Versi - Paralipomeni della Batracomiomachia/Nota/II. Paralipomeni della batracomiomachia

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II. Paralipomeni della batracomiomachia

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II

PARALIPOMENI

DELLA BATRACOMIOMACHIA

Furono editi per la prima volta dal Ranieri a Parigi (Baudry, 1842). Senonché lo stesso Ranieri, quando si fece a pubblicar le Opere «secondo gli ultimi intendimenti dell’autore», non ve li comprese; né, infatti, sono tra i quattro cahiers apprestati dal Leopardi per la stampa. Dopo le Opere il Lemonnier riprodusse, imitandola esattamente, l’edizione parigina; ma a far parte delle Opere non furono ammesse neppure con la curiosa transazione adottata per gli Studi filologici e il Saggio. Il Mestica, invece, li volle includere tra le Opere approvate, e li ristampò subito dopo i Canti. Non bene, a mio avviso. Giacché questi otto canti sono un lungo frammento d’un poema che non è facile immaginare come e dove sarebbe andato a finire. Probabilmente non sarebbe finito mai, neppure se il poema si fosse svolto per «cento canti», come il Byron voleva fare del suo Don Giovanni. Cominciato forse col solo intendimento di metter in burla le guerre e le congiure dei carbonari, si allargò via via all’intenzione di satireggiare tutte le tendenze e dottrine del tempo. [p. 222 modifica]

Il testo fu riveduto sull’autografo (conservato nella Biblioteca nazionale di Napoli), al quale mi sono attenuto anche per talune forme evidentemente marchigiane (per esempio «scarpello»). Una sola correzione, del resto già fatta da altri, ho introdotta, per le esigenze del senso, nel canto VII, stanza 48, verso 1, che nell’originale suona: «Ben quivi discernea Dedalo e il conte».