Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Lettera VI

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Lettera VI

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LETTERA VI

21 settembre.

E così, com’io ti diceva, mi rallegro vedendo che, se la sorte ha in questi contadini represse le grandi virtú, vi ha represso anche i vizi.

Quando sull’alba escono i piú giovani con le gregge, e con l’aratro i piú vecchi, io m’accompagno con uno di questi, il quale mi parla di mio nonno, che ha fabbricato questa piccola casa, e di mio padre, che si compiaceva di piantare i gelsi ed i pini su le balze piú sterili della collina. E dico fra me: — Felice colui, che, ignoto alla fama, lascia in ereditá a que’ pochi, che lo conoscevano, alcuna rimembranza di riconoscenza e di amore. —

Del resto, credo che il desiderio, nato con noi, di conoscere la storia de’ tempi andati sia figlio del nostro amor proprio, che vorrebbe illudersi e prolungar l’esistenza, unendoci agli uomini e alle cose che non esistono piú e rendendoli, per così dire, di nostra proprietá. Ama la immaginazione dell’uomo di spaziare fra i secoli e di possedere un altro universo. Con qual [p. 85 modifica] interesse il vecchio aratore mi narrava (mentr’io sedeva sopra il suo carro, per risparmiare la strada che conduce da Teresina) la vita de’ parochi della villa viventi nella sua fanciullezza, e mi descriveva i danni della tempesta di trentacinque anni addietro, e i tempi dell’abbondanza e quei della fame, interrompendosi ad ogni tratto, ripigliando il racconto ed accusandosi d’infedeltá! Così, chiaccherando, io mi trovo al giardino de’ nostri amici, dond’io non mi parto che all’oscurarsi del giorno. Buona notte.