Idilli (Teocrito - Pagnini)/IV

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IV

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Teocrito - Idilli (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Luca Antonio Pagnini
IV
III V
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I PASCOLATORI

Idillio IV

Batto e Coridone.

batto

Corridon, dimmi: di chi son le vacche?
     Son esse di Filonda?
coridone
                              No: d’Egone.
Ei diemmele a guardar.
batto
                                                  Vai tu vêr sera
     A mugnerle mai tutte di soppiatto?
coridone
Il vecchio pon lor sotto i vitellini,
     E ben m’osserva.
batto
                         Ma il bifolco ei stesso,
     Che non si vede più, dov’è sparito?
coridone
Nol sai? Milon se l’ha condotto a Pisa.
batto
E quando egli mai vide olio di lotta?

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coridone
Dicon, che a forza, e vigorìa gareggia
Con Ercole.
batto
                         Anche a une dicea mia Madre,
Ch’io di Polluce era miglior.
coridone
                                                       Partito
Se n’è con venti pecore, e una sappa.
batto
Milon faria appetir la rabbia ai lupi.
coridone
Qui le giovenche il cercan mugolando.
batto
Triste! che mal pastore hanno incontrato!
coridone
E come triste! Più non voglion pascere.
batto
A quella vitellina altro che l’osea.
Non resta. Vive forse di rugiada,
Come fa la cicala?
coridone
                              Affè talora
La meno a pascolar lungo l’Esáro,
E dolle un gran fastel di molle fieno;
Talor si svaga pel Latimno ombroso.
batto
Egli è pur magro quel torel rossetto.
Deh! ne toccasse in sorte un pari a questo
A’ Lampriadati, scellerata gente,
Quand’essi fanno il sagrifizio a Giuno.
coridone
pure a bocca di palude, a Fisoo,
a Necta, ov’è ogni ben del mondo,
Gniza, egipiro, e melitea odorosa.

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batto
Ve’, ve’, le vacche ancor, povero Egone,
     Mentre agogni una misera vittoria,
     S’incamminano a Stige: e la zampogna
     Fabbricata da te la rode il tarlo.
coridone
Questo no, viva il ciel, che andando a Pis
     Diellami in dono; e so sonare anch’io.
     So i canti modular di Glauca e Pirro;
     Lodo Croton. Bella città è Zacinto,
     E Lacinio che guarda in vêr l’aurora,
     Dov’Egon lottator solo mangiossi
     Ottanta torte, e tirò giù dal monte
     Per l’unghia un toro, e diello ad Amarili
     Gran plauso fean le donne; ed ei ridea.
batto
Amarilli gentil; te spenta ancora
     Non mai obblierò. Moristi, o cara,
     Tanto a me cara, quanto le caprette.
     Uh, uh, che dura sorte è a me incontrata!
coridone
Convien far core, amico Batto. Forse
     Doman le cose meglio andran. Chi vive
     Ha la speranza, fuor di speme, è il morto.
     E Giove stesso or è sereno, or piove.
batto
Io mi fo core. Orsù caccia i vitelli
     Abbasso, chè là rodono una frasca
     D’ulivo i meschinelli. Olà, bianchetto.
coridone
Cimeta, presto al poggio. Non m’intendi?
     Vengo a darti il malanno, affe’ di Pane,
     Se non ti muovi. Oh! ve’, dà volta indietro.
     Deh se avessi un randel per fracassarti!

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batto
Coridon, guarda per amor di Giove.
     Sotto un calcagno or mi s’è fitto un pruno.
     Come son alti i pruni! Ah! si rompesse
     Quella vitella il collo. Io mi son punto
     Nel perdermi a lei dietro. Hai visto ancora?
coridone
Sì sì, l’ho già fra l’unghie. Eccolo fuori.
batto
Che sotti! punta, e che grand’uomo abbatte!
coridone
E tu mai più non venir scalzo al monte,
     Batto, ove fan per tutto e roghi e spini.
batto
Dimmi un po’, Coridone: è più il vecchietto
     Com’era prima innamorato morto
     Di quell’amica delle ciglia nere? ·
coridone
O cattivello, e come? appunto dianzi
     Trovailo a civettar presso, la stalla.
batto
Bravo! Ben può co’ Satiri, o co’ Fauni
     Di torte gambe andar tua razza a gara.