Storia della vita e del pontificato di Pio VII/Libro I - Sommario IV

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LIBRO IV.





SOMMARIO


Napoleone vince gli austriaci in Ulma: le truppe francesi retrocedendo da Napoli, lasciano libere le piazze del regno e marciando sull'Adige invadono il porto e la fortezza di Ancona. Scrive Pio VII all'imperatore, che gli risponde dopo la battaglia di Austerlitz e la pace di Presburgo. Giungono nuove lettere da Monaco di Baviera. Diffida Napoleone di Consalvi e fa sentire nuove minaccie, alle quali replica il pontefice. Si domanda l'espulsione da Roma di quanti sono in guerra con la Francia. Il papa consultati i cardinali, invia le sue risposte col mezzo del legato a latere in Francia. Giuseppe Bonaparte và al conquisto di Napoli: le truppe da lui condotte traversano lo stato pontificio. L'enormi spese sostenute dal governo autorizzano nuove imposte. Al cardinal Fesch ambasciatore è sostituito Alquier. Vuole Napoleone che la terza parte del sacro collegio appartenga alla Francia. Ragioni addotte dalla santa sede intorno al riconoscere Giuseppe re di Napoli. Condotta tenuta da Alquier in Roma. Benevento è donato a Talleyrand e Pontecorvo a Bernadotte. Il cardinal Casoni viene sostituito a Consalvi. Muore il cardinal duca di Yorch. Eugenio vice-rè d'Italia invia al papa lettera ricevuta da Napoleone intorno alle vertenze romane. Champagny nuovo ministro degli esteri in Francia rifiuta Latta negoziatore a Parigi e domanda De Bayane, a cui si associa monsignor Della [p. S4 modifica]Genga. A Napoleone venuto a Milano, per cinger la corona di ferro, invia Pio VII i cardinali Caselli e Oppizzoni. Le truppe francesi che sotto il comando di Miollis dicevansi destinate per Napoli, occupano Roma. Il papa si rinchiude nel palazzo del Quirinale e invia nota ai ministri esteri presso la santa sede. Il cardinal Doria viene sostituito al cardinal Casoni nella carica di segretario di stato. Danno i Romani sublimi prove di attaccamento al pontefice: Miollis, per la partenza dell'ambasciatore di Francia; assume la polizia del paese, e unisce alle francesi le truppe pontificie. Al Doria segretario di stato è sostituito il cardinal Gabrielli. Si procede all'arresto di monsignor Cavalchini governatore di Roma. Le provincie di Urbino, Pesaro, Ancona, Macerata e Camerino unite al regno Italico. Il cardinal Gabrielli che emette le sue proteste è arrestato: altri incontrano la stessa sorte, altri son deportati. Il papa solennemente protesta con l'allocuzione Nova vulnera. Giuseppe Napoleone è dichiarato re di Spagna e Gioacchino Murat re di Napoli. In mezzo alle amarezze provvede Pio VII come può agli affari della chiesa, dichiara venerabile la regina di Sardegna Maria Clotilde e nomina segretario di stato il cardinal Bartolomeo Pacca. Tenta Ferdinando di Napoli di porre in salvo il pontefice. Si vuole procedere all'arresto del cardinal Pacca, ma Pio lo conduce nei suoi appartamenti. Si abbassa lo stemma pontificio, e s'inalbera in Roma la bandiera francese. Questo spoglio violento provoca l'energiche misure adottate da Pio che viene arrestato e tradotto fuori di Roma. [p. 171 modifica]


LIBRO IV



N
apoleone avea di nuovo snudata la spada: in conseguenza delle mosse meravigliose fatte dai soldati francesi, vidersi gli austriaci respinti in Ulma: obbligati ad arrendersi, defilarono innanzi all'imperatore, che prima di diriggersi a Vienna ordinava alle sue truppe di rterocedere da Napoli. Queste in forza del trattato di neutralità stabilito con Ferdinando IV marciavano sull’Adige, lasciando libere le piazze di quel regno, fidenti nella parola data dal re di respingere per la via di terra e di mare le truppe ostili alla Francia che osassaro invadere i suoi domini. In tanta concitazione d'armi comandava al generale Gouvion san Cyr di occupare improvvisamente il porto e la fortezza di Ancona. Preludiava questo atto una serie ben lunga di avvenimenti e di sventure a danno di un pontefice inerme e di un popolo per la osservata neutralità sicuro nella imperiale parola. Questo colpo inaspettato colmò di amarezza e di stupore l'animo di Pio, che in data del tredici novembre scriveva a Napoleone, che per i sentimenti amichevoli a lui manifestati, perla invariabile sua condotta, per la neutralità esistente fra la santa [p. 172 modifica]sede ela Francia avea aperto l’animo suo alla speranza d'esser preservato da così amaro disgusto. Vivissima, aggiungeva il pontefice, è la nostra afflizione e per rispetto alla presente invasione diremo alla maestà vostra che quanto noi a noi stessi dobbiamo e gli obblighi da noi contratti coi nostri sudditi ci sforzano a domandare lo sgombramento di Ancona, e a dichiarare che ove venisse rifiutato noi non vedremmo come potrebbe conciliarsi la continuazione delle nostre relazioni col ministro di vostra maestà in Roma, essendo queste in opposizione col trattamento da noi ricevuto in Ancona. Conchiudeva il papa tutto dipendere dalla volontà imperiale, e perciò sicuro che vorrebbesi liberarlo dal peso di tante amarezze. Questa lettera giungeva a Napoleone nel momento in cui battuti gli austriaci e i russi, stavasi egli alle porte di Vienna. Le risposte spedite a Pio VII dopo la vittoria di Austerlitz, e il trattato di pace sottoscritto a Presburgo il ventisette decembre vennero ad offrire nuovi argomenti di affanno ad un animo abbastanza addolorato dai mali presenti e da quelli maggiori, che potevansi prevedere.

II. Sul cominciare del 1806 da Monaco in Baviera rispondeva Napoleone a Pio VII. Causa della occupazione di Ancona asseriva il cattivo ordinamento militare adottato dalla santa sede ed altre ragioni; intanto per certe parole lasciavasi vedere diffidente del segretario di stato Consalvi. E mentre cosi adoperavasi direttamente, per mezzo del cardinal Fesch avvisava aver fermo in cuor suo doversi Roma ottemperare all’assoluta sua volontà, eseguire gl’intimi suoi voleri, riguardarlo qual Carlo magno nelle cose spettanti alla chiesa: oveciò non volesse eseguirsi minacciava avrebbe sconvolti gli attuali sistemi, separato lo spirituale dal temporale, inviato un senatore per governare in suo nome, lasciando il papa vescovo di Roma. I modi minaccevoli scossero la tranquilla natura di Pio, che chiamato a se il cardinal Fesch dolcemente faceasi a favellargli, ne pago a ciò solo, scrivea il dì ventinove gennaro lunghissima lettera a Napoleone, con la quale prendeva a difendere validamente la santa sede e con l'affabilità sua connaturale studiavasi di raddolcire l' [p. 173 modifica]animo irritato di quel monarca. Inefficaci riuscirono le cure, inutili le preghiere. Nuove lettere minacciose seguivano la prima: domandavasi l’istantanea espulsione da Roma e da tutto lo stato di quanti erano fra noi inglesi, russi, svedesi e sardi, non che gli agenti e i ministri di quelle corti: la totale chiusura dei porti di mare ai navigli di quelle nazioni. Chiedeva Fesch udienza dal santo Padre per fargli noti i sentimenti espressi nella lettera, che aveva officialmente rimessa al segretario di stato. Meditavansi da Pio e dai suoi consiglieri le risposte quando, latore di nuove pretensioni, giungea con dispacci un ufficiale napoleonico che presentavali in mano a Pio. Li lesse con fermezza di animo e vide che omai apertamente cercavansi tutti i mezzi di creare imbarazzi alla santa sede. Per aver tempo di consultare nel grave affare il collegio dei cardinali era Fesch prevenuto dal segretario Consalvi, che avrebbe il papa direttamente risposto all’imperatore con quella sollecitudine, che l'importanza degli affari esiggeva. Videsi per tal modo il padre dei fedeli posto nella dura alternativa o di tradire il suo ministero di pace o di resistere alla volontà imperiale. In così urgente bisogno intimò il concistoro. Grave era l'affare, arduo il parere che domandavasi ai cardinali. Sotto sacramentale segreto venne distribuita copia dell’ imperiale dispaccio e della nota di Fesch: vennero formulati i quesiti: in iscritto voleasi la risposta, che doveva leggersi dopo due giorni in una seconda adunanza d'aversi per intimata. Così saviamente in tanto alto pericolo procedeva Pio VII; così assicuravasi il consiglio del sacro collegio. Un corriere straordinario portava a Parigi la risposta, che sola doveasì attendere dalla grandezza d'animo del sommo pontefice e dei suoi consiglieri. Rispondea il papa non potere come capo della chiesa ortodossa aderire alle inchieste e tanto gravi ragioni esponevansi da mostrare chiaramente l’ingiustizia della domanda. Una nota da Talleyrand inviata al cardinale Caprara legato dichiarava irremovibile l'imperatore nei suoi propositi. A Parigi le forti ragioni addotte dal santo padre lungi dal produrre l'effetto desiderato, [p. 174 modifica]procacciarono accuse e rimproveri, cui tennero dietro nueve minaccie, non ultima delle quali la perdita della sovranità temporale.

II. Questo era il turbine, che si veniva addensando sulla augusta città dei pontefici. Non poteva il papa rinunciare ai sentimenti adottati con tanta maturità di consiglio: non voleva Napoleone indietreggiare di un passo da quanto avea divisato. Vista la gravità del pericolo, giudicò egli doversi ai cardinali manifestare il sinistro risultato delle dimande; adunò il sacro Collegio in congregazione segreta, chiese novellamente il parere dei padri e ottenutolo inviò a Parigi al cardinal Caprara una risposta che può riguardarsi come il capo d'opera della sapienza civile e del sentimento religioso, che regola i rapporti della santa sede con le corti cattoliche. Il santo padre, dicea il legato a latere al ministro Talleyrand, unisce al suo carattere di sovrano la sublime dignità di pontefice : non può pertanto dimenticare la qualità di padre comune di tutti i fedeli, considerando alcuni come figli, altri come nemici, perchè nemici di quelli, e tradire in tal modo l'ufficio della comune paternità: commessagli da Dio. Padre universale del mondo cattolico non può curarne una parte e lasciar l’altra in abbandono; non può uscire dalla condizione di neutralità essenziale a lui, e porsi in uno stato d'inimicizia con alcuna delle potenze, che racchiudono nel loro seno un immenso numero di cattolici. Obbligare il pontefice ad escludere dal suo stato gli agenti delle potenze nemiche alla Francia è lo stesso che porlo in una guerra da cui rifuggel'animo suo: ciò sarebbe obbligarlo ad essere in uno stato progressivo d’inimicizia con tutti sovrani ed in conseguenza con tutti i popoli, con i quali in progresso di tempo potrà combattere la Francia. Non può il papa adottare principî di tal natura senza distruggere le basi della sua missione divina, senza violare le sue obbligazioni più sante. Costringerlo a questo passo sarebbe lo stesso, che dichiarar cessata la indipendenza della sovranità per dieci secoli rispettata, e rendere il romano pontefice ligio soggetto all’impero francese. Egli ha giurato di conservare anche a costo del proprio sangue illesi i [p. 175 modifica]diritti delle santa sede e di tramandarli ai successori intatti come li ha ricevuti. Non potrebbe pertanto senza rendersi spergiuro tacere e molto più secondare gl'imperiali voleri. E per quello che riguardava le minaccie, aggiungea: lo spoglio della sua sede non può dirsi estraneo agl'interessi della religione, quando si riflette all'incalcolabile danno, che ridonderebbe alla religione stessa secon la perdita della sovranità, le si facessero perdere i vantaggi che questa procura al primato del suo capo, ed alla libera influenza e comunicazione del medesimo con tutte le nazioni e gl’individui che professano la religione di Gesù Cristo. Quando il santo padre dovesse vederle per colmo di sventura consumate, stretto dai suoi giuramenti, stretto dagli interessi della religione non potrebbe lasciare in abbandono i proprî diritti: sperar perciò nell'ajuto di Dio, e nella illuminata rettitudine dell'imperatore, che non si vedrà ridotto a questa dura condizione. Che se per gl'imprescrutabili decreti della provvidenza accadesse che quella mano istessa, che ha rialzato in Francia gli altari e restituito il culto al suo libero esercizio si aggravasse sul di lui capo, lo soffrirà egli in castigo delle sue colpe; preferirà però di soccombere vittima del suo dovere, piuttosto che per declinare la tempesta, contradire alle sue obbligazioni, alle voci della sua coscienza. La costanza e la cause di questo suo sacrificio chiameranno la misericordia divina non meno sù lui, che sopra i suoi sudditi. Il mondo intero e la posterità conoscerà che il vicario di Gesù Cristo non si è reso indegno del suo carattere, ed in mezzo ai disastri gli servirà pure di qualche conforto la sua e la universale persuasione di non aver egli certamente meritato in tutta la sua condotta verso la Francia un tale trattamento. Quindi le pontificie rimostranze versavansi intorno alle organiche leggi emanate in Francia e al decreto emesso dal Melzi; senza che quelle leggi e quel decreto fosse non che alla di lui sanzione sottoposto, ma pur anche partecipato, con vero detrimento del vantaggio che potevasi aspettare dal concordato: quindi lamentavasi della pubblicazione del codice Napoleonico, esteso siccome [p. 176 modifica]legge agli stati italici, senza aver portata un emenda sugli articoli che riferisconsi al divorzio, dalle leggi evangeliche solennemente vietato. Conchiudevasi quell'ufficio col dire, che ove inefficaci riuscir dovessero le rimostranze, per non mancare al primo essenziale ufficio dell’ apostolico ministero, e provvedere alla tranquillità della sua e delle altrui coscienze, avrebbe alzata la voce per insegnare ai fedeli quali erano le vie della verità, quali le vie dell’ errore.

IV. Le preghiere di Pio non erano giunte ancora a Parigi quando il di ventisette gennaro si lesse per Roma l'ordine del giorno di Giuseppe Bonaparte comandante generale l'armata da Napoleone spedita al conquisto di Napoli, relativo agli alloggi e approvigionamenti dell'esercito: più tardi richiamava l’attenzione del pubblico il regolamento delle truppe segnato dall’ajutante Aymé. Intanto i gravi dispendi, le impreviste sventure alle quali andava sottoposta la sede apostolica superando le deboli risorse del pontificio erario videsi, Pio VII obbligato ad imporre a titolo di prestito perequativo la tassa di bajocchi quindici per ogni centinajo di scudi di possidenza catastale: ed un altra dativa gravitò sul terratico eguale all'ordinaria, e questa imposizione suggerita dagli imperiosi bisogni dello stato pesava anche sù i corpi privilegiati comprensivamente ai cardinali , al tribunale del santo ufficio, ai cavalieri di Malta stati liberi sempre da qualsiasi regalia a beneficio del pubblico erario. Al pontefice conturbato per nuovi eventi giungevano incessantemente da Parigi imperiali dispacci. Parea che nulla fosse piu in cuore all'imperatore e ai suoi ministri che le cose di Roma: e queste incessantemente volgeva in animo, e Roma costantemente appetiva. Il ministro Talleyrand spediva a Parigi le note al cardinal Caprara: questi inviavale al santo padre. In Roma il ministro di Francia dicevasi soverchiamente animoso: in Parigi era accusato di non essere abbastanza energico nella sua condotta: tacciavasi di troppi riguardi, di circospezioni soverchie. Era oramai impossibile il non vedere scoppiare. quella tempesta che dovea travolgere in basso le condizioni dello stato di santa chiesa, e dare un [p. 177 modifica]maggior risalto al sacro carattere e all eroico coraggio dell'inalterabile Pio. Altre erano colme di rimproveri e di accuse tali da sorprendere e addolorare il cuore del papa; altre imponevano di riconoscere re di Napoli Giuseppe fratello dell'imperatore dei francesi: con altre avvisavasi che il cardinal Fesch sarebbe tra non molto richiamato a Parigi, per esercitarvi l'importante ufficio di grande elemosiniere dell'impero e che era in suo luogo accreditato ambasciatore di Francia a Roma il signor d'Alquier. Per avere una preponderanza nelle risoluzioni che prende il pontefice col consiglio del sacro collegio, desiderava per ultimo Napoleone, che una terza parte. dei cardinali dovesse appartenere alla Francia. La magnanimità istessa, che ammirò il mondo nelle risposte date all'imperatore e al suo ministro Talleyrand dal cardinal Caprara apparve. splendidamente nelle modeste opposizioni e nelle energiche difese fatte dal santo padre.

V. Grave sotto molti rapporti potea dirsi per la santa sede la domanda di riconoscere Giuseppe Bonaparte re di Napoli. Avea Ferdinando IV non poche cose fatte a beneficio di Roma: avea la città eterna a nome del successore di san Pietro presidiata: aveala a Pio VII restituita, molti segni di benevolenza, di filiale devozione a lui addimostrando. A queste considerazioni aggiungevano forza i rapporti esistenti frà la santa sede e quella corona. A nome del pontefice rispondeva Consalvi che, prima di procedere a qualsiasi riconoscimento, era mestieri ammettere i diritti di Roma: che dessi furono costantemente. rispettati anche da coloro che tennero quel reame in forza della conquista. Rispondevasi da Parigi che Napoleone nel salire il trono non ereditava unicamente i diritti della terza dinastia francese, la cui sovranità estendevasi appena alla metà dei suoi attuali domini, ma bensì quelli degli imperatori francesi. Non potea pertanto darsi a credere aver Carlo magno ricevuta dalla santa sede la investitura del regno: aggiungevasi che ove la ricognizione del re di Napoli non avesse luogo, non avrebbe del pari la Francia la temporale autorità del papa riconosciuta. Intanto dal nuovo

Giucci. Vita di Pio VII. [p. 178 modifica]ambasciatore dicevansi originate dal cardinal Consalvi le contrarietà che incontrava il gabinetto delle Tuileries: che le mire del ministro della corte romana erano collegate con quelle dell'Inghilterra, che l'impero tenealo garante dei disordini, che da questo rifiuto doveano attendersi. Altre note e più minacciose spedivansi in Roma. Voleasi dal papa una riconoscenza pronta, semplice e pura: si guardasse, aggiungevasi, la corte pontificia dal costringerlo a misure di rigore contro un sovrano che avea in animo di proteggere. Volle Pio VII consultare i cardinali: fatte pertanto distribuire le note di Talleyrand e d'Alquier, in pubblica adunanza domandò il loro parere. Risposero che la santa sede da sette secoli esercitava il suo diritto in quel regno, che niun sovrano si assise sul solio di Napoli senza aver prima ricevuta l'investitura dal sommo pontefice: che Ferdinando IV aveala anch'esso ottenuta: esser vero, che da varî anni mancava questi alla prestazione del censo, ma verissimo del pari che la santa sede ha in ogni tempo solennemente protestato per non ledere il suo diritto: rifletteva quindi che la ragione di conquista trasmette il dominio nella condizione in cui trovasi. Operare diversamente sarebbe un estendere il diritto della guerra a danno dell'amico e dei nemico: adducevasi in fine l esempio di Carlo VII di Francia, che giudicò indispensabile l'investitura, avvenga che avesse quel reame in forza delle armi acquistato.

VI. Voci sinistre circolavano per Roma. Sostenevasi, che la santa sede per imperiale decreto dovea trasferirsi o ad Avignone o a Parigi: che i cavalieri di Malta andrebbero sciolti dai loro voti: che il codice francese avrebbe per i sudditi pontifici forza di legge: Il cardinal Fesch, che adoperavasi ad ismentirle, mentre ne detestava gli autori, studiavasi di tranquillizzare il santo padre e i suoi ministri. Questo stato d'incertezza e di avvilimento agitava l'animo del sovrano non meno che del popolo in modo da far credere omai perduta ogni speranza di pace. Invano per Roma nascondevansi i pericoli, ai quali era esposta la santa sede, le contradizioni che incontrava il [p. 179 modifica]supremo gerarca, la contrarietà che erasi in Parigi concepita verso Consalvi, riguardato come la causa più potente delle costanti opposizioni del papa agl'imperiali voleri. I dubbi crescevano quando il cardinal Fesch, richiamato in Francia per esercitare le attribuzioni di grande elemosiniere dell'impero, partiva da Romalasciando in suo luogo il signor d’Alquier, che tornò a domandare al papa la ricognizione del re Giuseppe. Questi che avea detto a Fesch, nel momento in cui si licenziava da lui, essere sinceramente affezionato a Napoleone e alla nazione francese, ripugnare da ogni confederazione, volersi serbare indipendente come gli altri sovrani, conchiudeva che, ove fossegli usata violenza, appellandosi a tutta l'Europa, avrebbe i mezzi temporali e spirituali adoperati da Dio postigli nelle mani: sapesse l'imperatore esser egli costantemente fermo nel suo proposito. A tanto gravi cause di afflizione aggiungevasi la esorbitante spesa sostenuta dal tesoro pontificio pel mantenimento delle truppe francesi stanziate in Ancona e di quelle che transitavano per lo stato: somme che a cinque mila scudi ammontavano giornalmente: per lo che, andando Roma in credito verso la Francia di un milione e quattrocento mila scudi, versava in durissime condizioni. Afflitto da queste immeritate sventure, dolente per le continue imputazioni prive di fondamento fatte sentire col mezzo del cardinal Caprara alla corte romana, Pio VII con tanto commoventi e dignitose parole si volse all'ambasciatore d'Alquier, che questi scrisse a Parigi essere oramai impossibile il vincere la resistenza del pontefice: che se grande doveva credersi la sua rassegnazione religiosa, grande del pari poteva dirsi il dolore provato dal paterno suo animo e invincibile la fermezza.

VII Giungeva in Roma strana notizia che grandemente agitò l'animo del santo padre, e vi giungea quando appunto speravasi, i soldati di Francia avrebbero evacuato Ancona e le città poste sul littorale dell'adriatico. Un corpo di truppe venuto da Napoli per occupare Livorno, presa improvvisamente la strada di Civitavecchia tenne quella fortezza e que porto. Invano il governatore [p. 180 modifica]della città emise proteste di lesa giustizia, di violata neutralità: ne spedì avviso al sovrano, che con nota ministeriale avanzò reclami all'ambasciatore francese. Per mostrare alle potenze straniere, che ciò operavasi senza il di lui consenso, partecipava ai nunzi residenti presso le corti cattoliche la nuova ingiuria. E poichè le dighe che arrestavano il torrente erano già spezzate, severe disposizioni a danno dell'apostolica sede si adottavano in Parigi. Chiedea la nuova corte di Napoli all'imperatore il possesso di Benevento e di Pontecorvo: lungi questi dall'accordarglielo, conferiva il titolo di duca di Benevento al signore di Talleyrand gran ciamberlano e ministro degli affari esteri, e quello di principe di Pontecorvo a Bernadotte maresciallo di Francia. Prima che ne giungesse in Roma la officiale notizia erasi letto con meraviglia l'imperiale decreto nel monitore: e quando il giorno sedici giugno venne officialmente partecipata a Pio VII, si aggiunse avere questa disposizione ben poca importanza in vista delle scarse rendite di quei dominî, della difficoltà di bene amministrarli, perchè lontani dalla capitale, delle questioni e delle discordie insorte e che potevano rinnovarsi frà la corte di Roma e quella delle due Sicilie. Scrisse il santo padre a Napoleone lettera commovente ed affettuosa, con la quale esprimeagli il dolore nel vedersi senza ragione alcuna, anzi senza alcuna prevenzione spogliato dei propri stati: come la lettera del pontefice potea dirsi piena di rassegnazione e di dolcezza, così energica e coraggiosa era la nota del segretario di stato. L'una e l'altra non produssero effetto. I ministri dell'imperatore rispondevano con nuove querele: l'ambasciatore francese le partecipava alla corte romana. Per rimovere ogni occasione di sdegno, dimettevasi il cardinal Consalvi dal posto di segretario di stato: l’accettava Pio VII. Questi, che era sempre al fianco del santo padre, che sosteneva le redini dello stato, come vide che la sua presenza, lungi dall'esser utile alla santa sede, diveniva dannosa, non dubitò dividersi dal mansuetissimo principe. Sostituivalo nel grave incarico il cardinal Casoni, che entrava in possesso della sua carica il dì dieciasette giugno 1806. [p. 181 modifica]Avea questi con molta lode sostenuto l'ufficio di vice legato in Avignone, e la nunziatura apostolica in Ispagna e contava settantaquattro anni di vita quando gli eventi lo trascinarono nel vortice degli affari.

VIN. Offeso il papa dalla infeudazione di Benevento e di Pontecorvo, dalla occupazione di Ancona e di Civitavecchia, impoverito l’erario dalle continue spese per sostenere le guarnigioni e gli ospedali delle milizie di Francia, contrariato nei suoi amorevoli divisamenti, cessò dal mandare le sue istruzioni al cardinal legato a latere, volendo che gli affari della santa sede fossero in Roma direttamente trattati. Due rispettabili e dotti prelati, Mazio e Sala, che in Parigi fiancheggiavano il cardinal Caprara e lo sostenevano col loro consiglio, devoti ed affezionati com'erano al pontefice, avvisavano a tutti i mezzi, adoperavansi come meglio potevano perchè al cuore del papa fossero risparmiate amarezze. Parigi che avea ammirato l'austerità del loro carattere e la loro provata capacità, li vide partire dalla capitale dell'impero, sostituiti da monsignor Lazzarini e dall'abate De Rossi. Intanto diceasi in Roma, attonita per la rinuncia emessa da Consalvi, che l'ambasciatore francese sdegnava trattare col nuovo segretario di-stato Casoni: e per vero, malgrado gli usi diplomatici, si seppe che il cardinal Fesch direttamente si volse al papa con una lettera e che direttamente l'ambasciatore d’Alquier la presentava a Pio VII. Annunciavasi con essa che compiacevasi l'imperatore di riguardare, siccome il più bello dei privilegi annessi alla sua corona, quello di protegger la chiesa. Quindi tornava a domandare che tutti i porti dello stato pontificio fossero chiusi agl'inglesi se in guerra con Francia: che le nostre fortezze dovessero dalle milizie francesi presidiarsi ogni qualvolta fosse minacciato uno sbarco in qualsiasi punto d'Italia. Cortesi erano le risposte del papa all'ambasciatore, ma negative. Nuovi fatti conseguivano e più stringenti: le truppe francesi coprivano lo stato pontificio: gli ufficiali maggiori cominciavano ad esercitare una autorità estesa anche alle cose meramente civili. Duhesme generale in Civitavecchia ai magistrati ordinava, che da ora innanzi: [p. 182 modifica]altro capo riconoscere non dovevano che lui: che dovevano dipendere dai suoi ordini ed in sua assenza dal comandante della piazza: al prelato governatore imponevasi di rendere esattamente ad esso quel conto istesso, che solevasi rendere a Roma, di non entrare in dettagli di polizia e di amministrazione, senza prendere gli ordini dal comando di piazza. Il generale Lemarois, che comandava le divisioni stanziate in Ancona, abusando anch'egli della pontificia condiscendenza, che avea permesso ai suoi soldati guardare il littorale, arrogavasi il pieno dominio su quella milizia, la univa alle truppe francesi poste sotto i suoi ordini, distinguendola col nome di truppa papale al servizio di sua maestà l'imperatore dei francesi e re d'Italia. Ne a questo tenendosi pago, ordinava al Marconi e ad altri appaltatori del macinato nelle provincie di Urbino e Ancona di versare in sua mano il ritratto delle camerali imposizioni. Questi fatti richiamarono l’attenzione governativa, che ne fece reclamo edebbe verbale risposta, sarebbesi sospeso ogni atto ostile finchè giungessero nuovi ordini da Parigi: asserivasi, soltanto all'arbitrio degli ufficiali subalterni doversi ascrivere l’amalgama delle truppe papaline alle francesi, che vennero separate. Tali intanto furono le incertezze, in cui versavano i sudditi pontifici, che oramai era sù i giornali francesi che Roma e le provincie dovevano attingere le notizie, riguardanti tanto da vicino il suo sovrano, i suoi sudditi e i suoi più cari interessi. I giornali lombardo veneti, ove a nome dell’imperatore stavasi vice re il principe Eugenio, dicevano, che i soldati di Francia occupavano castel sant'Angelo: così l’annuncio precedeva un fatto arbitrario, che andava a verificarsi più tardi.

VIII. Alte cagioni di disgusto contristavano il cuore di Pio. Il ministro delle relazioni estere del regno d'Italia Marescalchi d'ordine di sua maestà lamentavasi delle querele alzate dalla corte di Roma sul proposito della legislazione napoleonica: dicevasi intercettata una corrispondenza clandestina del cardinale Antonelli con varî ecclesiastici appartenenti al regno d’Italia: aggiungevasi aver gli ordini del porporato sparso per ogni dove semi s'insubbordinazione [p. 183 modifica]e di disordine. E quasi potesse credersi dal mondo che il cardinale Antonelli, venerando per età e più per la carica gelosissima che esercitava di penitenziere maggiore, fosse capace di diffondere la discordia frà i popoli, facevasi ridicolosamente a ricordare a questo dotto ed illustre principe di santa chiesa, che il redentore avea comandato obbedienza a Cesare e la concordia frà i cittadini: quindi, dalle parti di consigliere passando a quelle d’interpetre della volontà imperiale, dicea che a sua maestà oramai la corte romana avea dati moltie gravi disgusti, che sela misura aggiungeva al suo colmo, avrebbe fatto pieno uso del suo potere e dissipato d'un colpo solo le arti degli emissari inglesi, egualmente nemici alla Francia e alla chiesa. Rispondeasi dalla corte pontificia: volessero i ministri aver presenti i doveri annessi all'ufficio tutto religioso sostenuto in Roma dall'Antonelli per giudicare non clandestina, ma necessaria la corrispondenza di un penitenziere, che risponde ai dubbi dei cattolici e dissipa i timori delle coscienze agitate. Ricordava stabilirsi dal concordato libero sempre a qualunque vescovo di communicare senza impedimento con la santa sede intorno alle materie spirituali e agli ecclesiastici obietti: queste ed altre convincenti ragioni non giunsero a fermare il corso agli avvenimenti.

IX. Ad onta di sì fatte sventure e di contradizioni così potenti e continue l’amore di Pio non mancava di vegliare al bene della chiesa, al vantaggio di Roma e dei domini dalla provvidenza a lui confidati. Proteggitore magnanimo delle arti belle, desiderò mostrare ai cultori di esse quanta fosse la sua benevolenza verso uomini che formano l' ornamento della capitale del mondo cattolico: a tale oggetto il giorno ventotto settembre emanò un breve per il quale istituivasi l'ordine equestre del Moretto destinato a coloro che per tre anni sostengono la presidenza della pontificia accademia di belle arti che s'intitola da san Luca1. Volse quindi le cure all’ardua impresa delle [p. 184 modifica]saline di Corneto e le sollecitudini del principe ottennero l'esito desiderato. Tanto si compiacque di questa opera di pubblica utilità Pio VII che la volle ricordata nella medaglia commemorativa del sesto anno del suo pontificato con l'epigrafe - Salinae Varquin. Institutae -. L'enormi spese, alle quali si va incontro nella solenne canonizzazione dei beati, le persecuzioni che sino dalla fine del secolo ora con maggiore, ora con minore intensità rinnovaronsi a danno di santa chiesa, avevano impedito a Clemente XIV e a Pio VI di procedere ad una solennità che può dirsi la più imponente e sublime fra le moltissime che veggonsi in Roma. Comprendeva chiaramente il papa che le vittorie napoleoniche non doveano riuscir propizie alla santa sede: sentiva ogni giorno rinnovarsi dal gabinetto delle Tuileries domande, alle quali non eragli dato di condiscendere e ben prevedeva che da un momento all'altro poteva essergli troncata ogni più lieve speranza. Forse pochi mesi ci rimangono ancora, ei diceva per il libero esercizio di nostra apostolica autorità: finchè siamo sulla sede di Pietro, alla quale ha Iddio immancabilmente promessa la sua divina assistenza, affrettiamo la celebrazione di una solennità, che può e deve ridestare lo zelo nel cuore dei cattolici. Disposto a superare ogni ostàcolo, rinunciava sino dalle prime ai particolari emolumenti e ai diritti a lui competenti e disponeva che nel periodo di dieci anni sarebbero dal pubblico erario soddisfatte le spese. Ordinava in pari tempo, che non fossero risparmiate cure perchè a questa solennità nulla mancasse della sua ordinaria magnificenza:

[p. 185 modifica]desiderava insomma con questo atto il buon pontefice rinnovare il trionfo di quel principio religioso che volevasi conculcato. A tale oggetto il giorno sedici e venti aprile tenne due pubblici concistori per l'atto della canonizzazione già da sua santità annunciata al sacro collegio nel segreto concistoro dei tredici marzo. L'augusta ceremonia compivasi il dì ventiquattro maggio nella basilica vaticana alla presenza d’immenso popolo, accorso dalle città dello stato non meno che dall'Italia, dalla Spagna e dagli estremi confini della Boemia e della Ungheria.

X. Mentre lo spirito devoto dei romani abbandonavasi con fiducia alla protezione di Dio e dei santi, Napoleone che procedeva di vittoria in vittoria, nutriva in cuor suo speranza di vedere, che la bontà singolare del santo padre potesse finalmente vincere quella sua natura ferma e in uno e modesta in modo da renderlo alle misure di conciliazione pieghevole: speranza inutile dappoichè grandemente ingannavansi quelli che giudicavano del suo carattere da quella tale amabilità, che traspariva da ogni sua parola, da ogni suo atto. Alquier scrivea a Talleyrand: il papa sugli oggetti di amministrazione abbandonasi alla volontà di coloro, i quali sono da lui incaricati, ma che in tutto quello che spetta all'autorità del capo della chiesa, egli consulta solamente se stesso. Pio VII, aggiungeva l'ambasciatore, ha un carattere dolce, ma capace di spiegare una costanza, una fermezza invincibile. Determinato ad affrontare ogni umiliazione egli direbbe "se l’imperatore ci rovescia, ci rialzerà il suo successore". E poichè, scrivendo al principe Eugenio, egli ci ha dato un abozzo del suo carattere sarà pregio dell'opera il ricordare quelle solenni parole". Noi, dicea egli, ci sentiamo ogni giorno ripetere, che la nostra condotta non dipende da noi, ma dalla influenza del nostro gabinetto e dai cattivi consiglieri di cui ci attorniamo. Continueremo a soffrire rassegnati la nostra umiliazione, ma non possiamo permettere, che venga alterata la verità. Ripeteremo ancora una volta quello, che apertamente abbiamo detto in tante altre occasioni. Nelle deliberazioni concernenti gli affari importanti della chiesa [p. 186 modifica]il nostro giudizio è determinato, la nostra volontà è guidata dalla voce della coscienza, dall’intimo sentimento dei nostri doveri e non dall'altrui influenza. Noi non ci affidiamo ciecamente agli altrui consigli, o ai nostri lumi, ma il tutto esaminando colla più matura riflessione, lontani da ogni umana passione, ricorriamo all'aiuto dell'Altissimo colle più ferventi preghiere, affinchè egli ci dirigga pel bene della chiesa: altra via da noi non si siegue, che quella additataci da Dio e da quei doveri, di cui la provvidenza non ha costituito altro giudice che lui nel cielo e noi sulla terra2. Diede prova di questa fermezza, di questa volontà determinata quando impose al cardinal Casoni di reclamare contro il decreto segnato a Berlino il giorno ventuno novembre, con il quale mettea in istato di blocco l’isole brittanniche: opposizione che non mancò di produrre una viva sensazione al quartier generale di Ostrolenka. Noi non saremo, ripeteva il pontefice, i primi a dare alla chiesa e al mondo un esempio, che niuno dei nostri predecessori ha dato nei decorsi secoli, quello cioè di associarsi ad uno stato di guerra progressivo, indefinito e permanente: noi non possiamo accedere al sistema federativo dell'impero francese: i nostri stati, per natura del nostro ministero debbono conservare la loro indipedenza: se questa verrà attaccata, ce ne appelleremo al giudizio di Dio. Il nostro partito è irrevocabile, niente può farlo cambiare: non le minaccie, non la esecuzione di queste. Nella lettera che il vice re per comando dell'imperatore scrivea a Pio VII faceasi con rispettose parole a domandare la istituzione canonica dei vescovi italiani, del cui ritardo voleasi avere responsabile il papa che rispondevagli: noi abbiamo a cuore la massima, che siano al più presto le sedi vacanti provvedute del loro pastore, noi sappiamo che i nostri predecessori l'hanno sempre caldamente raccomandata, [p. 187 modifica]ma sappiamo del pari che talvolta insorgono ostacoli, i quali o ne impediscono o ne ritardano l'adempimento, e aggiungeremo che questi ostacoli sono appunto quelli che traggono la loro origine dalla inesecuzione del concordato. Noi attendiamo, conchiudeva il pontefice, che si facciano cessare i mali che sopporta la santa sede nel suo temporale dominio, non meno che tutto: quello che ne compromette la tranquillità. Poteva però rilevarsi dal contesto della lettera pontificia, che avrebbe egli data la istituzione ai vescovi italiani, le cui informazioni regolari fossero inviate in Roma. Queste assennate parole, queste generose proteste non produssero l’ effetto desiderato.

XI. Le napoleoniche gesta superavano per grandezza quanto gl'istorici ci tramandarono di Alessandro e di Cesare. Le sue guerre sembravano piuttosto prodigiose che straordinarie, le sue vittorie favolose piuttosto che vere. In mezzo agli omaggi e all'avvicinamento di quasi tutti i sovrani di Europa vedea il signor della Francia, fatta per lui più temuta e più grande, che un solo principe vivente nel cuor d'Italia, debole per soldati, forte per coscienza osava resistere alla ferrea sua volontà e ne sentiva in cuore profonda ambascia, e tutti i modi andava escogitando per vincerlo. Però le guerre improvvisamente scoppiate fra la Prussia e la Francia e la successiva partenza di Napoleone da Parigi all'attuazione degl'imperiali progetti, alla minacciata distruzione del pontificio governo fecero ostacolo momentaneo. E quando la sorte gli arrise su i campi di battaglia i passati desiderì ridestandosi in lui, tornava alle antiche domande: in Berlino all’apostolico nunzio presso la corte di Dresda ordinava di scrivere, che se non accudiva il papa alla federazione, accordandogli un assegnamento, lo avrebbe detronizzato. Comandava quindi a monsignor Arezzo di abbandonar la capitale della Sassonia perchè credevasi che mantenesse relazioni segrete con l'imperatore delle Russie: lo diceva in Milano il principe Eugenio: lo ripeteva in Roma l'ambasciatore Alquier, lo scrivea da Parigi il ministro degli affari esteri lo confermava Caprara. Ad onta però delle molte e gravi insistenze, [p. 188 modifica]irremovibile mostravasi il papa, che rifiutavasi dall'adottare un principio che avrebbe scosse le basi della sua missione divina e violati i suoi doveri più santi. Intanto mentre il generale Lemarois comandava che a beneficio di Francia si erogassero i prodotti della fiera di Senigaglia e la tassa del sale, il vice re d'Italia principe Eugenio al generale Duhesme, che stavasi in Civitavecchia, ordinava congedare il rappresentante pontificio, dichiarando quella costa marittima in istato d' assedio.

XII. In mezzo a tante vicende era al pontefice partecipato che assegnavasi ad Elisa il ducato di Lucca e Piombino; che il principe Luigi re di Olanda e il principe Girolamo era eletto re di Westfalia e il cardinal Fesch dichiarato coadiutore con futura successione all’elettore arcicancelliere dell'impero germanico: che a Talleyrand, nominato vice grande elettore, erasi surrogato ministro dell'interno Champagny. Insinuavasi alla corte di Roma come era nei desideri di Napoleone che negoziatore di pace invece del cardinal Litta, dall’ambasciatore francese dichiarato uomo saggio, moderato e coltissimo e come tale raccomandato, o del porporato Pacca, ricco pur esso di alti meriti e fornito di molto spirito, fosse preferito il cardinal de Bayanne sommo giureconsulto francese, dottore della Sorbona ma affetto da sordità tale da non potere in miglior modo che scrivendo, trattare e discutere le gravissime questioni che agitavansi fra Roma e Parigi3. Ne per questa condiscendenza miglioravasi la condizione della s. sede, ne alle sue gravi esigenze rinunciava la Francia che minacciava invadere lo stato, se non si cedeva a quelle richieste. Il [p. 189 modifica]cardinal de Bayanne toccava appena Milano quando domandavasi da Parigi al papa se questo porporato avea i poteri richiesti a stipolare un trattato, per il quale entrasse il pontefice nel sistema politico della Francia contro gl’inglesi e per trattare in pari tempo: della soppressione dei monisteri in Italia. Volevasi conoscere se erano i vescovi della penisola definitivamente dispensati dal recarsi in Roma per esservi consacrati; se il concordato italico doveva estendersi allo stato veneto e ai paesi di nuova conquista. Le risposte inviate per mezzo della segreteria di stato al ministro Champagny diceano che al de Bayanne, già partito da Roma, eransi accordati poteri ed istruzioni tali da far presagire una conciliazione. In quanto alla prima domanda, siccome restringevasi questa agl'infedeli e agli inglesi, aver perciò tutti i poteri per piegarsi agli accordi: aggiungevasi dal papa che avrebbe l'imperatore ricordato quello che altre volte aveagli detto, non potere, cioè, il capo della chiesa distruggere gli asili degli operai evangelici: dovrebbe perciò il cardinal de Bayanne supplicare Napoleone a desistere da quel pensiero. Per quello che avea rapporto al concordato germanico, che voleasi concluso in Parigi alla imperiale presenza, rispondeasi da Roma: i due cardinali Caprara e de Bayanne e monsignor della Genga avere i necessarî poteri per concluderlo, ma che il santo padre riserbavasi il diritto di tenere sott'occhio gli articoli definitivamente combinati prima della formale accettazione: tanto infatti erasi praticato per quello di Francia, e del regno d'Italia. Avea la corte romana condotto con tanta saviezza questo affare scabroso da sperare di vedere finalmente rassodati i vincoli della pace e dell'amicizia fra i due governi4.

XIII. Le cose fra il gabinetto di Francia e la s. sede erano in questo modo, disposte, quando entrava in Parigi il [p. 190 modifica]vecchio cardinal de Bayanne. Il papa che attendeva di giorno in giorno notizie delle trattative, seppe che nulla meno voleasi dal suo inviato che l'apposizione della firma ai trattati e vide, incredibile a credersi, che per un ordine imperiale, spedito prima dell’arrivo di questo negoziatore di pace fra il pontefice e l'imperatore, comandavasi al generale Lemarois di prender possesso col titolo di governatore generale delle città e provincie di Ancona, Macerata, Urbino e Fermo. La sorpresa eguale al risentimento, costrinse il papa a scrivere di suo pugno al cardinal de Bayanne per comandargli che fossero le trattative sospese5. Questa lettera non era giunta ancora al destino quando da Parigi arrivavano in Roma notizie di quel porporato, che avvisava non avergli ancora l'Imperatore accordata udienza: lettere pervenivano dalle invase provincie per le quali apprendevasi che il prelato Agostino Rivarola governatore di Macerata era stato tradotto alla fortezza di Pesaro, perchè, fedele ai propri doveri rifiutandosi dall’obbedire al generale Lemarois, avea emessa protesta contro quella occupazione violenta. Intanto per le sale e per i ridotti di Roma andavasi dicendo che a quell’atto arbitrario erasi determinato Napoleone onde appoggiare le trattative e indurre il papa ad una più pronta e più facile adesione: altri, e più giustamente, traendo dal passato i presagî dell avvenire, stimavano che i francesi voleano assicurarsi quel possesso per mantenerlo in un modo o nell’altro, qualunque fosse l'esito delle trattative.

XIV Pio VII confidente in Dio, circondavasi spesso dei suoi cardinali e attingea dai loro franchi consigli nuove forze per resistere alle altrui intemperanze. Intanto i mali presenti e le lontane paure lungi dall'avvilire l'animo suo generoso, della grandezza e della gloria della sua Roma lo rendevano studiosissimo. Sapeasi che o presto o tardi verrebbe l’ambita Roma in mano ai francesi, e [p. 191 modifica]che a Parigi pensavasi di disfare l'opera mirabile, che durava da tanti secoli rispettata in mezzo alle rivoluzioni dell’Italia e delmondo. Eppure nella pressura di tanti mali il miglioramento e il progresso dell'agricoltura, del commercio, della industria ebbe a cuore e cercò favorire queste sorgenti della pubblica prosperità con premi e con lodi: l'estrazione vietava degli olî, disponea una regolare amministrazione dei beni della comunità della stato non alienati. Una delle più belle opere monumentali di Roma imperiale, il Colosseo, assicurava con restauri che formano l'orgoglio delle arti moderne: la dotta accademia dei Lincei proteggeva validamente:6 e il gabinetto zoologico dell'archiginnasio romano istituiva con generoso pensiero. E poi che seppe per la tristizia dei tempi e più per le contratte amicizie, venduta alla Francia per quattordici milioni di franchi gran parte delle opere artistiche dalla munificenza dei principi Borghese raccolte nella loro villa alle falde pinciane, della perdita dolorosa lamentavasi e a tutto avvisava per conservare da Roma tanta dovizia di arti, ma invano, che i soldati francesi, posti a guardia della villa, sostennero con la loro presenza l'opera di due commissarî cui gli oggetti erano consegnati da diriggersi in Francia senza le dovute partecipazioni al governo. Era in tal modo questa sede delle arti, già delle opere più interessanti spogliata per il trattato di Tolentino, condannata a nuove perdite e amaramente dolevasi: dolevasi il [p. 192 modifica]magnanimo Pio e ricordava che per legge di fidecommesso non poteasi dal principe don Camillo alienare un capitale tanto cospicuo a danno dei futuri chiamati: diceasi violata per questo fatto legge suprema di stato che vieta l’estrazione da Roma e dalle provincie di statue, bassirilievi e oggetti di arte, senza la sanzione sovrana: sapeasi che l’Austria, la Russia, la Spagna aveano invano in altri tempi desiderato l'acquisto di qualche opera, sapeasi già la Francia ricchissima per lo spoglio sostenuto da Roma non nemica a quella nazione e da essa colpita senza riguardo alle sue condizioni, senza rispetto al pontefice. Trionfò la forza: gli oggetti pregevolissimi, dai quali và la città nostra superba, sotto gli occhi dei romani dolenti della irreparabile perdita, partirono per arricchire gl’imperiali musei di Parigi.

XV. Gravi querele movea il papa e facea intendere ai suoi avversari, esser egli ben lontano dal cedere alle ingiuste domande, anzi fermamente deciso di protestare innanzi al mondo, ove procedere si volesse a nuove usurpazioni violente. Triste erano le condizioni di Roma in mezzo alle contradizioni, alle incertezze e alle ingiurie che sopportava. L’erario povero, poveri i cittadini, spogliati i pubblici e privati edificî, distratte le risorse dello stato, gli animi divisi, le coscienze agitate: sapeasi che le aquile dell'impero erano in provincia ai segni della podestà pontificia sostituite: sapeasi che in Francia guardavansi con diffidenza e con gelosia gli atti che venivano da Roma e una parola non udivasi a sostegno dei diritti della santa sede pronunciata, non una luce di speranza splendeva in tanto fremito di passioni e di sdegni. Chi rivolge lo sguardo ai tempi passati e ricorda il lieto vivere degli avi nostri, le larghezze dei principi, la devozione dei sudditi e la pace di cui godevasi, avrà bene di che rattristarsi in vedendo come alle oneste abitudini dei cittadini nuovi bisogni succederanno e nuove tendenze.

XVI. Il cuore del santo padre fu amareggiato altamente da una lettera che il cardinal de Bayannescrivea da Parigi. Conteneva questa l'abbozzo del progetto a lui [p. 193 modifica]presentato dal ministro degli affari esteri Champagny. Tornava per esso in campo la domanda al papa di far causa comune con l'imperatore: di unire le sue forze di terra e di mare per muovere guerra agl’infedeli e agl'inglesi: di chiudere i porti ai hastimenti brittanici, e confidare alle armi imperiali la sorveglianza delle città poste sul mediterraneo e sul mare adriatico: di riconoscere Giuseppe re di Napoli, Girolamo re di Westfalia, Murat gran duca di Berg, Elisa imperiale principessa di Lucca e Piombino. Aggiungeasi dovere il papa rinunciare ai suoi diritti su Napoli, approvare gli atti riguardanti l'Allemagna e l'Italia, emettere piena e formale rinuncia alla sovranità di Benevento e di Pontecorvo: voleasi in fine che una terza parte del sacro collegio fosse costituita da cardinali francesi. Cercavasî in tal modo acquistare una autorità preponderante nelle deliberazioni della santa sede e nella successiva elezione dei romani pontefici. Era il consentire a tali domande un offendere i diritti della chiesa, un sovvertire le regole fondamentali delle costituzioni apostoliche, un mettere il papa in balia dei principi secolari. Tornava a rispondere negativamente Pio VII. Scriveasi da Roma al cardinal de Bayanne che per la libertà e l’indipenza della sovranità pontificia quelle condizioni erano rifiutate. Il gabinetto delle Tuilleries che mostravasi irremovibile, facea dire al papa che o condiscendesse alle domande o piglierebbesi Roma. Per quello che riguardava Napoli prendeasi modestamente a ripetere non doversi dalla santa sede far questo affronto ad un re amico e cattolico, ad un pio monarca che possedeva ancora l’intera Sicilia, a cui Roma, memore dei beneficî ottenuti, doveva anzi mostrarsi riconoscente. Conseguenza dell'onorato rifiuto, giungea da Parigi l'ordine espresso che se, decorsi cinque giorni, il papa rifiutavasi ancora dall'aderire alle dure condizioni che gli erano imposte, la legazione di Francia lasciasse Roma, e che non solo le provincie Marchiane, ma che il Perugino fosse alla Toscana assegnato, e la metà della campagna di Roma unita al regno di Napoli. Quindi minacciava d'invadere tutto lo stato pontificio, quinci di

Giucci. Vita di Pio VII [p. 194 modifica]presidiar Roma di una guarnigione francese. E quasi ciò fosse poco, diceasi che i suoi tempi non erano più quelli di Nicolò III e di Giulio II. In tanta serie di mali convocava Pio VII i cardinali, ce le domande e le minaccie e i pericoli esponendo in pieno concistoro, faceasi a domandare il loro parere. Le risposte dei venerandi principi di santa chiesa confermarono il coraggio del papa, che a tentare in qualche modo i mezzi di scongiurare la tempesta, scese a nuove condiscendenze, ma in vano; dappoichè il ministro Alquier rifiutavasi di trasmettere le note pontificie a Parigi, dichiarando rotto ogni rapporto amichevole, ogni speranza di accomodamento svanita, e arrivati i tempi non di negoziare, ma di agire energicamente.

XVII. Dolente è la storia, che ci disponiamo a narrare, confortati dal pensiero che quanto più gravi sono le angustie e i mali che pesano sulla chiesa più tanto viva ed energica manifestasi l'assistenza di Dio. Il mese di gennaro del 1808 giungeva al suo termine quando al segretario di stato scriveva Alquier che a sei mila soldati francesi sotto la condotta del generale Miollis erasi comandato di traversare senza fermarsi lo stato romano. Promettevasi inoffensiva la truppa, egregio l'uomo destinato a guidarla. Facevasi di più: era nella lettera tracciato l'itinerario imposto alle truppe, e appariva da quello che veramente miravasi al vicino reame di Napoli. Leggo nelle cronache contemporanee, che due colonne nel punto istesso partirono da Firenze e da Ancona, e che queste si fusero insieme nell’Umbria e proseguirono tranquillamente il loro camminò: leggo che Pio VII, dopo avere interpellato l'ambasciatore francese, scrisse pure al generale Miollis per domandargli se poteasi prestar fede alla promessa, che la truppa era destinata al regno di Napoli, o doveasi credere piuttosto volersi impadronire di Roma. Questi che di forte natura era, ma di apparenze dolcissime, rispondevagli: avrebbero le truppe imperiali inoffensive tenuto per qualche giorno quartiere in Roma, ma passaggera essere quella misura e senza la menoma volontà di attentare alla sovranità del pontefice. [p. 195 modifica]Intanto i soldati di Francia superbi delle ottenute vittorie e maggiormente di un nome, che li dicea la milizia più agguerrita di Europa, traversavano il nostro povero stato con lo scherno sul labbro. Facevasi credere che il giorno ventotto gennaro dopo toccata Spoleto, si sarebbero accampati due giorni a Ponte Milvio, quindi costeggiando le mura della città, dirette a Terracina in attenzione degli ordini del re Giuseppe. Pio VII fece partecipare a Miollis ch'egli e il suo stato maggiore poteano entrare liberamente in Roma ove sarebbe accolto con i riguardi ad esso dovuti. Le cortesie del pontefice non ebbero miglior ventura delle proteste.

XVIII. Era il mattino del due febraro, quando l'armata francese passando per la via flamminia entrò in città. Ostilmente, disarmati i militi pontifici posti a guardia della porta del popolo, tratti in loro podestà i posti militari della città, fu invaso violentemente castel sant’Angelo, malgrado la solenne protesta inviata al generale Miollis da Angelo Colli comandante del forte: giunse la militare insolenza all’eccesso di piantare otto pezzi di artiglieria rivolti al portone del quirinale nel giorno istesso, in cui nella cappella del palazzo apostolico dovevasi dal papa con i cardinali e i prelati celebrare la festa della purificazione. Così violavasi il domicilio di un principe inerme e pacifico. Partecipava Pio officialmente ai rappresentanti delle potenze estere l'attentato commesso e comandava che nulla più si tenesse ad essi nascosto di quanto avveniva in città: così alla luce del giorno si posero l'oltraggio di Alquier, il quale protestava che Roma non sarebbe occupata, l'inganno di Miollis che avea alla sua parola mancato. Temendo però il papa chel troppo amore dei sudditi, posto a durissima prova, potesse irrompere furioso e piombare sopra un piccolo numero di soldati, la sicula strage con danno di Francia e più di Roma rinnovellando, volle con editto della segreteria di stato emettere formale protesta a garanzia de’ suoi diritti sovrani, e raccomandare ai fedeli suoi sudditi la mansuetudine, la pazienza. Siano rispettati, leggeasi in quel pubblico bando, gl'individui di una [p. 196 modifica]nazione, da cui il santo padre nel suo soggiorno a Parigi ha ricevuto tante testimonianze di devozione e di affetto. Andò il generale Miollis ad abitare nel palazzo Doria: occuparono le milizie i vari quartieri di Roma. lì giorno tre febbraro l’ambasciadore è il general francese furono ricevuti dal papa, che seco loro si dolse della condotta sleale che teneasi con lui. Difendeva Miollis duri fatti ed acerbi con dolci e studiate parole: scusavasi dell'insulto fatto al palagio e tacea delle altre violenze. Erano i francesi in Roma da quattro giorni, quando il papa ai cardinali diresse un breve. Dopo aver dichiarato in esso, che sarebbe egli pronto a versare il sangue a difesa e sostegno della religione e della sede apostolica: dopo aver ricordato le persecuzioni sostenute, le prove di affezioni date alla Francia sino da quando era vescovo d'Imola, faceasi ad enumerare le ingiuste pretese avanzate dal gabinetto delle Tuilleries e la sua ferma determinazione di resistere alle esigenze: confortavali infine a resistere, a pregare Iddio, perchè volesse dissipare la tempesta e restituire giorni tranquilli alla chiesa.

XIX. Sostenea l'animo del pontefice queste amarezze quando il cardinal Casoni per indisposizione di salute era obbligato a dimettersi dal suo posto di segretario di stato. Succedevagli nel difficile incarico il cardinal Giuseppe Doria7. Allorchè il generale Miollis ardì presentare al s. padre gli ufficiali francesi addetti allo stato maggiore, il papa modello sublime di ogni virtù, non solo amorevolmente li ammise alla sua presenza, ma disse loro di amare i francesi e di esser lieto di rendere ad essi la dovuta giustizia per la severa disciplina che mantenevano fra i soldati. Mosse querela l'ambasciatore di Francia, adontavasi Miollis per un editto pubblicato dal papa: ambo si dolsero di aver questi dichiarato che riguarderebbesi come ostaggio dei [p. 197 modifica]francesi e non sarebbe sceso agli accordi e non avrebbe abbandonata la sua residenza del quirinale, finchè Roma fosse occupata dalle armi loro: altrettanto confermava agli ambasciatori stranieri. Da Parigi giungevano nuove accuse e cause nuove di lamenti: diceasi che le truppe francesi erano destinate ad occupar Roma per coprir le spalle alla armata di Napoli: avrebbero così assicurata la comunicazione con quella dell’alta Italia: imponevasi di procedere all'arresto dei napoletani, che bagnati ancora di sangue, cercavano sicurezza ed asilo nelle campagne di Roma, di scoprire e dare la caccia agli agenti segreti di Carolina di Napoli, che uniti a quelli d’Inghilterra, tramavano insidie, la tranquillità del nostro stato, e di tutta Italia esponendo a gravi pericoli.

XX. Tanto calda e tanto nobile protesta di amore nella occasione del carnevale offrì il buon popolo di Roma al pontefice da incutere nell’animo di tutti grandissima meraviglia: Aveva il cardinal Giuseppe Doria manifestato che trovandosi il santo padre prigioniero nelle sue stanze del quirinale, con l'animo oppresso da angoscie infinite, non era giusto che i romani si abbandonassero alla gioia ed al tripudio: che quelli erano tempi non di sollievo e divertimento, ma di preghieree di lacrime. La squilla della campana del campidoglio, che invita i cittadini ad abbandonarsi alla gioia, piombò come suono ferale sul cuore di tutti e tutti al padre e al principe riverenti mostraronsi i sudditi e i figli rinunciando di buon grado alle allegrie carnevalesche. Vinse il rispetto le naturali inclinazioni del popolo: le case e le fenestre furono chiuse, i consueti segni di esultanza disparvero, sembrò il corso un deserto. L'ambasciatore francese Alquier, poichè vide nelle circostanze attuali e ogni composizione divenuta impossibile fra la santa sede e la Francia, domandò i passaporti, lasciando incaricato di affari il signor Le Febvre suo segretario di ambasciata; ebbe anche questi ben presto l'ordine di allontanarsi da Roma, ove tuttal'autorità voleasi confidata alle mani del generale Miollis.

XXI. Narreremo per sommi capi le umiliazioni sopportate dal supremo gerarca, le angustie alle quali vidersi [p. 198 modifica]esposti i principi di santa chiesa, i prelati, e le violenze patite dai sudditi e dagli amici del papa. Il palazzo dell’ambasciatore di Spagna Antonio Vargas-y-Laqoun fu invaso dai soldati francesi e dalla feccia del popolo: questi che era in letto gravemente ammalato, vide entrare nella sua stanza un ufficiale e quattro uomini, che il dissero prigioniero con gl'impiegati della legazione. Era a quell'epoca la posta delle lettere di Spagna presso l'ambasciatore: si fecero su di essa indagini le più scrupolose. Gli uditori della sacra rota romana, sudditi della Spagna, Gardoqui e Bardaxy sostennero una eguale perquisizione nei loro palazzi. Queste severe misure adottavansi per vendicare i rovesci toccati dalle armi francesi in Ispagna. Attentando al diritto delle genti i soldati di Francia impossessavansi della posta delle lettere, seguiti da delatori e da nuovi impiegati, che violando la fede pubblica e privata, le aprivano e le leggevano: per abuso di forza, vietavasi ai tipografi la stampa di quelle cose che non erano di loro genio: tanto crebbero le violenze che al papa istesso non fu possibile dare alle stampe un allocuzione, della quale si consegnarono ai cardinali manoscritte le copie autenticate dalla firma sovrana. Si vollero esortare i soldati ad abbandonare le insegne della chiesa per quelle adottare dell’impero: trovarono resistenza i consigli, fecesi uso della violenza. Al colonnello delle truppe romane baron De Friess, che abbandonava il servizio del papa per darsi all’imperatore, scrivea lettere di elogio Eugenio da Milano e i generale Desleaux affidava il supremo comando di tutte le truppe romane e imponea riconoscere il solo Miollis: quelli che serbarono la fede militare giurata al sovrano legittimo e alla patria, ebbero esili o carcere nella fortezza di Mantova: i soldati del papa incorporati all’esercito napoleonico andarono a presidio in Ancona, o in altre città che costituivano il regno d'Italia. Ordine severo intimava ai cardinali Pignatelli, Saluzzo, Caracciolo e Ruffo Scilla di lasciar Roma, recarsi in Napoli per giurare fedeltà, ubbidienza al nuovo monarca, sotto pena di confisca dei beni: Pio VII con allocuzione animavali a serbarsi [p. 199 modifica]costanti in così grave pericolo e a sostenere le tribolazioni, delle quali erano minacciati. La forza istessa che quelli traduceva in Napoli, imponea ai cardinali Giuseppe e Antonio Doria, Somaglia, Roverella, Valenti, Carandini, Braschi, Scotti, Litta, Dugnani , Galeffi, Casoni di lasciar Roma fra tre ore e restituirsi alle loro città formanti l'italico regno. Così negavasi al santo padre il sussidio di uomini, dei quali avea supremo bisogno in tante angustie; così toglievansi alle antiche abitudini uomini che aveano consumata la vita nell’esercizio dei propri doveri, fedeli consiglieri del supremo pastore, a cui Iddio ha commessa la cura del cattolico gregge. Al cardinal Doria sostituivasi pertanto pro-segretario di stato il cardinal Gabrielli, che entrava nel ministero li ventisette marzo 1808. Pochì giorni erano decorsi da questo atto quando osarono alcuni soldati francesi funestare di loro presenza la tranquilla stanza di Pio. Un, distaccamento militare presentavasi al quirinale. Gli svizzeri che erano di guardia opponevansi: permettevano solo all'ufficiale l'ingresso. Questi che parve soddisfatto e ordinava di fare alto ai soldati, era entrato appena, quando ad un suo cenno slanciavasi la truppa, gente ardita e belligerante contro la guardia, mettendogli le baionette al petto. Dopo questo attentato, recavansi sul luogo dove era la milizia capitolina, ne atterravano le porte, toglievano le carabine: faceano altrettanto e più nel quartiere delle guardie nobili: invasi gl'intimi penetrali, al capitano degli svizzeri ordinavano dipendere dagli ordini del generale francese: animosamente rifiutavasi questi dall’ubbidire: era condotto agli arresti: faceasi eguale intimo ai soldati delle finanze: gli ufficiali che rimasero fedeli furono tradotti in castello. Intanto distaccamenti francesi giravano per la città, arrestando, trascinando al forte s. Angelo quante guardie nobili e ufficiali pontifici incontravano per via. Non mancava il cardinal Gabrielli d’informare i ministri esteri dei nuovi attentati: domandava a Le Febvre la dimissione dal forte delle guardie imprigionate contro ogni diritto: faceasi però a dichiarare che il papa, nell’avvilimento in cui era ridotta l'apostolica autorità, avrebbe opposto alle [p. 200 modifica]contumelie, agli oltraggi la mansuetudine e la pazienza, sicuro che le umiliazioni sarebbero tornate a gloria della religione cattolica e di Roma. Si dolsero i sudditi e più il papa dell’arresto del prelato Guidobono Cavalchini governatore della città, che sotto l'incredibile accusa dell'essersi rifiutato dall'amministrare la giustizia, videsi tradotto a Fenestrelle, fortezza posta alle fauci delle alpi, fondata a difesa d'Italia, divenuta famosa per i personaggi di alto nome ch'ivi furono sostenuti. Questi, prima di allontanarsi, ottenne di scrivere al santo padre lettera che venne pubblicata e letta con universale interesse. Arse di sdegno Miollis e la sua polizia sequestrò quanti esemplari gli giunsero in mano; se ne abbruciarono oltre a due cento. Il papa, cui non rimaneva più in cuore speranza alcuna di pace, vide allontanarsi da Roma il signor Le-Febvre, uomo che avea scritto sempre a Parigi con leale fermezza e sempre usate col papa rispettose parole. Gli oltraggi portati alla sovranità, le usurpazioni che si succedevano ogni giorno formarono oggetto di note agli ambasciatori residenti in Roma, che non mancarono di circondarlo di cure. Miollis esaurite che ebbe le persuasive, abusò della forza: radunava le truppe , le incorporava alla armata di Francia e arrigandole con superbe parole dicea loro; che l'imperatore e re li assicurava che non più i preti li avrebbero comandati, ma valorosi uomini che aveano dato buon conto di loro sopra i campi di guerra. Questo insulto provocò da parte del pontefice un editto, per i quale dichiaravasi, che la nappa distintiva dei soldati rimastigli fedeli, sarebbe bianca e gialla: che avea protestato contro l'imperiale governo quando vide quasi intieramente occupato il patrimonio di santa chiesa: che egli sollevava la voce perchè sapessero i sudditi che non cedeva che alla forza maggiore. Contrariate le autorità francesi da questi atti di coraggio, si rivolsero .contro le persone che circondavano il santo padre. Uomini in armi violarono il domicilio del cardinal Gabrielli che aveasi stanza nel quirinale: di partire fra due giorni per il suo vescovato di Sinigallia ordinavangli; alle sue carte che i più alti [p. 201 modifica]segreti riguardavano dello stato i sugelli apponevano: alla vigilanza di un soldato la custodia ne confidavano. In premio pertento della fedeltà costante, degli alti servigi resi allo stato e al principe, la notte del dieciotto videsi deportato. Questa violenza provocò un’altra nota che del pari andò inosservata. Dovea provvedersi alla scelta di un nuovo segretario di stato. Scarso era il numero dei cardinali che risiedevano in Roma: erano quasi tutti oppressi dagli anni, dalle infermità, dalle patite sventure. Due soli poteano sobbarcarsi al grave incarico: Pacca, ed Eskine: essendo però d'ambedue mal prevenuti i francesi dovea credersi non lungo e non felice il loro ministero. Fu scelto Pacca. Scrive egli stesso e gliel consente la storia, che nessun uomo assunse mai quell'ufficio in più luttuose e critiche circostanze8.

XXI. Mentre il sacro principato di Pio andavasi assottigliando e il suo animo amareggiavasi nel vedere diradarsi le file dei consiglieri, chiuso il pontefice nelle stanze del quirinale alacremente intendeva al vantaggio religioso dei cattolici. Egli che avea già la chiesa metropolitana di Parigi innalzata al rango di basilica minore9, dichiarò sede arcivescovile Baltimora, cui diede suffraganee le chiese di nuova Yorck, di Filadelfia, di Boston, di Bards Town nell’America settentrionale: stabilì il vescovato di Luisville, quello di Versailles in Francia: inviò ai vescovi del regno italico istruzioni e norme intorno al giuramento che da loro esiggevasi, inculcando le regole che doveano seguirsi intorno alle materie religiose, alla immunità ecclesiastica [p. 202 modifica]alla clausura. In Roma fu arrestato il segretario della consulta, Riganti, il fiscale generale del governo, Barberi, il luogotenente del tribunale dell'auditore della camera, Rufini, il vice economo della fabbrica di san Pietro, Baccili: era il primo deportato in Ancona, sostenevansi gli altri in Roma. Arrestavasi in Fuligno il marchese Giberti maggiore delle truppe provinciali, che ricusava consegnare le armi che vennero a viva forza sottratte. Così si toglievano tratto tratto dal fianco del s. padre coloro che erano cooperatori e ministri dell'apostolato che esercita sopra tutte le nazioni del mondo cattolico e offrivangli una mano adiutrice. Protestava il papa: i francesi, che promettevano desistere dagli arrollamenti, dichiaravano di voler colpire con tutto rigore delle leggi chiunque opponea resistenza e spedivano picchetti armati per impossessarsi a viva forza dei processi originali di coloro che trovavansi nelle carceri delle usurpate provincie. Questa violenza divenuta sistema si estese anche al quirinale: armati di baionetta penetrarono i soldati nelle stanze del segretario di stato: delusi passarono nelle sale di quel dicastero: supremo, ove fattesi consegnare da un impiegato le chiavi, diedersi a ricercare due processi, che diceansi situati in quell'archivio. Incredibile attentato commesso nella casa del principe e reso anche più odioso perchè non provocato da ragioni di supremo interesse. E se Roma era posta in aspre condizioni, aspre erano del pari quelle dei vescovi nelle loro sedi, dei magistrati nelle loro provincie10. Il capo della chiesa avea con sua enciclica demarcata la linea dalla quale non doveano i sudditi allontanarsi: l’imperatore esigeva giuramento di fedeltà, di obbedienza alle costituzioni ed alle leggi; volea il papa che il solo giuramento permesso quello fosse di non partecipare alle congiure, alle trame sediziose: volea che fosse dato nel solo caso, in cui il ricusarlo importasse grave pericolo ai sudditi: proibiva l’accettar cariche [p. 203 modifica]e impieghi dal governo invasore, al clero il canto dell'inno ambrosiano vietava, perchè fosse manifesto che il sovrano e i sudditi cedevano solo alla violenza. Tali erano le condizioni da non esservi via di mezzo: o la confisca e l’esilio, o la fellonia e il giuramento. Si agitavano le coscienze, si commovevano gli animi, crescevano le angustie, mancavano i conforti spirituali, i ministri del culto si nascondevano, cominciavano le deportazioni. Erano già dati gli ordini di tradurre in paesi stranieri e di confiscare i beni del vescovo di Senigaglia cardinal Gabrielli, del prelato Cappelletti, del vescovo di Montalto Francesco Saverio Castiglioni, dalla provvidenza destinato al supremo governo di santa chiesa, quando a più mili consigli parve inclinare l’imperatore, che temeva gli effetti della resistenza opposta dal papa. Si sospesero le rigorose misure, si ritirarono gli ordini già spediti: si giunse persico da Eugenio vicere d'Italia a lodare la costanza, il coraggio in ossequio al pontefice addimostrato dal clero.

XXIII. Il mondo cattolico era edificato dalla magnanima costanza di Pio. La celebre allocuzione che incomincia Nova vulnera da lui pronunciata in concistoro, con la quale faceasi a deplorare le tribolazioni che affliggevano la chiesa, avea manifestate a tutti la lunga storia deì mali tollerati. Letta e ammirata, le simpatie universali erano tutte per Pio. Napoleone visitato in Erfurt dallo Czar delle Russie, onorato per parte dell’imperatore d'Austria che spedivagli il generale San Vincenzo ambasciatore per complimentarlo, fatto arbitro ormai dell’Europa avea, chiamando sul trono di Napoli Murat, nominato Giuseppe re di Spagna. Era però quell’eroico paese lo scoglio ove doveva urtare la potenza Napoleonica. L'assedio di Saragozza, i timori ispirati dalla opposizione spagnola frapposero impedimento alle misure che avea in animo di adottare. Venivano deputati spagnoli a rallegrarsi col papa della resistenza: era universalmente lodata la condotta di Pio: giungevano messaggi dallo stato, e da Roma che il confortavano nelle avversità che sostenea con animo invitto e n'encomiavano la costanza. Al pontefice oppresso da tante sventure dal fondo della [p. 204 modifica]Sicilia offeriva una mano amica Ferdinando di Napoli. Una sera nella sala del cardinale un uomo di aspetto bronzino, d'ignobil figura domandava di essergli presentato. Quando fu questi alla sua presenza palesavasi minore conventuale, venuto appositamente da Sicilia su legno inglese spedito dal re a preghiera del cardinal Gabrielli per trasportare Pio VII su quell'isola, ove vivrebbe onorato e protetto dai soldati d'Inghilterra e di Napoli: diceagli il frate, che a rischio della vita avea posto piede a terra, e traversando i campi, era giunto a Roma: voler partire la notte istessa, perchè in pericolo d'essere sorpreso: aggiungea che ove il papa avesse giudicato conveniente il giovarsi dell'invito del pio re che il volea salvo, dovea trasferirsi sulla spiaggia di Fiumicino: ivi a certi segni convenuti, avrebbe trovato imbarco: che il legno salvatore avrebbe tre giorni bordeggiato, scorsi i quali prenderebbe il largo per ritornarsene in Sicilia. Freddamente rispose il cardinale: non esser tempi quelli di prestar fede al primo che venisse ad offrire l'opera sua, e domandò una qualche prova che il rendesse sicuro: non l'avea il religioso, chè in quei momenti era un mettere a grave pericolo la vita il conservare qualunque segno potesse compromettere chi già lo era abbastanza per il luogo da cui movea. Allontanavasi il francescano e il cardinal Pacca parlavane il dì seguente al papa che rispondeagli: non voler lasciar la sua Roma per darsi in mano agli inglesi, che potevano portarlo o in Sicilia o in Sardegna o in Ispagna, paesi in quell’epoca nemici a francesi: fremerebbe la Francia e in questo fatto solo, aggiungeva, avrebbe Napoleone trovato la ragione del conquistare lo stato di un principe che accettava la protezione dei suoi implacabili nemici: più felice giudicava il soldato che cade nella pugna di quello che con la fuga si salva. Seguivano intanto gli arrollamenti in provincia, causa di lunghi scandali e di gravi calamità. Visto che inutili riuscivano le preghiere, inutili le proteste, confortato il segretario di stato dai comandi del papa, scese alle vie di fatto e ordinò nella provincia di campagna l'arresto di alcuni civici rei di varî delitti. Perquisiti, si rinvennero presso [p. 205 modifica]loro carte che, discoprendo nuove trame, davano tutta la sicurezza, che oramai il governo ecclesiastico dovea fondersi nell’impero francese: lo mostravano abbastanza le patenti di posti e d’impieghi militari e civili. Questa certezza obbligava il papa ad abbandonare le ordinarie regole della mansuetudine e procedere con vigore. E poichè non poteasi pubblicare in istampa, perchè i tipografi erano minacciati se avessero l’opera loro prestata al governo senza l'approvazione francese, si affissero in provincia manoscritti gli ordini contrasegnati dalla firma sovrana. Miollis allora stabili in cor suo di togliere dal fianco del pontefice il cardinale, del quale temevasi l'influenza. Così nel brevo periodo di pochi mesi uno dopo l'altro cinque ministri del papa tennero e abbandonarono le redini del governo. La mattina del giorno sei settembre 1808 il maggior Muzio piemontese presentavasi a Pacca intimandogli di partire il dì seguente da Roma per Benevento sua patria. Imperturbabile l’ascoltò il cardinale, che risposegli: non conoscere altra autorità che quella del sovrano pontefice, volersi rimanere al suo lato, finchè questi non avesse in altro modo disposto: e poichè accennava di voler salire nell’appartamento del papa questi si oppose e dissegli avesse ceduto per non promovere scandali: avrebbe avuto due giorni a partire se volontariamente abbandonava le stanze del quirinale per restituirsi al suo palazzo: allontanavasi il maggiore lasciando la guardia di un capitano francese. Domandò Pacca di scrivere al papa, l’ottenne. Letto appena s. padre il rapporto del suo segretario, intese il bisogno di contraporre a tanto ardimento una coraggiosa risoluzione. Dopo pochi istanti aprivasi l'ingresso della sala ove il cardinale guardavasi a vista. Era Pio VII che, uscito dal suo appartamento, veniva a strappare dalle mani dell’officiale francese la vittima designata. Atteggiavansi alla collera le sembianze sue placidissime. Scrive il cardinale, che irti erano i suoi capelli, offuscata la vista. Chi è, chi è diceva, mentre Pacca gli baciava la mano: sono il cardinale, rispondeva questi e intanto indicavagli l'officiale che in atteggiamento rispettoso se ne stava in silenzio. Lo [p. 206 modifica]fissò Pio VII e dissegli: sappia il generale che oramai sono stanco degli insulti, degli oltraggi che ricevo da chi osa chiamarsi ancora cattolico: che a me si tolgono ad uno ad uno tutti i ministri per impedirmi l'esercizio della autorità spirituale non meno che del temporale dominio. Impongo a lei, signor cardinale, di non ubbidire ai pretesi ordini del generale e di seguirmi per essermi compagno nella prigionia che sostengo, e traendolo seco per mano, aggiungeva: se si vorrà strapparvi dal mio fianco dovranno spezzare le porte delle mie stanze: ad esso solo saranno imputabili le sinistre conseguenze che potrebbero derivare in Roma non meno che nel mondo cattolico, da questa inaudita violenza. Il papa seguito dal cardinale, riducevasi ai suoi appartamenti. Rimontando la grande scala, da tutte le parti si videro accorrere i palatini che lieti e plaudenti lodavano il pontefice di un atto tanto nobile e vigoroso.

XXIV. E noi vedremo il papa e il suo primo ministro per dieci mesi chiusi in un medesimo appartamento finchè non verranno violentemente strappati da Rota e tradotti in Francia. Si spedì una energica nota su quanto era avvenuto ai ministri esteri presso la santa sede: le proteste e le note multiplicavansi appena giungea avviso di atti arbitrari o lesivi l’autorità pontificia. I romani sempre più affezionavansi e vieppiù esaltavano la magnanimità ed il coraggio di chi non lasciavasi intimidire dalle minaccie e dai vicini pericoli. Leggo, fra le altre moltissime note, quella che incomincia "sono tali e tanti gli eccessi" la quale può dirsi dettata da uno spirito profondamente agitato. Leggo quelle, colle quali il pontefice solleva la voce per lamentare l'arresto del cardinale Antonelli decano del sacro collegio, logoro per anni ed infermità, e trovo contrasegnato ogni giorno da nuove violenze. Il prelato d’Arezzo pro governatore di Roma vede da una mano di granatieri invaso l’appartamento, nel cuore della notte, senza che alcuno possa vederlo o parlargli, è deportato in Toscana: strappato dalla sua diocesi, condotto in Roma e ristretto nel forte sant'Angelo è il [p. 207 modifica]vescovo di Anagni: sono tradotti innanzi al comandante della piazza coloro che escono dal quirinale: sì sottopongono a visita rigorosa gli oggetti e le vetture appartenenti al palazzo apostolico: per consiglio di guerra il di ventisette settembre 1808 le palle soldatesche spezzano il petto a Giuseppe Vanni di Caldarola, ufficiale al servizio di Ferdinando di Napoli, sbarcato nelle vicinanze di Ostia. E questi erano i tristi fatti, i quali preludiavano il supremo attentato che dovea compiersi fra non molto. Ordinavasi prudentemente che fosse chiusa la porta che guarda la piazza del quirinale, lasciando al passaggio dei pochi, che pel disbrigo dei loro affari, recavansi all'udienza del papa, aperto il piccolo adito: davasi al tenente svizzero Amryn, ai soldati e ai più fidati sergenti di quella guardia dì cui raddoppiavasi la paga, l'ordine di vigilare specialmente nelle ore avanzate. Nella profondità della notte videsi talvolta il cardinal Pacca andare in persona ad accertarsi se gli ordini erano eseguiti: più spesso assumevano questa cura pietosa per amore del principe i minutanti della segreteria di stato. E non era ciò segno che volessero i palatini opporre resistenza alle armi di Francia: severi ordini invece eransi dati per vietare un inutile spargimento di sangue sotto gli occhi del vicario di Cristo: voleasi con queste precauzioni mostrare al mondo cattolico che il padre dei credenti cedeva solo alla violenza e alla forza. Sapeasi intanto come il popolo, entrato in sospetto che si tentava d'involare il pontefice al loro amore, minaccioso aggruppavasi ogni notte sotto il palazzo apostolico, patugliava nelle vie prossime al quirinale per mettere il papa al sicuro da ogni colpo di mano.

XXV. Narro mirabile prova di affezione data dai romani al pontefice. Essi che nel decorso anno, epoca in cui le angustie del papa erano meno vive, aveano, come dicemmo, spontaneamente rinunciato ai divertimenti del carnevale, palesarono in modo più energico nel 1809 l'alto loro abborrimento per tutto quello che potesse manifestare sentimenti di esultanza e di gioia. La gazzetta romana redatta da persone addette al generale Miollis, annunciava permesse [p. 208 modifica]le maschere, i festini, le corse. Una notificazione sottoscritta dal segretario di stato con gravi parole manifestava al popolo che mentre il padre gemeva nelle afflizioni non doveano i figli dar segni di esultanza, ma bensì di dolore. Tanto bastava ai romani. Non conobbe Miollis l'indole di un popolo che sente profondamente la sua dignità. Avvicinavansi i giorni carnevaleschi e non vedevansi giusta il costume lungo la via del corso eretti i soliti palchi. Invitati gli artisti a costruirli, si rifiutavano: obbligati, obbedivano. Quando si volle soddisfare il prezzo del loro travaglio, ricusavansi dal riceverlo, dicendo "i forzati non si pagano". A forza sì estrassero i palî dalle aule capitoline: a forza si ebbero i carrettieri che doveano portare il legname sul luogo: si fece persino violenza agli ebrei che rifiutavansi dal somministrare gli arazzi, onde si adornano le tribune destinate ai giudici della corsa. E quando s'intese battere l’ora, in cui i romani erano soliti di travolgersi lieti lungo le vie del corso, vidersi i negozianti serrar le botteghe, allontanarsi dal luogo. Le fenestre erano chiuse, deserta era la via. Una sola carrozza comparve al corso: quella del bargello, seguìta dalla sbirraglia. Questi fatti passati in dominio della storia faranno la meraviglia dei posteri. Coloro stessi che aveano consigliato Miollis a permettere le maschere, che pure erano conosciuti e segnati a dito, non osarono avventurarsi sulla pubblica via: quei pochi cittadini che furon visti non erano che inviati dal governo pontificio con l’incarico di riferire ciò che accadeva. Questo eloquente silenzio versò lo stupore nell’animo dei francesi e sparse una qualche stilla di consolazione nel cuore addolorato del santo padre. Miollis valutò le proteste del popolo e prese il partito suggeritogli dalla prudenza: contromandò le feste carnevalesche. E più grave ragione di umiliarsi innanzi al coraggio e alla costanza di Roma l’ebbe egli quando il venerdì venti gennaro prescelse per dare una festa di ballo. Le sale del palazzo Doria bellissime e riccamente adornate, si videro affatto deserte. La moglie di qualche officiale Francese, pochi stranieri invitati dal generale, aggiravansi per quelle vaste aule che aperte da insulto villano dovevano essere chiuse [p. 209 modifica]da rimorso e vergogna. Dicesi che furono dessi si fattamente sensibili alla mortificazione sostenuta, che vollero per rispettar la sventura, nei giorni del carnevale interrompere il corso a certe sceniche rappresentanze, che eseguivano per domestico sollievo nelle loro case private. Fremeva il cavaliere Alberti incaricato degli affari del regno d'Italia, uno dei fautori più caldi delle orgie, che offendevano la conculcata maestà del Sovrano, tremava Miollis nel vedersi contradetto nei divisamenti, ferito nell’amor proprio. Gli esteri queste meravigliose prove dell’attaccamento dei sudditi verso il sovrano lodavano e le immeritate calamità del pacifico e mansueto principe lamentavano. Uno splendido argomento di filiale tenerazza offrirono i romani a Pio VII il dì anniversario della sua coronazione. Le tenebre non avevano ancora coperta la vasta città quando videsi il vaticano, il campidoglio, le chiese, i palagi simmetricamente decorati di lumi e di emblemi, che ricordavano il fausto avvenimento del legittimo successore di san Pietro, l'universale pastore della chiesa, cui Dio ha promessa la sua divina assistenza. E non le vie più popolate e più vaste della città, mai più umili quartieri da Roma furono illuminati. Era spettacolo di tenerezza vedere i poveri comprar l'olio con l’obolo ottenuto dalla carità per rendere un omaggio al sovrano pontefice. Questa generosa manifestazione di esultanza colmò di stupore tutta l'Europa. I giornali stranieri la commentarono: il buon papa ebbe la consolazione di sentirsi partecipato dal nunzio apostolico di Vienna, che l'animo del re di Prussia grandemente commosso dalle prove di attaccamento che riceveva Pio VII dai romani non meno, che da tutto il mondo cattolico, avea di sua spontanea volontà ordinato che nel suo regno non si avesse più riguardo alla differenza di religione frà i cattolici e i protestanti, e volle che il clero cattolico fosse in più vaste proporzioni dotato.

XXV. L'armata francese, dolente delle non lievi perdite sostenute a Sacile pel valore spiegato dal arciduca Giovanni che avea nel Tirolo opposto valida resistenza,

Giucci. Vita di Pio VII [p. 210 modifica]vincea nei campi posti fra Ratisbona ed Augusta. Progredendo essa di vittoria in vittoria con Napoleone alla testa obbligava l'arciduca ad abbandonare l'Italia, marciando a grandi giornate sopra Vienna. Acquistata che l'ebbe, rivolse i suoi pensieri su Roma. Il giorno diecisette maggio 1809 ordinava che gli stati del papa fossero e restassero uniti all'impero francese, che Roma assumesse titolo di città imperiale e libera: che i monumenti a spese del suo tesoro fossero conservati e mantenuti, che il debito pubblico divenisse debito dell'impero, che le rendite del capo della chiesa cattolica sino a due milioni di franchi, liberi da ogni peso, si estendessero. Dichiaravansi non tenuti alle tasse, e liberi fossero da ogni visita i palazzi apostolici. E perchè dovevasi il nuovo stato ordinare, per non mettere tempo in mezzo, nominava nel giorno istesso Miollis governatore generale: creava consulta straordinaria di stato: Saliceti presidente De Gerando, Ianet, Del Pozzo consultori: segretario il giovane torinese conte Balbo. Doveva essa prender possesso il dì primo giugno: dovea il governo costituzionale entrare in vigore col primo gennaro 1840. In questo modo era al sommo pontefice tolto il temporale dominio e venivaRoma in podestà dei francesi.

XXVI. Andavasi vociferando per la città che il rapimento del santo padre doveva precedere il cambiamento del governo. Come discordi erano i pareri cosi erano dubbie le risoluzioni da prendersi. Il cardinal di Pietro, e il barnabita padre Fontana avevano già d'ordine del papa minutata la bolla, con la quale dovevasi protestare in faccia al mondo dello spoglio violento, e colpire gli autori dell'iniquo attentato: teneano pronto lo scritto, a cui dovea aggiungersi soltanto la causa che ultima l'avea provocato. Vivea il papa nelle incertezze, si angustiavano i romani a lui affezionati, quando Miollis che erasi recato a Mantova, donde avea domandati gli ordini imperiali, restituivasi in Roma per riprendere dal generale Lemarois, che lo aveva rappresentato, l'esercizio delle sue attribuzioni. Egli che avea seco il fatale decreto, disponevasi a pubblicarlo. Pochi figli degeneri di Roma, moltissimi o stranieri, o venuti dalle vicine [p. 211 modifica]e remote provincie dello stato che pur diceansi Romani, osavano con sacrileghe voci annunciare non lontano il momento in cui quella che chiamavano ostinazione del papa sarebbe abbassata. Le voci si andavano aumentando, si avvaloravano le minaccie nei primi giorni di giugno. Rammentava però Miollis quale amore mostrarono i romani per il papa allorchè usò tutte le arti per divagarli con i divertimenti del carnevale: sapea che eransi veduti talvolta minacciosi aggirarsi gli abitanti di trestevere e dei monti; attorno al palazzo del quirinale quasi presaghi, e tementi, che il pontefice potesse essere tolto dalla sua sede. Era egli convinto che il romano a misura che i francesi aggravavano la mano sul papa, sui cardinali, più anelava di dare al sovrano pubblici segni di fedeltà e di attaccamento, e si aumentavano i suoi sospetti. Temea che l'odio universale potesse tradursi in una popolare sommossa e stabilì di circondarsi di una forza imponente, quando in esecuzione degli ordini sovrani dovesse rapire con la forza il papa dalla sua residenza. Indizio certo di violenze future, disponeansi intanto a pubblicare il decreto, che dichiarava il pontefice decaduto dal suo temporale dominio.

XXVII. Era la sera del giorno nove giugno quando una: lettera scritta da mano amica dava avviso, che sovrastava imminente pericolo. Prendevasi a discutere nel quirinale gravissima questione: se dovesse o no darsi corso alla bolla, che colpiva delle ecclesiastiche censure gli autori di una persecuzione tanto lunga quanto crudele: Fu volontà pontificia, che si sospendesse qualunque passo finchè non fosse letto il decreto, che si temeva: savi debbono dirsi gl’indugî imperocchè avea la esperienza insegnato, che talvolta ad arte si spargevano voci che in tutto o in parte erano in apposizione con quello, che aveasi in animo di eseguire. Teneasi per inevitabile la caduta: speravasi non fosse tanto imminente, perchè era noto, che i fautori del nuovo ordine di cose davansi ogni cura per conoscere ciò che la corte pontificia aveva in segreto deciso intorno a tanto grave subietto. Spuntò il giorno nefasto. I cannoni di castel sant' Angelo due ora prima del mezzo giorno [p. 212 modifica]annunciavano all’attonita Roma, che la bandiera tricolare di Francia prendeva il luogo dello stemma pontificio abbattuto. Andavasi per le contrade a suono di tromba proclamando, che Roma era città libera e imperiale, che i domini della santa sede erano uniti all'impero francese. Preparato il papa a questo colpo, dicea al cardinal Pacca, che presentavasi innanzi a lui per animarlo, le parole di Cristo «Tutte è consumato» Il giovane nepote di Pacca portava più tardi la copia dell’imperiale decreto. Appressavansi ambedue alla finestra per leggerlo. La calma, la riflessione, con cui esaminarono questo atto, che completava amaramente la lunga storia delle avversità sopportate cedevano il luogo ad un sentimento di sdegno, che apparve sul volto di entrambi. Giusta era la loro indignazione, giusto il dolore. Narra egli stesso, il cardinal Pacca che gli tremava la voce, che gli si offuscava la vista, che interrompevasi, e leggea a stento. Il papa, che sulle prime avea dato segno di abbattimento, si ricompose e rassegnato e tranquillo udì la lettura dell’intero decreto. Tornato al suo tavolino senza pronunciare un accento sottoscrisse vari esemplari della protesta, ch'era già preparata: « Romani, diceva il mansueto pontefice, sono finalmente compiuti i tenebrosi disegni dei nemici della sede apostolica. Dopo lo spoglio violento ed ingiusto della più bella e considerevole porzione dei nostri domini, noi ci vedevamo con indegni pretesti, e con palese ingiustizia spogliati della nostra sovranità temporale, cui la indipendenza spirituale è strettamente legata: Ci conforta in tanta persecuzione il pensiero, che l'imperatore e la Francia non è offesa da noi, che non abbiamo traditi i nostri doveri e la nostra coscienza. Piacere agli uomini e dispiacere a Dio se non è lecito a chiunque professa la religione cattolica, molto meno può esserlo al capo e al promulgatore di essa. Debitori a Dio e alla chiesa di tramandare illesi ed intatti i nostri diritti, protestavamo contro questo nuovo spoglio violento, e lo dichiaravamo irrito e nullo». Con queste dignitose parole l'amarezza dell’animo suo Pio VII manifestava. Col favore della notte la pontificia protesta venne affissa per Roma: molto con ciò rasi fatto, [p. 213 modifica]moltissimo rimaneva a conchiudersi per conforto dei buoni, per terrore dei malvagi. Chiedeva Pacca istruzioni al papa intorno alla scommunica: esitava il pontefice, cui pareano troppo gravi le frasi adoperate contro il governo di Francia. Stringevano i casi, non era più tempo dì dubitare. Sollevava gli occhi in alto pregando e dopo breve silenzio ordinava al cardinale di promulgarla. Aveva pronunciato appena la tremenda parola, quando sollecito dei pericolo al quale esponevasi l'uomo coraggioso e fedele ch'esser doveva l'esecutore dei suoi ordini diceagli: badi a quel che fa: sovrastargli estremo pericolo: saremmo noi inconsolabili se fosse egli sorpreso. Risposegli il cardinale avrebbe Iddio favorita l'impresa affidata all'amore e al coraggio di sicura persona, di fede provata, di animo determinato e alla sede apostolica, e alla sua augusta persona sinceramente devoto. Il pontefice, il generale Miollis, Roma intera sbalordirono all'apparire del giorno del modo straordinario e meglio diremmo prodigioso. onde la notte del dieci luglio in mezzo a mille pericoli, videsi affissa la bolla alle porte della basilica lateranense, vaticana, liberiana e nei luoghi consueti della città.

XXVIII. Raddoppiaronsi dal papa dopo questo atto solenne le precauzioni nel palazzo del quirinale, custodito dalla guardia svizzera. Avea egli usato delle armi spirituali. La bolla era stata coraggiosamente affissa alla porta delle maggiori basiliche non nella oscurità della notte, ma nelle ore del vespero, prima del tramonto del sole, fra la gente recantesi a visitare quelle chiese. La polizia, la consulta di stato posero in opera ogni arte, ma inutili riuscirono le inquisizioni e le inchieste. Dio aveva protetti gli animosi esecutori dei voleri sovrani, Con la rapidità del baleno corse l’annunzio per Roma della bolla emanata dal papa. Vidersi perciò gli abitanti di questa grande città o astenersi dall’esercizio dei loro impieghi nelle pubbliche amministrazioni, o diriggersi al quirinale per domandare le norme, alle quali doveano attenersi, determinati a qualunque sacrificio anzi che incorrere nelle censure fulminate contro il nuovo governo. Inviavasi pertanto alla sacra [p. 214 modifica]penitenzieria la bolla, perchè da questa dovesse compilarsi una istruzione onde il popolo apprendesse quali erano gli uffici, quali gl'impieghi, che non potevano esercitarsi senza incorrere nelle censure. I prelati Fenaja vice gerente, e Cesarei reggente della penitenzieria risposero: le loro dichiarazioni confermava il pontefice. Fomite di nuove amarezze era un'ordinanza di Tournon prefetto del dipartimento di Roma, che il giuramento imponeva agli ecclesiastici, ne statuiva le formole e accordava il termine di quattro giorni per accettarlo: i renitenti, diceasi nel decreto, saranno trasportati nell'interno della Francia.

XXIX. Alla data sentenza dovevano tener dietro tristissimi fatti. Il papa che, chiuso nei penetrali del quirinale, volea non si potesse pervenire alle sue stanze se non con manifesta violenza, riponeva la fiducia in Dio, che ha promesso di non abbandonar la sua chiesa, e pregava: I nemici della santa sede, colpiti dalle ecclesiastiche censure escogitavano i modi d’impossessarsi della persona del papa e tremavano. Dalla Toscana chiamavasi in Roma Radet generale della gendarmeria francese: spediti da Murat giungevano in città circa ottocento uomini, che prendevano stanza a castel sant’Angelo. Con l'uno univasi a stretto colloquio Miollis; erano gli altri ritenuti a quartiere per nascondere ai Romani la presenza di nuova truppa. Con queste precauzioni andavasi a compiere l'esecrando delitto di sorprendere e deportare il pontefice. Si diedero all’oggetto ordini in iscritto a Radet, che prese le disposizioni per non mancare allo scopo. Intanto la paura di vedere distornata l'opera iniqua dagli animosi abitanti di Trastevere suggerì il pensiero di spedire dopo la mezza notte la forza armata a guardia dei ponti, a pattugliar la città per osservare il movimento e avvisare. Picchetti di cavalleria chiudevano tutte le strade, che mettono al quirinale. Gendarmi, sbirri e civici in vario modo distribuiti tenevano la piazza: essi sommavano a mille: il palazzo Rospigliosi era il quartier generale. Miollis che avea dato ordine di custodire le porte delle chiese, perchè temeva che le campane suonate a martello destassero la popolazione di Roma, [p. 215 modifica]stavasi sicuro nel giardino dei Colonnesi spiando gli eventi: era egli l'anima del movimento. Una voce sola, che avesse gridato al pericolo di Pio gli assalitori erano perduti: egli nol volle. Tutto era disposto: armati di pistola e di sciabola, sostenuti dalla truppa, i civici camminavano in silenzio, sorregevano le scale, le approssimavano al muro: attendevano il segno.

XXX. E il segno fu dato. L'orologio del quirinale batteva l'una dopo la mezza notte. Il pontefice, i palatini dopo un giorno angoscioso, omai vedendosi rassicurati dell'aurora vicina e dal silenzio, in cui erano le strade, prendevano un breve riposo. A quaranta sommavano gli svizzeri, che avevano in custodia il palazzo. Essi corsero a destare i palatini: corse animoso ìl loro capitano a domandare al papa cui il tristo annunzio dell’assalto era stato recato dal prelato Tiberio Pacca, se dovea opporsi alla forza: risposegli: lasciasse disarmare i soldati. Fu il quirinale assalito in tre punti. Dal lato, che guarda la chiesa di sant'Andrea: quivi entrati aprivano la gran porta che guarda: la piazza ove, seguito dai suoi, entrava come in trionfo Radet. Davasi l'assalto al palazzo della famiglia, che fiancheggia la dateria: il terzo, ove un maggior nerbo era raccolto, fu dato al portone della panetteria: alcuni, scalarono le mura del giardino. Erano tutti gli abitanti del palazzo accorsi nell’appartamento del papa per circondare il sommo pontefice, che tranquillo e sereno aveva assunta la mozzetta e la stola: ebbesi cura d'illuminare la sala; frà i prelati domestici erano Doria Pamphyli e Mastai-Ferretti zio del regnante pontefice: Stavansi al fianco di Pio VII i cardinali Pacca pro-segretario di stato, Despuing pro-vicario. Vedevasi nel giardino, nei corridoi, nei cortili il sinistro chiaror delle faci, udivansi le grida degli assalitori, lo strepito delle armi, il cader delle porte abbattute a colpi di ascia. Si disarmarono gli svizzeri. Rassegnato il pontefice alle disposizioni di Dio, comandò con animo intrepido che si aprisse la sala dell'udienza. Varcato, che ebbero l'anticamera segreta videsi Radet al cospetto del vicario di Cristo, che volgendogli la parola con dignità e con [p. 216 modifica]dolcezza dicevagli « Perchè venite a turbarmi nella mia stessa abitazione? Che volete voi? ».

XXXI. Alle parole del mansuetissimo Pio i soldati, gli sgherri, che seguivano il generale francese e stavansi minacciosi abbassarono la fronte e si tolsero in atto rispettoso il cappello. Sospesi erano gli animi: tutti tacevano innanzi alla maestà del pontefice, che avea riacquistata la sua tranquillità abituale. Pallido in volto, e tremante faceasi a dirgli Radet come, vincolato dai suoi giuramenti, doveva compiere una ben penosa commissione: intimavagli la rinuncia della sovranità temporale di Roma e dello stato e aggiungeva che non prestandosi a ciò il santo padre, dovea condurlo al generale Miollis, che avrebbe indicato il luogo di sua destinazione. Alle parole del generale con ferma voce rispondeva Pio VII, che giuramenti più santi l’obbligavano a sostenere i diritti della sede apostolica, a non cedere a rinunciar quello, che non era suo: l'imperatore, diceagli, può toglierci anche la vita, ma non otterrà mai questo da noi. Dopo tutto quello, che abbiamo fatto per esso non aspettavamo da lui un simile trattamento. Santo padre, rispose Radet, sò che l'Imperatore le ha molte obbligazioni: più di quelle che voi sapete soggiunse Pio in tuono alquanto animato. Non dovevamo noi attenderci questo premio della condiscendenza che avemmo per esso, e per la chiesa di Francia. Ripresa quindi la sua dolcezza figlio, disse a Radet, questa commissione non attirerà certamente sul vostro capo le benedizioni del cielo: a voi perdono esecutore degli ordini, ma ben mi meraviglio di vedere al vostro fianco un suddito, che audacemente oltraggia la nostra dignità: pur nonostante, soggiungeva, anche a lui perdoniamo ben volentieri. La truppa che avea seguito il generale, per suo ordine sgombrò la sala: pochi sotto ufficiali di gendarmeria formavano parata nell'interno della stanza per vegliarne l'ingresso; andarono gli altri a schierarsi in quella del trono, si staccarono da essa alcune pattuglie che presero a girare negli appartamenti, nei corridoi, nei cortili per conservare le tranquillità nel palazzo. Fu scritto che Radet non avea alcun ordine d' [p. 217 modifica]impadronirsi della persona del papa. Radet quando videsi innanzi al papa spedì un tal Cardini maresciallo di alloggio ad annunciare al governatore generale che già stavasi alla presenza del santo padre, e quasi fossegli ignoto l'oggetto per il quale era stata violata la pace del domicilio apostolico chiedeagli le istruzioni. Dovremo andar soli, dicea il papa al generale che rispondeagli: avrebbe potuto condur seco il suo primo ministro cardinal Pacca. Questi che non era si dipartito dal suo fianco in quei dolorosi momenti, fecesi a dirgli se doveva aver l’onor di accompagnarlo. Mentre andava ad assumere gli abiti cardinalizi guardato a vista e seguito da due officiali, Pio VII in un foglio segnò di proprio pugno i nomi di coloro che desiderava aver seco; e quel foglio doveasi all'approvazione sottoporre di Miollis11. Tiberio Pacca disse a Radet avere il papa senza dubbio bisogno di preparare gli oggetti indispensabili al suo viaggio, ma, rispondeagli il generale, indeclinabili gli ordini che erangli trasmessi, e essi doveano essere prontamente eseguiti. A tali parole alzossi dal tavolino Pio VII, e consegnando a Radet la nota disse con mirabile rassegnazione. Andiamo, di me sia fatta la volontà di Dio: e si diresse alla sua stanza da letto. Seguivalo Radet quasi temendo che quella vittima innocente fuggir potesse dalle sue mani, e poichè vide che il papa occupavasi nel dar sesto alle sue cose, dissegli: non dubitasse nulla sarebbe toccato12: piacevolmente guardollo Pio, e risposegli « Chi non prezza la propria vita molto meno cura la roba». Sollecitato alla [p. 218 modifica]partenza prima che i suoi fedeli servitori adunar potessero le biancherie necessarie, prese un crocifissa e lo pose al petto e tenendo in mano il breviario uscì dalla stanza. Non era ancora tornato in sala il cardinal Pacca, quando rassegnato e tranquillo videsi il papa passare fra i gendarmi, i birri e i sudditti ribelli che aveano violata audacemente la pontificia dimora, traversar le sale, camminare a grave stento sui rottami e le macerie delle porte gettate a terra. Era accompagnato da suoi che pallidi, confusi, atterriti a tanto spettacolo, andavano struggendosi in lacrime e tacevano: discese le scale, varcò il gran cortile, su cui vide schierate le truppe francesi. Nel dividersi dal cardinal Despuig dissegli con ferma voce di partecipare alli suoi colleghi come eragli doloroso il non potersi congedare da loro, e di non poter dare ad essi la sua benedizione. Piegò questi il ginocchio a terra e stringendo la mano al vicario di Cristo e coprendola di lacrime e di baci, ricevè l'apostolica benedizione. Radet lo divise dal papa: i gendarmi lo accompagnarono alle sue stanze. La carrozza del generale era ferma alla porta del palazzo, che guarda la piazza occupata dai soldati napolitani sotto la condotta del generale Pignatelli Corchiara; benedicea Pio VII con effusione di cuore quella milizia: benedicea al loro capitano venuto in Roma alla testa di quelle soldatesche per comando di Gioacchino Murat13. Il sole già da qualche ora splendea sull' [p. 219 modifica]orizzonte quando il papa e il cardinal Pacca si assisero in carrozza: il generale Radet e quindi il maresciallo d’alloggio Cardini slanciaronsi sull’esterno sedile: l'ordine della partenza fu dato: il gerarca di santa chiesa costretto a dividersi dai romani, dopo aver benedetta la città sottostante, movea dalla capitale dei suoi stati, solo, prigioniero, incerto del destino che lo attendeva, ma confidente in Dio, che ha promesso di non abbandonare all'urto delle tempeste la navicella di Pietro.

XXXII. Corse il mestissimo avviso per tutte le contrade della vasta città. Gli uomini, che per naturale tendenza del cuore parteggiano sempre pel debole, i sudditi che da lunga pezza stavansi ammirando la costanza magnanima del santo padre, il generoso coraggio dei suoi ministri, profondamente si afflissero, nel sentire che Pio era dai soldati di Francia rapito all'amore dei cittadini, alle speranze di Roma. Afflitti, sbigottiti da un colpo che era pur preveduto, si guardavano fra loro e sommessamente si domandavano e come e quando a quell’impetuoso torrente la mano onnipotente di Dio avrebbe opposto un riparo. Partiva Pio VII dolente del lasciare i suoi figli nelle avversità e nei pericoli, esposti a tutte le seduzioni del tempo, ma partiva contento di se perchè nè le minaccie avevanlo intimidito, nè vinto lo avevano le realtà. Le cose della fede per questa sublime costanza del papa mirabilmente si avvantaggiarono: per questi fatti imparò il mondo a volgere più riverente lo sguardo a Pio VII prigioniero, che fatto non avrebbe a pontefice pacificamente seduto sull’apostolico soglio. Chiariva il di susseguente l’animo del papa una notificazione ai suoi sudditi e specialmente al suo diletto e particolar gregge di Roma.

XXXIII. Prima che Radet dasse ordine al suo cocchiere di diriggersi sulla strada di porta pia, affidò al colonnello Coste il comando del quirinale. Poichè la carrozza ebbe percorsa la via, volse a porta salara: costeggiò in giro le mura della città, tenne la via flaminia. La porta del popolo era chiusa, le vie erano deserte, incontravansi di tratto in tratto picchetti di cavalleria con le spade [p. 220 modifica]impugnate perlustranti la strada che dovea percorrere il santo padre. Radet passando lasciava ordini. Giunti innanzi alla porta mentre si attaccavano alla vettura i cavalli di posta, prese il papa a lagnarsi dolcemente col generale, rimproverandogli la menzogna che lo avrebbe portato dal generale Miollis, la violenza con cui erasi fatto partire da Roma, senza seguito, sprovvisto di tutto, con i soli abiti che aveva in dosso. Risposegli, che ben presto lo avrebbero raggiunto alcune delle persone, che avea domandate, col necessario equipaggio. Per suo ordine spiccavasi dal seguito un gendarme a cavallo con l’animo di chiedere a Miollis il sollecito invio di quanto si desiderava dal papa. Erano poco distanti da Roma, allorchè il papa fecesi a domandare al cardinal Pacca se aveva danaro. Questi che era stato guardato a vista e non aveva avuto il tempo opportuno per disporsi alla partenza, risposegli negativamente. Ambo sorrisero poichè videro che a tre paoli e mezzo riducevasi la somma della quale potea disporre il sovrano e il suo primo ministro. Pio VII tenendo in mano il papetto che solo rimanevagli, disse a Radet «di tutto il mio principato vedete quello che ora posseggo ». Si giunse alla storta. Dichiaravasi soddisfatto Radet, che tutto fosse riuscito pacificamente senza spargimento di sangue: rispondevagli Pacca, che non era il papa chiuso in luogo munito per opporre valida resistenza alle armi: Miollis peraltro spediva rapporti al signore della Francia, mercè il quale faceasi a dirgli che Roma stavasi tranquilla. Allo staccarsi dei cavalli, i postiglioni, i quali avevano riconosciuto il papa, si genuflessero a lui dinnanzi in atto ossequioso per implorare la sua benedizione. Il fece Pio, e volgendo ad essi affettuose parole: coraggio, miei figli, dicea, coraggio ed orazione. Per celare l'illustre vittima allo sguardo di tutti con grave incomodo del prigioniero si vollero calate le cortine della carrozza. Proseguivasi rapidamente il viaggio: un ora prima della mezza notte giungeasi in una umile locanda di Radicofani, ove dopo una cena, frugale prendeva il papa riposo. Non omise Radet di dare rapporto di quanto accadeva al generale Miollis. Il papa che avea corse [p. 221 modifica]oltre a trentasei leghe fermandosi appena il tempo necessario per cambiare i cavalli, trovavasi indisposto per la fatica non meno che pel calor soffocante che avea sopportato. AI generale che voleva condurlo alla certosa di Firenze, ove credeasi più sicuro, energicamente si oppose. Intanto ad onta delle grandi precauzioni prese da Radet per nascondere allo sguardo delie popolazioni Pio VII, la grave notizia corse per la bocca di tutti. Perchè non si sospettasse della realtà della cosa avea egli fatto dire di tener pronte le stanze per due cardinali. Il papa fu riconosciuto, se ne diffuse la nuova per Radicofani non meno che per i luoghi vicini. Si vide improvisamente circondato l'albergo da una moltitudine di persone che con anzietà domandavano il papa, che chiedevano essere da lui benedette. Fu mestieri far guardare l'albergo dalle milizie locali che respingevano chiunque si approssimava. Radet desideroso che finalmente Miollis spedisse da Roma le persone che avea Pio VII domandate, il loro arrivo stavasi spiando dalle finestre. Era egli grandemente colpito dal vedere quelle sommità popolate di persone desiderose di salutare il supremo gerarca di santa chiesa: consolazione che era loro negata. Sul fare del mezzo giorno vidersi approssimare due legni14: erano quelli, che il generale Miollis destinava al seguito del santo padre: giungevano poco dopo Doria maestro di camera, Tiberio Pacca nepote del cardinale, Soglia cappellano segreto, Ceccarini chirurgo, Moiraghi primo ajutante di camera ed altri pochi che, ottenuta appena la facoltà di partire da Roma, corsero la posta per prestare amorevole e desiderata assistenza al pontefice.

XXXIV. Erano le sette della sera, quando partì Pio VII col suo seguito da Radicofani. I cavalli [p. 222 modifica]divorano la strada: temea il generale che il papa potesse essere riconosciuto e cercava con la celerità della corsa prevenire la fama: temea il papa che a lui, già affetto da gravi incomodi, potesse riuscir dannosa tanta violenza e rassegnavasi ai decreti di Dio. Intanto a breve distanza da quella terra stavasi molto popolo, cui era stato vietato d’accostarsi all'albergo. Fece il generale fermar la carrozza: si approssimò la folla, fu dato a molti il baciargli la mano: tutti furono benedetti. Era spettacolo tenero e meraviglioso di veder tanta fede, e tanto amore in costoro. Si corse tutta la notte: sul far dell'alba il papa e il suo seguito era alle porte di Siena: lo attendevano i cavalli di posta, e una numerosa schiera di gendarmi, che doveva scortarlo. Non dissimulava Radet al papa, che avea giudicate opportune quelle precauzioni, dacchè temeasi qualche tumulto dei senesi, i quali eransi indignati nel veder pochi dì innanzi traversare prigioniero la città loro, il patriarca Fenaja vice-gerente di Roma. Chi aveva in mano le armi paventava altamente le opinioni religiose. Fu il papa riconosciuto dai contadini, che recavansi al travaglio: appressaronsi alla carrozza: li respinse la forza: si diede il segno della partenza. Proseguivasi frattanto il viaggio fino a Poggibonzi, ove fecesi breve sosta nelle ore più cocenti del giorno. L'ufficiale che tenea la chiave della carrozza era rimasto in dietro: si staccarono i cavalli: il papa e il cardinal Pacca, chiusi nel legno, attendevano. Aprivasi dopo il penoso indugio di mezz'ora lo sportello della vettura: scendea Pio VII nell’umile albergo, ove a varie donne e a pochissimi uomini era dato baciargli il piede e la mano. Battevano le tre pomeridiane quando l'augusto prigioniero mosse sulla via di Firenze. Un immenso popolo affollavasi lungo la strada implorando con voci commoventi la benedizione del papa. Era la carrozza a breve distanza dalla porta dell'albergo quando per imperizia dei postiglioni con grande impeto ribaldò. Per l'urto violento andò in pezzi la sala e una ruota, balzò la cassa in mezzo alla strada. Santo Padre! Santo Padre! fu la parola che suonò [p. 223 modifica]sulla bocca dei circostanti siccome un tuono15. Essi piangevano e minacciavano: l'uffiziale che teneva la chiave apriva tremando lo sportello della carrozza che era stata sollevata dal popolo, che prese il papa fra le braccia togliendolo dalla incomoda posizione in cui stavasi. I gendarmi che scortavano il santo padre pallidi in volto, con le sciable sfoderate allontanavano la folla che stretta e minacciosa appressavasi, montava in furia e gridava: cani! cani! Visto che Pio VII per prodigio di Dio in tanto pericolo era salvo, cercò in vari modi manifestare i sentimenti di rispetto e di amore: altri prostavansi con la faccia a terra, altri gli baciavano i piedi, altri rispettosamente toccavano le sue vestimenta, quasi reliquie di un santo. Era spettacolo tenero e commovente vedere tanto popolo intorno al padre universale dei credenti che col sorriso sul labbro ringraziavali delle cure dell’affetto a lui dimostrato, e invocava su di essi le benedizioni del cielo. Sedato il tumulto16 entrava il papa col cardinal Pacca nel carrozzino di Doria per proseguire il viaggio.

XXXV. Continuavano lungo la via i buoni toscani a dar prove di rispetto, e di amore al vicario di Cristo, che un'ora dopo il tramonto giunto alla Certosa di Firenze, eravi ricevuto dal colonnello Le Crosnier e dal commissario di polizia Biamonti. Al solo priore di quella fu dato [p. 224 modifica]avvicinarsi al santo padre: vietavasi ai monaci: escludevansi quanti mossero a visitarlo. Impiegati di polizia prestavano al papa la loro assistenza, stavangli sempre d'appresso. Tenne il letto istesso , e la stanza dieci anni prima occupata dal suo antecessore. Sedeasi mesto e pensoso quando si annunciò l’arrivo di un ciamberlano venuto a fare omaggio, ad offrir servitù al papa da parte di Elisa Baciocchi sorella dell'imperatore: accogliealo Pio VII che estenuato di forze, dolente per lo strazio sofferto in brevi parole rendea grazie alla principessa. Faceasi intanto sperare che avrebbe il papa ivi passata tranquillamente la notte e il dì susseguente, ma erano appena decorse tre o quattro ora quando diedesi l'ordine della partenza. Vietavasi al cardinal Pacca il seguirlo, ma riceveva parola che in Alessandria lo avrebbe raggiunto. Tenne il papa la via di Genova, seguito dai prelati Doria e Soglia, dal cameriere Moiraghi, scortato dalla gendarmeria e dal general Mariotti sostituito a Radet17. Partiva per Alessandria accompagnato da due gendarmi il cardinal Pacca col suo nepote. Era volere del governo che il papa fosse condotto in Francia: traversando la riviera di Genova, toccava già Chiaveri, ove fu ricevuto cortesemente nel palazzo del duca Grimaldi quando il general Monteclis, che era in quei luoghi pensando alla difficoltà della strada, allo stato di debolezza, in cui trovavasi il santo padre e più ai movimenti che per la riviera andavansi manifestandosi decise di tener la via di Alessandria per quindi diriggerlo al Mon-cenisio. Istruiti i popoli del suo [p. 225 modifica]passaggio si affrettavano sulle vie che doveva percorrere. Il viaggio da Chiavari ad Alessandria, che durò sette giorni, fu segnalato da commoventi episodi. Il generale Mariotti subentrava Boisard: montato il papa col suo seguito a bordo di una filuca, venuta testè da Toscana, giunse sul far dell'alba a san Pietro in Arena: presa la via della Bocchetta per Campo Morone e Navi, toccò Alessandria. In quella città munita videsi accolto rispettosamente dalla famiglia Castellani che all’affiitto pontefice prodigava affettuose e tenere cure. In quella città, ove si trattenne due giorni era raggiunto dagli altri famigliari, venuti da Roma: il medico Porta, l'ajutante di camera Morelli: non concedeasi il seguirlo al sagrista Menocchio, confessore del papa: Correvano a schiere gli abitanti di quei paesi per salutare il pontefice: vedeansi respinti: contrariati nel pio desiderio, baciavano la terra sulla quale era egli passato. Scortato dal Boisard, passò innanzi a Torino la mattina del diecisette luglio. Rifiutavasi il principe Borghese di farsi carceriere di quelli di cui nacque suddito. Proseguendo il viaggio trascorse rapidamente il Piemonte. Passò nel villaggio di sant'Ambrogio la notte. Dopo breve riposo rimontato in vettura si diresse a Montcenisio, ove giunse la sera del lunedì: corteggiato da quei buoni religiosi, si trattenne nell’ospizio tre giorni. In questo venerando asilo della carità era concesso al cardinal Pacca avvicinarsi al pontefice, baciargli la mano e trattenersi con lui pochi istanti. La mattina del venti luglio si ripose in viaggio: mentre cambiavasi i cavalli a Montmaillant, ultima città della Savoja, una folla di popolo venuto anche da Chambery approsimavasi al papa domandando la benedizione. Il cardinal Pacca entrava in Lumpin nella carrozza del santo padre. Doveano però separarsi a Grenoble l'uno per proseguire il viaggio di Francia, l'altro per essere tradotto alla fortezza di Fenestrelle orrido luogo per inclemenza di cielo, per asprezza di clima detta la Siberia d'Italia.

XXXVI. Sapeasi da varî giorni in Grenoble che doveva giungere Pio VII. Stanziava in quella città prigioniera di guerra la guarnigione di Saragozza. Implorò dessa la

Giucci. — Vita di Pio VII [p. 226 modifica]facoltà di andare incontro al pontefice: gli fu concessa. Vedeasi appena da lungi la carrozza del papa, quando quei valorosi che aveano difeso il loro paese con tanto eroismo, piegarono a terra il ginocchio. Guardava il papa con aria di compiacenza e di bontà singolare quella schiera di prodi, accompagnata dai cittadini che gettavano fiori nella carrozza del papa il quale sorridendo, benedicea. Soggiornando undici giorni in quella città, la via che conducea al suo palazzo videsi sempre affollata di gente anziosa di avvicinarglisi, di salutarlo: nelle ore pomeridiane usciva il papa a passeggiare in un giardino unito al palazzo di sua dimora, che corrispondea sulla strada: fra i cancelli di ferro stavasi il popolo di età, di sesso, di condizione diversa per osservarlo, per domandargli la benedizione: crescea ogni giorno negli abitanti la smania di vedere il papa: si scelse nel giardino un luogo spazioso, ove di tempo in tempo ammettevansi le persone che si recavano ad ossequiarlo. Fra i grandi signori che ambirono questo onore era il visconte Matteo di Montmorency18. Tenendo la via di Valenza nel Delfinato, sul far del giorno mosse il papa per Avignone. Era in questa città e nel suo contado vivissima l'affezione nutrita dai popoli peri pontefici, che tennero quel dominio perduto in conseguenza delle vicende repubblicane che dolorosamente segnalarono la fine del secolo decorso. Entrava Pio VII fra quelle mura in mezzo alle opere monumentali innalzate dalla munificenza dei suoi antecessori e in pieno giorno in mezzo ad uomini che non avevano obliato che erangli sudditi e vi entrava scortato dal colonnello Boisard. Giunto il pontefice sulla piazza, videsi che un'onda di popolo accorso per salutarlo, si accalcava, ingrossava intorno alla sua carrozza nulla temendo i pochi soldati posti a custodia dell’augusta persona: non ardivano diradare la folla [p. 227 modifica]crescente che versavasi sulla piazza da ogni angolo della città. Unanime era il grido di gioja e dj dolore espresso dai buoni Avignonesi, e tale che Boisard temè a segno da dar ordine che fossero chiuse le porte della città, perchè sapeasi che dalla strada di Carpentrasso e dalle rive del Rodano, di Linguadocca molto popolo correa sopra Avignone. Fu dato finalmente alla energia del colonnello Boissard il romper la calca tumultuante: egli destramente profittando del momento, fece ai postiglioni il cenno della partenza: il legno allontanavasi rapidamente.

XXXVII. Era uscito appena da quella città il santo padre quando giungea da Parigi l'ordine di ricondurlo in Italia. Aveano i Maires e i prefetti segnalato l'entusiasmo dei popoli. Temeasi giustamente che il sentimento religioso, che andavasi manifestando in Francia, potesse, aumentando le simpatie verso il pontefice, creare inciampi al governo. Si giunge il dì quattro Agosto ad Aix alle otto di sera: vivissimo era in tutti il desiderio di ossequiarlo, pochi ebbero la fortuna di vederlo: si stabili peraltro che il papa, affacciato alla finestra dell'albergo, potesse benedire i circostanti. Si prese la via di Nizza: la fama avea già annunziato che Pio VII dovea giungere in quella città di Provenza, che si dispose a riceverlo. Era già in vicinanza al fiume Varo; che i domini della real casa di Savoja divide da quelli di Francia. Lo stato del ponte in costruzione l'obbligò a discendere dalla carrozza: il sole era ardente, penoso il passaggio: uno spettacolo commovente ed inaspettato commosse l'animo del santo padre così, che con un gesto tenne indietro le guardie e, precedendo tutti, si avanzò lungo il ponte. Era la sponda sinistra coperta di popolo savojardo tutto disposto nella più bella ordinanza. Gli uomini di campagna, gli artefici teneano sulle spalle gli utensili dell’arte loro: assumevano i signori le loro più splendide divise, vestiva con eleganza il ceto dei negozianti e dei cittadini; i ministri del culto, coperti degli abiti sacerdotali, aveano alla testa il loro vescovo Giovan Battista Colonna. Riverenti curvarono la fronte a terra appena videro disceso dalla carrozza il vicario di Cristo. [p. 228 modifica]Mille voci tradotte in un suono solo, ma potente ed energico come un tuono, pronunciarono benediteci. Questo omaggio luminoso che rendeano i cattolici al capo della religione oppresso da tanti affanni, temprò in qualche modo il cordoglio nell'animo affettuoso del santo padre, che accolto e accompagnato dalla pia regina di Etruria e dai due augusti di lei figli che gli si fecero incontro: giungea in Nizza, ove dimorò tre giorni, che per quella città furono giorni festivi: al vescovo, agli ecclesiastici, ai cittadini si diede libertà di vedere il santo padre, di baciargli i piedi, di prodigargli prove di rispetto e di attaccamento: vennero i parrochi dei dintorni a portare le proteste del popolo, venne il popolo a tributare i sentimenti di devozione e di amore. Celebrò ogni giorno il divin sacrificio e ogni giorno per sette o otto volte fu obbligato ad affacciarsi al balcone per compartire la benedizione apostolica alle moltitudini da ogni parte accorrenti. Ad una sola persona era vietato avvicinarsi: alla pia regina di Etruria, che inviava ogni giorno le sue dame, le cameriste ad assistere alla messa celebrata dal papa. Le vie di Nizza erano tutte splendidamente illuminate la notte. Tramontava il sole del giorno nove, quando all'improvviso vidersi settantadue barche di pescatori schierate innanzi al palazzo della prefettura. Oltre a sedicimila individui di ogni età, di ogni sesso, su i rampari, sulle sponde del mare eransi radunati per godere la vista del santo padre, che promettea benedirli. Regnava in quella moltitudine un religioso silenzio; il mare era tranquillo, l'aere sereno, quando affacciavasi Pio VII per invocare le benedizioni sul popolo che in grido unanime, prolungato esclamava: Viva Pio VII: viva la fede e la religione cristiana. Al primo oscurarsi dell’aria quelle settantadue barche brillarono tutte d'una luce vivissima. Tanto profonda fu l'impressione prodotta nel di lui animo da questa scena tenera ed interessante, che restituito finalmente dalla provvidenza ai voti della sua Roma e ai desideri dei suoi sudditi, ricordò sempre con compiacenza le prove di amor filiale che in Nizza erangli prodigate. Recitando devote prèci, cantando inni aggiravasi la moltitudine sotto il [p. 229 modifica]palazzo della prefettura: la notte che precedeva la sua partenza moltissimi rifiutaronsi di allontanarsi dalluogo per dar l'addio al padre universale dei credenti, che muovea per Savona. Queste cose volemmo noi narrate distesamente perchè veggasi che miseria di tempi, pravi esempi, perversità di dottrine non corrompono la grande massa del popolo, e non estinguono nel cuore di essa la fede. Divisava il Boisard tenersi lontano dalle vie consolari: erano ad attraversarsi le montagne della Savoia. Una pia signora dispose, che le strade, per le quali dovea transitare il pontefice, fossero illuminate. Per sua cura molti fanali sul far della sera si posero agli alberi situati lunghesso la via: e poichè generoso esempio invita gli altri a ben fare, il pensiero gentile trovò imitatori: si fece anzi di più: gli abitanti delle vicine vallate giunsero persino ad appendere agli alberi le campane, che suonavano alla distesa al passaggio del santo padre. Era spettacolo nuovo in quelle valli profonde, sulle creste di quegli altissimi monti l'eco svegliata da quel suono e dalle voci degli abitanti occorrenti dalle riviere del Piemonte per salutare il gerarca di santa chiesa. Distinguevansi fra questi le confraternite religiose con le loro divise, che giungenti dai paesi posti sulle montagne che Nizza separano da Savona.

XXXVII. Era in questa città ricevuto dal vescovo, cui univasi quello di Lodi: si trattenne per quattro giorni nelle case dei Sanson. Teneri ed affettuosi riguardi prodigava quella distinta famiglia allo sventurato sovrano19. Un ordine venuto da Parigi destinava stanza a Pio VII l’episcopio: sole due camere di quel vasto edifizio erano a lui assegnate, e mentre volevasi in apparenza onorata l'alta sua rappresentanza, severi ordini davansi [p. 230 modifica]sul di lui conto. Era a tutti negato l'avvicinarsi al pontefice se non alla presenza del maire e di un ufficiale della gendarmeria: non dovea il buon vescovo di Savona parlargli: lo scrivergli era vietato. Non fu dato ai due cardinali Doria che recavansi a Parigi il favore di baciargli la mano: videro essi il papa, mentre benediceva il popolo dall’episcopio. Intanto giungea da Parigi il conte Salmatoris torinese, uomo che educato presso i reali di Savoja a tutte l'etichetta di corte avea quella dell’imperatore ordinata. Era suo incarico di stabilire la pontificia sul cerimoniale adottato dalle prime case sovrane di Europa. Ordinavansi lautissime mense: a nome del pontefice prodigavansi inviti: offrivasi livello di cento luigi a quante eran persone addette al seguito del santo padre: e carrozze e cavalli e nobilissimi arredi e abiti fastosi erano posti a disposizione dei famigliari, dei quali aumentavasi il numero, con l'incarico segreto di vegliare sul prigioniero. Livello di centomila franchi mensili assegnavasi al papa che rifiutavasi con fermezza di riceverli, e imponeva a suoi di accettar solo quello che puramente indispensabile potea giudicarsi. Intanto la smania di circondare di uno splendore e di un fasto la corte pontificia andava ogni giorno aumentandosi. Era desiderio di mostrare al mondo che trattavasi Pio VII coi riguardi ad esso dovuti. A tale oggetto inviavasi da Parigi a Savona Berthier, fratello del principe di Neufchatel, che avea assunto il titolo di maestro del palazzo del papa. Ordinava questi al vescovo di Savona di uscire dall'episcopio ove avea modestissima stanza. Di molti tappeti, di splendide mobilia, di porcellane, di argenterie fornivasi a dovizia la savonese residenza dell'angustiato pontefice, che vedea le nuove arti adoperate per vincere la sua costanza. La cattedrale di Savona dicevano cappella papale: ivi nei giorni festivi il prefetto, il maire e le persone ligie all’imperiale governo, convenivano, e quella messa chiamavano papale. Pio VII, il cui sollievo limitavasi ad una passeggiata quotidiana nel piccolo giardino dell’episcopio, fu visto due volte sole per le vie di Savona: quando visitava un santuario dedicato alla Vergine, mezza lega distante dalla [p. 231 modifica]città, e quando recavasi a celebrare la messa nella cattedrale il dì sacro alla natività di Maria.

XXXIX. Versava l'animo invitto di Pio in queste amarezze, allorchè Napoleone, che avea il giorno sei luglio trionfato della casa di Austria per la battaglia di Wagram, segnò la pace sottoscritta il dì quattordici ottobre dai plenipotenziari dei due imperi a Schonbrun. Sperò Pio veder restituita alla santa sede la calma e la libertà, e poichè vide rallentate alquanto le misure di rigore adottate contro di lui, andava gran parte del giorno consacrando al disbrigo degli affari spirituali, che a lui non più errante per le città di Francia e d'Italia, ma stabilito a Savona spedivansi da tutte le parti del mondo cattolico.




FINE DEL TOMO PRIMO

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IMPRIMATUR

Fr. Dom. Buttaoni Ord. Praed. S. P. A.

Magister.




IMPRIMATUR

Fr. Ant. Ligi-Bussi Archiep. Ieonii

Vicesgerens.




NULLA OSTA PER LA STAMPA.

Direzione Generale di Polizia

G. Caroselli Capo d’Ufficio Cens. polit.

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STORIA

DELLA VITA E DEL PONTIFICATO

DI

PIO VII

OPERA

DI GAETANO GIUCCI





VOLUME II.

ROMA

TIPOGRAFIA DI GAETANO CHIASSI

Piazza Montecitorio 149.

1857.

  1. La istituzione di questa accademia procede del pari col risorgimento delle arti. Sisto IV diede li statuti alla università delle arti che riunivasi sull'Esquilino nella chiesa dedicata a san Luca in vicinanza della Basilica Liberiana. Girolamo Muziano pittore di altissima rinomanza accrebbe lustro e splendore a questa istituzione favorita da GregorioXIII. Protetta da Sisto V prosperò ed ebbe stanza nella chiesa di s Martina, ove esiste al presente. Essa ha conservato a Roma il palladio delle arti. L’abito cavalleresco che assumono i presidenti è di panno nero filettato bianco. Una testa di moro bendato, che allude allo stemma della famiglia Chiaramonti, è po sto nel centro della croce formata da quattro raggi.
  2. Vedi raccolta di documenti Tom. II. Correspondance de Napoléon vol. IV. Lettera del Vice Re Eugenio in data del due maggio.
  3. Il segretario di stato e il papa istesso scriveva — È tale la opinione che si ha delle virtù religiose e morali che sdormano il cardinal de Bayanne che il riflesso di essere francese e perciò altaccalissimo al proprio governo e al proprio principe non avrebbe trattenuto il papa da farne la scelta. Eragli ostacolo la fisica indisposizione, ma se voleasi, sarebbe scelto perchè aveasi in animo di tentar tutti i mezzi per ottenere la conciliazione desierata.
  4. Vedi documenti relativi le contestazioni fra la corte romana ed il gabinetto reale di Parigi. Tom. Il. pag. 2. §. 7. e seg.
  5. Lettera di Pio VII al cardinale de Bayanne del dì nove novembre. Docum. relativi Tom. II.
  6. Era quest’accademia fondata nel 4795 nel collegio Umbro Fuscioli dall’insigne professore di fisica abate cavalier Feliciano Scarpellini per istruire i giovani nelle scienze fisico-matematiche, sussidiati nei loro studi dalle esatte macchine da lui possedute. Quest’accademia salì ad altissima rinomanza per la protezione accordatagli dal duca di Sermoneta don Francesco Caetani: emulò essa quella degli antichi Lincei, di cui il fondatore fu il celebre Federico Cesi, dal quale assunse il nome. Alla risorta istituzione scientifica accordò valida protezione Pio VII, e assegnò una sede stabile per le sue adunanze scientifiche. Storia dell'accademia degli antichi Lincei publicata dal duca di Ceri.
  7. Tutti coloro che sostennero questa eminente carica dopo la rinuncia emessa dal cardinale Ercole Consalvi, l’occuparono sempre interinamente.
  8. Vedi Memorie storiche del ministero etc. del cardinal Bartolomeo Pacca scritte da lui medesimo. Edizione seconda Parte prima. Capo. I. Roma 1830 per Francesco Bourliè.
  9. Questa chiesa, dicea Pio VII nella sua bolla d’istituzione fu da noi visitata due volte circondati dai cardinali e da quasi tutto l'episcopato francese. Essa sino dal terzo secolo godeva il titolo di cattedrale. Gregorio XV la dichiarò chiesa metropolitana. Noi concediamo ad essa il diritto di cui godono le basiliche romane, di usare cioè nelle processioni solenni il Canopeo.
  10. Vedi Pacca Memorie storiche ec. Roma 1803.
  11. Contenevasi in detta nota i nomi di quattro cardinali del prelato Doria, del segretario delle lettere latine, dei brevi, dei memoriali e di monsignor Sacrista.
  12. Nella invasione fatta dai gendarmi e dai birri dell'appartamento pontificio vennero commessi diversi furti. Agli svizzeri furono involate biancherie, e diversi orologi: a varie altre persone oggetti preziosi d'oro e di argento. Un tal Paolo Costantini ascritto, alla squadra dei sbirri, convinto d'aver rubati diversi effetti appartenenti alla cappella pontificia, condannato a morte da un consiglio militare, fu fucilato sulla piazza del popolo.
  13. Artaud nella sua storia di Pio VII racconta che Murat investito di poteri straordinarii pell’Italia meridionale, e dell’alta polizia degli stati romani durante la campagna del 1809, temendo le cospirazioni scrisse a Miollis che se la presenza del papa era un ostacolo reale bisognava allontanarlo per neutralizzare la influenza ch'egli esercitava sull’animo dei romani. Dopo la risoluzione di Miollis di portar le mani sopra Pio VII. Dicesi, che Napoleone il quale non aveva ordinato l’arresto, poichè il seppe approvò la determinazione del generale Miollis. Anche lo storico napolitano, che la prigionia del papa chiama iniqua anche in politica, perchè stolta, scrive, che il carico di tante mutazioni era dato a Gioacchino Murat.
  14. Allorchè Radet vide da lungi le due carrozze che avvicinavansi a Radicofani sperò che fossero quelle che il papa anziosamente attendeva da Roma. Spedì un gendarme a cavallo coll'ordine di mettere il cappello in cima alla spada, se in quei legni fossero le persone desiderate. Visto il segno si affrettò a portarne la notizia a Pio VII.
  15. Rilevasi da una lettera che il cardinal Pacca scrisse al suo collega Casoni, che il solo Radet da quella caduta riportò una ferita e diverse contusioni. Leggo in Moroni all'articolo Pio VII del suo eruditissimo ed utile dizionario:« Il generale Radet fu lanciato a grande distanza in una frana piena di animati immondi restando ferito e contuso » ( Tomo LIII ).
  16. Il cardinal Pacca temendo che quella moltitudine potesse venire alle mani con i gendarmi che scortavano il papa, si cacciò in mezzo alla folla gridando ad alta voce, che per grazia del cielo nulla era accaduto di male, che tutti stessero quieti e tranquilli. Le energiche sue rimostranze giunsero a calmare l’effervescenza che erasi manifestata nella popolazione che accorreva da tutte le parti e che potea facilmente tradursi in una generale sommossa (Vedi Pacca Mem. stor. Part. II. cap. 1).
  17. Nel momento in cui aveva Pio VII benedetta la moltitudine pregò un di coloro che erano ancor genuflessi di portargli un poco di acqua. Sorsero tutti ad un tratto: i cavalli della carrozza del papa furono trattenuti: molti si posero in atto minaccioso innanzi i gendermi: corsero altri nelle vicine capanne a raccogliere frutti e rifreschi di ogni maniera per farne omaggio al santo padre, che piangendo di tenerezza ringraziava. Da me, da me, da me ancora: erano le voci pronunciate da coloro che offrivano al papa i loro doni. Da tutti, rispondeva egli commosso a tante prove di amore e di simpatia.
  18. Una delle più illustre famiglie di Europa: i Montmorency s’intitolano i primi baroni cristiani della Francia. Si crede che il capo di questa generosa prosapia abbia ricevuto il battesimo insieme al re Clodoveo.
  19. Leggo in un autografo di Moiraghi, che seguì il pontefice, come la madre del maire Sanson, piissima dama, nudrita si sentimenti di pietà e di religione, giovandosi dell’ascendente che avea sul figlio, permise ai savonesi e agli abitanti dei paesi limitrofi di avvicinarsi all'ospite augusto e di baciare i suoi piedi.