Versi - Paralipomeni della Batracomiomachia/Nota/Poesie varie

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Poesie varie

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Nota - Appressamento della morte Nota - II. Paralipomeni della batracomiomachia
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III

POESIE VARIE

I. — Guglielmo Manzi, di Civitavecchia, bibliotecario della Barberiniana aveva dati alle stampe certi Testi di lingua tratti da codici della Biblioteca Vaticana (1816), dei quali il Giordani fece nella Biblioteca italiana una recensione non laudativa, ma equanime e temperata (la si veda negli Scritti editi e postumi del Giordani, ed. Gussalli, III, 89-100). Codesto spinse il brav’uomo a pubblicar contro i compilatori della Biblioteca una sfuriata a dirittura da matto, dalla quale a sua volta fu indotto il Leopardi a scrivere i Sonetti in persona di ser Pecora. Mandati fin dal 12 maggio 1817 allo Stella perché li stampasse ne Lo spettatore, non furon pubblicati se non nel 1826 nel citato volume di Versi, quando il Manzi era già morto da cinque anni. [p. 220 modifica]

2. — Elegia. — Nel volume dei Versi è la seconda. La prima, col titolo: Il primo amore, fu accolta nell’edizione fiorentina (1831) e poi nelle successive dei Canti, ove l’ho naturalmente riprodotta anch’io. La seconda elegia era già stata ristampata negli Studi filologici, pp. 182-4 e negli Scritti letterari, II, 235-40.

2,. — Per donna inferma e Nella morte di una donna fatta trucidare. — La prima poesia pare scritta per Serafina Basvecchi, figlia della marchesa Olimpia Melchiorri, maritata prima a Pietro Basvecchi, poi in seconde nozze (1812) al conte Vito Leopardi, fratello di Monaldo. La Serafina, nata nel 1802 e maritata nel 1826con l’avvocato Domenico Marcoaldi, morí nel 1846. A lei il Leopardi accenna anche ne La sera del dí di festa, e probabilmente doveva esser per lei un’altra poesia, della quale non rimane se non un abbozzo (A una fanciulla, 1819, in Scritti vari inediti dalle carte napoletane, p. 47; e cfr. Mestica, Gli amori di G. L., in Studi leopardiani, p. 95 segg.). — Circa la seconda poesia, basterà ricordare che si riferisce a una Virginia del Mazzo, moglie d’un impiegato alla dogana di Pesaro, incinta durante l’assenza del marito e fatta abortire. — Il 9 febbraio 1820, il Leopardi mandava all’avvocato Pietro Brighenti a Bologna «un piccolo manoscritto»: erano queste due canzoni quella ad Angelo Mai, che egli voleva pubblicare. Vi fu al proposito un carteggio durato oltre tre mesi, nel quale si discusse del formato, della carta, del prezzo che avrebbe importato l’edizione, e anche del disegno del Leopardi di unire alle tre nuove canzoni le due stampate l’anno innanzi a Roma: All’Italia e Sopra il monumento a Dante. Ma all’ultimo momento intervenne il conte Monaldo, che il 9 aprile scrisse: «Con riflessione piena e matura, non posso assolutamente permettere la ristampa delle due canzoni sull’Italia e Dante. Delle altre disapprovo quella sulla donna fatta morire, ecc.». L’indignazione del poeta per questa «censura» domestica pare veramente eccessiva; e conclusione singolare fu che la canzone al Mai, che doveva passar quasi di contrabbando tra le altre due, fu pubblicata sola. Di queste due, restate inedite, la prima fu pubblicata da Alessandro D’Ancona (Per nozze Perugia-Levi, Pisa, 1870), di su una copia della contessa Paolina, e ristampata nell’Appendice all’Epistolario, dal Viani; negli Scritti letterari, II, 247-50, dal Mestica; nei Canti e versioni, da Camillo Antona-Traversi (Città di Castello, Lapi, 1887, pp. 207-14). La seconda vide la luce negli Scritti vari inediti dalle carte napoletane, pp. 42-6. [p. 221 modifica]

4. — La Satira di Simonide contro le donne, tradotta dal conte Giacomo Leopardi fu stampata per la prima volta nel Nuovo Ricoglitore, anno I, quaderno XI (novembre 1825), pp. 828-31 e ripubblicata nei Versi del 1826; donde passò negli Studi filologici pp. 231-34 e negli Scritti letterari, II, 273-6.


5. — Alla versione de La guerra dei topi e delle rane il Leopardi lavorò amorosamente, tornandovi sopra a piú riprese. La prima stesura è tra i Saggi; una seconda, mandata al Brighenti per la raccolta di traduzioni di Omero, incominciata a Verona dal Torri e che s’arrestò all’Odissea del Pindemonte, fu stampata a Bologna nel Caffé di Petronio, numeri 19, 20 e 21 (aprile-maggio 1825): nel volume dei Versi è la definitiva, che ho qui riprodotta testualmente, salvo a dar in appendice le opportune varianti.