fratelli [p. 165 modifica]Girolamo negli Stati Uniti. Alla età di diecinove anni erasi egli sposato a Baltimora con la giovane Patterson protesante. Napoleone credendo nullo un tal matrimonio ne scrivea al papa per ottenere la dichiarazione d’invalidità. Non esitava Pio a rispondergli: abborrire la chiesa un matrimonio fra cattolici e protestanti, biasimarlo, se contratto senza il consentimento dei genitori, ma tenerlo siccome valido: conchiudeva che era impossibile il dichiararlo nullo: che per secondare i suoi desideri, non potea mancare innanzi a Dio e innanzi alla chiesa.

XV Nuove ragioni di dissidi vennero sventuratamente ad aumentare il risentimento di Napoleone verso il magnanimo Pio, di Fesch verso Consalvi: la posizione di Roma faceasi ogni dì più scabrosa, l’azione del governo meno libera. Consalvi, che conquistava ogni giorno un qualche titolo all'imperiale benevolenza e all'amicizia del ministro degli affari esteri Talleyrand, ebbe in Roma argomento di non lieve disgusto nei suoi rapporti col ministro di Francia il cardinal di Lione: certo che il reggere lo stato in quei tempi, senza urtare ora nell’una ora nell altra suscettibilità, era impresa più che ardua e difficile, impossibile e perigliosa. Quattro giovani sudditi del papa, abusivamente muniti di coccarda francese, aveano sulla piazza agonale commesso barbaro omicidio nella persona di due venditori. Il pubblico, viste le coccarde di Francia e il brutale delitto diceali francesi o a quella nazione aderenti e mormorava: seppelo il cardinal Fesch e una nota inviava al segretario di stato, nella quale dichiaravasi temere che i tempi di Basville e di Duphot dovessero per avventura riprodursi novellamente: dimandava pertanto formalmente fossero i colpevoli perquisiti e puniti. Dicea esser egli intimamente convinto, trovarsi ancora in Roma uomini intriganti, desiderosi d'insorgere anche una terza volta a danno di Francia. Colpito da questa accusa Consalvi parlavane al papa, che ordinavagli di fare indagini severe per iscoprire i colpevoli. Alla nota ufficiale fece il cardinal Fesch succedere lettera confidenziale più mite assai della prima: diceagli in fatto, esser per lui tormentoso il pensare che degli [p. 166 modifica]omicidî avvenuti sospettavansi rei i francesi: sapere, che molti senza essere autorizzati assumevano le coccarde tricolore per fomentare gli odî con atti riprovevoli, ricordava aver egli domandato al governo papale che si procedesse contro costoro: mostrava di credere aver Consalvi trattato con leggerezza un affare di tanto rilievo, conchiudeva dicendo che se Roma non era teatro degli orrori altre volte commessi solo, doveasi alla protezione dei santi apostoli Pietro e Paolo e alle preghiere del santo pontefice. Questa lettera confidenziale inasprì maggiormente l'animo del Consalvi: niun ambasciatore di potenze straniere presso la santa sede essendo sorto mediatore frà loro, rispondea ufficialmente ben diversi i tempi di Balville e Duphot dai presenti: aver egli applaudito alla domanda fatta d’ingiungere ai sudditi del papa di deporrela coccarda: esser però difficile alla forza armata destinguere dai veri francesi e da quei molti che erano debitamente autorizzati a portarla, gl'individui che l' usavano di loro arbitrio a perfido scopo. Promettea infine avrebbe il governo tentate tutte le misure per avere in mano i colpevoli. E ciò in quanto alla nota ufficiale: per quello che riguardava la lettera di confidenza d’ordine del santo padre rispondeagli emergere da essa chiara l'accusa d'avere il cardinale mancato ai doveri della sua carica, ne per vero potea significar altro quel dire non esservi altra speranza di sicurezza, che nella protezione degli apostoli san Pietro, e san Paolo e nelle preghiere del santo padre. Determinato però Consalvi a persuadere e convincere Fesch conchiudeva: apprezzo troppo il mio sovrano e la mia patria per non vedere che secondo la opinione vostra io non sono più utile nella mia carica al buon servigio del sovrano e dello stato. Con quella franchezza che procede dal testimonio della coscienza, spedisco a Parigi un corriere, volgendomi immediatamente al governo francese e se conoscerò ch’esso opina di me come il suo rappresentante, darò la mia dimissione. Inviava infatti lunga lettera a Tallyerand, in cui con ragioni possenti, faceasi a sostenere il suo operato, la sua costante affezione ai francesi, mostrando ingiusta la condotta a suo riguardo dell’inviato di [p. 167 modifica]Francia. Non rispondeva il ministro degli affari esteri al Consalvi, ma il cardinal Fesch assumea seco lui un contegno più mite.

XVI. Alle amarezze che contristavano il cuore di Pio nuove ne aggiunse la perversità di uomini facinorosi. Scorrevano le provincie di marittima e campagna numerose bande di ladroni che audacemente sulle pubbliche vie sempre le sostanze, spesso la vita insidiavano dei viaggiatori: ne paghi di spargere il terrore nelle strade e nelle campagne, osavano in pieno giorno ora nei casali isolati, ora nelle grosse borgate avanzarsi, funestando di loro odiata presenza la tranquillità dei pacifici cittadini, arditamente assaltandoli, derubandoli e peggio. Talvolta nascosti in folte boscaglie attendevano al varco qualche ricco proprietario dei vicini paesi che tornavasene dalla campagna in seno alla propria famiglia, o qualche giovane incauto che osava avventurarsi fra quei nidi d'infami predoni. Erano dessi trascinati in mezzo ai loro nascondigli e col coltello alla gola obbligati ad implorare per lettera dalla pietà dei parenti e dei figli grosse somme prezzo del loro riscatto: talora onorate donzelle vedeansi a viva forza rapite da questi uomini del delitto che ne abusavano, le famiglie coprendo d'interminabile lutto, i paesi di paura e di rabbia. E non fu raro il caso, che per ritardo della iniqua mercede domandata, si vedessero da questi uomini ferocissimi le orecchie dei miseri captivi spedite alle famiglie per sollecitarle con minaccie letali a sborsare il prezzo del sangue. Dicevasi di cuori umani spietatamente strappati e dati in pasto a questi antropofaghi delle nostre provincie. Tante e siffatte sventure, provocarono il vigile governo a severissime misure: tremendi furono i bandi pubblicati il ventitre settembre 1805 per disperdere la trista razza. Come il rigore aggiunse stimoli al brigandaggio, così l'amnistia fu giudicata segno di debolezza. Pio VII cui era a cuore il bene e la sicurezza dei sudditi pontifici, il decoro della sua Roma, contrasegnava la fine dell’anno con provvidenze annonarie e col restauro eseguito dal Camporesi del celeberrimo tempietto del Bramante in san Pietro Montorio guasto per opera della [p. 168 modifica]repubblica. A consiglio dell'abate Fea commissario delle antichità romane fece scoprire il piano del Panteon: donò al municipio di Roma circa trentamila libre di metallo per la fusione delle due grandi campane eseguite dall'artista Casini su i disegni di Giuseppe Spada e dal sovrano pontefice solennemente benedette prima di collocarle sulla torre capitolina. A provvedere al buon costume la chiesa di santa Francesca romana e l'annesso locale in via Felice donava alle egrotanti di sifilitico morbo uscite dall'ospedale di san Giacomo in Augusta, perchè ivi ricondotte a miglior vita e dirette da zelanti ecclesiastici insieme coabitassero lontane da nuove seduzioni. Soddisfatto dei risultati ottenuti, istituiva l’anno seguente la pia casa, che dicesi del rifugio destinata pur essa al ricovero delle povere infelici, che liberate dal carcere e sazie del mondo, desideravano provvedere alla loro spirituale salute. Lusingavansi i romani godere di una pace permanente, la sperava Pio nella sua mansuetudine: l'invasione di Ancona strappò il velo che nascondeva vasti e crudeli disegni.

  1. Allorchè Bonaparte fu innalzato dal senato consulto all’impero, Pio VII gli diresse un breve che chiudevasi con le seguenti parole: « Altro più non ci rimane, che di pregarvi, di scongiurarvi, di esortarvi nel Signore ora che per la provvidenza di Dio siete salito a questo alto grado di potenza e di onore a proteggere le cose di Dio, a difendere la sua chiesa, che è una e santa, ad impiegare tutto il vostro zelo per allontanare ciò che potrebbe nuocere alla purezza, alla conservazione, allo splendore, e alla libertà della chiesa cattolica. Voi ci avete già fatto concepire una grande speranza e confidentemente aspettiamo, che vorrete compierla come imperatore dei francesi. »
  2. Due cardinali coraggiosamente sostennero il partito dei Borboni in Francia. Essi dichiararono illegale e illegittima l’esezione: cinque rappresentarono il pericolo, al quale esponevasi la santa sede con questo atto, che avrebbe provocato il risentimento dei sovrani d'Europa, e in modo speciale di quelli che appartenevano ai Borboni, e alla casa d'Austria. Pio VI, aggiungevano, per non far torto all’imperatore di occidente non riconobbe 1'imperatore delle Russie se non dopo le vive insistenze di Giuseppe II. Desiderò un altro di veder differita la gran ceremonia, finchè Napoleone non avesse restituito alla s. sede i suoi diritti, Egli, dicea, che distribuisce regni e principati, non ha neppur mostrato di voler rendere alla chiesa la metà del suo patrimonio. Gli altri erano favorevolmente disposti.
  3. A chi mostravasi formalizzato dal vedere, che il santo Padre avea consentito di far per primo visita all’imperatore, rispose Pio VII: « Noi facciamo ancora questo volentieri per la Francia: ah! se noi saremo obbligati ad avere altri argomenti di discordia, non muovano mai questi da dispute di etichetta! In viaggio voi sapete che le cose procedono in modo ben diverso da quello, che osservasi in Roma. »
  4. Il signor De Fontaines l’amico, l’ammiratore del signor di Chatenubriand, dopo quest'epoca memoranda scrisse bellissimi versi sulla cattività di Pio VII.
  5. Assistevano a questa imponente ceremonia incaricati dai loro respettivi sovrani i seguenti diplomatici. Il generale Kinobelsborff inviato straordinario e ministro plenipotenziario del re di Prussia presso la porta Ottomana, il principe reggente d'Isemburgo, quello parimenti reggente di Solm-Lich, il conte di Lima ambasciatore di Portogallo, il principe Augusto di Aremberg, il principe de Reuss Robenstein, il principe di Montemileto napolitano, il marchese di Castrabares maggiordomo di s. m. cattolica, il conte di Rautzan ciambellano del re di Danimarca, il barone di Ardeobers commendatore dell’ordine Teutonico ed in fine il principe di Livingston. Giucci. Vita di Pio VII
  6. Il medico illustre Lepreux, il quale, come osservammo erasi fatto antesignano di una nuova setta, pentito recitò innanzi al pontefice un apologo in versi latini « l’Agnella smarrita, che il buon pastore ha ricondotto al suo gregge ».