Storia di Torino (vol 2)/Libro III/Capo VII

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Libro III - Capo VII

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Capo Settimo


Piazza Castello. — Portici costrutti in principio del secolo xvii, sui disegni del Vittozzi. — Strada Nuova aperta nel 1615. — Palazzo del conte Martinengo, poi di donna Matilde di Savoia, poi dei principi di Francavilla. — Fiere di S. Germano. — Prova d’armi d’un cavaliere errante con un ciambellano del duca nel 1449. — Quintane, giostre ed altre feste in piazza Castello. — Abbazia degli Stolti. Curiosi privilegi dell’abate e dei monaci. — San Lorenzo cappella di corte. — Teatini. — Chiesa di San Lorenzo. — Piazza detta di Madama. — Teatro Regio. — Palchi occupati nel 1745 dal marchese d’Ormea, dal conte Bogino e dal conte Alfieri. — Segreterie di Stato. — Archivio di corte.


In principio del secolo xv angusto era lo spazio che rimaneva avanti al Castello. Allora per ordine del principe d’Acaia s’allargò la piazza atterrando varie case. Nel 1659 si distrussero i due piccoli isolati che ingombravano la miglior parte della piazza ora chiamata Reale, dov’era la fonderia dell’artiglieria, e l’arsenale, e si edificò invece l’elegante padiglione che già abbiam rammentato.

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Il lato di piazza Castello che guarda a levante, venne ricostrutto su disegno uniforme tra il 1606 ed il 1615. Dal canto meridionale dov’era la casa del medico Busca, archiatro del duca, fino al sito ora occupato dalla chiesa di San Lorenzo, ed allora della casa della prevostura di Pollenzo, non s’apriva altra strada che quella di Dora Grossa, e le case si levavano or alte or basse, disformi d’architettura, secondo il talento di chi le avea costrutte. Di quell’anno Carlo Emmanuele i fe’ delineare dal capitano Ascanio Vittozzi, d’Orvieto, gentiluomo romano, che fin dal 1584 era suo ingegnere ed architetto, un disegno uniforme con ampio porticale, e ordinò ai padroni della case di rifabbricarle, con facoltà di occupare gratuitamente pei portici parte della piazza, oppure di vender le case a chi pigliasse l’obbligo di rifabbricarle secondo il disegno suddetto. Ma impaziente coni’ egli era, vedendo che l’opera procedea con molta lentezza, due anni dopo, in occasione delle feste che rallegrarono il carnovale di quell’anno, già fatto solenne dal doppio matrimonio delle due Infanti maggiori Margarita ed Isabella, maritate ai principi di Mantova e di Modena, costrusse egli stesso attorno alla piazza Castello, innanzi alle case, un giro di portici surmontati da una galleria aperta, che donò per patenti del 26 marzo 1612 ai padroni degli edifìzi retrostanti, con obbligo di fabbricare sopra quelli almeno due piani.1 [p. 462 modifica]

Il lato della piazza che guarda al nord, fino a porta Castello, ed al bastione di Santa Margarita, a cui s’appoggiava, non era prima del 1615 intersecato da nissuna strada; ma formava una linea non interrotta di case fino alla via chiamala allora dell’Anello d’oro dall’osteria di tal nome, ed ora della Palma.

Già per altro quella parte della piazza s’era cominciata a nobilitare, ed il conte Francesco Martinengo, marito di Beatrice Langosco, v’avea edificato un palazzo del quale, traendo profitto della disgrazia in cui cadde il Martinengo, e del procedimento criminale che s’instiluì contro di lui contumace, si fe’ investire donna Matilde di Savoia, figliuola d’amore di Beatrice Langosco, da cui passò a’ suoi discendenti marchesi di Simiana e di Pianezza, e poi ai principi di Francavilla,2 ed è quel medesimo che rifatto più tardi, apparteneva ai dì nostri al banchiere Martini. Ma nel 1615 si cominciò sui disegni del Vittozzi la strada Nuova, atterrando le case che faceano impedimento, e tra le altre quella del Nicolto, cameriere di S. A., il quale confinava a levante con Antonino Parentani, pittore già lodato, a ponente col palazzo Martinengo, al nord colla piazza Castello, al sud col Trincotto di madama Caterina Meraviglia, ossia Verintiana, già da noi ricordata.3 A levante del palazzo Martinengo, e della strada Nuova, lo stesso Vittozzi ebbe dono [p. 463 modifica]di sito per costrurvi un palazzo; ma non l’edificò, impedito da morte; ed invece Ludovico San Martino d’Aglio di S. Germano costrusse il bello edilìzio che è tuttora posseduto da’ suoi discendenti, e che allora s’appoggiava al muro della città. Il celebre don Filippo d’Aglio suo nipote l’ampliò. Questa illustre famiglia ebbe il generoso pensiero di destinare il vasto portico che è sotto la casa ad uso di fiera, ed una iscrizione che ancor si vede sotto allo stesso portico ha tramandato ai posteri la memoria del benefìcio procurato,4 dappoichè con patenti del 4 maggio 1685, ad istanza del marchese Carlo Ludovico San Martino di San Germano grande scudiere, Vittorio Amedeo ii die facoltà di tenere in Torino due fiere annue chiamate di San Germano, l’una per quanto era lungo il carnovale, l’altra in principio di maggio, in occasione della festa del Santissimo Sudario.

Piazza Castello fu sovente campo d’armeggerie, di corse e d’altre feste. Nel mese di settembre del 1447 venne alla corte di Savoia al duca Ludovico messer Giovanni di Bonifacio cavaliere errante (chevalier aventureux) il quale, andando per. le corti de’ principi cercando occasioni di segnalarsi, avea sentito ricordare tra i più valorosi cavalieri messer Giovanni di Compeys, sire di Thorein ciambellano del duca di Savoia. Tanto bastò perchè l’accendesse [p. 464 modifica]nobil desio di provarsi con esso; onde toltane solennemente l’impresa non mise tempo in mezzo, ma venne in Savoia a ricercar il suo famoso avversario che gli piacesse di battersi con lui a pie ed a cavallo secondo i capitoli che egli avea formati, e di levargli l’insegna che portava per questo fine. Era quest’insegna, chiamata anche emprise, un pubblico riconoscimento che si portava d’una promessa o d’un voto solenne, la quale non potea deporsi finchè la promessa fosse adempiuta. Il Compeys chiedette al duca facoltà d’accettare la sfida, e l’ebbe, onde i due cavalieri furono d’accordo di far quelle prove innanzi al duca e di rimettersi al suo giudizio.

Prima un’infermità e poi gli affari di stato impedirono il duca d’occuparsi di quella impresa. E l’errante cavaliere ebbe la costanza d’aspettare fino al 12 dicembre del 1449, giorno a cui fu finalmente assegnata la prova, e nel quale innanzi al castello di Torino, alzale le barriere e sedendo il duca in trono (nous tenans sièges de prime ès lices pour ce faistes en la place deuant nostre chastel de Turin) cominciò la battaglia. Durò assai tempo in quel giorno, e poi si rinnovò ne’ giorni seguenti, a pie ed a cavallo. Non si sa chi riportasse il vantaggio, imperocchè il duca nelle lettere patenti che ne spedì dichiarò que iceux chevaliers premierement [p. 465 modifica]a pied puis a cheval se porterent vaillamment en grant pronesse et hardiesse et tellement firent come ung chescun peut voyr. Ma noi che non abbiamo veduto dobbiamo star contenti al giudicio del duca e credere che tutti e due si sieno portati bene. Presenti a quel duello erano Giacomo della Torre cancellier di Savoia, Giovanni bastardo d’Armagnac, Luigi di Savoia, Sire di Racconigi, maresciallo di Savoia, Giacomo di Valperga, Amedeo di Luserna ed altri molti. Le lettere patenti hanno la data del 16 gennaio 1450.5

A’ tempi di Carlo Emmanuele i, la corte di Savoia era delle più liete. Questo principe trovava invenzioni ingegnosissime per feste allegoriche, cavalleresche ad un tempo e mitologiche. Ad esempio del principe, i suoi figliuoli ed i cortigiani esercitavano la loro facoltà inventiva. Alcune di queste feste davansi nel palazzo, o in teatro. Varie nel giardino, o nel parco. Si ha memoria di favole pastorali fatte rappresentare in quest’ultimo sito nel 1601; d’una gran festa che vi si diede al maresciallo di Crequy nel 1629. La piazza Castello si riservava alle corse al Saracino, chiamato altrimenti facchino, o uomo armato; che era un gran gigante di legno girante sur un perno con braccia armate di bastone. Si correva contra di lui colla lancia in resta. Se la lancia percuoteva nel mézzo del petto il gigante non si moveva, ed il colpo era onorato: per poco che [p. 466 modifica]deviasse, la macchina girava rapidamente, ed il malaccorto feritore era colpito dal bastone del Saracino.

Queste corse faceansi d’ordinario, in principio dell’anno o nel giorno della festa del Santissimo Sudario.

In gennaio del 1607 due cavalieri nascosti sotto ai nomi di cavalier Prodicleo e di cavalier Aliteo, che s’intitolavano guerrieri d’amore, sfidarono a tre colpi di lancia nell’uomo armato chiunque volesse opporsi alla verità che proclamavano mantenendo: che se non è gradita la servitù de’ cavalieri, nasce dal poco merito e molta incostanza loro.6

Nel 1619 Filiberto di Savoia gran prior di Castiglia sfidò a tre colpi di lancia e cinque di stocco chiunque avesse ardir di negare che: vero amante non è quello che ha speranza.

Poco dopo si onorarono con una giostra in piazza Castello le nozze di Vittorio Amedeo principe di Piemonte con Cristina di Francia figliuola d’Arrigo viii.7

Piazza Castello serviva prima d’Emmanuele Filiberto aux esbattemens et aux honneurs della abbazia degli Stolti. Era questa una gaia compagnia instituita nella prima metà del secolo xv, e dal duca Ludovico approvata e privilegiata, la quale aveva l’incarico di regolare le feste pubbliche, di ordinare [p. 467 modifica]giocondi ricreamene, liete brigate, allegri conviti, graziose veglie, d’incontrare e d’onorare i principi forestieri congiunti di sangue colla casa di Savoia, d’imbandire festini alle dame ed ai signori della città, di dare spettacoli sulla pubblica piazza. Essa avea poi privilegio di far pagare alle novelle spose il dritto di barriera, recandosi in beli’ arnese l’abate co’ suoi monaci lungo il cammino che la novella sposa dovea percorrere, e vietando festivamente alla medesima il passo, finche non avesse pagata la moneta determinata dalla consuetudine.

Grave era siffatta consuetudine per i binubi, i quali, onde ricomperarsi da quella musica discorde di paiuoli, molle, pentole e padelle che disturbava la prima sera delle nozze,8 doveano un desinare a tutti i monaci, ed un quarto di grosso all’abbazia per ciascun fiorino del valsente della dote.

Questo privilegio ed un altro, di cui parleremo, erano certamente stati conceduti e a Torino ed in tutte le grosse terre, all’abbazia, affine di cominciare a metter regola ed ordine in ciò che prima operavasi per incomposta violenza di moto popolare.

Se taluno si lasciava battere dalla propria moglie, andava l’abbazia degli Stolti a pigliarlo, lo poneva cavalcioni sopra un asino, e lo conduceva per le vie della città circondato da molti monaci armati di conocchie. [p. 468 modifica]

Ancora i monaci poteano obbligare i facchini ed altra gente minuta a scopare e nettar la piazza in cui si doveano far i giuochi; riscuotevano da ogni bottegaio un quarto di grosso all’anno per mantenere i tamburini; dai beccai una spalla di montone pe’ banchetti delle dame; dagli speziali una torcia per accompagnare le dame secondo l’usanza.

I bovari poi e li carrettieri erano tenuti alle feste di Pentecoste di condurre un carro di rami verdi e fogliali, per far le frascate.

Filippo di Savoia, chiamato monsignor di Bressa, fu monaco di questa badia, i cui privilegi vennero ancora approvati da Carlo iii; ma che probabilmente venne meno durante l’occupazione Francese.9

Attigua al palazzo della regina Maria Cristina è la chiesa di San Lorenzo, la cui bizzarra ed ardita struttura è degna d’essere considerata; imperocchè sebbene vi si vegga come in tutti gli edifìzi dello stile Borrominesco e Guariniano l’abuso delle curve, non manca nè di bellezza, nè di grazia, ed abbonda di quella originalità, che invano si cerca ne’ moderni edifizii, che tutti hanno maschere greche, o romane, o gotiche, o svizzere, ed anche peggio, ma non hanno fisionomia loro propria.10

Emmanuele Filiberto nella battaglia di San Quintino, combattuta il giorno di San Lorenzo, avea fatto voto di consecrargli una chiesa, se Dio gli concedea la vittoria. Lo stesso voto avea fatto lunge dai [p. 469 modifica]pericoli della battaglia Filippo ii re di Spagna. La vittoria del duca di Savoia fu trionfale. Filippo ii per segno di gratitudine a San Lorenzo edificò quel famoso monastero dell’Escuriale presso Madrid, che è una delle maraviglie di Spagna. Emmanuele Filiberto che non avea i tesori del nuovo mondo e rientrava in un dominio spolpato, consumato dalla lunga guerra, dovette star contento a minori dimostrazioni. Era in prossimità del palazzo, appoggiala al muro della città, a settentrione, una chiesuola di tre altari dedicata a Santa Maria del presepio, e propria de’ canonici del duomo.

Il duca meglio adornatala, rifatto l’altar maggiore, la dedicò a San Lorenzo, e la fe’ da Gregorio xiii privilegiare di molte indulgenze. Rimase quella chiesetta cappella di corte, ma non v’ebbe altro tempio in onore del santo martire,11 finche s’introdusse a Torino l’ordine de’ Teatini.

Nel 1600 ardea la guerra tra il duca di Savoia ed Arrigo iv re di Francia, in seguito alla occupazione del Saluzzese fatta da Carlo Emmanuele i. Il cardinale Aldobrandino fu mandato dal papa a recar parole di pace. Venne a Torino ed avea con se il padre Tolosa Teatino, che fe’ conoscere al duca. Andò quindi a Tolone dov’era il re con Maria de’ Medici sua consorte. Là il padre Tolosa, predicando innanzi alle loro maestà intorno ai mali della guerra ed ai benefizi della pace, parlò con tanta eloquenza [p. 470 modifica]che il re ne fu commosso e si dispose all’accordo.

Fu poi Tolosa fatto arcivescovo di Chieti, e nel 1605 venne a Torino in qualità di nunzio apostolico. Carlo Emmanuele i lo tenne in conto d’amico, e da’ suoi discorsi e dall’aver udito parecchie volte in duomo predicatori Teatini s’andò via via incorando d’introdurre quell’ordine nella sua capitale.

Nel 1621 ne scrisse lettere al generale dell’ordine Vincenzo Giliberti che venne per questo fine a Torino. Ma non s’avea per allora nè casa nè chiesa da cedere. I tempi eran duri, e non v’era modo di cominciar nuove fabbriche.

Vennero tuttavia due padri e due laici; Gaetano Cessa e Dionisio Dentice abitarono alcune camere vicine al duomo, dove celebravano e predicavano.

Furono poi trasferiti alla chiesa di San Paolo, ma in breve dovettero uscirne per le molestie di que’ battuti; andarono a San Michele, ma l’angustia della casa e l’aria malsana li cacciò. Passarono nel 1623 nella casa degli eredi del contadore Agostino Falletto vicino alla Trinità, dove crebbero al numero di dodici religiosi, e rimasero fino al 1634,12 nel qual anno con lettere patenti dell’ 8 d’aprile, ebbero dalla liberalità di Vittorio Amedeo i la casa attigua al palazzo del cardinal Maurizio di Savoia (ora della regina Maria Cristina), ove sollecitamente, e con danaro proprio, e con limosine raccolte, e co’ sussidii [p. 471 modifica]de’ principi si diedero a costrurre una chiesa degna e capace.

Di quell’anno medesimo se ne pose la prima pietra dall’arcivescovo Provana.13 Ma i lavori proseguirono con grande lentezza per difetto di danaro. I Teatini che faceano il quaresimale a San Giovanni lasciavano d’ordinario alla fabbrica parte della ricca mercede annessa a quel pulpito. Ma ciò era poco. Frattanto giunse da Parigi nel 1666 il padre Guarino Guarini Teatino, e fu creato architetto civile e militare del duca. Profondo matematico, non meno che abile architetto, egli disegnò molti edifizi pubblici e privati di questa città, e fra gli altri la cappella del Santo Sudario e la chiesa di San Lorenzo. La sua presenza die stimolo ad avanzar l’opera, ed abbondando gli aiuti, e della corte, e del pubblico, la chiesa fu condotta a compimento nel 1687, quattr’anni dopo la morte dell’architetto, sebbene fin dal 1680 cominciasse ad essere uffiziata,14 essendosene coi doni di Madama Reale Maria Giovanna Battista edificato il ricchissimo altare maggiore.15

La cupola della chiesa di San Lorenzo è molto fantastica, e si sostiene per archi che vanno a mano a mano digradando, ed equilibrandosi l’un sull’altro. Nel primo altare, a destra entrando in chiesa, la tavola col Crocifìsso, Maria Santissima, la Maddalena e San Giovanni è del padre Andrea Pozzi Trentino. [p. 472 modifica]Domenico Maria Muratori Bolognese, ottimo disegnatore, ma coloritor mediocre, che dipinse a Roma, a Pisa ed altrove, è l’autore della tavola del terzo altare in cui è effigiata la Vergine in gloria, con sotto varii santi. La tavola dell’altar maggiore è del cav. Marc’Antonio Franceschini, Bolognese, discepolo del Cignani, ma miglior del maestro, il quale dipinse fra tante altre opere insigni, anche gli affreschi della sala del consiglio grande di Genova, ammirati dai Mengs primachè fosser distrutti dal fuoco. Ma il nostro San Lorenzo non è tra le migliori sue opere. I due angioli di marmo ai lati del quadro sono del Tantardini.

Sull’urna dell’altar maggiore è scolpita in basso rilievo la battaglia di San Quintino con un angiolo che benedice le genti capitanate da Emmanuele Filiberto.

Il quadro delle anime purganti nell’ultimo altare a cornu evangelii è opera del cav. Peruzzini di Pesaro, che dipingeva, come si vede, nello stil carraccesco e che godette a’ suoi tempi di bella fama.

I Teatini cacciati dalla rivoluzione francese, non sono stati ristabiliti dopo ristaurata la monarchia. La chiesa è ora ufficiata da una parte dei canonici della Trinità, e serve per volere di S. M. ai funerali dei cavalieri dell’ordine militare e dell’ordine civile di Savoia.

Piazza Castello fino ai primi anni del secolo xvii [p. 473 modifica]ora terminata a levante dalla galleria del castello, e dal muro della città che trovavasi verso la meta del corpo dello stesso castello tra l’una e l’altra torre. A’ mezzodì era chiusa, come si è detto, da un lungo isolato. Cominciò allora Carlo Emmanuele i ad aggiungere, come abbiam veduto, dieci isolati al meriggio sulla linea della chiesa di San Carlo, e per dare diretta comunicazione dal suo palazzo alla città nuova, aprì la via che si chiamò Nuova (1615). Qualche anno dopo (1619), aperse un’altra strada che dal palazzo di città sboccasse in faccia alla galleria del castello (via de’ Panierai). Quando poi Maria Cristina e Carlo Emmanuele ii ebbero il vasto concetto di comprendere il borgo di Po nella città, allora si raddoppiò verso levante su disegno uniforme, la piazza Castello, quale vedeasi verso ponente; il castello divenne centro della piazza, e la porta della città si trasferì, come si è già dichiarato, in fine della stupenda via di Po, ricostrutta anch’essa con architettura uniforme del Bertola.

Abbiam veduto che serviva di teatro alla corte il salone del castello. Un altro teatro era nel palazzo vecchio. Quando s’ampliò la città a levante, Carlo Emmanuele ii fece costrurre il teatro delle feste vicino al silo,16 ove sorse più tardi il gran teatro architettato dal conte Benedetto Alfieri.

Il novello Regio teatro fu costrutto negli anni 1738, 1739, in sito attiguo al teatro antico; e la società [p. 474 modifica]di cavalieri che n’ebbe allora la direzione, offerì spontaneamente al re il prestito di lire 100ꞁmi. per sei anni, senza interessi, onde aiutarne la fabbrica.

Per qualche anno rimasero in piedi ambedue i teatri; ma verso la metà del secolo il teatro vecchio fu preda delle fiamme.17

Il secondo ventennio fu nel secolo scorso come nel presente un periodo di tempo eminentemente teatrale, essendosi costrutti, oltre al Regio teatro di Torino, i teatri d’Alessandria, Casale ed Asti.

Nel 1745, nel Regio teatro di Torino il marchese d’Ormea occupava il secondo palco in seconda fila a mano destra, allato a quello del Re; il conte Bogino il decimoquinto a destra in quarta fila, allato a S. A. il conte di Susa: il conte Alfieri, primo architetto di S. M., la settima a sinistra. Sono di tanti nomi i soli che dopo un secolo si possano ricordare.

Era celebre in esso teatro una tenda dipinta da Bernardino Galliari che rappresentava il trionfo di Bacco. Da pochi anni questo teatro fu restaurato ed abbellito di vaghi dipinti dal cav. Pelagio Palagi.

L’Accademia militare fu eretta dal già lodato Carlo Emmanuele ii sui disegni del conte di Castellamonte. I regii archivii di Corte ed il palazzo delle segreterie di Stato vennero edificati da Carlo Emmanuele in sui disegni dei Juvara.

Un sotterraneo, chiamato perciò crota, accoglieva anticamente nel castello di Ciamberì ed in quello [p. 475 modifica]del Bourget i tesori di metallo e di carte, che conteneano le ragioni del principe, e il fondamento dalle sue corrispondenze co’ principi forestieri, co’ vassalli e co’ sudditi. A’ tempi di Carlo Emmanuele i gli archivii si conservavano in una delle torri del castello. Carlo Emmanuele iii le pose in magnifiche sale attigue alla reggia, ma per isventura, troppo anche vicine al teatro.


Note

  1. [p. 480 modifica]Duboin, Raccolta di leggi, 910.
  2. [p. 480 modifica]Allegazioni in fatto ed in ragione nella causa del marchese Martinengo contro alla principessa di Francavilla, vol. ii, 73.
    L’avvocato Modesto Paroletti nell’erudita sua opera Turin et ses curiosités, ha narrato alcuni particolari intorno a questo palazzo Martinengo: ma prese inganno dove afferma che s’estendeva fino al sito ov’è la bottega del libraio Reycend.
  3. [p. 480 modifica]Archivio camerale. Contratti, registro lxxi, fol. 19.
  4. [p. 480 modifica]

    CIVES EXTERI ADESTE
    PVBLICAE VTILITATI LIBERVM HIC EMPORIVM
    INSTITVIT
    D. CAROL. LVDOV. S. MARTIN. AB ALADIO
    MARCHIO S. GERMANI
    PRIVILEGIO IN SVCCESSORES VALITVRIS
    A VICT. AMED. II SAB. DVCE CYPRI REGE
    IN PERPETVVM CONCESSIS
    AN. SAL. 1685.

  5. [p. 480 modifica]De Clauxo, protoc. xcvi, fol. 392. Archivi di corte.— Essendo questa cosa rara e curiosa, non sarà discaro di qui vederne il tenore:

    Loys, duc de Savoie, etc.

    Savoir faisons que come noble messire Jehan de Boniface, cheualier auentareux, l’an mccccxlvii ou moys de settembre uenist en nostre [p. 481 modifica]court réquérir nostre cheualier bien amé feal consciller et chamellain messire Jehan de Compois seigneur de Thorein, cheualier, lequel il auoit ouy és autres cours des princes, conme il disoit, estre réputé valeureux cheualier et expert en armes quil voulsiet accomplir et fere ouec luy darmes a pie et a cheual second le contenu de aucunx chapitres quil portait et luy leuer l’enseigne que pour ceste cause il auait sur soy. Et après nostre dit chambellain le seigneur de Thoreins accepta les dites armes de nostre congie et ouctroya au dit cheualier auentureux de les ly acomplir pardeuant nous et soubs nostre jugement. —

    (Espone i motivi di malattia e d’affari di Stato, per cui egli non ha potuto assegnar un giorno per quelle prove d’armi.)

    Ains a este force a iceulx cheualiers d’atendre nostre conualescence par gracieuses dilacions jusques le xii jour du moys de decembre darriere passe que lesdis cheualiers en bel estat et habillemens se presenterent pardeuant nous lors nous tenans siege de prince ez licez pour ce faictes en la place deuant nostre chastel de Turin esquelles lices voyans et assistans grant multitude de notables persones; Par nostre licence, tant le dit jour, que certeins aultres jours après ils procederent a leurs dictes armes et à l’éxecucion des quelles iceux cheualiers prémièrement a pied, puis a cheual se porterent vaillamment en grant prouesse et hardiesse et tellement firent come ung chescun peut voyr.

    Donnez en nostre cité de Thurin le xvi jour de januier lan de grace milccccl.

    Pour monseigneur pres. mess.          


    Jaques de la Tour chancell. de Savoye.

    Jean, bastard d’Armagnac.

    ect.

  6. [p. 481 modifica]Ecco il tenore del cartello di sfida:
    Tale è l’osservanza che vero amore ne’ petti de’ cavaglieri verso le dame imprime, che i sdegni e le ripulse (come di lealtà sicura prova), fa stimare grazie e favori. È però nella reggia del dorato Toro, dove sotto magnanimo Duce e novelli heroi fioriscono le virtudi e l’arme, sì poco da’ cavalieri intesa questa legge, che dove le tocca in sorte amoroso servire senza pronta mercede, scordati di loro stessi e della fede con vane doglienze, in un momento volgono i suoi pensieri altrove. Di che certificati i due sottoscritti guerrieri d’amore, per difendere da sì ingiuste querele dame, la cui rara beltà è accompagnata da senno e valore, abbandonando altre felici imprese, hanno determinato di yenirc in questo luogo, dove fanno sapere:
  7. [p. 482 modifica]Delle giostre alla corte di Savoia. V.Cibrario, Opuscoli, edizione del Fontana.
  8. [p. 482 modifica]Chiamata in varii statuii Zabramaritum, salita ai dì nostri all’onore di significazione politica, Charivari.
  9. [p. 482 modifica]Archivio del venerando collegio de’ causidici di Torino.
  10. [p. 482 modifica]È più che pedantesco ed ingiusto il giudicio che si reca di questo insigne architetto nel Dizionario del Ticozzi, in cui si dice che fu architetto del duca di Savoia, perchè ogni idea di buon gusto era perduta. — Che vane città ebbero piuttosto la sventura che la sorte d’avere edifizii di sua invenzione;— tutto in queste fabbriche è arbitrario, irregolare, sforzato. — Morì per vantaggio dell’arte nel 1683!!!
    Certamente lo stile del Palladio e del Sansovino, del Sanmicheli, ed anche quello di Juvara e d’Alfieri è assai migliore. Ma niuno contesterà al Guarini, un gran merito d’invenzione, un gran merito di difficoltà superate, e se non la purezza, la semplicità, l’eleganza, un genere di bellezza e di grazia, che per essere ricercato, non tralascia d’esser piacente. Chi potrà dir che il Marini non era poeta, e gran poeta, quantunque servisse al traviato sentimento del suo secolo? Il Guarini è il Marini dell’architettura.
  11. [p. 482 modifica]E dal canto verso la porta della città detta porta Palazzo, il detto palazzo capitulato, ossia il suo sito non si estende salvo fino al luogo dove al presente è edificata la cappella di S.Lorenzo, appoggiata e contigua alla detta muraglia della città.— Esami fatti da monsignor Vincenzo Lauro, nunzio apostolico, intorno alla convenienza dell’alienazione del palazzo vescovile. Archivi di corte.
  12. [p. 482 modifica]Avendovi essi padri fino al presente di continuo con gran divotione et edificatione nostra et de’ nostri sudditi mantenuto religiosi, massime di nazione napoletana et oltre alla amministratione et prediche, hauendoui eretto una congregatione sotto il titolo de’ Servi della Santissima Madona della disciplina, con gran concorso non solo di popolo, ma della nobiltà, cavalieri et uffiziali della corte nostra et dei nostri magistrati... — Archivio camerale. Patenti, registro liii, 50.
  13. [p. 483 modifica]Eccone l’iscrizione:

    D. O. M. AC SANCTISSIMAE DEIPARAE AU PRAESEPE
    TEMPLVM BEATO MARTYRl LAVRENTIO
    SERENISSIMI EMMANVELIS PHILIBERTI VOTO
    OB PARTAM VICTORIAM IAM DICATVM
    HAEREDITARIA PIETATE AMPLIORE MAGNIFICEINTIA
    PVBLICAE COMODITATI VICTORIVS AMEDEVS RESTITVIT
    ANNVENTE REGIA CONIVGE CHRISTINA ET CARDINALI MAVRITIO
    IN CLERICORVM REGVLARIVM SORTESI A. MDCXXXIV.

  14. [p. 483 modifica]Sopra l’arco dell’altar maggiore:

    EMMANVEL PHILIBERTVS
    VOVIT
    MARIA IOANNA BAPTISTA A SABAVDIA
    PERFECIT.

  15. [p. 483 modifica]Archivio camerale. Registro, Contratti, n° clxx, fol. 221. clxxi, fol. 217, ecc.
  16. [p. 483 modifica]Da lettere patenti in favore del mastro auditore Giovanni Pietro Quadro, risulta già costrutto nel 1669.
  17. [p. 483 modifica]Duboin, Raccolta delle leggi, vol. xv, p.864.