Trattato de' governi/Libro quarto/IX

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Libro quarto
Capitolo IX:
Se ciascuna delle parti conte debbe comunicare in tutti li esercizi o no

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Aristotele - Trattato de' governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro quarto
Capitolo IX:
Se ciascuna delle parti conte debbe comunicare in tutti li esercizi o no
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[p. 162 modifica]Ma essendosi determinate queste cose nel modo detto, veggiamo conseguentemente, se ciascuno dei conti debbe in tutti questi esercizi comunicare; perchè e’ può molto bene essere, che tutti li particulari uomini detti possino essere, e contadini e artefici, e consiglieri e giudici: ovvero si debbe mettere ciascuno separatamente allo uffizio suo; ovvero è me’ porre degli uffizî detti parte separati, e parte comuni a più d’uno. Ma non già in ogni modo di governo, come io ho detto. Perchè egli è possibile, che in certi governi ogni uomo vi partecipi d’ogni cosa, e in certi che non tutti partecipino d’ogni cosa; anzi che in certi tutti non vi partecipino di certe. E questo modo diverso di partecipare fa diversi gli stati, conciossiachè negli stati popolari ogn’uomo sia d’ogni cosa partecipe, e negli stati stretti s’usi l’opposito.

Ma perchè io son qui per fare considerazione d’un governo, che sia ottimo, e tale è quello [p. 163 modifica]mediante il quale la città sia felice il più che si può, e che la felicità non possa aversi senza virtù ho io detto innanzi, però è manifesto, che in una città, che abbia buon governo, e dove sieno cittadini veramente buoni, e non buoni per supposizione, che in tale non vi debbino li cittadini vivere di vita vile, nè artigiana; perchè tale vita è ingenerosa, e alla virtù inimica; nè ancora debbono tali cittadini lavorare la terra, perchè l’acquisto delle virtù si fa con ozio. E le civili azioni da queste cure debbono essere disgiunte.

Ma restandoci la parte di chi tiene l’arme, e quella di chi consiglia delle cose utili, e che giudica delle cose giuste e ingiuste, però tali pare, che massimamente sieno della città parte. Ma debbono questi tali che giudicano, e che hanno l’arme, esser diversi nella città? ovvero debbono darsi ai medesimi gli esercizî detti? La determinazione è, che e’ si debba commettergli a diversi in un certo modo, e in un certo modo a’ medesimi; perchè in quanto che a diverso fiore d’età si debbe commettere diverso uffizio, convenendosi all’uno la prudenza e all’altro la forza, a diversi si debbono commettere. E quanto che egli è impossibile cosa, che chi ha in mano l’arme da potere forzare altri, patisca di sempre stare sottoposto (che invero chi è padrone dell’armi, è padrone di mantenere, e di rovinare lo stato) si debbe reputare che e’ sieno commessi alli medesimi.

E però ci resta a conchiudere, che all’una parte, e all’altra si debba mettere in mano il governo, ma non nel tempo medesimo, ma quando l’ha ordinato la natura stessa; essendo la gagliardia nei giovani, e la prudenza nei più antichi. E così è utile e giusto, che sia distribuita la cosa. E questa siffatta divisione ha il conveniente.

Ma e’ bisogna ancora, che questi tali abbino facoltà, non dovendo mancare la roba ai cittadini, e questi essendo cittadini veramente, perchè la plebe non [p. 164 modifica]partecipa della città, nè nessuna altra sorte di gente, che di virtù manchi. E ciò ci si manifesta per la supposizione fatta, perchè egli è, dico, di necessità, che l’essere felice sia congiunto con la virtù; nè città felice si debbe dire quella, che sia in una sola parte, ma quella che abbia la felicità in tutti li cittadini. È chiaro ancora, che le possessioni debbono essere di questi tali, posto che li contadini debbino essere servi, o barbari, o liberti.

Restaci a far menzione infra le contate parti di quella dei sacerdoti. E l’ordine di questi è ancora manifesto, che e’ non si debbe constituire sacerdote, nè un contadino, nè uno artefice, essendo cosa ragionevole, che gli Dii siano onorati dai cittadini. E perchè la città si divide in due sorti d’uomini, in quella, dico, che ha l’arme, e in quella che consiglia, e convenendosi dare alli Dii il lor culto, e li vecchi dovendosi riposare dalli civili esercizî, però a tali si debbe commettere la cura del sacerdozio. Delle parti adunche, senza le quai non si può constituire la città, e di quelle, che sono sue parti propie, s’è detto; cioè che li contadini, gli artefici, e che tutta la vil gente debbe essere nella città come necessaria; ma che parte vera della città son li cittadini che han l’arme, e quei che la consigliano. E ancora s’è determinato, che tali sono diversi l’un dall’altro; questi dico sempre, e quegli ora sì, e ora no.