Vae Victis/Parte terza/XXVIII

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Parte terza - XXVII

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XXVIII.


Nella sua camera Chérie, inginocchiata presso la culla, le aveva udite entrare. Si alzò lenta, trepidante. Bisognava andare al loro incontro, salutare Mirella.... dire a Luisa che Florian era tornato — tornato.... e ripartito.

Il silenzio profondo nella stanza attigua la colpì. Ella si chiese, movendo esitante verso l’uscio, perchè mai Luisa non parlava? Era pur solita a parlare con Mirella, a parlarle sempre con quella tenera voce sommessa, con quel dolce tono materno un po’ insistente che pareva volere ad ogni costo ridestare la mente assopita della bimba.

Che cosa significava questo silenzio?

Non si udiva un soffio; pareva che la stanza fosse vuota.

D’un tratto Chérie comprese. Luisa attendeva silenziosa, immobile, che il miracolo si compiesse — attendeva la prima parola di Mirella! [p. 339 modifica]

Allora Chérie non osò più avanzare. Congiunse le mani in atto di preghiera, e anch’essa attese. Attese un suono, una parola, un grido.

Nulla. Il silenzio durava profondo.

S’udì infine il pianto di Luisa, un pianto sommesso e desolato, e poco dopo i loro passi lievi sul tappeto della scala.... Indi, di nuovo, il silenzio.

Chérie rimase immobile colla fronte appoggiata allo stipite della porta chiusa.

Se ne erano andate. Luisa conduceva Mirella nella sua camera... la metteva a dormire. E non aveva chiamato Chérie! Non le aveva dato la buona notte; non l’aveva chiamata a salutare Mirella. No. Nessuno, nessuno aveva bisogno di Chérie. Luisa, anche nel suo grande dolore, non aveva pensato di chiedere conforto a lei. Era andata via, sola con Mirella, a chiudersi nella sua camera, a piangere le sue amarissime lagrime... Avrebbe pianto, avrebbe pregato, avrebbe dormito alfine — senza neppur sapere che Florian era venuto.... senza sapere che se ne era tornato via per sempre, senza sapere che il cuore di Chérie era spezzato!...

Con un singhiozzo di appassionato dolore Chérie si ritrasse dalla porta e si abbattè piangendo presso la culla. [p. 340 modifica]


(Grande, diafana, luminosa, la luna di maggio sorgeva dalle colline delle Ardenne; e salendo come un disco opalescente nei cieli, trovò la piccola finestra ogivale, e raggiò, blanda e luminosa su Chérie e sul bambino dormiente).


All’orologio della vecchia chiesa di Bomal scoccarono le undici.

Sveglia nel suo letto, al buio, Luisa contò i lenti rintocchi. Le onde sonore si spensero e di nuovo nella camera silenziosa non si udì che il lieve respiro di Mirella. Luisa ascoltò quell’alito leggero e regolare. Poi pensò a Claudio, e pregò Dio che lo salvasse da ogni male. Ma per il suo ritorno non pregò.

Esausta dalle emozioni, alfine si assopì.

Ma Mirella non dormiva. Nonostante il suo respiro tranquillo e regolare, i suoi occhi erano aperti. Immobile nel buio ella ascoltava qualcosa che lentamente si svegliava in lei: la Memoria.

.... L’orologio della chiesa battè le undici e mezza. Luisa dormiva col respiro singhiozzante, spasmodico di chi ha molto pianto prima di addormentarsi. [p. 341 modifica]

La stanza era completamente buia, le imposte chiuse, le tende calate.

Silenziosa e sicura come una sonnambula Mirella scese dal letto e traversò, lieve fantasma bianco, la camera.

Trovò l’uscio, l’aprì silenziosamente, percorse il corridoio e scese la scala — i passi dei piedini ignudi cadevano sul tappeto con la leggerezza di petali di fiore....

Dove andava? Quale pensiero la guidava così per la casa oscura e silenziosa?

Il ricordo! — Il ricordo della porta drappeggiata di rosso.

Null’altro vedevano i suoi occhi ossessionati, null’altro ricordava il suo spirito allucinato — nulla se non quella tenda rossa calata sopra una porta chiusa. Doveva rivederla.... rivederla.... ricordarsi perchè, come, quando l’aveva già veduta. Sì, bisognava rivederla.... E se quella porta si apriva — A quel pensiero il terrore indefinito in cuore di Mirella raggiungeva il parossismo — perchè sapeva, sentiva che se quella porta si apriva ella sarebbe morta.

Così, come sospinta da una forza irresistibile, ella giunse all’ultimo breve tratto di scala — i quattro larghi gradini costeggiati dalla ringhiera di ferro — e qui si soffermò trasecolante.

Anche nel buio sapeva dov’era quella porta. [p. 342 modifica]Era là, di faccia a lei — nera sul nero sfondo dell’oscurità.

Colle mani strette dietro la schiena, si addossò convulsa alla ringhiera.

E rimase così, nella positura identica del suo passato martirio; le pareva di essere legata, le pareva di dover restar per sempre immobile, cogli occhi fissi nel buio, verso quella porta — quella terribile porta dalla tenda rossa....


· · · · · · · · · · ·

Accasciata per terra accanto alla culla, col viso tra le mani, Chérie aveva udito scoccare le undici ore; poi il quarto, poi la mezza.

Per lei tutto era finito. La sua decisione era presa. Ora che aveva riveduto Florian non c’era altro da aspettare. Nulla più, nè gioia nè speranza, poteva venirle dalla vita.

Che cosa avrebbero fatto al mondo lei e il suo bambino? Nessuno aveva bisogno di loro. Nessuno desiderava mai di vederli, di parlare con loro; tutti li sfuggivano; tutti li disprezzavano. Neppure Luisa aveva voluto invocare su di lui una benedizione. No, era un bambino esecrato e maledetto; era uno sventurato che portava sventura. [p. 343 modifica]

Chérie si levò in piedi e s’appressò alla finestra — la finestra tonda come quella della cabina d’una nave — e la spalancò. La luce lunare piovve per entro la stanza innondandola d’un effuso, latteo chiarore.

«Luna, addio!» disse Chérie. «Addio, notte. Addio, cielo. Addio, tutto!»

Poi si volse e tornò presso la culla. Si chinò e sollevò tra le braccia il bambino che dormiva.

Come era tepido e tenero e piccolino! Non bisognava che prendesse freddo — pensò istintivamente — e si guardò intorno cercando qualcosa con cui coprirlo. Prese dal cassetto una grande sciarpa di seta celeste, e l’avvolse intorno a sè ed al piccino: faceva fresco fuori in quella bianca chiarità lunare, e dovevano andare lontano.... bisognava passare il ponte sull’Ourthe e scendere per l’altra riva del fiume, attraversando tutta quell’erba alta e umida intorno al vecchio mulino....

Più in là vi era un posto dove la sponda scendeva meno ripida e la corrente era più forte; ivi, chiudendo gli occhi e affidandosi a Gesù, sarebbe entrata, correndo, nell’acqua....

Le pareva già d’esserci, tanto sentiva vivida l’impressione che ne avrebbe avuto. Tante volte a Westende l’anno scorso era corsa così dentro [p. 344 modifica]alle fresche onde increspate del mare.... Assai bene se ne ricordava.

E adesso sentirebbe, come allora, l’acqua fredda cingerle le caviglie, le ginocchia... poi quel fresco e forte abbraccio le salirebbe alla cintola, mozzandole il respiro... poi al petto... poi alla gola....

Allora ella avrebbe stretto a sè con maggior passione e maggior forza il suo bambino, gli avrebbe posata la bocca sulla bocca per non sentirlo piangere, e coll’ultimo alito avrebbe bevuto il dolce respiro di quella piccola bocca, socchiusa sempre ai baci, fragrante d’erbe e di violette....

Alzò di nuovo lo sguardo alla finestra ogivale. «Addio!» disse ancora una volta al cielo, alla terra, alla vita. Poi risoluta volse le spalle a quel cerchio di bianca luminosità.

Si avvolse meglio nella lunga sciarpa azzurra, coprendosene il capo e le spalle, incrociandosela sul petto ed avvolgendo nelle pieghe cerule anche il bambino, che le posava ancor dormente al seno.

Poscia, pianamente, aprì la porta. Davanti a lei scendeva a lunghe pieghe la portiera rossa, ed essa la scostò col braccio facendola correre indietro sugli anelli. Dalla finestra rotonda die[p. 345 modifica]tro al suo capo si proiettava su lei un fascio d’argentee lucentezze.

Così — tutta velata d’azzurro, diafana nella luce lunare — ella mosse un passo innanzi.

Poi si fermò, trasecolante, impietrita.

Chi c’era là, nell’ombra? Chi stava immobile là sulla scalinata, a pochi passi da lei?

Mirella!...


Sì; Mirella era là, immota, quasi catalettica, cogli occhi pazzi di terrore fissi su quella porta. Quella porta si apriva — si apriva! Ecco — ecco — uno spiraglio di luce bianca appariva sotto alla tenda....

Ah! La porta era aperta... la tenda si scostava!... Ora Mirella sarebbe morta. Lo sapeva! Ciò che stava per vedere l’avrebbe uccisa, come già una volta aveva uccisa l’anima sua. Sì... sì... la tenda rossa si moveva ancora, lo spazio di luce s’allargava....

Mirella ansava, soffocata, morente —

Quand’ecco in quella luce — oh, meraviglia! oh, estasi infinita! — in quella luce apparve una Visione!

Inondata dai raggi della luna, tutta velata di rilucente azzurrità, stava una Madre col suo Bambino. Dietro a lei brillava un grande cerchio di luce. [p. 346 modifica]

Ah, ben la conosceva Mirella quella dolce figura! Rapita delirante, tese le mani giunte verso lei.

Con quali parole doveva salutarla?... Le sapeva, le sapeva, quelle parole; le ricordava.... le sentiva, salire su dal cuore, farle ressa alla gola — ma le labbra convulse non le potevano formulare.

Spasimando, torcendo le mani congiunte, Mirella taceva — taceva mentre quelle parole si aprivano come fiori di luce nella sua mente, risuonavano come note d’organo nel suo cuore.

La visione si mosse, parve ondeggiare, trasalire.... Ah, sarebbe dunque svanita, svanita per sempre? E Mirella ricadrebbe ancora nell’abisso della solitudine e del silenzio?

Qualche cosa sembrò spezzarlesi nella gola — e un grido, un grido acuto e vibrante le irruppe dal petto. Ecco aperta, aperta la chiusa fonte della sua voce! ecco dalle sue labbra fluire le parole del saluto immortale:

«Ave Maria!...»

Ed ora l’eterea visione sorrideva, sorrideva movendo verso di lei....

Soverchiata dall’estasi Mirella le cadde ai piedi. [p. 347 modifica]

Luisa s’era svegliata di soprassalto, udendo un grido... Che voce era quella?

Intorno a lei la camera era immersa nel buio, ma Luisa sentiva d’essere sola, sentiva che Mirella non era più accanto a lei. Dalla porta socchiusa veniva un fioco chiarore.

Colla rapidità del lampo Luisa fu nel corridoio e giù per le scale.

Scendeva a precipizio. Ma giunta all’ultimo pianerottolo — si arrestò irrigidita.

Là, nell’effuso chiarore lunare stava una luminosa forma nell’atteggiamento umile e sacro della immortale Maternità.

Davanti a lei, inginocchiata, era Mirella.

E Mirella parlava.

«Benedicta tu...»

Chiare, spiccate, argentine cadevano dalle sue labbra quelle parole: «Benedicta tu...»

La benedizione che Luisa e tutti avevano negata, ecco — usciva ora quasi un annunzio profetico da quelle labbra innocenti da tanto tempo mute; risuonava come un decreto divino in quella pura voce da tanto tempo silenziosa. [p. 348 modifica]

Mirella era guarita! Guarita in grazia di Chérie e del bimbo suo, figlio dell’onta, della violenza e del dolore.

...Scossa da un brivido immenso Luisa cadde a ginocchi presso la sua bambina, e ripetè con lei le consacrate parole....

Tremante ed estasiata Chérie stringeva più forte al seno la sua creatura piegando il capo sotto l’ala di quella divina benedizione.

· · · · · · · · · · ·





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Ed ora addio — addio a Chérie, a Luisa, a Mirella.

Esse vivono ancora nel lontano villaggetto del Belgio aspettando, invocando l’alba della liberazione. E con essa il ritorno della speranza, della gioia, del perdono...

Intorno a loro tuona ancora la guerra; turbina la procella.

Ma forse il termine del loro affanno non è lontano.


Fine.