Tre donne/X

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X — Il destino

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IX XI

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CAPITOLO X.

Il destino.

Dopo alcune annate discrete, i contadini sanno per esperienza che arriva una annata sterile; sembra che la terra senta il bisogno di riposarsi. Non vi sono malattie, non flagelli straordinari; senza causa apparente, il raccolto si annunzia scarso, e i contadini cominciano a impensierirsi. Ma troppo spesso altre sciagure sopraggiungono: i bachi da seta vanno male per una delle mille cause impreviste che possono danneggiarli: un freddo fuori di tempo rovina i teneri germogli, malattie misteriose, crittogama o filossera, si attaccano alle povere piante; e i contadini, che non intendono nulla dei discorsi scientifici degli intelligenti, profetizzano però con rara perspicacia le conseguenze immediate di [p. 124 modifica]quelle oscure parole. E tali conseguenze sono: miseria e fame!

Quell’anno la carestia batteva in vari punti della bassa pianura lombarda. E i bachi erano andati male; parte, perchè il freddo aveva bruciata la foglia in primavera: parte, perchè il caldo eccessivo e precoce li aveva paralizzati nel momento difficile in cui si preparavano a filare.

— Dopo tante fatiche!... — Dopo tanta spesa!... — gemevano le povere donne.

— È l’annata cattiva — dicevano i fittabili — passerà. Ci vuol pazienza. Ma i contadini scrollavano il capo.

Era il flagello! Dio li puniva. Da dieci mesi — dalla scomparsa di don Giorgio Castellani con la Cristina — il nuovo curato, un uomo austero, dalla mente ristretta, pieno di terrori, preconizzava dal pergamo il castigo di Dio.

Non osando attaccare il suo antecessore, il cui romanzo amoroso lo empiva di ribrezzo, egli si scagliava contro i cattivi costumi generali: la irreligiosità dei padroni, vale a dire, dei fittabili, chè di veri padroni ve n’ha ben pochi che abitino [p. 125 modifica]in quelle campagne; i vizi dei contadini. E la sua voce tonante, la sua rettorica rozza, ma non priva di una certa efficacia, finiva di intontire quei poveri ignoranti abituati alle mitezze del Castellani.

In tali emergenze, col formentone che stentava a crescere e il riso che pareva malato, sentendosi addosso il terrore della miseria, nella prospettiva di uno squallido inverno senza scorta di denaro nè di derrate, i più increduli erano scossi, e la chiesa si empiva.

Pietro Rampoldi, minacciato più di tutti, dava il buon esempio tra quelli di Val Mis’cia. Il grosso podere che aveva dato quasi l’agiatezza alla famiglia, fino che i due fratelli rimanevano uniti, diveniva ora per lui solo un peso esorbitante. Ma egli si ostinava a tenerlo, e nulla angosciava tanto il suo cuore di contadino, quanto il pensiero che il padrone lo mandasse via. Per ciò si sforzava a lavorare senza posa; spendeva i piccoli frutti del lungo risparmio in tante giornate di opere; lasciava che la Virginia finisse di rovinarsi in un lavoro superiore alle sue forze, e finalmente si attaccava al fratello, cercava di sfruttarlo con promesse, con blandizie. [p. 126 modifica]

Sandro, che si era lasciato riprendere dalla cognata, si faceva in quattro — come dicevano i paesani — per accontentare il fratello e la cognata insieme. In fondo, nella sua coscienza non totalmente atrofizzata, egli si sentiva sollevato dal proprio rimorso, tanto più, quanto più riesciva a rendersi utile a quel fratello che tradiva. La sua rozza onestà gli diceva che tutto quel lavoro, fatto senza interesse, era in certo modo un compenso al tradimento.

Forse egli non giungeva fino a pensare che Pietro, tutto intento a sfruttarlo e a tirarlo via di casa, parlandogli male della povera Maria, non meritava poi tanti riguardi; ma se non vi pensava liberamente, certo ne intuiva qualche cosa.

Intanto il calore eccessivo peggiorava le condizioni sanitarie. La minestra mal condita con poco olio di linosa, era spesso composta di riso bacato; e il grano fermentato forniva qualche volta la farina per la polenta. Le febbri infierivano fra le mondaiuole. Si parlava di tifo e d’altri malanni. Alla Cascina Grande, Maria Rampoldi non poteva rimettersi dopo quella ca[p. 127 modifica]tastrofe che aveva chiusa in una piccola bara la sua grande speranza di maternità.

— È l’aria cattiva di quest’anno! — dicevano le comari.

— È un po’ perchè non t’importa di guarire! — diceva il medico rampognandola.

Era forse vero.

A ventiquattro anni Maria si sentiva fuori della vita. Sapeva che Sandro andava sempre in Val Mis’cia per aiutare il fratello facendosi strapazzare dal padrone, perdendo molte giornate di lavoro, inventando scuse che non sempre venivano accettate.

Ella fingeva di non sapere. Invano le altre donne le andavano dicendo che Sandro faceva tutto per la Virginia, che erano sempre insieme, che parevano due sposi. Oppure, che il padrone della Cascina Grande era stufo, e che aspettava soltanto di cogliere il suo uomo sul fatto per cacciarlo e metterlo in istrada. Oppure, che se lo teneva ancora, era per lei, soltanto per lei; perchè tutti avevano compassione di lei, poverina, così sfortunata; e perchè il signor dottore la raccomandava. [p. 128 modifica]

Ella rimaneva a capo basso, le braccia conserte, mormorando appena:

— Che cosa devo fare?... Sandro non mi dà retta.

E non pareva inquietarsi di più. Il suo amore, nato di gelosia in un momento di spasimo, si illanguidiva a poco a poco come una pianta delicata che il gelo consuma.

Aveva sofferto tanto per quell’uomo: non poteva soffrire di più.

D’altra parte, quella bimba nata morta le aveva rapito forse per sempre la speranza di una nuova maternità. Dunque.... tutto era finito.

— Ha voluto che pensassi sempre a lei! — diceva la povera contadina con quel senso arcano d’intima poesia che la distingueva.

Avrebbe voluto morire, perchè si rodeva di non poter lavorare come prima, nè rendersi utile in alcun modo.

Si sentiva vecchia, e non era mai stata così bella. La malattia che le vietava i lavori troppo faticosi, non la danneggiava ancora esteticamente, anzi, le giovava. La sua carnagione, imbrunita [p. 129 modifica]dal sole, ritornava bianca; e i lineamenti regolari, ma un po’ guastati dall’impronta di volgarità che la troppa salute dà qualche volta alle giovani campagnuole, si affinavano, acquistavano, nel languore della malattia, una espressione nuova, penetrante. Nè ancora il dimagrimento nuoceva alla perfetta armonia delle forme scultorie che apparivano più eleganti sotto al vestito liscio e aderente.

Sandro, tutto assorto nella sua cieca passione per la cognata, non s’accorgeva neppure, come non s’era mai accorto, di avere al fianco una così bella donna. Egli avrebbe voluto vederla forte e attiva come un tempo, ora che ne avrebbe avuto più bisogno che mai. E s’irritava col medico, che, secondo lui, menava la cura troppo per le lunghe. E diveniva aspro, inquieto. Per ciò le sere in cui, finito il lavoro, invece di vederlo entrare in casa a cenare, essa lo vedeva avviarsi verso Val Mis’cia, per lavorare al chiaro di luna nei campi del fratello, non provava alcun rincrescimento, bensì piuttosto un vago senso di sollievo. [p. 130 modifica]

Cuciva, filava, custodiva i bimbi malati delle povere donne che non potevano restare a casa; e il suo dolce sorriso, la sua bontà e quel bisogno di sacrificarsi al bene degli altri, la rendevano carissima a tutti. Era la consolazione di quelli che soffrivano.

Una sera capitò nella corte una vecchia che girava di tratto in tratto per quelle campagne vendendo le noci dorate col destino dentro. Costei si fermò davanti a Maria e le mormorò freddamente:

— Voi, sposa, andate incontro a una disgrazia e a una fortuna. La disgrazia metterà sottosopra il paese. La fortuna, se voi non saprete agguantarla, vi sfuggirà.

— Oh! per questo — esclamò una ragazza che ascoltava — ci vuol poca bravura a predirglielo: lei non saprà mai agguantare la fortuna!

— E la disgrazia? — domandò Maria sorridendo.

— La disgrazia — riprese la dispensatrice dei destini — potrebbe essere anche una fortuna per voi!... Si potrebbe affrettarla avvertendo [p. 131 modifica]Pietro di quello che succede... Per un po’ di denaro c’è chi lo farebbe...

Maria soffocò un grido e scappò via indignatissima e afflitta.

La vecchia s’allontanò tutta imbronciata. Aveva sbagliato.