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Li portroni

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Giuseppe Gioachino Belli

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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835

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LI PORTRONI.

     Caro sor cul-de-piommo,1 io ve la dico
Co’ llibbertà ccristiana: a mmé2 la ggente
Ch’ha pper estinto3 de nun fà mmai ggnente,
L’ho a ccarte tante4 e nnu’ la stimo un fico.

     Dio ne guardi sto vizzio a ttemp’antico
Si5 l’aveva Iddio Padre Onnipotente;
Er monno nun nassceva un accidente,6
E nnoi mo nnun staréssimo7 in Panico.8

     A ttutto ha d’arrivà la Providenza!
E ssempre se9 va avanti co’ lo spero
E cce sarà er Ziggnore che cce penza.

     Grattapanze futtute! e cche! er Ziggnore
L’hanno pijjato a ccòttimo10 davero?!
Lavorate, per dio! Pane e ssudore.

11 gennaio 1835.

Note

  1. Cul-di-piombo: uom pigro.
  2. A me qui sta per “io.„
  3. Ha per istinto.
  4. L’ho dietro.
  5. Se, nel senso di particella dubitativa.
  6. Non nasceva affatto.
  7. Non staremmo.
  8. Contrada di Roma presso la Mole Adriana.
  9. Si.
  10. Prendere a cottimo, qui vale: “abusarsi di altrui.„