Vita nuova/IX

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VIII X

[p. 21 modifica]Appresso la morte di questa donna alquanti die avenne cosa per la quale me convenne partire de la sopradetta cittade ed ire verso quelle parti dov’era la gentile donna ch’era stata mia difesa, avegna che non tanto fosse lontano1 lo termine de lo mio andare, quanto ella era. E tutto ch’io fosse a la com[p. 22 modifica]pagnia di molti, quanto a la vista l’andare mi dispiacea sì, che quasi li sospiri non poteano disfogare l’angoscia che lo cuore sentìa, però ch’io mi dilungava da la mia beatitudine. E però lo dolcissimo segnore, lo quale mi segnoreggiava per la vertù de la gentilissima donna, ne la mia imaginazione apparve come peregrino leggeramente vestito e di vili drappi. Elli mi parea disbigottito2, e guardava la terra, salvo che talora3 li suoi occhi mi parea che si volgessero ad uno fiume [p. 23 modifica]bello e corrente e chiarissimo, lo quale sen già lungo questo cammino là ov’io era. A me parve che Amore mi chiamasse e dicessemi queste parole: «Io vegno da quella donna la quale è stata tua lunga difesa, e so che lo suo rivenire non sarà a gran tempi4; e però quello cuore che io ti facea avere a lei, io l’ho meco, e portolo a donna, la quale sarà tua difensione, come questa era». E nominolami per nome5, sì che io la conobbi bene. «Ma tuttavia, di queste parole ch’io t’ho ragionate se alcuna cosa ne dicessi, dille6 nel modo che per loro non si discernesse lo simulato amore che tu hai mostrato a questa e che ti converrà mostrare ad altri». E dette queste parole, disparve questa mia imaginazione tutta subitamente per la grandissima parte che mi parve che Amore mi desse di sè; e, quasi cambiato ne la vista mia, cavalcai quel giorno pensoso molto ed acompagnato da molti sospiri. Appresso lo giorno cominciai di ciò questo sonetto, lo quale comincia: Cavalcando.


Cavalcando l’altr’ier per un cammino,
     pensoso de l’andar che mi sgradia,
     trovai Amore in mezzo de la via
     in abito leggier di peregrino.

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     Ne la sembianza mi parea meschino,5
     come avesse perduta segnoria;
     e sospirando pensoso venia,
     per non veder la gente, a capo chino.
Quando mi vide, mi chiamò per nome,
     e disse: «Io vegno di lontana parte,10
     ov’era lo tuo cor per mio volere;
     e recolo a servir novo piacere».
     Allora presi di lui sì gran parte,
     ch’elli disparve, e non m’accorsi come.


Questo sonetto ha tre parti: ne la prima parte dico sì com’io trovai Amore, e quale mi parea; ne la seconda dico quello ch’elli mi disse, avegna che non compiutamente, per tema ch’avea di discovrire7 lo mio secreto; ne la terza dico com’elli mi disparve. La seconda comincia quivi: Quando mi vide; la terza: Allora presi.


Commento

[p. 21 modifica] [p. 22 modifica] quanto alla vista. Si deve riferire a tutto ch’io fosse a la compagnia di molti o a l’andare mi dispiacea? Incerti ci lasciano gli antichi, mettendo quanto alla vista fra due virgole. Il D’Ancona si chiese prima, nell’edizione del 1884: «Vuol dire che, per quello che si vedeva, era in compagnia di molti, e in generale lo compagnie sono liete, ma ei non l’era: ovvero che, per quello che si vedeva dal suo atteggiamento e dai sospiri, l’andare dispiacevagli?». E il suo parere fu che «forse è meglio congiungere questo inciso colla prima frase». Al Renier (Giorn. stor. d. lett. ital., II,371) parve che la seconda maniera d’interpretare proposta dal D’Ancona «non possa neppure esser messa in discussione, perchè darebbe una contraddizione nello stesso periodo», e proponeva questa spiegazione: «quantunque fossi in compagnia di molti (per quanto dicea la vista, cioè in apparenza, che in realtà io non badavo agli altri, ma ero solo in compagnia del mio pensiero doloroso), l’andare mi dispiacea ecc.». Io non riesco a vedere la contradizione che il Renier scorge nel periodo a congiungere quanto a la vista con mi dispiacea; e poichè la sua mi sembra un’interpretazione sforzata, e dove il con tutto che viene a perdere molta della sua forza, preferisco quest’altra, che resulta più piana dal contesto e dalla considerazione che quando siamo in compagnia si cerca di non dare a vedere il proprio cruccio, specialmente se n’è causa Amore: ‘sebbene in compagnia, pure apparivo così dispiacente ecc.’ In altre parole, il dolore di Dante era tanto, che, quantunque fosse alla compagnia di molti, non riusciva a celarlo. L’espressione quanto alla vista viene così ad avere lo stesso significato che in altri due luoghi della Vita Nuova: XII 3 (Amore) pensando molto quanto a la vista sua, mi riguardava là ov’io giacea; XXXV 2 mi riguardava sì pietosamente quanto a la vista, che tutta la pietà parea in lei accolta: dove vista ha il valore preciso di ‘aspetto, espressione del viso, sembiante’, e non già di ‘ciò che si vedea, ciò che appariva’, indeterminatamente. Nè fa ostacolo alla mia interpretazione il ‘quasi cangiato ne la vi[p. 23 modifica]nominolami per nome Sono rimasto a lungo in dubbio se accogliere nel testo per nome. Ben è vero che se l’originale l’aveva, potè sembrare tanto a b quanto a β un riempitivo inutile e quindi esser lasciato fuori. Ma potè anche venir aggiunto inavvertitamente per essere l’espressione nominar per nome usuale, avendosi pur nel Novellino, nov. XIV, secondo il testo Gualteruzzi: innanzi a llui fecie mettere molte belle gioie e dimolte belle donzelle, tutte cose nominando per nome. Anche il copista del codice di Oxford, sebbene, nel nostro passo, l’originale suo avesse semplicemente nominolami, v’aggiunse per nome.

alcuna cosa Questa è la lezione di tutti i capostipiti. Alcuna (senza cosa), introdotta dagli Edd. Mil. e accettata dal Torri e dal D’Ancona2, è soltanto in un sottogruppo di b3, cioè in Pal-N&c. Arbitraria la mutazione in alcune fatta dal Fraticelli (seguito dal Giuliani), forse per attrazione del dille. [p. 24 modifica]

Note

  1. β non tanto lontano fosse.
  2. α (ed anche C p A) sbigottito.
  3. b tale otta, β taluolta.
  4. b β omettono a gran tempi.
  5. b β omettono per nome.
  6. k dillo.
  7. b p A di non scourire.