Vai al contenuto

Trattato di archeologia (Gentile)/Arte etrusca/II/Pittura

Da Wikisource.
C - Pittura etrusca

../Appendice II ../../III IncludiIntestazione 2 febbraio 2023 100% Da definire

II - Appendice II III - III
[p. 154 modifica]

C. — Pittura etrusca.


I. — Osservazioni generali.


La pittura fu molto esercitata dagli Etruschi, ma limitata alla decorazione. La compiacenza nella vivacità del colore si mostra nell’uso di colorire le parti architettoniche, dipingere i rilievi dei sarcofaghi e perfino le statue. Questa predilezione per la policromia tiene ancora qualche cosa dell’infantile, mostrando inclinazione all’effetto, senza intelligenza o cura di naturalezza. Così ad esempio, in pitture etrusche si vedono bizzarrie d’animali, metà di un colore e metà di un altro, cavalli rossi con criniera azzurra, o cavalli interamente azzurri con unghie rosse o verdi. La pittura etrusca vincolata quindi dal simbolismo ieratico, limitata ad arte decorativa, non ebbe libero sviluppo; manchevole la composizione delle figure; mediocre il disegno, senza chiaroscuro, senza rilievo dei corpi; il colorito convenzionale, inteso all’effetto, o voluto da una significazione simbolica.

Dai grandi dipinti murali nelle tombe noi abbiamo i migliori documenti della pittura etrusca; questi dipinti risalgono in parte a remota antichità, ma forse non come farebbe credere Plinio [p. 155 modifica]anteriori alla fondazione di Roma1. Le rappresentazioni solitamente si riferiscono ai riti funebri e alla condizione delle anime dopo la morte, banchetti funebri con uomini e donne sedenti su triclini, incoronati con musiche e danze, quasi a indicare la beatitudine dell’anima dopo la morte; caccie, corse, ludi gladiatori, scene mimiche e comiche (ved. tav. 36 e 37), a propiziazione in favore dell’estinto per divinizzarlo, come il cristiano con le preghiere e con le funzioni pei defunti ha fede di contribuire alla sua beatitudine eterna (vedi Atl. cit., tav. XXXII; Achille sacrifica ai Mani dell’amico Patroclo. Si hanno inoltre rappresentazioni di anime discendenti all’Averno, condotte da genî buoni e da genî mali; soggetti infernali tolti alla mitologia come la tomba dell’Orco a Corneto; genî e divinità infernali fra cui Charun, col naso adunco, lunghi denti, serpi attorgigliati al corpo, carnagione verde. Si aggiungono animali e mostri fantastici, disposti sopra il fregio fra l’incorniciatura e le volte, con fascie di ornamentazione spesso assai belle. La colorazione era anche applicata alle figure scolorite sui sarcofaghi, ornati spesso di pitture a tempera sullo stucco, simulanti l’effetto del bassorilievo2. Talvolta nel mezzo delle pareti sono dipinte porte chiuse che, simboleggiano l’ingresso al mondo delle anime, non più rivarcabile, e insieme dividono in due campi la rappresentazione. Le figure staccano con le tinte chiare delle carni, coi colori vivaci delle vesti sul fondo or bruno, or rossastro delle pareti a stucco, [p. 157 modifica]e stanno allineate, con poca prospettiva, e con rari particolari, come tra figura e figura frondi e rami (ved. tav. 40 a e b), allusivi talora agli alberi dei giardini d’Eliso. Le figure sono disegnate a contorno, gli spazi interni riempiti di colore; nella colorazione c’è ricerca di effetto.


II. — Le due scuole pittoriche principali.


Come si è veduto nella plastica, così nella pittura etrusca vi sono due periodi e due scuole o maniere: l’arte arcaica nazionale o toscanica; l’arte etrusco greca. Queste due scuole hanno avuto una successione cronologica, e poi vissero anche insieme. Nelle pitture del periodo arcaico vi è la solita rigidezza di disegno, durezza di atteggiamenti e di mosse, con sforzo d’imitazione della realtà; le figure non mancano di rilievo, ma stanno allineate; manca la viva espressione dell’azione, mancando l’accordo fra il concetto e l’esecuzione artistica.

Succede un periodo intermedio fra l’arte nazionale e l’arte di scuola greca, in cui c’è un arte più libera ed agile. Infine nel seguente periodo dello stile compreso nell’influenza greca, vi è un passo alla maniera propriamente pittorica (ved. tav. 38 e 39); l’artista padroneggia gli strumenti dell’arte; traduce copia maggiore d’idee, mostra sentimento del bello, piena intelligenza delle forme; sollevandosi oltre la stretta imitazione della realtà, tende a nobilitare i soggetti; i volti prendono espressione e tengono del profilo greco (ved. tav. 41); le vesti seguono le movenze con leggerezza di pieghe e di svolazzi (ved. tav. 40 b). È probabile che tale influenza venisse dalle scuole surte nel tempo dei Diadochi.

Tavole

[p. T modifica]

Danza bacchica e caccia.


(Tomba della Querciola presso Corneto).



Tavola 36.


Ved. Melani, Manuale di pittura italiana antica e moderna. Milano, Hoepli, 2^ ediz. tav. II. [p. T modifica]

Pitture chiusine rinvenute nell’anno 1833.


I. Danze e ludi vari. ― II. Corse di bighe.



Tavola 37.


Ved. Monumenti inediti pubblicati dall’Istit. di Corr. Archeol. di Roma, vol. V. (1849-53), tav. XXXIII; cfr. E. Braun in Annali Ist. Corr. Arch. 1851, p. 268-278. [p. 156 modifica]

Dalla tomba del Citaredo a Corneto.



Tavola 38. - Testa di un citaredo.


Ved. Ann. Inst. Corr. Arch. di Roma, 1863, tav. d’agg. M, e dall’opera di Jules Martha, L’art étrusque, pag. 438, fig. 289.


Dalla tomba del Citaredo a Corneto.



Tavola 39. — Testa di una danzatrice.


Ved. Ann. Ist. Corr. Arch. di Roma. 1863, tav. d’agg. M, e l’opera di Jules Martha, L’art étrusque, pag. 438, fig. 290. [p. 158 modifica]

Danza bacchica.


(Tomba del Triclinio a Corneto).



Tavola 40 a.


Ved. Melani, Manuale di pittura cit., 2ª edizione, fig. 1.


Danza bacchica.


(Tomba del Citaredo a Corneto).



Tavola 40 b.


Ved. Melani, Manuale di architettura cit., 2ª ediz., fig. 12.

[p. 159 modifica]

Dalla tomba dell’Orco a Corneto.



Tavola 41.


Ritratto di Arnth Velchas


Ved. Monumenti, IX, tavola XIV; Jules Martha, L’art étrusque, cit., pag. 398, fig. 271.

Note

  1. Ved. Plinio, N. H., XXXV, 6. Egli dice che i dipinti di Ardea, città per lo meno di occupazione etrusca, siano anteriori alla fondazione di Roma.
  2. Ved. p. es., Annali Ist. Corr. Arch., 1873, pag. 239.