Storia di Torino (vol 2)/Libro VI/Capo IV

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Capo Quarto


Via dell’Arsenale.— Marchese d’Ormea. — Palazzo de conti di Masino. Abate di Caluso. La santa Contessa. — Preti della Missione. Storia della loro fondazione. Il marchese di Pianezza. Lettere inedite di S. Vincenzo de’ Paoli. — Biblioteca. — Giovanni Maino. Michel Antonio Vacchetta.


Al di la della via di Santa Teresa s’alza a destra il palazzo de’ conti Balbiano di Viale, la cui facciata, modernamente rifatta, mostra l’intenzione d’imitare lo stile severo ed il bugnato del palazzo de’ Pitti.

In questo palazzo abitava e qui morì nel 1745 il marchese Carlo Ferrero d’Ormea, della nobile schiatta dei Ferrero di Roascio, di Mondovì, uno de’ più abili negoziatori di cui s’onori la storia della nostra diplomazia. Fornito di alto ingegno e di somma penetrazione, lungamente esercitato nel maneggio degli affari i più spinosi, in ambasciate e ministeri, avendo pronto, facile, dignitoso, abbondante il magistero della parola, egli rifuggiva dall’appigliarsi all’arte [p. 683 modifica]troppo comune di abbassar gli occhi, e di parlar poco e cupo, quando era invitato a discussioni nelle quali il suo segreto pericolava; anzi avea l’aria di rispondere con lieto animo, senza riserva, con abbandono ad ogni inchiesta, fosse pur dilicata ed importante; ma mentre la lingua correva ed il suo interlocutore si maravigliava di trovarlo così agevole e copioso, il segreto era chiuso nel suo petto sotto triplici porte di ferro, e solo dopo d’aver preso congedo e ricapitolato la sostanza della conversazione, accorgevasi il diplomatico straniero di non avere scoperto cosa alcuna. In colali giostre di lingua e d’ingegno il marchese d’Ormea era d’un valor sovrano.

Dopo d’essere dal modesto ufficio di giudice di Carmagnola pervenuto ai sommi onori di gran cancelliere, di cavaliere dell’Annunziata, e di ministro degli affari esteri e degli affari interni, declinando poi, com’è da credersi, coll’eta anche il vigor del giudicio, dicesi che mostrasse desiderio d’esser fatto cardinale, e che Carlo Emmanuele in gli rispondesse, ch’egli non voleva né un Richelieu, né un Mazzarino, né un Alberoni.

Nel palazzo de’ conti Viale si diede nel 1831 una splendida festa per le nozze della principessa Carolina Marianna di Savoia, ora imperatrice e regina, con Ferdinando, re apostolico d’Ungheria e principe imperiale ereditario d’Austria. [p. 684 modifica]

Attiguo al palazzo di cui parliamo s’alza quello de’ conti Valperga di Masino. Il conte Carlo Francesco lo comprò nel 1780 dal maresciallo duca di Broglia, e die tosto mano a restaurarlo ed ampliarlo sui disegni dell’architetto Filippo Castelli. Pietro Casella fe’ i graziosi intagli che si vedono sugli stipiti della porta. Bernardino Galliari, Angelo Vacca, Carlo Bellora, Carlo Randone ne dipinsero le magnifiche stanze.

Questo palazzo che fu l’ultima sede del lato più potente e famoso della stirpe dei Valperga, s’abbella d’illustri memorie; di quella cioè dell’abate Tommaso Valperga di Caluso, amabile per la bontà de’ costumi e per la gentilezza dell’indole, reverendo per l’ampio corredo del più gaio sapere come delle più severe e più recondite dottrine; e di quella di Emilia Doria di Dolceacqua, contessa di Masino sua madre, vissuta e morta con tal concetto di cristiana virtù, che gli abitanti del contado di Masino usavano ed usano chiamarla la santa Contessa.

In queste splendide sale, prima che due morti acerbe su vi stendessero un lugubre velo, accoglieva la contessa Eufrasia Valperga di Masino col fior dell’aristocrazia anche il fior degli ingegni; e nel 1831 vi fondava una sala d’asilo o scuola infantile che ora, affidata alle monache Rosminiane della Provvidenza, novera centotrentacinque fanciulli di ambo i sessi. [p. 685 modifica]

Alla meta dell’isola che segue a destra, è la chiesa della Concezione, che ora è cappella arcivescovile, ma che prima appartenne ai preti della Missione insieme col palazzo e col giardino attiguo.

I preti della Missione furono chiamati a Torino da Carlo Emmanuele Filiberto Giacinto di Simiane, marchese di Pianezza, figliuolo di donna Matilde di Savoia, generale d’infanteria e gran ciambellano. Piucchè gli alti natali e le cariche occupate lo rendettero insigne le molte sue virtù, ed il grado sublime a cui pervenne nella spiritualità. Onde i’ avere poderosamente aiutata la fondazione del monastero della Visitazione, e l’aver fondato a Torino la casa della Missione, a Pianezza il convento di S. Pancrazio degli Agostiniani Scalzi, fu in lui naturai conseguenza d’una vita pia e religiosa, e del desiderio di promuoverla ne’ suoi simili, non espiazione di azioni malvagie o restituzione di sostanza furtiva. Il marchese di Pianezza domandò nel 1655 al grande S. Vincenzo de’ Paoli alcuni de’ suoi preziosi Missionarii, ed egli, consolandone il pio desiderio, gli mandò quattro sacerdoti e due coadiutori che giunsero a Torino il 10 novembre di quell’anno medesimo. Dopo qualche riposo cominciarono a dar una missione a Pianezza, della quale il Marchese provò tanta soddisfazione, che ai 10 di gennaio 1656 assegnò loro la dote di seimila scudi. [p. 686 modifica]

La seconda missione fu a Scalenghe. E qui convien ricordare che il fine principale dell’institulo di questi degni figliuoli di S. Vincenzo, era appunto di spargere il seme della Divina Parola e il procurar la riforma de’ costumi tra i contadini, i quali erano a que’ tempi, piucchè non si possa credere, ignari della legge evangelica e in preda ad ogni maniera di vizi. Un altro loro scopo era quello di pigliar cura de’ giovani ecclesiastici, mercè un convitto stabilito presso di loro; ed anche in varii altri modi si rendettero benemeriti della Chiesa e dello Stato.

Molto sollecito si dimostrava S. Vincenzo di questa colonia de’ signori della Missione; frequenti lettere piene di celesti consigli indirizzava al sig. Martin che n’era capo; e perchè si veda quant’alto poggiasse e da qual fonte derivasse la sua prudenza, e come si differenzi la filosofìa degli uomini da quella che ha la sua radice nel cielo, riferirò alcuni brani di queste lettere, non che quella con cui il Santo indirizzava al Marchese i suoi Missionarii.

Al Marchese scrivea:


Parigi, 15 ottobre 1655.

          Monsignore,

« Secondo il suo ordine le mandiamo quattro de’ nostri preti: Sono tali che colla grazia di Dio [p. 687 modifica]potranno rendere qualche piccolo servigio al Signore rispetto al povero popolo della campagna, e dell’ordine ecclesiastico.

« Ella troverà molti difetti in questi poveri Missionarii; Lo prego umilissimamente, Monsignore, di sopportarli, di avvertirli de’ loro mancamenti, e di correggerli come adopera un buon padre co’ propri figliuoli. Trasferisco perciò in Lei il potere che Nostro Signore mi ha dato in questa parte. Piacesse a Dio che fossi in luogo tale da potermi anch’io prevalere del vantaggio che avranno di vederla, Monsignore, di profittare delle parole di vita eterna che escono dalla sua bocca, e di tanti buoni esempi che la vita di lei mostra a tutto il mondo. Ne spererei qualche ajuto per emendar la mia, e divenire con miglior titolo »


Suo umilissimo servitore

Vincenzo de’ Paoli        

indegno prete della Missione.1


Al sig. Martin scrivea:


Di Parigi 26 novembre 1655.


« La grazia di N. S. sia con voi sempre. Ho ricevuto la vostra prima lettera da Torino, e dal buon [p. 688 modifica]Dio una grande consolazione dello avervi costì tanto felicemente condotti e fatti così benignamente accogliere per bontà di Monsignore il vostro fondatore, di monsignor Arcivescovo e di monsignor Nunzio, lo lo ringrazio di tutto cuore. Egli ha voluto prevenirvi con queste grazie per disporvi ad altre maggiori. E queste graziose accoglienze degli uomini indicano l’aspettazione che fondano sulla Compagnia. Spero che la medesima si farà tutta di Dio atìin di rispondere a’suoi disegni:… Sono imbarazzato a dirvi come vi dovete regolare; se non che v’esorto a cominciare con qualche piccola missione che non richieda grande apparecchio; ma per ciò fare è necessario d’aver l’amore della propria abbiezione, voi potrete fare l’azione del mattino, e il sig. Emery il catechismo. Vi parrà forse duro di cominciare così meschinamente; poichè per salire in istima, sembra che converrebbe comparire con una missione intiera e splendida, che ponesse subito in mostra i frutti dello spirito della Compagnia. Dio ci guardi dallo entrare in tal desiderio; conviene invece alla nostra miseria ed allo spirito del Cristianesimo quello di fuggir simili ostentazioni a fin d’occultarci; quello di cercare il disprezzo e la confusione come Gesù Cristo ha fatto; e quando sarete in questo a lui somiglianti, egli faticherà con voi. Il defunto monsignor di Ginevra (S. Francesco di Sales) intendeva ottimamente questo principio. La prima [p. 689 modifica]volla che predicò a Parigi nell’ultimo viaggio che vi fece, vi fu gran concorso da ogni parte della città. V’era la corte. Nulla mancava di ciò che poteva render l’udienza degna di sì celebre predicatore. Ciascuno s’aspettava un sermone uguale alla forza del suo ingegno, uso a rapir tutti i cuori. Ma che fece quel grand’uomo di Dio? Egli narrò con tutta semplicità la vita di S. Martino a bello studio d’umiliarsi in faccia a tanti illustri personaggi che avrebbero gonfiato il cuore d’un altro. Egli fu il primo a trar profitto dalla sua predica con quest’atto eroico d’umiltà. Ecco, o Signore, come i Santi hanno saputo reprimere la natura che ama il mondano rumore e la pubblica stima; e così convien pure che noi facciamo preferendo i bassi uffici a que’ di maggior comparsa, l’abbiezione all’onore. Spero sicuramente che voi porrete i fondamenti di questa santa pratica insieme con quelli dello stabilimento affinchè l’edilìzio sia fondato sulla pietra, e non sulla mobile sabbia. Monsignor il Marchese capirà facilmente questo modo di procedere... Abbraccio la vostra piccola e cara famiglia con tutta la tenerezza del mio cuore, e sono in N. S. »


Vostro umiliss. servo     

Vincenzo de’ Paoli     

indegno prete della Missione.


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In un’altra lettera scritta l’ultimo giorno dell’anno cominciava S. Vincenzo con un augurio, di cui non ho veduti altri esempli.

« Prego N. S. che l’anno in cui entriamo vi serva di gradino per salire all’eternità fortunata.... Dopo la raccomandazione che vi ho fatta di camminar con semplicità, in questa bisogna vi fo quella di non abusare della vostra sanità e d’aver cura di quella de’ vostri subordinati. Monsignor il Marchese ama tanto la giustizia, che non gli increscerà quanto vi dico. Ed in proposito di questo buon signore, ciò che voi mi dite intorno alla sua esattezza nel far il ritiro spirituale e al modo di comportatisi, mi serve ad un tempo di grande edificazione e confusione. Io prego Dio che conservi ai grandi del secolo un tale esempio di virtù, e che gli dia la pienezza del suo spirito pel felice successo di tutte le sue intraprese. »

In lettera del 23 giugno 1656 egli scrivea:

« La vostra lettera del 30 di maggio ci ha recata una consolazione indicibile e nuova occasione di lodar Dio delle vostre imprese e delle vostre fatiche, perchè le benedizioni di Dio sono tanto evidenti che non si può desiderare di più. Il suo santo nome sia dunque sempre adoralo e ringraziato. A ciò ho esorlato la compagnia dopo d’averle esposto le varie [p. 691 modifica]missioni da voi fatte, ed il felice successo ottenuto anche in riguardo agli eretici. Se v’hanno uomini al mondo che tengano maggior obbligo d’umiliarsi, voi ed io siamo quelli, e con voi intendo i vostri collaboratori. Io per li miei peccati, e voi per li beni che piace a Dio d’operare per vostro mezzo; io perchè mi vedo fuor del caso d’assister le anime, e voi per essere stati scelti per contribuire alla santificazione di tanti, e per poterlo fare con tanto frutto. Bisogna una grande umiltà per non trarre diletto da tali progressi e dal plauso del pubblico. Ne bisogna una grande ma troppo necessaria per riferir a Dio tutta la gloria delle vostre fatiche. Sì, o signore, voi avete mestieri d’una umiltà ferma e vigorosa per portar il peso di tante grazie di Dio, e concepire un gran sentimento di gratitudine onde riconoscerne l’autore. Io prego il Signore che la conceda a tutti voi quanti siete... Non dubito che la grazia che accompagna monsignor il Marchese vostro fondatore v’abbia attirato le grazie spirituali e temporali che il Signore vi concede; e che bisogna attribuire al merito di lui tutte quelle che Dio vi prepara. »

Vedendo le buone opere e i lieti successi dei Missionarii, la calunnia avea soffiato contr’essi i suoi veleni. Aveali accusati di persuadere al popolo di non pagare i tributi. S. Vincenzo scrivea al signor Martin il 7 luglio del 1656.

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« Voi avete considerate sotto al vero loro punto di vista le querele date al parlamento (alla Camera) contro di voi, pigliando cotesta calunnia come un contrappeso che Dio ha voluto dare al buon successo delle vostre missioni. Poichè in realtà la sua sapienza ha così bene ordinate le cose di questo mondo, che le notti succedono ai giorni, la tristezza alla gioia, le contraddizioni agli applausi, affinchè il nostro spirito non si fermi che nel solo Iddio, superiore a tutti questi mutamenti. Voi avete fatto bene a far intendere il vero a codesti signori, a cui s’era detto che i Missionarii dissuadevano al popolo di pagar le taglie; e farete ancor meglio di non parlar mai di queste cose. N. S. non ha disapprovalo i tributi. Anzi egli medesimo vi si è assoggettato. Bisogna che tutti noi ci prepariamo a soffrire ora d’un modo, ora d’un altro; perchè diversamente noi non saremmo i discepoli di quel divin maestro che fu calunniosamente accusato per la medesima eausa, e che ha voluto per tal modo cominciare ad esercitare la vostra virtù. Considerate come una benedizione d’essere trattati com’egli fu, e procurale di seguitare il suo esempio nelle virtù che ha praticate quando fu maltrattato.

« Io ringrazio la sua divina bontà delle benedizioni che ha conceduto a tutte le missioni, ed in particolare all’ultima. Il che si dee attribuire piuttosto alla buona disposizione del popolo, per non [p. 693 modifica]dire alla novità dell’opera, che al merito degli operai, sebbene io sappia che le vostre preghiere, il vostro zelo e la purità delle vostre intenzioni vi contribuiscono notabilmente.

« Ciò che mi ha molto consolato, è la concordia importante che avete stabilita in codesto luogo dove regnava da così lungo tempo la divisione, causa di tanti omicidii, sorgente infetta che distillava il suo veleno nel cuore della maggior parte degli abitanti. Dio voglia confermar questa concordia e rendere perpetua la pace e l’unione che voi vi avete lasciata.

« Prego Nostro Signore che vi doni l’ampiezza del suo spirito per la missione che dovete fare nella piccola città di Lucerna, e che gli piaccia di muover gli eretici al desiderio d’instruirsi e di convertirsi. a Signor mio, se piacesse alla sua divina bontà di servirsi di voi per quest’opera, che gran bene sarebbe, e con qual cuore gli offriremmo le nostre preghiere con questa intenzione!... »2

Ma è tempo che ripigliamo la storia dello stabilimento de’ Preti della Missione in Torino. Abbiam veduto che giunsero il 10 novembre 1655, e che nel gennaio seguente il pio marchese di Pianezza assegnò loro la dote di 6ꞁm. scudi, alla quale aggiunse più tardi la rendita di due cappellanie.

Nel 1662 il priore Marc’Aurelio Rorengo dei conti di Lucerna, curato de’ Ss. Stefano e Gregorio, si pose in cuore di far sopprimere quella parrocchia, ed [p. 694 modifica]applicarne le rendite ai Missionarii, aftinchè cresciuti di numero potessero dividersi in due squadre, e moltiplicar le missioni. Il suo pensiero gradì alla Santa Sede; e con breve del 31 d’ottobre dell’anno medesimo Alessandro vii vi die’ intera esecuzione. Se non che la parrocchia venne fra non molto ristabilita, ma con nuova dote, e ad istanza dei Disciplinanti di S. Rocco. Il priore Rorengo ritirossi a vivere coi Preti della Missione, fra i quali morì a’ 15 d’aprile del 1676, pieno d’anni e di opere buone.

Nel 1663 si comprò una parte del giardino dal conte Broglia per fabbricarvi la casa. Il marchese pose la prima pietra della parte dell’edifìzio in cui doveva essere la cappella. Duemila ducatoni die’ perciò di limosina Madama Reale Maria Cristina; ugual somma v’aggiunse egli stesso; ed appena fabbricata la casa (1667), vi venne ad abitare con abito e trattamento di fratello coadiutore. Nel 1674 volendo allontanarsi sempre più dai rumori del secolo si ritirò nel convento di S. Pancrazio, vicino a Pianezza, con abito e trattamento di novizio, dove salì a miglior vita il 3 giugno 1677.

I Missionarii aveano casa e cappella interna, ma non aveano chiesa quando Carlo Emmanuele ii nel 1673 recossi un giorno all’improvviso alla congregazione all’ora del desinare, e postosi a tavola coi padri, volle pranzar con loro. [p. 695 modifica]

Visitata poi tutta la casa, avendo veduto che mancavano di chiesa, ordinò che si desse tosto principio alla medesima, dicendo che voleva egli solo sostenerne la spesa. Questo principe somministrò qualche fondo, ed avrebbe secondo la promessa sopperito a quant’era necessario per terminarla, se non usciva immaturamente di vita in giugno del 1675. Ma sottentrarono privati benefattori, fra i quali l’abate Ignazio Carroccio, la principessa di Francavilla, Gabriella di Mesme di Marolle, Scaglia di Verrua, marchese di Caluso, ed altri, coll’aiuto de’ quali si ripigliò la fabbrica imperfetta nel 1695, e si finì nel 1697, nel qual anno a’ 19 di settembre fu consecrata da monsignor Alessandro Sforza, nunzio apostolico. Anzi la marchesa di Caluso predetta costrusse in questa chiesa l’altare di S. Pietro, innanzi al quale fu poi seppellita; fondò una cappellania di messa quotidiana; donò un ostensorio d’argento guernito di diamanti e di rubini del valore di L. 15,000 antiche di Piemonte, ed instituì la casa della Missione di Torino in sua erede universale.

Il signor Giovanni Domenico Amosso, sacerdote di questa congregazione, donò alla medesima in due volte la somma di lire 16ꞁm., da impiegarsi in fondi fruttiferi, onde col provento acquistare ogni anno libri scelti ed utili sopra tutte le materie, finchè fosse compiuto il numero di 16ꞁm. volumi, oltre quelli che già possedevano (1750); ed il barone Scipione Valesa, ministro dell’imperatore presso la [p. 696 modifica]corte di Torino, legò nel 1743 alla casa della Missione la sua libreria e parte del mobile che possedeva.3

L’umiltà di cui i Padri della Missione fanno specialissima professione, secondo lo spirito del santo loro fondatore, fino al punto che la regola non permette loro di difendere la propria congregazione quando fosse in loro presenza ingiustamente accusata o vilipesa, nascose con molto studio alla mondana celebrità molti uomini degnissimi d’ottenerla. Due soli pertanto ricorderò: l’uno è Giovanni Maino, il quale occupavasi un giorno in giardino, quando venne a cercarlo il re Vittorio Amedeo ii, e saputo dov’era, non volle che lo chiamassero, ma andò egli stesso a trovarlo, e domandatolo che cosa facesse: Maestà, rispose il missionario, attendo alla coltura d’alcune pianticelle. Lasciatele, replicò il re, ch’io voglio darvene a coltivare altre di maggior importanza, e sono i miei figli. Nè solo il volle Vittorio Amedeo ii educatore de’ principi reali, ma lo fe’ suo consigliere e confessore, e quando alcuni anni dopo, morto il signor Maino, egli si trovò avviluppato in gravi domestiche traversìe: Ahimè, fu udito esclamare, se il mio Maino fosse vissuto, avrebbe co’ salutari suoi consigli prevenuto tante avversità.4

L’altro è Michel Antonio Vacchetta, illustre esempio di santa ed operosa vita, del quale si ha la storia stampata.

La chiesa della Concezione è disegno del padre [p. 697 modifica]Guarino Guarini. La tavola con Anania che libera S. Paolo dalla cecità è di Sebastiano Taricco. Gli angeli dipinti a fresco nel vôlto appartengono al Crosato, veneziano.

I Missionarii occupano adesso, come abbiam detto, la chiesa e il monastero della Visitazione.

L’ultima delle vie traverse a destra di Dora Grossa chiamasi da principio della Rosa Rossa, poi sino alla strada di Santa Teresa via di San Maurizio, infine via della Provvidenza.

Il nome di via di San Maurizio le venne dopochè la confraternita di questo nome, fondata aliato a San Simone, venne trasferita nella chiesa di Sant’Eusebio, che alzavasi in mezzo ad una piccola piazza sul finire di questa strada. La parte di essa che continua sotto il nome di via della Provvidenza chiamavasi anticamente via del trincetto Grondana.


Note

  1. [p. 702 modifica]Da una raccolta di lettere fatta in Parigi nel 1845.
  2. [p. 702 modifica]Da una raccolta di 651 lettera di S. Vincenzo de’ Paoli, molle scritte interamente dal santo, le altre segnate da lui presso i cortesissimi signori della Missione di Torino. Questa raccolta che contiene preziosi documenti di spiritualità, ed anche notizie curiose di storia ecclesiastica, sarebbe pur degna d’esser fatta pubblica colle stampe. — È degna pure d’esser veduta l’opera francese intitolata: S. Vincent de Paul peint par ses écrits.
  3. [p. 702 modifica]Memoria perpetua del fondatore e benefattori di questa casa di Torino. Nell’Archivio de’ Preti della Missione.
  4. [p. 702 modifica]Regulae seu Constitutiones communes congregationis Missionis. Lisbonae 1743, prologus, c. cxv.