Teoria della relatività/La relatività particolare/I nuovi fatti/Esperienza di Michelson

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Esperienza di Michelson

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b) L’esperienza di Michelson


Il risultato dell’esperienza di Fizeau pone naturalmente un nuovo problema, quello della propagazione della luce nel mezzo in movimento per un osservatore facente parte di questo mezzo. Ci [p. 25 modifica]si doveva attendere di constatare un’azione corrispondente a quella trovata per il suono allorché si riferisce il suo movimento non piú alla riva, ma alla nave in marcia. Immaginiamo dunque un osservatore che accompagni l’aria nel tubo di Fizeau e così piccolo che non possa vederne le pareti. Non potendo egli riferire ad esse il suo movimento e in conseguenza metterlo in evidenza, poiché tutto l’universo che può conoscere si muove con lui nella corrente d’aria, egli si considererà come in quiete. Supponiamo ch’egli determini la velocità della luce attraverso la sua atmosfera; per un raggio, il fatto di avere oppur no raggiunto un punto determinato ad un dato istante è, senza dubbio alcuno, assolutamente obiettivo e non può essere interpretato in modo differente, quali che siano la posizione e il movimento dell’osservatore. Ora, poiché detto osservatore si sposta contemporaneamente alla propagazione della luce, egli determinerà senza dubbio (questa conseguenza sembra inevitabile) nella sua propria direzione, ch’egli d’altra parte ancora non suppone, una velocità della luce piú debole che nella direzione opposta o in una direzione laterale. In conseguenza egli potrà definire la velocità della luce in grandezza e in direzione, aggiungiamo per essere esatti, “relativamente” al sistema nel quale si propaga la luce stessa.

Non abbiamo l’intenzione di esporre particolarmente l’esperienza del Michelson; essa presume a tutta prima alcune cognizioni matematiche molto semplici del resto, e per di piú è stata sufficientemente descritta in opere di volgarizzazione [p. 26 modifica]nelle quali il lettore curioso può ritrovarla. Notiamo semplicemente una difficoltà: le estremità dei percorsi luminosi di due raggi sorti da una stessa sorgente, l’uno nel senso della corrente d’aria, l’altro in senso inverso, non coincidono, mentre che il metodo interferenziale ha bisogno della riunione dei due fasci separati. Si è tuttavia arrivati a sormontare questo ostacolo per mezzo di una disposizione geometrica molto ingegnosa, disgraziatamente però a detrimento della grandezza dell’effetto da constatare. Perché esso fosse ancora misurabile bisognava trovare un movimento del mezzo ben piú rapido di quello di cui si disponeva nell’esperienza di Fizeau; il piú rapido possibile era quello della terra sulla sua orbita, 30 chilometri al secondo circa, appena la 1/10.000 parte della velocità della luce.

È dunque questo movimento che il Michelson ha scelto, e del resto l’interesse particolare che gli si annette l’avrebbe imposto anche senza questa ragione. Si trattava dunque di sapere se, per l’osservatore trasportato dalla terra, la luce si propaghi nel senso del movimento piú rapidamente che nel senso inverso e di misurare la differenza. La straordinaria importanza della risposta, anche per l’astronomia, salta agli occhi. Noi infatti conosciamo il movimento della terra intorno al sole, ma non abbiamo che delle nozioni incomplete di quello del sole rispetto alle stelle fisse, cioè a dire nell’universo, e, dato lo stato attuale dell’astronomia, dovremo forse continuare le nostre osservazioni ancora per dei secoli prima di poter risolvere questo problema in [p. 27 modifica]una maniera, se non soddisfacente, almeno piú soddisfacente che oggi: ora, l’esperienza del Michelson sembrava offrire la possibilità di ottenere di un sol tratto la soluzione di una questione tanto importante e tanto ardua, e giustificava per questo il lusso straordinario e la cura minuziosa con i quali la si è tentata.

A rigor di termini non si sarebbe potuto considerarne il successo come una confutazione del principio di relatività. Nell’esempio che noi abbiamo parecchie volte ricordato, abbiamo misurato non la velocità assoluta della nave, ma la sua velocità in rapporto al sistema nel quale si propaga il suono: l’aria. Parimenti l’esperienza del Michelson non avrebbe fatto conoscere il movimento assoluto della terra, ma la sua velocità relativa al sistema nel quale si propaga la luce, l’etere. Non sarebbe stata, è vero, altro che una concezione puramente teorica, una formola destinata a salvare il principio ad ogni costo. L’etere, considerato come l’ipotesi indispensabile per la propagazione della luce, riempe l’universo intero che i nostri sensi percepiscono alle piú lontane profondità siderali. Filosoficamente si può ammettere che un movimento in rapporto all’etere si distingue da un movimento in rapporto allo spazio vuoto: dal punto di vista pratico, fisico e sperimentale, tal distinzione non ha senso. La riuscita dell’esperienza non avrebbe dunque permesso che un salvataggio platonico della relatività.

Ma i risultati delle prime prove nel 1881, e del tentativo ripreso con maggior precisione nel 1887 furono assolutamente negativi. Col suo [p. 28 modifica]apparecchio tanto perfetto, Michelson confrontò la velocità della luce in tutte le direzioni possibili senza trovare la benché minima differenza. Ricominciò in altre stagioni, quando cioè l’orientamento del movimento terrestre in rapporto alle stelle fisse era cambiato, ma invano. Non vi era quindi da dubitare del movimento della terra intorno al sole! Bisognava concludere che tale movimento fosse in qualche modo neutralizzato da un movimento d’insieme del sole e di tutto il suo sistema planetario di velocità esattamente uguale, ma di senso contrario, il che avrebbe lasciato la terra in quiete in rapporto alle stelle fisse? Ma questa circostanza non poteva verificarsi che per una sola posizione della terra sulla sua orbita e non spiegava la non riuscita dell’esperienza in differenti epoche dell’anno. Infine notiamo che la precisione era tale che, anche se l’effetto prodotto non fosse stato che il 1/100 dell’effetto calcolato, non avrebbe potuto passare inosservato.

Riassumendo, riprendendo la nostra formola ordinaria, potremo dire: “Se da un sistema in movimento misuriamo la velocità con la quale vi si propaga la luce, noi constatiamo che questa propagazione avviene in questo sistema.