Vai al contenuto

Storie fiorentine dal 1378 al 1509/XXV

Da Wikisource.
XXV

../XXIV ../XXVI IncludiIntestazione 27 luglio 2024 25% Storia

XXIV XXVI

[p. 270 modifica] XXV.

Governo di Piero Soderini. — Suoi errori nell’impresa di Pisa. — Preparativi di Ascanio Sforza contro Firenze e Milano. 1504. Seguitò lo anno 1504, nel principio del quale si cominciorono a scoprire nuovi umori di cittadini nella cittá. Di sopra si è detto largamente per che cagione si creassi la provisione di fare el gonfaloniere a vita, e perché el popolo voltassi tanto grado in Piero Soderini, e come in lui concorressi molti uomini da bene, massime Alamanno ed Iacopo Salviati; ora s’ hanno a intendere gli effetti sua, e’ quali non corrisposono in gran parte al disegno fatto. Principalmente lui, o perché considerassi che se e’ metteva el governo delle cose importante nelle mani degli uomini da bene, che loro sendo savi e di autoritá ne disporrebbono a modo loro e non seguiterebbono el suo parere se non quanto si conformassino insieme, ed e converso che gli uomini di meno cervello e qualitá, nelle cose che avessino a trovarsi, si lascierebbono disporre e maneggiare da lui, e cosi mosso da ambizione, o pure avendo preso sospetto contra ragione, che se gli uomini da bene pigliavano forze, vorrebbono ristrignere uno stato e cacciare lui di quello grado che aveva acquistato per opera loro; o mosso da l’uno e l’altro, e cosi da ambizione mescolata con sospetto, cominciò a non conferire ogni cosa colle pratiche, le quali quando si facevano era necessario vi intervenissino e’ primi uomini della cittá, ed in quello che pure [p. 271 modifica] si conferiva, quando facevano qualche conclusione contraria al parere suo, non volere che si eseguissi, anzi ingegnarsi ed el piú delle volte mettere a effetto la voluntá sua. Alla quale cosa aveva la via facile, perché come e’ fu creato, la moltitudine, parendogli che, poi che in palagio era uno timone fermo, la cittá non potessi perire, creava quasi sempre de’ signori uomini deboli e di qualitá che si lasciavano menarne da lui in modo che tutta via, o tutti gli erano ossequenti o non gli mancavano sei fave. Di questa medesima sorte erano e’ collegi, e la elezione de’ dieci anche era cominciata a allargarsi; cosi gli ottanta; in forma che quello che e’ non conduceva nelle pratiche, conferendolo con questi altri magistrati ed usando ora uno indiretto ora un altro, lo tirava el piú delle volte a suo proposito.

Aggiugnevasi che quando lui entrò, avendo trovata la cittá in grandissime spese e gravezze e molto disordinata nella amministrazione del danaio, e le cose del Monte molto disordinate, si erano diminuite in forma le spese, che el Monte rendeva piu che l’usato, e le gravezze tutto di scemavano. La quale cosa era proceduta in gran parte da diligenzia sua, perché lui avendo presa la cura del danaio ed amministrandola con somma diligenzia e con strema miseria, che gli era naturale edam nelle sue cose private con tutto che fussi ricchissimo e sanza figliuoli, aveva limitato moltissime spese. Erane stato aiutato dalla sorte, perché non avendo la cittá piú uno continuo sospetto del papa, Valentino, Vitelli, Orsini, erano cessate molte spese che bisognavano farsi; e cosi ridotta la cittá in tre cose che satisfacevano sommamente alla moltitudine: essere gli ufici piú larghi che mai fussino, el Monte ogni di migliorare di condizione e le gravezze scemare, era lodato universalmente el suo governo.

Aggiugnevasi che alcuni uomini di autoritá ed alcuni giovani che venivano in riputazione, si gli erano dati in anima ed in corpo, chi per ambizione, chi per valersi di lui, chi per uno rispetto e chi per uno altro: messer Francesco Guaiterotti, el quale di poi se ne alienò e diventògli inimico, [p. 272 modifica] Bernardo Nasi, Antonio Canigiani, Niccolò Valori, Alessandro Acciainoli, Alessandro Nasi, Francesco Pandolfini e simili; ma a quasi tutti gli altri uomini di qualitá e vecchi e giovani dispiaceva el suo governo, giudicando che el volere governare le cose da se medesimo e -di sua autoritá facessi dua effetti cattivi: l’una che, come mostrò tutto di lo effetto, e’ pigliassi molti errori in danno del publico; l’altra ch’egli spacciassi e sotterrassi interamente gli uomini da bene.

Aggiugnevasi che circa alla giustizia lui ne aveva tenuta cura nessuna; in modo che in questa parte, da poi che e’ fu creato, la cittá non era medicata nulla, anzi piú tosto piggiorata e trascorsa; nondimeno per ancora questo disparere stava coperto o si manifestava poco. Ma in questo anno si venne a aprire, perché Tommaso Soderini, nipote del gonfaloniere, maritò una sua piccola figlioletta a Pierfrancesco de’ Medici, figliuolo di Lorenzo di Pierfrancesco che era morto l’anno dinanzi; e perché questo parentado non si trattò per mano de’ parenti e degli uomini da bene, come ragionevolmente si debbono trattare gli altri parentadi, ma sfuggiascamente e per mano di notai, Giuliano Salviati che era parente di Pierfrancesco, ed Alamanno ed Iacopo sdegnati, e cosi e’ Medici insegati da costoro stracciorono la scritta ed intorbidoronlo in modo, che quello parentado rimase in aria e sospeso. Erano e’ Salviati sdegnati con lui, perché non piacevano loro e’ sua governi e perché, sendo stati sua fautori ed operatori assai che e’ fussi condotto a tanto grado, pareva loro gli pagassi di ingratitudine, e massime che pochi mesi innanzi, essendo ser Iacopo di Martino, loro amico intrinseco, cancelliere della mercatantia, l’aveva difatto e con sei fave de’ signori casso di quello uficio. E la cagione fu per battere e’ Salviati, parendogli che per avere sulla mercatantia uno instrumento come ser Iacopo (che era uomo d’assai ed esercitato in quello luogo, in modo che era di momento grande alle sentenzie che s’avevano a dare) molti cittadini che avevano a fare alla mercatantia fussino forzati a fare concorso a loro; e lui diceva in sua giustificazione che, conoscendo che si [p. 273 modifica] volevano fare capi della cittá, aveva voluto privargli di quella forza per beneficio publico. E cosi si cominciò a dividere la cittá: da una parte Piero Soderini gonfaloniere, da altra molti uomini di qualitá, de’ quali si facevano piú vivi e’ Salviati e di poi Giovan Batista Ridolfi; e nondimeno, perché la moltitudine ed el consiglio grande non curava e non attendeva a queste cose, questa divisione faceva gli effetti sua piú tosto fra gli uomini di piú autoritá e nelle pratiche e luoghi stretti, che altrove.

In questo tempo si voltorono di nuovo gli animi alle cose di Pisa; e parendo che fussi bene seguitare nel dare guasto e strignerli colla fame, si condusse messer Ercole Bentivogli, Giampaolo Baglioni ed alcuni Colonnesi e Savelli, e fatto commessario Antonio Giacomini, si dette el guasto quasi interamente; di poi considerando che tutto di erano mandati loro aiuti di vettovaglie per via di mare, si tolse a soldo... Albertinelli con alcune galee, e’ quali stando intorno a Porto Pisano ed a Torre di Foce impedissino l’entrarvi vettovaglie. Le quali cose strinsono assai e’ pisani; ma perché, non ostante le galee che erano in mare per noi, non poteva essere che qualche volta non vi entrassi vettovaglie, fu dato uno disegno al gonfaloniere che e’ si poteva di sotto a Pisa volgere el letto di Arno, in forma che non passerebbe piú per Pisa, e farlo sboccare in Stagno; e cosi che rimanendo Pisa in secco, non vi entrerebbe piú vettovaglie per via di mare, e verrebbesi piú facilmente a consumare. Messesi questa cosa in pratica da’ dieci co’ cittadini piú savi, e finalmente non si acconsentendo, e parendo loro fussi piú tosto ghiribizzo che altro, lo effetto fu che, sendo el gonfaloniere di opinione che si facessi, la girò con tante pratiche e per tante vie, che se ne venne alla pruova; la quale con spesa di piú migliaia di ducati riusci vana e come aveano giudicato e’ cittadini savi. Fecesi di poi un altro errore molto maggiore; perché sendo persuaso al gonfaloniere che la disposizione de’ cittadini pisani e de’ contadini era si cattiva che se fussino sicuri [p. 274 modifica] poterlo fare, ne uscirebbe tanto a uno a uno che Pisa rimarrebbe vota, fece contro la volontá de’ cittadini primi e savi fare una legge, che tutti quegli pisani che uscissino di Pisa e venissino in sul nostro fra uno certo termine, sarebbono restituiti nelle robe loro, perdonati loro tutti e’ delitti, rimessi tutti e’ debiti publici. Vinta questa legge, e’ pisani usorono bene la occasione, perché pochi se ne fuggirono sinceramente, ma cavorono via molti uomini disutili; di che nacque che avendo meno mangiatori, si sostennono; ché, come si intese poi per diverse vie, la carestia era tale, che se non avevano questa uscita, bisognava pigliassino partito. Nacquene ancora, che molti di quegli rimessi nelle facultá e beni loro vicini a Pisa, hanno, come è stata ferma opinione, sempre aiutato occultamente quegli di drento, e nondimeno, non se n’avendo vera notizia, è stato necessario conservare la fede. A questi mali, nati per imprudenzia nostra, si aggiunse uno caso di fortuna, perché e’ legni dello Albertinello per tempesta si ruppono, e cosi sendo aperta la via del mare, vi entrò per ordine de’ genovesi, sanesi e lucchesi tanto grano che scamporono la fame. In questo verno el re di Francia si trovava in extremis, perché avendo avuto uno male lungo, e caduto, secondo el giudicio de’ medici, in ritruopico, si stimava inrimediabile; e però lui non avendo figliuoli maschi, e veduto che el regno ricadeva a monsignore di Anguelem, giovanetto, disfece el parentado della figliuola sua col figliuolo dello arciduca, e maritolla a Anguelem; el quale non si trovando in corte, si partirono molti signori di corte a visitarlo come nuovo re, tanto si credeva per ognuno che el re lussi spacciato. E cosi in Italia essendo sollevati gli animi, monsignore Ascanio che si ritrovava in Roma, perché richiesto da Roan non era voluto tornare in Francia ed erasi fatto assolvere del giuramento da papa Pio, parendogli tempo a ricuperare lo stato di Milano ed avendo, come si credette, intelligenzia col papa e viniziani, e co’ danari sua o di altri condotto Bartolomeo d’Albiano. e cosi favorito da Consalvi Ferrando e seguitandolo Pandolfo [p. 275 modifica] Petrucci e, come si vedde poi, Giampaolo Baglioni, disegnò con queste forze prima cavalcare in sul nostro e rimettere el cardinale e Giuliano de’ Medici in Firenze, e cosi fatto uno stato a suo proposito e del quale si potessi valere, andarne alla volta di Milano, dove in sulla morte del re pareva la vittoria facilissima; el quale apparato presentendosi, aveva molto sollevato ed insospettito gli animi della cittá, tanto che ne venne l’anno seguente.