Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Libro secondo/Capo terzo

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CAPO TERZO

(Dall’anno di Roma 710 al 718)

I. Cicerone in Reggio: da’ venti è spinto a Leueopetra, dove vanno a visitarlo parecchi illustri Reggini. Torna in Roma. II. Triumvirato in Roma. Reggio è tra le diciotto città promesse da’ Triumviri a’ soldati. Proscrizioni. Sesto Pompeo. Morte di Cicerone. III. Vetulino, uno de’ proscritti, ne’ dintorni di Reggio. Suoi fatti. Sesto Pompeo in Sicilia. Sconfigge Salvidieno mandatogli contro da Ottaviano. IV. Ottaviano in Reggio. Sue promesse a’ Reggini ed a’ Vibonesi. Potenza di Sesto Pompeo. Battaglia di Filippi. Colonie militari nelle diciotto città. Reggio divien Colonia militare, e se lo impone il nome di Regium Julii. V. Pace tra Sesto Pompeo ed i Triumviri, che ha poca durata. Battaglia di Cuma. VI. Ottaviano ritorna a Reggio. Avvisaglie tra lui e Sesto Pompeo. VII. Si rinnova la guerra. Valerio Massimo si stanzia in Leucopetra con due legioni, e quattro altre sono collocate sulla riva che va da Reggio alla Colonna Reggina. Fatti d’armi. Ottaviano da Reggio tenta uno sbarco in Sicilia; ma Sesto Pompeo gli è sopra in Tauromenio, e respingendolo in mare, lo sconfigge. Finalmente Pompeo disfatto è costretto ad uscir di Sicilia.


I. Tornò poi Cicerone in Reggio dopo sedici anni (An. di R. 710, av. Cr. 44). Egli su cui pesava il sospetto di essere stato tra i complici della uccisione di Giulio Cesare, volendo schermirsi dalla vendicativa potenza d’Antonio, stabilì assentarsi da Roma. Ma per non derogare alla sua dignità, e togliere ogni sembianza di fuga, fermò con Dolabella di trasferirsi amendue in Siria in qualità di Legati. Nondimeno da Irzio e Pansa, eh’ erano designati Consoli, e che s’impromettevano poter comprimere sotto il loro consolato l’arroganza di Antonio, fu pregato Cicerone a non muover passo da Roma. Ma egli, soprassedendo dall’andata in Siria, persistette però a doversi dileguar da Roma, sinchè Irzio e Pansa non entrassero nel consolato. Determinò adunque di recarsi per alcun tempo in Grecia; ed uscito della città, volle farsi una via diversa dalla consueta, per evitare le insidie de’ suoi avversarii. Schivata perciò Brindisi, dond’era l’ordinario transito per la Grecia, diresse il suo cammino per Velia, e da questa città corse a Reggio. Nel qual viaggio, per distrarsi, cominciò a riordinare nella memoria la Topica Aristotelia, che compiuta mandò da Reggio all’amico Trebazio. Da Reggio passò a Siracusa, donde senza ritardo mise alla vela per Grecia; ma respinto dall’austro a Leucopetra, e già venendo la notte, ivi si trattenne nella villa del suo amico Publio Valerio per tutto l’altro giorno, aspettando buon vento.

Si condussero intanto a visitarlo parecchi municipii Reggini, fra i [p. 85 modifica]quali alcuni illustri, ch’erano testè ritornati da Roma. E da uno di costoro seppe che Bruto era in Napoli, e gli fecero notizia dell’editto di Bruto e di Cassio, e delle costoro lettere a’ Consolari ed a’ Pretorii per la prossima convocazione del Senato: nelle quali davano speranza che Antonio avrebbe ceduto colle buone; che le cose della repubblica si sarebbero composte senza tumulti; ed i fuggitivi richiamati in Roma. Mostravano ancora que’ Reggini a Cicerone quanto e’ fosse desiderato da’ Romani; e gli presentarono un esemplare della concione di Antonio, la quale, tutta piena di pensieri di riconciliazione e di pace, tanto aggradò a Cicerone, che deposto il proponimento di passare in Grecia, cominciò a pensare di tornarsene spacciatamente per Roma. Allora il grande oratore, ringraziando i venti, che quasi buoni cittadini mal patissero il suo allontanarsi della patria, e perciò spiravano avversi alla sua navigazione, e lo respingevano a Reggio, da questa città si affrettò, coll’ajuto de’ venti e dei remi, di ricondursi a Roma.

Ma come vi fu giunto ebbe a conoscere quanto fosse fallace la speranza di riveder libera la patria sua, la quale miseramente tartassata dalle intestine contese, e dalle insaziate ambizioni di Antonio, del giovine Ottaviano e di Lepido, dava gli ultimi tratti.

II. Costoro, ristretta nelle loro mani tutta la somma dello Stato, se ne spartirono tra sè il vasto territorio, eccetto solo le provincie oltre il Ionio, ch’erano tuttavia tenute da Bruto e Cassio. (An. di R. 711, av. Cr. 43). Costituirono così quel feroce Triumvirato, che affogò nelle sue compressioni la romana libertà, e schiuse il sentiero alle proscrizioni, ed a’ supplizii sanguinosi. Uno de’ primi proponimenti de’ Triumviri fu di romper guerra con Bruto e Cassio; e perchè i veterani dell’esercito romano si battessero con fervore e coraggio, loro promisero tra gli altri premii, quando tornassero vittoriosi, di collocarli in colonie in diciotto città d’Italia, sopra le altre eccellenti e per ricchezze, e per feracità di terreno, e per nobiltà di edifizii. Le quali città co’ loro terreni ed edifizii sarebbero divise tra i medesimi, come se fossero giusta preda di guerra.

Tra queste diciotto città erano maggiormente considerevoli Capua, Reggio, Venosa, Benevento, Nocera, Arimino, e Vibona. E quanto Reggio fosse allora nobile, ricca, e popolosa città si deduce da questo; che non solo era annoverata tra le diciotto più grandi città d’Italia, ma che tra queste stesse diciotto era una delle più prominenti. E così la più bella ed eletta parte d’Italia era promessa bottino alla romana soldatesca.

Ma prima che altro, i Triumviri fecero stima doversi sbarazzare [p. 86 modifica]degl’interni nemici. Ed Ottaviano di suo uffizio, nella qualità di console, lesse a’ soldati il decreto triumvirale delle promesse ricompense; e pubblicò la nota de’ cittadini proscritti. De’ quali quanti ebbero spazio a salvarsi, chi corse a Bruto, e Cassio, chi in Affrica a Cornificio; ma i più trovarono ricetto in Sicilia presso Sesto Pompeo. Il quale, sebbene non avesse avuta parte alcuna nella congiura contro Cesare, fu ciò nonostante da Ottaviano, a cui era in odio, inchiuso nella lista de’ proscritti. E quando gli andò notizia di ciò, con tutta quell’armata, che comandava nella Spagna, veleggiò per Sicilia; traendo pur seco quante navi romane gli si avvenivano ne’ porti, donde passava. Ed ivi soggiornando, fecesi ricettatore di tutti quegli altri sciagurati, che colpiti dalla sentenza di proscrizione, fuggivano a fiaccacollo dalle contrade, ove giungeva la possa triumvirale.

I più illustri, virtuosi, e nobili cittadini furono senza pietà sagrificati alla rabbiosa vendetta de’ Triumviri. E fra i più illustri proscritti contavasi Cicerone, a cui mentre fuggiva in una lettiga, fu mozzo il venerando capo per ordine di Antonio, che mirò con truce compiacenza recise da’ suoi sgherri quelle mani, che avevano scritto le filippiche.

III. Era ancora tra questi proscritti Vetulino, il quale radunata una buona copia di fuggitivi, formata in gran parte de’ cittadini di quelle diciotto città, i quali non potevano patire di sentir le patrie loro promesse in premio a’ soldati, si assodò negl’intorni di Reggio, donde faceva continue molestie alle centurie romane. Ma quando vide, che i nemici s’ingrossavano contro di lui, chiese ajuti a Sesto Pompeo, che gliene spedì dalla Sicilia; e per tal maniera guerreggiò buon pezzo da valoroso contro le coorti de’ Triumviri. Vinto alla fine, ordinò, che un suo figliuolo, e tutti gli altri, ch’erano con quello si mettessero in sicuro in Messana. Ed e’ medesimo, che ultimo vi passava, avvenutosi in alto mare in una nave nemica, le si avventò sopra, ma nel conflitto restò ucciso.

Sesto Pompeo intanto, oltre una numerosa e potente armata, aveva creato in Sicilia un esercito formidabile, accresciuto a dismisura da tutti i malcontenti, che dall’Italia fuggendo, a lui correvano. Le quali cose conosciute da Ottaviano, gli mandò contro con una armata Salvidieno, reputando facil cosà sconfiggerlo. E lo stesso Ottaviano mosse per terra verso Reggio collo scopo, che a Salvidieno potessero fare spalla le sue legioni (An. di R. 712, av. Cr. 42). Ma Pompeo uscito dal porto di Messana colla sua armata corse a tutte vele contro il navilio nemico, ed affrontatolo presso Scilla, lo ne[p. 87 modifica]cessitò a battaglia, e lo vinse. Laonde Salvidieno, a causar maggior danno, si tirò in fuga nel seno di Bagnara, col più delle navi gravemente malmenate.

IV. Quando Ottaviano giunse a Reggio ebbe contezza della fazione navale, e dell’infortunio de’ suoi; ma pressato intanto da Antonio a raggiungerlo in Brindisi, e muovere contro Bruto e Cassio, prima di allontanarsi diè fede a’ Reggini, ed a’ Vibonesi che avrebbe escluse le loro città dal numero di quelle destinate a’ soldati premio della vittoria. E ciò astutamente faceva, per non alienarle da sè, e contenerle in un medesimo dal far defezione a Sesto Pompeo. Il quale già fortemente agognava alla signoria di Reggio, per aver in Italia un piè fermo contro i suoi avversarii. Ed in quel che i due Triumviri osteggiavano Bruto e Cassio, tutta la Sicilia e la Sardegna si piegava a Pompeo. E costui con una copiosissima ed agguerrita flotta padroneggiava oggimai quanto mare è tra l’Affrica e l’Italia. Ma nella battaglia di Filippi la vittoria arrise a’ Triumviri, e Bruto e Cassio cercarono libertà nella morte. Allora la repubblica romana, ch’era in costoro personificata, fu spenta del tutto.

Ottaviano fece ritorno in Italia, dove i suoi soldati in premio della vittoria aspettavano impazienti la bramata preda delle diciotto città. Ma qui varie difficoltà si tramisero: imperciocchè le dette città pretendevano che non esse sole, ma l’intera Italia sostener dovesse il peso della divisione de’ terreni, e che questi terreni fossero pagati a giusto prezzo dalla potestà triumvirale. Ma Ottaviano adduceva alle città esclamanti la ragione della necessità; e prevedeva altresì che questo non sarebbe stato sufficiente a contentar le milizie. Nè il fu, chè i soldati, non sazii di essersi appropriate le ricchezze della città loro concedute, correvano a depredare impunemente i poderi confinanti; nè punto lasciavansi correggere dalle ammonizioni di Ottaviano, nè da tante altre largizioni che costui andava lor facendo.

Reggio per tal dolorosa cagione, di nobile e splendido municipio fu ridotta a colonia militare, e chiamata Regium Julii, o a dinotare il pieno dominio di Giulio Cesare Ottaviano, o a contrassegnarla dall’altra Regium Lepidi. I suoi cittadini furono dispersi, e tutte le loro sostanze vennero nelle avide unghie di quegl’insolenti veterani a cui era sola ragione la forza, solo stimolo la rapina. Così Ottaviano liberava la sua parola a’ Reggini!

V. Potentissimo in questo mezzo diveniva Sesto Pompeo in Sicilia (An. di R. 715. av. Cr. 39). Sue erano altresì la Sardegna e la Corsica; e dominando que’ mari impacciava per ogni verso il commercio dell’occidente con Roma. Onde il popolo romano trascor[p. 88 modifica]reva in tumulti, e poneva i Triumviri nella necessità di conchiudere con Sesto la pace. Nella quale fu posto che per tanti anni Sesto Pompeo ritenesse a se il dominio della Sicilia, della Corsica, e della Sardegna, per quanti sarebbe durato ad Ottaviano ed Antonio l’impero delle rimanenti provincie romane. Dopo questo trattato, concluso presso Pozzuoli, Pompeo prese via per Sicilia, Antonio ed Ottaviano per Roma. E siccome una delle prime condizioni della pace fu che i profughi potessero ricondursi alla patria, così quasi tutti quelli ch’erano in Sicilia tornarono in Roma, mentre Cesare Ottaviano faceva la spedizione della Gallia, ed Antonio quella dei Parti.

Ma questa pace non fecero durarla a lungo i sospetti scambievoli (An. di R. 716. av. Cr. 38); ed Ottaviano ed Antonio determinaronsi di combattere Pompeo con ogni possibile gagliardia. Ogni cosa fu ordinata alla guerra, ed un’armata romana fu mossa contro Sesto Pompeo, della quale parte era stata allestita in Taranto da Lucio Cornificio, e comandata dallo stesso Ottaviano; parte veniva dall’Etruria, e la conduceva Calvisio Sabino, a cui si era testò aggiunto Menodoro, che disertando da Pompeo si gittava ad Ottaviano. Oltre a questo, varie legioni furono avviate per terra verso Reggio, ove fecero la massa. Pompeo, che con grandi forze stava in Messana apparecchiato alla venuta di Ottaviano, ordinò che una sua forte armata, a cui soprantendeva il suo liberto Menecrate, andasse a percuotere in quella di Calvisio Sabino. Pompeo si rimase in Messana con un’altra parte delle sue navi. Le due nemiche armate s’incontrarono presso Cuma, ed appiccaron battaglia; ove le navi di Ottaviano furono sopraffatte, ma nella banda opposta però vi restò morto Menecrate, a cui sottentrò senza indugio Democare, ch’era altro liberto di Sesto Pompeo.

Credendo Calvisio che Democare volesse rinfrescare il conflitto, fece modo di evitarlo per allora; poichè essendosi affondati i suoi migliori legni, e tutti gli altri malconci, non si sentiva idoneo ad un secondo cimento. Quando poi seppe che Democare era ritornato in Sicilia, Calvisio, intento soprattutto a rifar le navi perdute, e rattoppar le guaste, non si dilungava guari dalla costa d’Italia.

VI. Ottaviano dall’altro lato, pervenuto da Taranto a Reggio, ov’erano ancora giunte le milizie terrestri, stava in bilico se dovesse provocare a giornata Pompeo, che dimorava presso Messana con sole quaranta navi, o aspettare altri ajuti. Che si venisse alla pugna era l’avviso degli amici di Ottaviano; ma questi non volle avventurare cosa alcuna, prima che alle sue forze si fossero con[p. 89 modifica]giunte quelle di Calvisio Sabino. Ma in questo stante, venutogli la molesta nuova della rotta toccata a Calvisio nelle acque di Cuma, mosse in fretta da Reggio per dargli soccorso. E già superata gran parte dello Stretto navigava oltre la Colonna Reggina, verso Scilla, quando Sesto Pompeo, uscito precipitoso da Messana, colla sua armata raggiunse quella di Ottaviano, e gli offerì la battaglia. Ma questa non fu accettata dal nemico (An. di R. 716. av. Cr. 38), o perchè non si stimasse bastevole a resistergli con vantaggio, o perchè avesse tuttavia capriccio di riunirsi a Calvisio prima di attaccar fatto d’armi. Ordinò quindi Ottaviano cha la sua armata piegasse alia volta di Scilla, ed ivi si tenesse sulle difese. Ma le navi di Democare non cessavano di tempestar le avversarie, e quali costringevano ad affondarsi, quali a sdrucirsi contro gli scogli. Or mentre le navi di Ottaviano erano in questi travagli, vide Sesto Pompeo in lontananza l’armata di Calvisio; e per tal cagione non pose ritardo a ritrarsi sulle coste di Sicilia. Come poi Ottaviano si fu assicurato della partita di Pompeo, prese terra in Vibona, donde passò nella Campania, rimettendo al seguente anno la continuazione delle ostilità contro il medesimo. Non trascurò tuttavolta di lasciar fortemente munite e presidiate le piazze marittime d’Italia, per guarentirle contro i probabili attacchi del nemico.

VII. Intanto spirava il quinquennio del Triumvirato, ed i Triumviri, senza curarsi dì avere i suffragi del popolo, prorogaronsi per un altro quinquennio tal magistratura mostruosa ed onnipotente. Era la Sicilia che occupava a questo tempo ogni loro pensiero; ed alla Sicilia attendendo, decisero di assalirla ad un tratto da tre punti, oriente, mezzodì, ed occidente. Al che dovevano concorrere con tre armate, Ottaviano da Pozzuoli, Lepido dall’Affrica, e Statilio Tauro da Taranto. Sesto Pompeo, preparandosi a tanta tempesta, pose Plennio a Lilibeo contro Lepido, munì come potette il più i principali punti maritimi, e raccolse in Messana la maggior forza del navilio, per dar di cozzo al nemico, ove che desse il bisogno.

Ritornato Ottaviano in Vibona (An. di R. 717. av. Cr. 37) dispose che Valerio Messala tenesse alle mosse in Leucopetra due legioni, a cagion che opportunamente congiunte coll’esercito di Lepido potessero condursi a Tauromenio per tentarvi un disbarco. Tre altre, condotte da Lucio Cornificio, collocò sulla riviera che si allunga da Reggio alla Colonna Reggina, mentre Statilio Tauro, approssimandosi da Taranto farebbe che le forze triumvirali andassero nel doppio. In questo agitarsi di cose Agrippa, cui Ottaviano aveva chiamato a sè dalla Spagna, urtò presso Milazzo in una parte della [p. 90 modifica]flotta di Pompeo, e la disfece. Questi, che ciò aveva preveduto, mossosi da Messana con sessanta legni, corse a sovvenzione de’ suoi. Ottaviano ch’era in Reggio, lasciato che Sesto si traesse lungi, fece prova di mettere ad atto il concepito sbarco in Sicilia. Partito sollecitamente da Reggio colla sua flotta, e colle tre legioni comandate da Cornificio, pigliò terra in Tauromenio. Ma intanto Sesto Pompeo tornava da Milazzo a Messana, e non prima seppe il seguito sbarco di Ottaviano in Tauromenio che gli fu sopra con ogni sua forza e di mare e di terra. Ottaviano versando in duri partiti fu ridotto a doversi rimbarcare a precipizio, e venire a giornata. Nella quale restò pienamente sconfitto, e le sue navi furono o prese, o arse, o sfondate, da pochissime in fuori ch’ebbero tempo di mettersi in salvo sulle coste d’Italia. Ed Ottaviano medesimo poco mancò non cadesse nelle mani del nemico. Fuggendo egli in una barchetta, guadagnò a gran pena il lido presso il promontorio Bruttio, donde a piedi e sconosciuto si condusse a Leucopetra presso Valerio Messala, che vi dimorava tuttavia con le due legioni. Intanto giungeva Lepido dall’Affrica, e tutto si allestiva alle riscosse contro il fortunato Pompeo.

Dopo varie battaglie, la cui narrazione mi farebbe uscir di materia, Sesto Pompeo pugnando sempre con ammirabile bravura fu vinto alfine dal più numero delle forze nemiche (An. di R. 718. av. Cr. 36), e costretto a snidar di Sicilia. Partì da Messana con diciassette vascelli avanzatigli dalla disfatta; e fece proposito di ripararsi nell’Asia. Ma prima di abbandonar le nostre regioni, volle lasciar di sè una trista ricordanza, saccheggiando in Italia il ricco tempio di Giunone Lacinia. Durante la feroce guerra tra Sesto Pompeo ed Ottaviano Cesare, combattuta in gran parte sul territorio reggino, la misera Reggio premuta e deserta dalla soldatesca triumvirale, precipitò nell’ultima rovina, nè da questa cominciò a rilevarsi che sotto i primi successori dì Augusto. Reggio, che ne’ tempi anteriori al Triumvirato sino alla battaglia di Filippi, era una delle più splendide ed opulente città italiche, rimase al termine della predetta guerra una delle più povere ed abbandonate; e tale si trovava quando Augusto fu creato Imperatore della Repubblica Romana.