Una porta d'Italia col Tedesco per portiere/Un po' di storia

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Un po’ di storia

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Avvertenza degli Editori L'Alto Adige e la compiacenza governativa
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UN PO’ DI STORIA

[p. 3 modifica] Un po’ di storia. Abbiamo occupato l’Alto Adige nel novembre del 1918 e vi abbiamo stabilito un governo militare. Fu un governo sentinella. Ebbe l’ordine di non urtar niente, di muoversi in punta di piedi per lasciar dormire l’Alto Adige, così come l'avevamo trovato, fino al momento in cui si sarebbe presa qualche decisione. Il Ministero non aveva un programma. Imbarazzato fra le necessità nazionali, l’incubo del Consiglio Supremo, la propria ignoranza e il feticismo per una libertà demagogica, esso sceglieva il minimo comun denominatore di tutte queste influenze. Oscillava così fra una vaga volontà di energia e il desiderio che questa energia non trapelasse, come Tartarin che chiamava il leone ma a bassa voce per non esserne udito. Raccomandava concisamente «tatto e moderazione». Non sapeva quel che si dovesse fare, ma prescriveva che fosse fatto «a gradi». Dimenticava quella grande ed eterna regola fondamentale che nei momenti di crisi prescrive di fare le cose spiacevoli ma necessarie tutte in una [p. 4 modifica]volta e di far poi un po’ alla volta quelle bene accette, per la stessa ragione per cui s’ingoja d’un colpo la medicina amara e si centellina lentamente il buon liquore. La politica saggia è quella che si adatta alla natura degli uomini. Ma bisogna sapere qual’è la medicina e qual’è il liquore. Il Governo non pensò nemmeno d’informarsi in modo conclusivo, non ordinò studi ed inchieste a tecnici provetti: era già abituato ad affrontare i più formidabili problemi del mondo senza conoscerli.

Nei primi giorni dell’occupazione fu mandato a Bolzano il prof. Tolomei, uno dei più grandi conoscitori dell’Alto Adige, a fondarvi un ufficio di contatto col germanesimo. Il prof. Tolomei giudicò necessario imprimere un segno esteriore della sovranità italiana e fece dipingere sulle stazioni ferroviarie e sui municipi il nome italiano dei paesi. L’autorità militare ritenne che questa avanzata di vocaboli offendesse il germanesimo, protestò con energia, minacciò il professore di espulsione per turbolenza toponomastica, e mandò i soldati a grattare i nomi. Intanto, come i ranocchi intorno all’inerzia del re Travicello, i pangermanisti rassicurati levarono la testa e cominciarono a gracidare. Poiché gracidavano in tedesco non c’era niente da grattare. Senonchè, nel mese di aprile del 1919, la loro insolenza arrivò al punto che si meditò di minacciare l’espulsione anche a qualcuno di loro. Ma il Ministero aveva troppi dispiaceri a Parigi. [p. 5 modifica]

Telegraficamente raccomandava la prudenza. Ai primi di maggio trovava eccessivo persino che si istituissero delle scuole italiane per gl'Italiani nella zona mistilingue. Prescrisse di «rallentare» tutti i provvedimenti di questo genere. In compenso affermava la ferma decisione di unire Alto Adige e Trentino in una sola provincia. Ma poiché questo doveva rimaner segreto, i tedeschi e molti dei nostri ufficiali ebbero la convinzione che il nostro regime fosse provvisorio. A giugno però il Governo in una lieve ripresa di coraggio ordinava all’autorità militare che si evitassero tutte le dichiarazioni capaci di incoraggiare nei tedeschi la speranza di una limitazione della nostra sovranità. A luglio il Governo prese delle decisioni definitive e ordinò: «il trattamento dei tedeschi nell’Alto Adige deve costituire il modello del trattamento liberale delle nazionalità soggette a maggioranze di stati nazionali». Si stabiliva così, con quattro parole, un altro magnifico primato italiano. L’ultima consegna era dunque di farsi amare. Facilissimo. Fu diramata dal Comando l’istruzione di «affezionare i tedeschi». In segno di affezione sorse il Deutscher Verband che assunse il controllo morale delle amministrazioni, rimaste tutte al loro posto come l’Austria le aveva fatte ai nostri danni. Arrivati a questo brillante risultato, la sentinella militare fu tolta e il 1° di agosto si insediava il Commissario Generale Civile.

Il Governo era cambiato, erano cambiate le [p. 6 modifica] idee, non si parlava più di provincia unica, si voleva liquidare al più presto la questione tedesca. Tutta l’Italia, del resto, pareva in liquidazione. Da Parigi il capo della Delegazione italiana, impastoiata nella questione adriatica, raccomandava al Commissario una politica cautissima nell’Alto Adige, per non dare appiglio ai malevoli che avrebbero chiesto delle garanzie per le minoranze nazionali. Magari! Si sarebbe fissata qualche garanzia anche per le maggioranze. L’autorità del Deutscher Verband (che pone nell’art. 1 del suo programma la «riserva di non riconoscere l’annessione del Tirolo») veniva riconosciuta a Roma, dove l’ignoranza della situazione e la diffidenza, se non l’antipatia, verso i patrioti che reclamavano una politica più vigorosa avevano gettato completamente il Governo dalla parte tedesca.

Si meditava di concedere senz’altro, per decreto reale, l’autonomia all’Alto Adige. Si lasciava capire che era vicina. Un affare da nulla! Nell’aprile del 1920 i rapresentanti del Deutscher Verband (Toggenburg, Nicolussi, Perathoner, Walther, Tinzl) furono chiamati a Roma a discutere della faccenda. Essi pretesero subito la garanzia che l’Alto Adige sarebbe stato separato dal Trentino. L’on. Nitti, che era a S. Remo, interpellato telegraficamente, concesse l’assicurazione richiesta, senza consultare dei rappresentanti trentini che avevano pure qualche diritto di essere ascoltati. In nove mesi l’opinione del Governo italiano si [p. 7 modifica] era rovesciata. Le discussioni col Verband non approdarono ad una conclusione solo perchè il Commissario Generale, presente, fece rilevare che un Governo non può trattare con dei cittadini su questioni costituzionali di pertinenza del Parlamento. Ma in compenso i rappresentanti del Verband ebbero la consolazione di sentirsi dire da altri che l’autonomia avrebbe permesso loro di attendere con pazienza il momento in cui si sarebbero ricongiunti alla Gran Madre Germanica.

A questo si era giunti, con una leggerezza magnanima, per amore di semplificazione, senza sapere che cosa fosse l’Alto Adige e che cosa rappresentasse, senza sapere come altre nazioni avevano risoluto problemi analoghi al nostro, ma molto più vasti e difficili. Il Deutscher Verband, che ha anche dei membri stranieri nel suo seno, è stato elevato quasi a governo provvisorio, senza altri limiti di potere che quel rispetto formale ed esteriore alla legge proprio dell’anima germanica. Ebbene, si avrebbe torto se si credesse che tutte le genti dell’Alto Adige ne siano contente.

Vari buoni tedeschi alto-atesini, di quelli che pensano si possa essere dei leali sudditi dell’Italia conservandosi tedeschi, che vedono la fortuna del loro paese nella collaborazione sincera delle razze, come avviene nella vicina Svizzera, che ne hanno fin sopra ai capelli delle avventure pangermaniche e che rappresentano in fondo la maggioranza in quei ceti che non vivono di politicantismo, mi [p. 8 modifica] hanno espresso un pensiero uniforme con una impressionante identità di espressione: «Bisogna che qualcuno comandi. Meglio un governo cattivo che nessun governo!». In somma, ci dicono: Governateci una buona volta, o bene o male che sia! È proprio l’unica cosa alla quale non si è pensato. Gira e rigira, quello che manca qui è soltanto un governo. Rimaniamo indignati a vedere intatto su questo rottame dell’Austria, tenuto a galla per inerzia, tutto quello che l’Austria ci aveva messo contro di noi; abbiamo il senso di una terribile rivolta quando ci accorgiamo che l’italianità è combattuta nelle scuole, nelle amministrazioni, nei tribunali, da quelle stesse persone che la combattevano prima per dovere d’ufficio, ma non c’è rivolta, non c’è trasgressione, non c’è che ordine perfetto. La semplice realtà è che ci siamo dimenticati di imporre un mutamento.

Il problema della sistemazione ci ha sorpresi, era nuovo, necessitava qualche conoscenza, comportava delle responsabilità, non appariva suscettibile di divenire pericoloso se non in un avvenire troppo vago per interessare degli uomini politici: dunque, poteva aspettare. Si è andati avanti giorno per giorno, senza decidere niente, transigendo, adattandoci, tollerando. La questione è passata da una mano all’altra come il cerino acceso nel giuoco di società la cui fine non riguarda che colui che ci si scotta le dita. Fra il Ministero Orlando, il Governatorato militare, il Ministero Nitti, l’Ufficio [p. 9 modifica] centrale per le nuove provincia, il Commissariato Generale, il Ministero Giolitti, la fiammella altoatesina è andata e venuta, presa distrattamente, ceduta in fretta, restituita, respinta, finché ora sembra che stia per essere consegnata nelle mani del Parlamento, destinato a tutte le scottature. Ma speriamo che un elemento di cui non si è mai, mai sentito a parlare e che ha qualche valore, sia finalmente considerato come uno dei termini fondamentali di questo problema: l’interesse dell’Italia.