Vite dei filosofi/Libro Secondo/Vita di Senofonte

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Libro Secondo - Vita di Senofonte

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Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Secondo - Vita di Senofonte
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CAPO VI.


Senofonte.


I. Senofonte figlio di Grillo era ateniese, del popolo erchieo; modesto e bellissimo oltre ogni dire.

II. Raccontano che in una stradetta gli si fece incontro Socrate e, steso il bastone, gli impedì di passar oltre, interrogandolo in qual luogo si vendessero le singole cose che abbisognano al vivere; che avendogli risposto, di nuovo lo interrogò: E gli uomini in qual luogo si fanno eglino buoni e virtuosi? che rimanendosi dubbioso, seguimi dunque, gli disse, e impara; e che da quel tempo fu discepolo di Socrate.

III. E fu il primo che registrandone i detti li pubblicò intitolandoli Memorie; e il primo che scrisse anche una storia dei filosofi.

IV. Aristippo nel quarto delle Delizie antiche afferma ch’ei fu innamorato di Clinia; del quale aveva detto: ma ora io contemplo Clinia più volentieri di tutte l’altre cose belle che sono tra gli uomini; torrei piuttosto di esser cieco per tutte l’altre cose che pel solo Clinia; sono afflitto e di notte e nel sonno perchè lui non vedo; e debbo somme grazie e al giorno e al sole che mi fanno veder Clinia.

V. A Ciro divenne amico in questo modo. Era suo [p. 128 modifica]famigliare un nomato Prosseno, nativo di Beozia, discepolo di Gorgia leontino, amico di Ciro. Costui, dimorando in Sardi presso Ciro, scrisse ad Atene una lettura a Senofonte, invitandolo ad essere amico di Ciro. Mostrò egli la lettera e chiese consiglio a Socrate, il quale lo mandò a Delfo perchè consultasse l’oracolo. Obbedisce Senofonte; va dal dio; lo interroga, non se debba andare da Ciro, ma in che modo. Della qual cosa veramente Socrate gli fece rimprovero; ma il consigliò di partire. Ed ei venuto presso Ciro non gli fu caro meno di Prosseno. Ond’è che di quanto avvenne nella spedizione e nel ritorno convenevolmente ci ragguagliò.

VI. Fu nemico di un Mennone di Farsaglia condottiero di soldati stranieri, al tempo della spedizione, cui disse contumelia perchè abusava di fanciulli maggiori di lui. E anchè rimprocciò un Apollonide perchè avea forate le orecchie.

VII. Dopo la spedizione e le sventure accadute nel Ponto, e la fede dei trattati rotta da Seuto re degli Odrisii, venne in Asia ad Agesilao re dei Lacedemoni, mise a suoi stipendj i soldati di Ciro, e gli fu caro oltremodo. Allora gli Ateniesi lo condannarono all’esilio, per essere del partito lacedemone. Recatosi ad Efeso, avendo del danaro, ne diede una metà a Megabise sacerdote di Diana, da serbare finchè fosse tornato; quando che no, se ne facesse una statua da innalzare al nume: l’altra metà spediva in obblazioni a que’ di Delfo. Di là venne con Agesilao in Grecia, chiamatovi dalla [p. 129 modifica]guerra contro i Tebani, e datogli da’ Lacedemoni il soccorso ospitale.

VIII. Dopo ciò, lasciato Agesilao si condusse a Scillunte, nel territorio di Elea, poco discosto dalla città. Aveva seco, al dire di Demetrio magnesio, una donnicciuola, per nome Filesia, e, secondo afferma Dinarco nel libro Del rifiuto contro Senofonte, due figli i quali sono chiamati anche Dioscuri. Venutovi poi Megabise per una solennità, riebbe i danari, comperò un podere, per mezzo del quale scorre il Selino, fiume di egual nome a quello che è in Efeso, e lo consagrò alla dea. Quivi se la passava in cacce, banchettando amici, scrivendo istorie. Dicearco racconta che i Lacedemoni gli dessero e casa e podere; e dicono di più che lo spartano Filopida gli mandasse in dono colà gli schiavi che avea tolti a Dardano, ed ei ne disponesse a grado suo; ma che gli Eliesi, venuti armata mano a Scillunte, ne disertassero, indugiando i Lacedemoni, il podere.

IX. I figliuoli di lui con pochi servi rifuggirono a Scillunte, e Senofonte stesso, prima in Elide, poi anche a Lepreo, presso i fanciulli, quindi in compagnia di quelli si ridusse a Corinto, e quivi si pose ad abitare.

X. Frattanto, vintosi dagli Ateniesi il partito di soccorrere i Lacedemoni, mandò in Atene, perchè militassero in aiuto di questi i proprii figliuoli; i quali sendo in Isparta, vi erano stati educati, secondo racconta Diocle nelle vite dei filosofi. Diodoro, senza aver fatto nulla di ragguardevole, salvo uscì dalla pugna, ed a lui nacque un figlio ch’ebbe lo stesso nome del fratello; [p. 130 modifica]Grillo poi al suo posto tra i cavalieri (la battaglia era nei dintorni di Mantinea) moriva, al dire di Eforo nel vigesimo quinto, valorosamente combattendo — Cefisodoro comandava i cavalli, Agesilao conduceva l’esercito. — In quella battaglia cadde anche Epaminonda. È fama che Senofonte, colla corona in capo, facesse in quel momento un sagrificio; che recatogli l’annunzio della morte, depose la corona; ma che saputo da poi come gloriosamente era avvenuta, di nuovo si mise la corona. Anzi affermano alcuni che neppure abbia pianto, ma sclamasse: Ben io sapeva di averlo generato mortale — Racconta Aristotele che moltissimi composero elogi e l’epitafio di Grillo, in parte anche per gratificare al padre; e dice Ermippo nel suo libro intorno Teofrasio che Isocrate stesso scrisse l’encomio di Grillo, per la qual cosa Timone lo morde in questi versi:

     Dualità o trinità od anche
     Più innanzi, di sermoni dilombati.
     Quali il non docil Eschine compose,
     O Senofonte.

E tale fu la sua vita.

XI. Fiorì nel quarto anno della novantesima quarta olimpiade, e fece la spedizione con Ciro sotto l’arconte Seneneto, un anno prima della morte di Socrate. Cessò di vivere, secondo riferisce Stesiclide ateniese nel catalogo degli arconti e vincitori olimpici, il primo anno della centesima quinta olimpiade, sotto l’arconte Callidemide, al tempo del quale Filippo figlio di Aminta imperava a’ Macedoni; e morì in Corinto, al dire di Demetrio magnesio, certamente già vecchio. [p. 131 modifica]

XII. Uom virtuoso per ogni rispetto: amator di cavalli, di cacce, e tattico abile, siccome è manifesto da suoi scritti. Religioso, dedito a’ sagrificii, versato nella conoscenza delle vittime ed esatto imitatore di Socrate.

XIII. Scrisse sino a quaranta libri che altri altrimenti divide; e la spedizione, ad ogni libro della quale, non a tutta, fece un proemio — e l’educazione di Ciroe le cose dei Grecie i commentarie il banchettoe l’economicoe sulla cavalleriae della cacciae del comandare la cavalleriae l’apologia di Socratee dei profittie Ierone o della tiranniae Agesilaoe il governo degli Ateniesi e dei Lacedemoni, che il magnesio Demetrio dice non essere di Senofonte. — È fama che potendo egli sottrarre i libri nascosti di Tucidide, a gloria di lui li pubblicasse.

XIV. Era, per la soavità del dire, chiamato la Musa attica. Il perchè furono gelosi l’uno dell’altro e desso e Platone, siccome racconteremo nelle cose di Platone. Sono sopra lui questi nostri epigrammi:

     Non sol per Ciro a’ Persi Senofonte
     Aiutò, ma l’erta via tentò che a Giove
     Guida: chi la dottrina sua mostrando
     I greci fatti, ne ricorda come
     La sapienza di Socrate era bella.

Altro, come morì:

     Sebbene, o Senofonte, i cittadini
     Di Cecrope e di Cranao, dell’amico
     Ciro a ragion sbandeggianti, l‘accoglie
     L’ospitale Corinto, e sì ti alletta
     Che colà rimanerli i tuo pensiero.

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XV. Ho trovato in un altro luogo aver egli fiorito circa l’ottantesima nona olimpiade in compagnia di altri Socratici: e dice Istro essere ito in bando per sentenza di Eubulo, e per sentenza dello stesso essere ritornato.

XVI. Furono sette Senofonti. — Primo, quest’esso, secondo, l’ateniese fratello di Pitostrato, autore di una Teseide, il quale scrisse altre cose, ed anche una vita di Epaminonda e di Pelopida; terzo, un medico di Coo; quarto, lo scrittore della storia di Annibale; quinto, quello che compose i prestigi favolosi; sesto, il pario statuario; settimo, un poeta dell’aulica commedia.