Varenna e Monte di Varenna/Secolo XVII/Varenna nella letteratura del secolo XVII

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Varenna nella letteratura del secolo XVII

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Varenna nella letteratura del secolo XVII
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VARENNA NELLA LETTERATURA DEL SECOLO XVII

Fra i non pochi scrittori di questo secolo che si occuparono di Varenna segnaliamo un’illustre figlio della terra di Bellano: Sigismondo Boldoni nato nel luglio 1597, e morto di peste il 3 luglio 1630.

Già l’avo suo Nicolò Boldoni, medico e letterato della prima metà del secolo XVI, professore a Pavia e a Pisa, aveva lasciato molti manoscritti sulle opere di Avicenna, in parte conservati all’Ambrosiana. Una sua lettera su Fiume Latte scritta da Bellano il 6 febbraio 1539 e diretta al conte Sfondrati, fu pubblicata nella 1a edizione del Larius di Paolo Giovio nel 1559 in Venezia, e nel 1776 in Avignone, nell’edizione del Larius di Sigismondo Boldoni curata dal cardinale Durini1.

La seconda edizione boldoniana del Lario di Venezia del 1639, incomincia con una lettera ad Ercole Sfondrati del 12 aprile 1616. Fra le carte del Boldoni andate smarrite doveva trovarsi una descrizione della Capoana, la rinomata villa edificata da Ercole Sfondrati nel 1600, che il Boldoni avrebbe dettata a soli 14 anni. [p. 207 modifica]

L’opera principale del Sigismondo Boldoni «La caduta dei Longobardi» venne pubblicata dal fratello Rodolfo, non ignobile poeta, a Milano nel 16562. Questo poema lasciato imperfetto dal Sigismondo, venne dal fratello compiuto, e dedicato a Cristina di Savoia3. Noi non riproduciamo qui la caduta dei Longobardi, ma ci limitiamo a riportarne alcune strofe, nelle quali si parla di Fiume Latte e di Varenna.

. . . . . . . . . . . . . . . .

XI



Odono a destra il suon, vedon la spuma
Del fiume che dal latte il nome prende
Che quando da i Rifei l’horrida bruma
Col pruinoso crin gelata scende,
Fugge ne l’alto speco, u’ non alluma,
Nè mai da l’altra foglia egli discende
Ne la canuta testa osa scoprire
Si teme egli del verno i colpi e l’ire.

XII



Ma quando poi ride vezzoso il cielo
E co’ i zeffiri scherza il lito e l’onda
E fugge, in stille liquefatto il gelo:
Mov’ei dalla caverna alta e profonda:
E mugge horrendo, e fa di bianco velo
Spumosi i sassi e l’erto colle inonda,
E di gelato humore al monte aprico
Sparge gli homeri eccelsi, e’ l mento antico.

XIII



Quando Sirio dal Ciel, latrando spira
Per le fauci e per gli occhi ardori e lampi:
Ei con laura, e col gel lo sfida e l’ira
Di lui schernisce si, che in van ne avampi

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Ne mai da la battaglia il piè ritira
Pria che Scorpio la su torvo s’accampi.
Fugge all’hor dentro a le marmoree foglie
E l’ira addoppia e ’l suo poter raccoglie.

XIIII


Tal ne l’Immensa Caledonia selva
Sbocca da l’alta tana orso canuto
E famelico sbrana ogni altra belva
Col duro dente, e con l’unghione acuto,
Ma a l’apparir del verno ei si rinselva
Quando l’empio ha di sangue il ventre empiuto:
Nè pria che l’anno tepido rinove
Da l’opaca spelonca il fiero move.

XV


Segue il lito odorato, in cui di lauro
E di mirto, e d’olivo eterno è il verde:
Ove l’arbor di Media ha i pomi d’auro,
Nè mai frutti, ne fior, nè fronde perde.
Tali eran quei che fuor del lito Mauro
Da l’isolette opposte a Capo Verde
Portò già Alcide: e con la destra invitta
Fe’ la fiera crudel cader trafitta

XVI


Merlata rocca in su ’l monte appare,
A cui l’apre da tergo amena valle
Teodolinda il piè qui ritirare
Volle e al fasto regal volger le spalle
E faran le grandezze a noi si care
Che sdegneremo il glorioso calle?
E farem l’astra, e l’oro idolo e tempio:
Perchè a tanta virtù non resti esempio?

Il poemetto latino Amores, Amyntae et LeucisFonte/commento: 526, è pure opera postuma del Sigismondo Boldoni, e restò inedito fino al 1756, quando il Durini lo inserì nel suo Larius, che contiene anche parte delle lettere del nostro, poeta, e il quarto libro della caduta dei Longobardi. Il Boldoni in una sua [p. 209 modifica]lettera del 1629 parla di cinque libri degli amori che sta scrivendo, et il Montfaucon vide nella Biblioteca Vaticana, nel 1650 un codice boldoniano intitolato appunto AmoresFonte/commento: 526 Amyntae et Leucis. Il Durini ne ebbe l’autografo scritto nel 1630, e ne cavò il poemetto che possediamo, mentre il codice vaticano, e quello preziosissimo del Durini, passato alla Braidense di Milano non si trovano più. In questo carme latino il Boldoni fa l’apologia del suo amato Lario: noi qui non ne riproduciamo che alcuni versi nei quali il nostro poeta dalla sua veloce barchetta scorge Varenna e ne canta le bellezze naturali:


Impatiens citior volucre freta cymba secebat,
Sic zephyris impulsa suis, jam mobilis ora
Fiorenti myrtho fragrans, cauruque comante
Medorumque pares sylvae, et pullentis olivae
Linquuntur memore et Nemeo damnato Varena,
HincFonte/commento: 526 Murcam exsupero mixto candore nigrantem.


Il poeta si affretta poi a volgere la prora verso Bellano; segue una specie di dialogo nel quale Aminta e Leuci contano alternativamente le origini mitologiche delle fonti che si versano nel Lario, e che il poeta personifica in deità che muovono a ricevere i due amici Aminta e Leuci. L’Adda il geniusFonte/commento: 526 pluvius, poi il Fiume Latte, che ha una lunga storia, la Pliniana e la Pioverna. Ultima una piccola sorgente che narra, come un tempo fosse il vispo garzone Agone, dedito alla caccia ed alla pesca, Febo innamoratosene gli si avvicinò, Agone allora si buttò nell’acqua e divenne il pesce omonimo, Febo corse per le selve strappando le foglie di lauro e bagnandole dei suoi pianti: e dove ogni foglia cadde zampillò una fonte.

E così finisce questo graziosissimo e fresco idillio.


Paolo Emilio de Busi, detto il Parlaschino, letterato, figlio di Francesco, nacque a Perlasco in Valle Sassina. Fu maestro di grammatica a Bellano, poi ad Asso, quindi insegnò belle lettere nel collegio Calchi Taeggi a Milano, del quale fu anche rettore.

Ereditò amore agli studi dalFonte/commento: 516 padre Francesco, il quale era stato un letterato e dottore nelle arti liberali, e che dopo avere insegnato in Francia, aveva aperto scuole a Mandello e ad Oggiono, dove era morto nel 1576.

Paolo Emilio Parlaschino scrisse di Varenna in prosa e in versi. [p. 210 modifica]

Nel 1630, durante la terribile peste egli si era fatto preparare nella chiesa di Gitana un sepolcro pel quale aveva anche dettata la seguente iscrizione:

donec tuba
paulus aemilius parlaschinus
frequentissima ultimi terribilium
cogitatione commotus in hoc
delurbo ubi casibus adversis
praesentem divini numis
clementiam est expertus hunc
tumulum sibi ponendum curavit
anno reparationis humanae
mdcxxx etatis suae lx
quiescam


Emilio Parlaschino doveva essere molto amato a Varenna e godervi molta considerazione, perchè dall’anno 1639 al 1647, vediamo che con molta frequenza è chiamato come compare nei battesimi dei neonati.

Nella chiesa di Gitana esiste un quadro votivo ad olio, molto sbiadito e corroso, che rappresenta il Parlaschino indossante un mantello ed un cappello a larghe falde, e con la scritta che ebbe la grazia di guarire da una piaga mortale causata da un colpo di archibugio, è di essere stato salvalto due volte dal veleno.

Fra i vari scritti che esistono di Paolo Emilio Parlaschino, sciegliamo questa lettera da lui indirizzata a Don Gregorio Sfondrati cappuccino, nella quale parla delle bellezze della villa Capoana.

«Sono tante e così grandi le obbligationi che lo devo ai grandissimi meriti suoi, per molti segni d’amore che mi ha mostrato in occasione di riverirla, conforme al debito mio, che mi hanno spinto a dichiararle per uno di quelli suoi intimi che hanno consacrato con la servitù la propria vita e suoi comandamenti.

Mi sono immaginato che basterebbe a scuoprirla l’ardente brama ch’io tengo della sua buona gratia, il dimostrarle il pregio e la molta stima in che io tengo le loro grandezze, non dirò lodando quanto converrebbe perchè a ciò sono inhabile: ma ammirando le bellezze della sua fiorita Capoana; ho trovato qualche cosa dei suoi ornamenti alla sfoggita e dedicato i miei scherzi ai diletti delI’Illmo Signor don Ercole, suo degnissimo nipote, e mio signore quando per alleggerire la continuatione dei suoi studi delle più importune hore degli estivi ardori, si vorrà hora in questo, hora in quell’altro ricreare. E se questo segno di dovuta riverenza, et in obbligata servitù è prova alla loro grandezza et al desiderio mio di servirli, maggiormente supplico il singolare affettto della sua [p. 211 modifica]Veduta di Regoledo e Gitana (Fotogr. Adamoli) [p. 212 modifica]cortesia a supplire ai mancamenti di mio debito et a favorirmi de’ suoi commandi. Me le inchino profondamente e le priego dal Cielo una lunga e felicissima vita».

Nel codice di Paolo Emilio Parlaschino di proprietà del defunto On. Cermenati abbiamo trovato il seguente memoriale:


Memoriale per la scuola del Bellarmino


«Eminentissimo Signore

Nella terra di Varenna, Diocesi di Sua Eminenza sopra il lago di Como sono concorsi da quattro anni in qua molti giovani forastieri chierici e secolari al studio di lettere latine che in quella si tiene. E perchè nella Chiesa Parrocchiale si fa la dottrina christiana delle donne assai numerose insieme con quelli delli huomini si è concertato esser bene far ricorso a Sua Eminenza.

Humilmente supplicandola a degnarsi di concedere a quelli l’oratorio di S. Giovanni per tale affare molto a proposito, essendo alquanto rimoto dalla Chiesa Maggiore, dandoli per assistere il molto reverendo signor Marco Antonio Serponti titolare di detto luogo acciocchè quelli con la dovuta modestia possino in esso fruttuosamente esercitarsi nella dottrina cristiana del Belarmino e in altri uffici di pietà e di honore; che i detti giovini col suo maestro insieme in riconoscimento di tanto favore pregarano sempre Nostro Signore per la salute et esaltatione di Sua Eminenza».


Da questo memoriale si ricava dunque come in Varenna vi fosse una scuola di latino; la notizia è importante. E chi sarà stato l’insegnante? probabilmente lo stesso Parlaschino.

Per dare un saggio del Parlaschino in veste di poeta, incominciamo col trascrivere questi suoi versi in lode di Cristina Faggi di Perledo, letterata e abbadessa del monastero di Campo.


Sonetto

     Christina nobil, non è maraviglia
Che siate dotta poichè vostro Padre
Fu un altro Cicerone, e vostra madre
Pallade istessa, e voi sua degna figlia.

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     Tra tanti dotti di vostra famiglia
Le vostre doti stese in lunghe squadre
Si numerose sono e si leggiadre
Che di stupor fanno inarcar le ciglia

     Hor tra coteste madri fate acquisto
De’ loro affetti, e con un santo zelo
Di vita eterna guadagnate il Cielo.

     Data vi siete in sposa a Gesù Cristo
Et che siate una pura colombina
L’addita il nome vostro di Christina.


Madrigale


Cristina in voi riluce
Raggio di purità che ognuno ammira
Scorgendol’ e sospira
Di non haver da Dio
Un cor humile e pio,
Qual’ hora in voi si vede
Adorno di virtù, colmo di fede
Per ingegno, dottrina e detti saggi
Conosce ogni un che voi siete de Faggi.


Curioso il seguente sonetto, e il madrigale, in odio a Varenna.


     Varenna ingrata a chi ti serve rendi
Poco per molto, anzi per bene male;
L’esser dura e ferigna ti è fatale
Perchè de’ tuoi errorFonte/commento: 516 tu non ti emendi.

     Cieca trascuri il ben, el mal apprendi
Sei falsa, ingorda, doppia e non leale
Nè ti ricordi di essere mortale
Ma Dio e la tua fama ognor offendi.

     Chi vuol favori stia da te lontano
Come i tre Giorgi han fatto con stupore
Di chi sa il stato lorFonte/commento: 516, cum quant’honore

     Siano appresso i Grandi di Milano
Dopo che altrove casa havrà piantata
Sarai da tutti i boni abbandonata.

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Madrigale


Vedi Varenna ingrata
Che Sirio superno
In mezzo all’estate
Ti fa sentir le pene dell’inferno
Benchè sian temperate
Dal dolce fresco della tua Seretta
Stanza di Pindo a studiar eletta.

L’antipatia per i Varennesi non impediva però al Parlaschino di sciogliere inni alle belle ville del luogo.


Sonetto in lode Della Capoana


     Fiorita Capoana in Paradiso
Dimostra il tuo bel sito a chil rimira
Gode, trionfa e nel partir sospira
Di così presto essere a te diviso.

     Teco vorrebbe in gioia, in festa, in riso
Godere il fresco che da monti spira
Soave in te; ma l’honestà il ritira
Ceder a chi si trova quivi assiso.

     Più vaga sei, quand’Ercole e Bellona
Soggiorna in te con pargoletti amori
Tra laghi, fiumi, fonti, olive e fiori.

     Cosi compita è la tua sorte bona
Chè val al par de più famosi fonti,
Che sian eretti al pian o sopra monti.


Sonetto sopra la Leliana4


     Su la famosa spiaggia Lariana
Le muse i cigni e i Cavaglieri erranti
Scendono in terra al monastero inanti
Che vadino a veder la Capoana

     Miran da presso la gran Leliana
Cipressi, allori, cedri, verdi amanti
E dicon che di pregio e mille vanti
Precede alla Tornese Pliniana

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     Fa di stessa nobil pompa a tutti,
Invita seco a suoi piaceri i monti
Principi veri, gran signori e conti

     E perchè sue grandezze fiori e frutti
Dalle rapine altrui siano sicuri,
Falange armata custodisce i muri.


Madrigale sopra l’istessa


     Sei temeraria Musa
Se con si basso ardire
Presumi d’aggrandire
Dalla gran Leliana
La nobiltà soprana

     Sai che di Lei è grande il nome istesso
Come del lago che le giaceFonte/commento: 526 appresso.


Sulla casa di Giorgio Serponti


     Già fui sepolta a tutti, hor ornamento
Rendo a miei d’apresso e da lontano
N’essere voglio ristorata invano,
Per dare a tutti gusto e compimento

     Non mi dà noia nè breva nè vento;
Altro non mi può nuocer che volcano
Nè in me può metter piede alcun villano
Che non sia tutto a miei servigi intento.

     Mi vergogno a veder grandi signori
Dell’aria e del mio sito innamorati,
E si risanan se son ammalati.

     Oltre questi vantaggi e gran favori
Cinta d’intorno di tre forti mura
Da ladri e da nemici son sicura.


Madrigale


     Stampa d’Apollo e Marte
     Tra rupi, boschi e sassi.
     Sepolta a noi rinassi
     E guardiana altera
     Vagheggi la Riviera

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     Anzi del signor Conte
     Tu signoreggi il monte
     E la poco lontana
     Fiorita Capoana
     Casa Serponti anzi sormontata sei
     Grazioso albergo alli desiri miei.


Oltre a questi versi il Parlaschino ha in questo codice, che è conservato, come già si è detto, presso gli eredi Cermenati, varie iscrizioni da lui compilate in occasioni di feste, restauri, ecc. e che riguardano specialmente le chiese di Varenna e del monte di Varenna. Contiene inoltre delle epistole a vari personaggi di Varenna e vicinanze: noteremo quella al conte Valeriano Sfondrati, al Padre Domenico Bertarini, datata da Varenna, a Faustino Faggi, a Sebastiano Faggi, a Carlo Pompeo Scanagatta, a Padre Giuseppe Venini, a Tomaso Furnio, al Dottor Galeazzo Tenca, a Ercole Sfondrati, datata da Varenna, a Gerolamo Scanagatta, a monsignor Giacinto Faggi, a donna Giacinta Faggi abbadessa del monastero di Campo, al preposto di Perledo Faustino Faggi, a Giovanni Maria Arrigoni a Bologna. Ha poi un indirizzo ai Varennati sulla visita del cardinale Cesare Monti, disgraziatamente senza data.

Queste epistole sono scritte in lingua latina e nello stile gonfio ed involuto del seicento.

Diamo qui le due descrizioni di Varenna del Bertarelli e del Bonanomi entrambe sovracariche di ampollosità, vizio comune agli scrittori di quel secolo.


Descrizione di Paolo Bertarelli

«Dirimpetto appunto di Menagio. Varenna si riunisce e si contempla piantata nel più fortunato sito che godesse giammai i benigni influssi del Cielo. Passa Varenna reciprochi e scambievoli amori con Menaggio, mentre l’una che l’altro tenendo aggiustati gli sguardi ambi innamorati stanno su la riva del lago per gettarsi a nuoto, avidi d’amorosamente stringersi e abbracciarsi insieme. Acquista questa terra tuttavia sempre maggior nome e per quei signori che vi soggiornano e per i spiritosi ingegni che vi s’allevano qual appunto è il signor Galeazzo Tenca nostro eccellente medico, tanto per il suo valore stimato dall’una e l’altra riviera che chi pratica seco, come io faccio sovente confessa che certamente Pallade sortì in Varena i suoi natali e ciò si prova, non tanto perchè ella sia coronata d’ulivi che pur sono le piante di Pallade: quanto [p. 217 modifica]perchè in tutti i tempi è stata seconda madre di singolarissimi soggetti. Dicalo Milano e la Corte (e per tacere il signor Giorgio Serponti e il signor Giorgio Forni e altri signori impiegati in principalissime cariche) che vanta d’haver il medico Serponti Dottor collegiato qual pria eletto per le cure delli cardinali Infante e Alboruzzi e successivamente degli altri governatori, ha si ben congiunta l’esperienza con la dottrina che dirci quasi oprasse effetti miracolosi di risuscitar i morti. Si fa ancor nominare Varena per il posto in cui si trova mentre godendo del beneficio del sole, dal primo oriente fino all’ultimo occaso, mai colà si vede invecchiata la primavera, onde quando rigido e rigoroso il verno semina tutto il circonvicino paese d’agghiacciate nevi, ne’ i giardini del signor Marc’Antonio Serponte (signore in cui si uniscono così bene la cortesia e la virtù, che si può dire il cuore delle muse, il geroglifico della gentilezza e l’animo delle conversatini più nobili) come in quella del signor Giov. Battista Tenca ove più volte io sono stato regalato (conditione comune a tutti i signori Varenati e molto proprio e connaturale a questo signore) sempre ridono le rose e gli aranci, i cedri, i limoni da loro fioriti e rari effondono più che prodighi, odorosi tesori. In cima della terra verso quella parte ove è bagnata la riva de quel ramo di lago che piega a Mandello biancheggiano le belle nuove stanze del signor Giorgio Serponti...»5.


Descrizione del Bonanome

... sopra d’alcuni scogli segue Varena che rivolta in contro al sole tutto che da quello sia alquanto nel Sirio tempo oltraggiata resta in modo aricchito d’una temperie singolare che alternando l’autunno senza punto mescolarsi con l’orrido tempo in una fiorita primavera gode perpetua una dolce stagione. Sonovi posti che in cui di continuo biancheggiando fiori e verdeggiando herba e multiplicando frutti d’ogni bellezza non la cedono i più vaghi giardini di Saffo e Guido. Alle cui gratie corrispondendo agli habitatori trovasi anche in loro un non che del civile e del cortese d’avvantaggio sopra gli altri. Sono essi ufficiosi ed amorevoli quanto mai altri e dilettandosi alquanto dell’apparenza amano la politezza ed il nobile trattare. Quindi avviene che gli più s’esercitano nelle arti più riguardevoli nelle quali fannovi ogni commendabile riuscita particolarmente ne la medicina e nei fori.

Chiesa in cui usasi anco il Comacino rito, torri duplicate, famiglie antiche, case signorili e sopra il tutto ricchezze competenti, mediante le quali sono sempre vissuti con grata civiltà, fannola anco honorata conservatrice delle reliquie della loro superba isola. Ha coronata la testa [p. 218 modifica]e cinti gli fianchi d’una verde corona de bei vignoli che versano in delicata copia bevanda di vista e di sapore simile a gl’ori di Creta più brillanti, ed a gli rubini disfatti di Lico ma non essendovi luogo, ne pur di passaggio per la madre Cerere si ha sortito veridico il divulgato proverbio: Varena è secca, chi non gliene porta non gliene lecca. È però la parte più minore con stentosissimo otio stentando.

Hora con reti, hora con rami ascosi
Turban a’ pesci i lor grati riposi.

Tramezzasi indi la punta di Morcà dalla qual si ricava e il luculleo marmo»6.

Note

  1. Vedi Cenni intorno agli uomini celebri della famiglia Boldoni, di Giuseppe Arrigoni. Como, Ostinelli, 1850. Mario Cermenati, Sigismondo Boldoni, Roma 1899.
  2. Nell’opuscolo sulla famiglia Boldoni dell’Arrigoni la prima edizione del poema è invece anticipata al 1636.
  3. Nell’elenco delle opere di Rodolfo Boldoni riportato dal già nominato Arrigoni è detto «Poesie per occasioni e sonetti inserti nei Doni di Pernaso di Ferdinando e nel San Giuseppe poema del sig. Giacinto Faggi che appartiene alla famiglia Faggi di Perledo nella quale si distinsero alcuni individui che furono usurpati dai biografi delle vicine città».
  4. Villa delFonte/commento: 526 Monestero.
  5. Paolo Bertarelli, Borgo di Menagio. Como. Caprani 1645.
  6. Giovanni Bonanomi. Le riviere dell’ill.mo signor conte Sfondrati. Milano, Filippo Ghisolfi, 1645.