Un bel sogno/II

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I III

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II.

Aveva appena scossa la corda del campanello, che risuonarono dall’interno della casa esclamazioni di gioja. Venne tosto aperto, ed apparve sulla soglia madamigella Letizia seguita da una bella ragazza che appena vide Ermanno si mise a gridare:

— Eccolo, eccolo, è desso!

Il giovane fu introdotto nella sala della signorina Letizia, che nell’addurlo per mano gli disse:

— Questa volta non ci scappa più.

Non furono neccessarie tante cerimonie di presentazione, giacchè la madre di Laura già conosceva Ermanno; in quanto a madamigella Laura nel suo eccesso di espansione aveva già tolto il cappello e la canna di mano al giovane con tale confidenza come se da molto tempo lo conoscesse.

— Tu ne sarai sorpreso, disse Alfredo, ma mia cugina ti conosce già intimamente; ella sa tutta la tua storia; epperciò non è il caso di stare in complimenti.

— Oh! si davvero, sclamò Laura vivamente, il signore era già una mia conoscenza prima ancora che lo vedessi; domandi alla mamma quante volte abbiamo parlato di lei. Alfredo mi fece siffattamente l’elogio del suo talento per la musica, che non avrei avuto più pace se non mi veniva dato di udirlo.

— Il caro Alfredo ha troppo zelo a mio riguardo, rispose Ermanno sorridendo, e sarò a lui debitore se la mia poca abilità non corrisponderà affatto alle troppo grandi aspettative di madamigella.

— Via signorino, ella vuole rimpicciolirsi per [p. 19 modifica]apparire poi più grande, interruppe Letizia. Intanto Laura aveva già preso Ermanno per il braccio, e tirandolo dolcemente lo fece sedere al pianoforte dicendo:

— Animo, favorisca di suonare quel notturnoAl chiaro di luna — ne conosco già una parte.

— Davvero? chiese Ermanno.

— Ma sì, il cugino Alfredo aveva la compiacenza di cantarlo.

Ermanno era confuso, giammai egli aveva incontrato un carattere così vivace, ed ingenuo. Sedendo al piano, alzò gli occhi sulla giovinetta che si era posta a lui di fianco, e stette a contemplarla, anzi ad ammirarla.

Alfredo non aveva punto esagerato; Laura era di una bellezza sorprendente. Nulla di più soave del suo occhio ceruleo improntato di una vivacità straordinaria; in quello sguardo brillava un misto d’ingenuità e civetteria che formava uno strano contrasto. Una bella fronte di neve contornata da ricchissima capigliatura, bionda come quella di un cherubino.

Il complesso della persona gareggiava in vezzi colla soavità del volto, e l’insieme di quella figurina era di una eleganza statuaria.

Ermanno rimase colpito; giammai egli aveva vista fanciulla più bella, giammai nelle ricerche della sua fantasia d’artista, erasi immaginata una realtà così seducente. Abbassò lo sguardo dal volto di lei, e sfiorando colle mani la tastiera del pianoforte, improvvisò uno Scherzo, una specie di Capriccio delicato come le idee che gli si erano destate nell’anima contemplando quella gentil creatura.

Laura stette ad ascoltare senza batter palpebra, e quando egli ebbe terminato, ella corse ad abbracciare la cugina Letizia mormorando: Oh come suona bene! [p. 20 modifica]

— Improvvisato, improvvisato! non è vero? chiese Alfredo premuroso.

Ermanno rispose affermando col capo.

Laura e Letizia si erano frattanto avvicinate al piano.

Noi non sapremmo dire come e perchè, ma è certo che il volto di Laura si era acceso d’un colore insolito, e se un mano indiscreta si fosse posata sul di lei cuore, ne avrebbe sentito i moti più agitati.

È possibile che ella abbia potuto penetrare nel sentimento di quel Capriccio suonato da Ermanno?.....

..... Forse sì; havvi una corda nel nostro cuore che se viene scossa rivela confusamente il perchè del suo eccitamento; d’altronde lo sguardo di Ermanno esprimeva qualche cosa in quell’istante; era un’espressione quasi impercettibile che però fece palpitare la giovinetta, la quale per istinto ne aveva forse compreso il significato prima ancora che Ermanno potesse spiegarselo — quel pensiero melodico non poteva essere inspirato che dall’esame fatto sul volto della fanciulla, e l’emanazione di quel concetto fu tanto rapida ed improvvisa che la stessa mente che lo aveva concepito, non potè prima tradurne il senso all’intelligenza.

Ermanno aveva creata una melodia senza accorgersene sotto l’impressione della bellezza. Laura aveva indovinato col cuore.

Quel Capriccio voluttuoso, carezzevole, quei tocchi graziosi delle note spiranti la mollezza, suonarono come soave linguaggio nel cuore della fanciulla, che senza comprenderne il vero significato, pure dall’accento, dalle vibrazioni, aveva scoperto in quel concetto un saluto d’ammirazione.

Ermanno dal canto suo aveva rimarcato il leggiero rossore di quelle guancie; incontrando una seconda volta lo sguardo di Laura, vi trovò l’espressione di un turbamento interno. [p. 21 modifica]

— Al notturno, interruppe Letizia.

— Sì, sì al notturno, ripetè Laura, saltellando per la sala, onde nascondere l’emozione cagionatale dallo sguardo di Ermanno.

Tutti si raccolsero attorno al pianista; Laura si collocò dietro a lui e guardava sul piano passandogli lo sguardo giù per le spalle, — Letizia a destra Alfredo a sinistra.

Fin dalle prime note d’introduzione, quegli entusiasti d’uditori cominciarono a trattenere quasi il respiro, ed era bello il vederli immedesimati nel carattere della musica di cui ne seguivano tutte le gradazioni. Dopo l’introduzione seguiva un’adagio sulle corde basse, e la mollezza di quel canto era tanto dolce, tanto insinuante, che negli occhi di Laura vi brillò una lagrima di tenerezza. La povera giovinetta non era più sulla terra, pareva che cercasse in quelle note un’espressione, un’accento che le facesse più chiaro ciò che le passava per la mente, giacchè in quei suoni ella vi trovava un significato, e sembravale di sentirsi parlare in cuore da una voce affettuosa e cara già conosciuta, già udita altra volta.

Mentre Ermanno suonava, sentivasi l’alito di lei sfiorargli la guancia, ed eragli tanto soave quella carezza, che per prolungarne la durata fece ritornello sull’ultima parte del notturno, aggiungendovi una lunga cadenza così ben trovata, così morbida, che Laura rapita dall’effetto, lasciò cadere le mani sulla spalla di Ermanno appoggiandovisi sopra leggermente.

Il giovane fu scosso a quel tocco, l’emozione rese tanto delicato il senso del tatto in quel punto ove le mani si posarono, che gli parve di accarezzarne le graziose dita.

Letizia alzò lo sguardo su Laura, e sorrise nel vederla in tale abbandono; la giovinetta arrossì, e ritirò [p. 22 modifica]lestamente le mani. — Si suonò dell’altra musica, indi fu concessa un po’ di tregua al povero pianista che era tutto in un sudore, ed allora si appiccò una conversazione animatissima. Parlarono di musica, di teatri e di mille cose che sarebbe follia ripetere; basti notare che la chiacchierata durò due ore. In tanto tempo si possono dire molte cose, due ore sono lunghe con una nojosa compagnia, ma parvero due istanti specialmente a Laura, e diciamolo pure ad Ermanno.

Durante quel lungo discorrere i loro sguardi s’incontrarono parecchie volte, e lasciamo immaginare al lettore cosa poterono dirsi quegli occhi. Non staremo certo a svelarne i dolci misteri, ci manca il coraggio di accingerci a tanto, giacchè gli occhi parlano spesso assai più della lingua, ed il loro silenzio è tanto eloquente da rendere inetta la parola ad esprimere tutto ciò che possono racchiudere.

L’allegrezza di Laura in quella sera fu portata al colmo; ora saltava, ora rideva; talvolta abbassavasi all’orecchio della cugina mormorandole sommesse parole, mentre di sottecchi sorrideva ad Alfredo ed Ermanno, come se essi potessero indovinare ciò che ella diceva.

A taluni parrà alquanto esagerata questa subita espansività, ma noi possiamo affermare che quel brio, quella spontanea allegria sono naturali nelle ragazze che da poco lasciarono le mura di un collegio, ove imparano a desiderare il mondo colle sue illusioni e le sue libertà. Ai primi soffii d’aria libera che le sfiorano il viso, esse si esaltano, si commovono, e vorrebbero nel loro entusiasmo abbracciare l’universo intiero; il mondo traveduto nei vergini sogni si presenta ad esse come un mazzo di fiori freschi e profumati ma, non sanno ahimè che quel profumo stordisce, che quell’aria balsamica spesse volte uccide! [p. 23 modifica]

Ermanno si sentiva commosso nel mirare quella fanciulla così bella e felice; l’occhio del giovane errava spesso a fare, un’esame troppo scrutatore di quelle bellezze, talchè Laura accorgendosene ne arrossiva sorridendo, mentre con infantile civetteria si guardava negli specchi.

Il tempo, quel giudice crudelmente imparziale segnò le undici ore sull’inesorabile Clepsidra, ed una torre lontana rispose a quel segno a colpi di squilla.

— Undici ore? chiese Letizia.

— Propriamente, rispose Alfredo guardando il pendolo.

— Diggià! mormorò Laura un po’ uggiosa.

— Allora, disse Ermanno alzandosi, me ne vado.

— Oh non ancora, sclamò Laura, bisogna suonare anco una volta il notturno.

Ermanno si rimise al piano, e Laura riprese la stessa positura. Il notturno era piuttosto lungo, e la stagione non troppo favorevole per una lunga fatica al piano, per cui alla fine del pezzo Ermanno aveva la fronte madida di sudore; Laura se ne accorse, titubò alquanto, guardò prima Letizia, poi Alfredo; indi per un moto quasi involontario trasse il fazzoletto e lo passò leggermente sulla fronte del giovane pianista, il quale la ringraziò con un dolce sorriso.

Ermanno non si potè partire da casa Ramati senza prima aver promesso di tornarvi alla dimane, ed ancora mentre stava per scendere le scale, Laura trattenendolo per mano sclamò: Si ricordi che l’aspettiamo!