Storia di Torino (vol 1)/Libro II/Capo VI

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Libro II - Capo VI

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Capo Sesto


Come sorgesse ad onor marchionale la famiglia degli Arduini. — Arduino Glabrione, conte e marchese di Torino. — Fondazione della Sagra di S. Michele.


Mentre Berengario, marchese d’Ivrea, per salvar gli occhi e fors’anche per campar la vita stavasene in volontario esiglio in Germania, una nuova famiglia salica, quella degli Arduini, acquistava dominio in queste nostre contrade.

Il cronachista della Novalesa così ne racconta l’origine: Due fratelli nobili, anzi vassi,1 ma poveri, scendono da sterili monti in Italia, seguitati da un solo vassallo chiamato Alineo. Desiderosi di far for­tuna s’acconciano al servigio de’ più potenti.

Ruggiero entra nella grazia di Rodolfo, conte di Auriate, tra il Po e la Stura. Questi per la grave età non potendo più frequentare le corti regali, cioè i parlamenti ed i placiti de’ re d’Italia a Pavia, vi manda in suo luogo il fido vasso Ruggiero, il quale pruden­temente opera e parla, piace al re, e contenta il [p. 148 modifica]signore. Cresce l’amor del vecchio per lui: Voglio, gli dice, che dopo la mia morte tu sia signore di tutta la terra che possiedo; e di nuovo lo manda con ricchi doni a Pavia per ottenere che il diletto Rug­giero succeda nel comitato. Il vasso, che sempre parlava bene, questa volta parlò meglio, e fece ezian­dio, col dono di ricchi monili, parlar la regina. E però ottenne l’intento. Morto frattanto Rodolfo, Rug­giero ne sposò la vedova, e fu conte. Ebbe costui due figliuoli che chiamò dal nome suo e dal fraterno Ruggiero ed Arduino. Arduino poi fu padre di Maginfredo.

Quest’Arduino, chiamato Glabrione, fu quello che acquistò probabilmente tra il 940 ed il 945 il do­minio del comitato torinese, ed occupò la valle di Susa, diserta allor d’ogni bene, e quasi vuota d’abi­tatori per le corse e le depredazioni de’ Saracini. Della quale occupazione molto si dolsero i monaci della Novalesa che ne possedevano una parte. Ma molto più si dolsero quando Arduino, assai cupido di beni temporali, si fece investire dal re Lotario della badia di Breme in ragion di commenda.

Era universale in que’ corrottissimi e simoniaci tempi l’esecrando abuso di concedere ora a’vescovi, ora a’laici, chiese e badie in commenda; ed i commendatarii, massime laici, attendeano a spolparle, piuttostochè a reggerle o farle reggere degnamente.

Correva il 950, ed era il novembre, quando venuto [p. 149 modifica]il re Lotario colla moglie a Torino, Arduino ebbe modo d’ottenere quel precetto. Pochi giorni dopo il re morì, Berengario ascese al trono; e sia che Arduino tardasse a pigliar possesso de’ beni di quel mona­stero, o che i monaci scorgendolo troppo amico di Berengario non osassero mover richiami, il fatto è che aspettarono a lagnarsi quando Ottone i, fatto prigione Berengario, fu re d’Italia. Ottone porse be­nigno l’orecchio alle giuste lagnanze de’ monaci, fece ardere in sua presenza il precetto di Lotario, e proibì ad Arduino di molestarli.

Ma Arduino non tenne conto del divieto, e tornato Ottone in Germania, perseverò nella sua usurpazione.

Allora l’abate Belegrimmo scrisse a Giovanni xiii, gli spose il fatto, e lo strinse a provvedere d’efficace rimedio. Notabile per le formole e per lo stile è questa lettera. Il papa è chiamato secondo la rettorica di que’ tempi: fornito decorosamente del lu­centissimo apice dell’apostolica dignità; ineffabilmente splendido per chiara prosapia e per luculenta inge­nuità; diligentemente instrutto del vasto dogma della sfolgoreggiante e sempiterna sofia, vale a dire, dotto nelle scienze teologiche. Altrove è chiamato col titolo di somma maestà, di clementissimo pastore, di rettore dell’universa Europa. Al marchese Arduino si dà il titolo di lupo rapace sotto mentite spoglie di candido agnello; in altro luogo è chiamato feroce duca (saevus dux), crudele marchese (dirus marchio); e dalle [p. 150 modifica]parole usate in questa lettera di Belegrimmo a suo riguardo, e da quelle di cui si vale il cronachista Novaliciense2 raccolgo che già fosse marchese nel 950, quando venne il re Lotario a Torino.

Belegrimmo, abate, fu quello che, vedendo i suoi monaci nel monastero de’ Santi Andrea e Clemente, presso al castello di porta Segusina, patir troppo di­sturbo dalla frequenza del sito, li allogò invece presso la chiesa di Sant’Andrea, lungo il muro della porta comitale 3

Quest’abate credesi autore dell’inno che si canta per l’Assunta. Era uomo di molte lettere, dice la cronaca, ma ignorantissimo di tutte le cose di questo mondo, benché nobile di schiatta; talché mangiava senza mai lagnarsi qualunque cibo gli fosse appa­recchiato, mentre i famigli in cucina si deliziavano delle vivande più delicate.4 La cronaca sembra apporglielo a colpa. Può esser error di governo; ma può essere ancora indizio di virtù.

Comunque sia, il marchese Arduino Glabrione si mantenne in gran potenza nella contea di Torino, e negli altri suoi Stati, non solo durante il regno di Berengario ii, ma eziandio nel tempo d’Ottone i, da cui gliene fu confermato il possesso.5

Nel 972 condusse o mandò soldatesche al conte Robaldo in Provenza, per aiutarlo a scacciare i Saracini da Frassineto. [p. 151 modifica]

Non è certo l’anno della sua morte; il Terraneo la pone circa al 975.

Due altri fatti di lui si narrano, l’uno dal cronachista della Novalesa, l’altro da Guglielmo, monaco della Chiusa, che narrò la storia della fondazione del suo monastero. Il primo parlando dell’altissimo monte Romuleo,6 alle cui radici è situato il mo­nastero di Novalesa, racconta che su quel giogo abi­tava un tempo un re chiamato Romolo, il quale essendo coperto di lepra, trovava in quell’aria pura alleviamento a’ suoi mali; che questo re nascose i suoi tesori in un lago che si trova su quella vetta; ma che se alcuno s’attentava di arrampicarvisi, era tosto avviluppato da dense nubi ed assalito da una tem­pesta di sassi. Arduino, che di tesori era molto vago, udite queste novelle, e pensandosi che alcuna dia­bolica potestà custodisse quel tesoro, volle romper l’incanto, e ordinò al clero d’accompagnarlo colla croce e l’acqua benedetta, ed il vessillo regale su quella pericolosa altezza. Si mossero i chierici can­tando le litanie; ma prima che pervenissero al sommo furono dagli usati fenomeni della montagna spaven­tati e messi in fuga. Quattro secoli dopo un Roero ergeva su quella vetta una cappella alla Vergine, e potea scorgere che non v’era nè lago, nè tesoro, nè incantesimo, ma solo una cresta gelata. Tutti poi quelli che hanno pratica dell’Alpi somme, sanno molto bene quanto sovente le nubi ne copran le cime; [p. 152 modifica]e come sui ripidissimi dorsi alpini s’incontrino grandi rovine di ciottoli, di macigni, di scheggie così lubri­camente l’uno sull’altro sospesi, che il più leggier urto dell’aria basta talvolta a determinarne la caduta. Epperò il trovarsi avvolto fra le nubi, e l’essere spa­ ventato o percosso da massi cadenti, non era che un fenomeno de’ più consueti nell’Alpi che assurgono a grande altezza, e così del Roccamelone.

Il monaco della Chiusa ci conta come Ugone di Montboissier, detto lo Scucito, ricco gentiluomo di Alvernia, andò con sua moglie Isengarda a Roma a confessarsi de’suoi enormi peccati al sommo ponte­fice, dal quale gli fu imposto che per mercè dell’anima sua fondasse un monastero in onore di S. Mi­chele arcangelo. Parve ad Ugone che la vetta del monte Pircheriano, che sta a cavaliere di vai di Susa come a guardar l’entrata d’Italia, convenisse a stanza del fortissimo fra i celesti guerrieri, tanto più che S. Giovanni Vincenzo di Ravenna v’avea già intitolata all’arcangelo una cappella venuta in fama di mira­colosa, dove egli stesso faceva vita penitente; epperò venne in Avigliana ove il marchese Arduino teneva sua corte, e con ospitali accoglienze ricevuto, lo pregò che gli vendesse quella rupe co’ siti vicini; Arduino inteso l’animo suo, volea fargliene liberal dono; ma poi consentì a riceverne il giusto prezzo, affinchè nessuno de’ suoi successori potesse mai pretendere d’avervi ragione alcuna. E così ebbe cominciamento [p. 153 modifica]l’illustre badia di S. Michele de’ Benedittini neri, che salì ben presto in gran rinomanza, sicché sul principio del secolo xiii più di 140 chiese obbedi­vano alla sua giurisdizione.

Da quest’Ugone il Discucito discendeva Pietro il Venerabile, abate di Clugnì, che fiorì sul principio del secolo xii, e fu dimestico amico di Pietro Abeliardo.

Se non che questo concorso del marchese Arduino alla fondazione della Sagra di S. Michele per pro­babili congetture, si vuole che, non ad Arduino Glabrione ed all’anno 966, come fe’ il Terraneo, ma ad un altro marchese Arduino, nipote di figlio di quello debba riferirsi, e ai tempi di papa Silvestro ii, e così verso al 1000.7

Figliuolo e successore di Arduino Glabrione fu il marchese Manfredo i, di cui si sa però altro che il nome. Egli fu padre del marchese Odelrico Man­fredo ii che gli succedette nel 1001, e morì nel 1035 lasciando lo Stato alla famosa contessa Adelaide, che fu poi moglie d’Oddone di Savoia. Ma pro­cediamo riposatamente.


Note

  1. [p. 162 modifica]Itaque dum reteximus acta vel gesta regum, dignum est ut de vasis loquamur, Arduini scilicet infelicem prolem satagimus dicere. — Chron. Noval., lib. v, cap. ii.
  2. [p. 162 modifica]Cap. xiii. Extitit quidam marchio illius temporibus (Lotharii) cuius memoriam saepissime fecimus, nomine Arduinus Glabrio. — Il che forse non fu avvertito dal collega ed amico sig. conte Cesare Balbo (Dei duchi, marchesi e conti dell’Italia settentrionale),quando opinò che Ar­duino non sia salito all’onor marchionale primachè Berengario al regio. Sebbene Arduino occupasse uno Stato che aveva probabilmente appartenuto a Berengario, pare che questi temendone la potenza, amando meglio averlo amico che nemico, e altronde essendo, si può dire, padrone del regno, non pensasse a movergli querela.
  3. [p. 162 modifica]Chron. Noval., v, cap. vii.
  4. [p. 162 modifica]Chron. Noval., v, cap. viii.
  5. [p. 162 modifica]Trist., Calchi, lib. vi.
  6. [p. 162 modifica]Roccamelone.
  7. [p. 162 modifica]Sopra alcuni scrittori del monastero di S. Michele della Chiusa, ecc., dissertazione di Luigi Provana.