Un romanzo/XXIII

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XXII XXIV

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XXIII.

L’indomani era una stupenda giornata. Cadeva la prima quindicina di marzo e Giulia assettandosi il vestito da viaggio pensò che due anni prima, quasi nel medesimo giorno si vestiva per un altro viaggio e con ben altri pensieri pel capo.

— Questa combinazione di date la rese malinconica, discendendo nelle stanze della signora Chiara si asciugava gli occhi molli di pianto.

La signora Chiara l’aspettava con un paio di tavolette di cioccolata e un cartoccio di mentini per i non si sa mai che possono accadere viaggiando.

Anche Pompeo era pronto — aveva un lungo soprabito grigio, cappello basso e un plaid scozzese.

Vedendoli uscire insieme la servetta disse piano alla signora Chiara:

— Sembrano due sposi.

— Taci scioccherella! [p. 197 modifica]

Ma Giulia aveva udito e una profonda amarezza le strinse il cuore.

Proprio come due anni prima ella sedette di fronte al suo compagno di viaggio, colla differenza che invece di guardarlo estatica mise il capo fuori dello sportello osservando colle pupille intente gli alberi sfrondati che le fuggivano davanti.

La brezza pungente di marzo non tardò a farla persuasa che si starebbe meglio a cristalli chiusi; ritirò la testa e Pompeo si affrettò ad alzare lo sportello.

— Ho in mente che la primavera tarderà quest’anno.

— Pur troppo! Chi sa quando vedremo il primo fiore!

Rispondendo così l’avvocato aveva uno sguardo pieno di tristezza — e così dolce, così affettuoso che Giulia si sentì commovere. Povero giovane! anche lui non era felice. Gli rivolse un sorriso gentile — e alludendo alla di lui tristezza soggiunse:

— Primavera in ritardo è buona garanzia per l’estate.

Egli la guardò un momento con una espressione di occhi indefinibile — sospirò e tacque.

Giulia a sua volta si sentì imbarazzata; strinse intorno al corpo le pieghe dell’ampio mantello e si rincantucciò fingendosi stanca — ma dietro le palpebre semichiuse spiava il suo compagno. [p. 198 modifica]

Chi sa il lungo giro e i sentieri viziosi che aveva percorso la sua imaginazione quando saltò su a dire:

— Crede lei che una fase felice, pienamente felice, debba arrivare per ogni creatura?

— Secondo quello che si intende per felicità — rispose l’avvocato facendosi rosso.

— Si spieghi.

— Non saprei — fece egli gettando uno sguardo sui tre signori campagnuoli che occupavano il vagone, vicini obbligati ed incomodi.

Toccò a Giulia l’arrossire — nè a dir vero sapeva perchè — e adiravasi con sè stessa di questa che ella chiamava puerilità.

Giunsero in questo mezzo alla stazione; l’avvocato incaricandosi di presentare i biglietti e di portare il piccolo sacco di Giulia infilò prestamente il viale dei pioppi.

— Come! — disse Giulia — ella non è mai stato in questi luoghi e conosce già la via da farsi?

L’avvocato parve tutto intento ad assicurare la chiave del picolo sacco, legandola con una funicella, sì che non rispose all’esclamazione di Giulia ed a costei sembrò villania l’insistere.

In dieci minuti arrivarono al podere.

Il proprietario aveva già accumulato in una specie di rimessa tutti i mobili, le stoviglie, la biancheria; [p. 199 modifica]si lagnò dei danni patiti e del cattivo procedere di Olimpio.

Giulia era sulle spine e fu riconoscente all’avvocato che troncò subito ogni disputa con un fare autorevole, molto in contrasto colla timidezza abituale.

Poi senza perder tempo in lungaggini fece venire un falegname che imballò gli oggetti fragili e legò su un carro tutti gli altri.

Taciturno, attivo, l’avvocato sorvegliava il lavoro dando consigli, prevedendo le difficoltà e non sdegnando metter mano ove occorreva.

Giulia comprese che queste erano tutte gentilezze per lei, attenzioni delicate per non affaticarla, per tutelare i suoi interessi — Olimpio l’aveva così poco avvezzata a tali premure che le riescirono doppiamente care.

Verso sera gli operai se ne andarono, ma la bisogna non era finita, e dopo aver accomodato il rimanente Pompeo perdette la corsa.

Era un contrattempo spiacevolissimo — aggravato dalla circostanza che il treno della mattina passando direttamente non riceveva i viaggiatori, di quella stazione secondaria — e alle undici ore egli aveva una comparsa in Tribunale.

Se fosse stato solo non avrebbe esitato a partire quella sera col primo mezzo che capitava, ma si guardò bene di non lasciar trapelare nemmeno un atto di [p. 200 modifica]impazienza e domandò a Giulia se le tornerebbe comodo fare il viaggio in carrozza — così restarono d’accordo per l’indomani mattina alle ore sei.

Giulia dormì al podere; l’avvocato all’albergo.

Spuntava l’alba quando la carrozzella entrò nella corte rustica e Pompeo discendendo tutto imbaccucato nel soprabito grigio mosse ad informarsi se la signora era disposta.

Giulia non si fece aspettare. Le pareva mill’anni di abbandonare per sempre quei luoghi infausti dove avea vissuto giorni dolorosi, senza nessun conforto.

Si affacciò ancora una volta a quella finestra dal cui vano aveva più d’una sera contemplate le stelle e pregalo e pianto; guardò giù e vide Pompeo che passeggiava malinconico sotto il viale dei pioppi.

Lo raggiunse frettolosa, e siccome lui non s’era accorto della di lei presenza gli appoggiò lievemente la mano sul braccio mormorando:

— Signor cavaliere....

Il giovane si scosse, strinse sotto il braccio quella mano — ma leggendo in viso a Giulia una certa espressione di meraviglia la rallentò a poco a poco finchè cadde, e si trovarono frattanto alla testa del cavallo che sonnecchiava attaccato alla carrozzella.

L’auriga era un villano vecchio e sordo; non s’era mosso dal suo sedile ove masticava tabacco, appena [p. 201 modifica]vide i due accomodati sui poco morbidi cuscini frustò il ronzino; Giulia non aveva avuto tempo di trovare una maniera qualsiasi di giacitura e mostravasi a disagio; Pompeo si strinse a ridosso del legno per lasciarle il maggior spazio possibile — nullameno le loro spalle si toccavano quasi — distese il suo plaid sulle ginocchia di lei e voleva ad ogni costo levarsi il soprabito perchè ella si lagnava del freddo.

Giulia non lo permise.

La giornata era nebbiosa e umidiccia; le vaste campagne milanesi si stendevano come un immenso lenzuolo bigio sotto un cielo del medesimo colore e la uniformità del paesaggio veniva rotta soltanto dai nudi rami degli alberi sui quali saltellavano i passeri mattutini.

Giulia tolta dal suo letto due ore prima del solito provava dei brividi voluttuosi in tutto il corpo e un desiderio infinito di riposo, di tepore — dolce stato di ebbrezza tranquilla, direi quasi intima, che le faceva chiudere le palpebre e sognare un mondo imaginario.

L’ondulamento delle molle, la brezza che l’accarezzava di sotto il velo del cappello, la luce pallida — più penombra che luce — soavemente diffusa sull’aperta campagna e Pompeo che le stava allato come un angelo tutelare, erano — è d’uopo convenirne — ausiliari potenti di quell’ebbrezza. [p. 202 modifica]

Come! come! che c’entra Pompeo?

Oh! scusatemi — Giulia aveva diciotto anni — e in quella condizione che si trovava lei l’affetto riservato di un uomo, le sue premure, le sue prove di devozione e di stima non potevano riuscirle indifferenti; se poi quest’uomo era giovane, simpatico e se il caso li aveva posti lor due soli in una carrozzella a sei ore di mattina, nel mese di marzo, colla nebbia!....

Via, una mano sul cuore e l’altra su un occhio, lettrici!

Del resto, se è vero che noi dobbiamo render conto solamente dell’uso che facciamo delle intenzioni, l’uso che ne faceva Giulia era oltre ogni dire assolvibile, poichè la poverina se ne stava tutta rannicchiata nell’angolo sepolta sotto il suo mantello e sotto il plaid di Pompeo.

— Domando perdono....

Era l’avvocato che movendo un piede l’aveva leggermente urtata.

— Le ho fatto male?

— Niente affatto.

— Si trova comoda così?

— Discretamente; ma lei ha freddo!

— No, no, no.

— Dividiamo il plaid.

— La prego! [p. 203 modifica]

E dicendo: la prego, Pompeo respingeva il plaid che Giulia s’era tolto dai ginocchi.

— Io ne avrò rimorso! La signora Chiara mi raccomandò tanto di sorvegliarla....

Era la verità, ma Giulia non potè a meno di ridere ripetendola e l’avvocato fece eco.

— Se mia sorella potesse chiudermi in una scatola e mettersi la chiave in tasca, credo sarebbe al colmo della gioja.

— Non so darle torto (rispose Giulia tirandosi il mantello su una spalla,e Pompeo l’ajutò) ella cura poco la sua salute.

— Sto sempre bene.

— Lavora troppo.

— Lavorare è dovere, per alcuni è balsamo, è oblio, è quasi felicità.

La sua voce tremava — e ne’ suoi begl’occhi timidi Giulia credette scorgere un lampo di disperazione. Vuoi vedere che sono sulla via del segreto? — pensò — e soggiunse:

— Il più delle volte noi siamo tratti in inganno sul significato di questa parola, felicità; e dopo averla inseguita in un’ombra rimpiangiamo di averla trascurata in un fatto.

Esprimendo quest’opinione.Giulia era evidentemente preoccupata de’ casi suoi. [p. 204 modifica]

L’avvocato rispose con malinconica rassegnazione:

— Tutte le teorie che si spacciano su questo argomento, le massime dei filosofi, i ragionamenti dei pensatori, le divagazioni dei poeti e i pietosi aforismi delle anime buone (guardò Giulia, ed ella chinò gli occhi) non si riducono alla fine che all’eterno dilemma: Essere o non essere felici — o se più le piace — sentirsi, che è poi lo stesso; perchè se la felicità degli altri non ci rende felici, per noi cessa di essere felicità.

Giulia non rispose; ma nel suo cervello mulinava un ripicco che lo costringesse a spiegarsi meglio.

Intanto la ruota della carrozza passando sopra un sasso diede una così forte scossa a tutta la macchina che Giulia balzò addosso all’avvocato, restando per un minuto secondo col volto appoggiato al di lui volto.

L’incidente era di quelli che fanno ridere, ma nessuno dei due rise; al contrario, Pompeo si turbò visibilmente e Giulia si nascose col lembo del suo mantello.

Il discorso sulla felicità restò anche per questa volta a mezzo.

Ma si erano ravvicinati. Attraverso la flanella che sola li divideva, i loro giovani corpi si rimandavano correnti elettriche; Giulia sentiva crescere il languore [p. 205 modifica]voluttuoso dei sensi; Pompeo era pallidissimo e si stringeva le labbra fino al sangue.

Dopo un lungo tempo Giulia si arrischiò a domandare:

— Abbiamo molta strada?

— Mezz’ora circa.

E sospirò — anzi, sospirarono.

Il sole incominciava a sprigionarsi dalle nubi. Carri e carrettelle percorrevano in tutti i sensi le vie adiacenti alla città; asini e muli carichi di commestibili, biroccini ripieni di frutti e di verdura, i lattivendoli, gli operai, tutto un mondo animato e operoso; la vita e il progresso nelle loro manifestazioni più pratiche.

Giulia si sprigionò dall’ampio mantello che ravvolgeva per ravviare un pochino la scomposta acconciatura. Il vento di marzo le sollevava i capelli castani leggermente ondulati e li faceva svolazzare sulla sua fronte candida — ella era deliziosa nel suo disordine, nel verecondo rossore che le copriva le guancie — e Pompeo se ne dovette accorgere; almeno suppongo.

La carrozzella si fermò. Ma come discendere su quel predellino attaccato al disopra della ruota? L’avvocato non fece che un salto — e siccome Giulia se ne stava in piedi esitante e perplessa egli la cinse attorno la vita sollevandola come un bambino. [p. 206 modifica]

Giulia fuggì correndo sulle scale, incontrata la signora Chiara che l’aspettava sull’uscio, le si buttò al collo.

Pompeo si appoggiò alla carrozza.

— Cos’ha? chiese il cocchiere.

— È un giramento: li soffro, in primavera.