Al Polo Australe in velocipede/9. I banchi di kelp
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CAPITOLO IX.
I banchi di kelp.
Ritrovato Bisby, la Stella Polare aveva ripresa la sua rapida corsa verso le terre polari del Sud, dirigendosi sulle Shetland australi, considerevole gruppo d’isole che circonda le spiagge settentrionali della Terra di Trinity e di quella di Palmer.
La spedizione aveva fretta di giungere presso le coste del continente polare per evitare i grandi banchi di ghiaccio, che si staccano durante le stagioni estive, emigrando poi in gran numero verso le regioni settentrionali e accumulandosi talvolta nei dintorni del lontano capo Horn.
È bensì vero che l’estate non era ancora cominciata, ma un ritardo poteva essere disastroso, sia per gli americani che per gli inglesi. In quelle regioni, il sole non è mai caldo e se riesce a sgelare i banchi, le montagne ed i campi di ghiaccio, basta una bufera per saldare ancora quei colossi e chiudere qualsiasi sbocco del continente australe.
Era necessario quindi, soprattutto per l’armatore, di trovarsi più al Sud che era possibile al principiare dello sgelo, per tentare l’esplorazione della Terra Alexandra. Solo allora poteva sperare di seguire le spiagge di quell’isola e di spingersi tanto innanzi nel cuore del continente, da avvicinarsi a quel misterioso polo che fino allora nessun essere umano aveva toccato.
La velocità della Stella Polare, quindi non scemava. Malgrado la folta nebbia, filava verso le regioni australi, senza deviare dalla rotta stabilita, fendendo con cupo fragore le onde di quell’Oceano, che travolgevano fra la spuma i primi ghiacciuoli, l’avanguardia degli ice-bergs e dei campi immensi di ghiaccio.
Una profonda oscurità avvolgeva quel gelido mare, quantunque fosse di giorno. Quel nebbione impediva al sole d’illuminare quella regione, sebbene già dovesse splendere fino ad ora tarda, tramontando alle undici di sera.
Il silenzio che regnava era solamente rotto dal frangersi dei ghiacciuoli e dalle rapide pulsazioni della macchina. Talvolta però echeggiavano delle rauche strida e si vedevano giuocherellare, attraverso alla nebbia, degli stormi di uccelli, i quali nuotavano verso le regioni meridionali.
Erano bande di Micropterus cinerus, strani uccelli somiglianti ai pinguini, colle penne grigrio-plumbee sul petto e sul collo, bianco-giallastre sotto il ventre, il becco color arancio e grosse sopracciglia biancastre che sembrano occhiali.
Hanno il volo pesante, essendo grossi e possedendo delle ali corte, quindi non si alzano quasi mai, ma sono eccellenti nuotatori e possono rimanere sott’acqua anche parecchi minuti.
Qualche volta invece volteggiavano in alto degli stormi immensi di grosse procellarie, di berte e anche di quando in quando passava, rasentando gli alberi della goletta, qualche diomedea fuliginosa, grossissimi volatili, chiamati giustamente avoltoi dell’oceano, voracissimi e dotati d’un volo potente, possedendo delle ali che misurano, quando sono spiegate, circa quattro metri di larghezza.
A mezzodì, mentre la Stella Polare rallentava la corsa per tema di urtare improvvisamente contro qualche grande banco di ghiaccio, l’elice cessò improvvisamente le sue evoluzioni. Già da qualche minuto pareva che girasse con difficoltà, imprimendo alla nave delle strane scosse, ora rallentando ed ora accelerando le battute.
— Abbiamo urtato? chiese Linderman che si trovava in coperta.
— È impossibile, signore, rispose il capitano Bak, curvandosi sul bordo.
In quel momento il capo-macchinista apparve sul ponte.
— Signore, disse, volgendosi verso il capitano. L’elice non funziona più.
— Lo vedo, rispose il comandante. Che sia avvenuto un guasto?
— No, rispose una voce a prua. L’elica è stata legata.
— Legata?... esclamarono Linderman e il capitano.
— Sì, signori, disse Wilkye, facendosi innanzi. Noi passiamo sopra una grande piantagione di kelp.
— Sopra delle alghe, volete dire?
— Sì, signor Linderman.
— E credete che non riusciremo a sbarazzarci?
— Sarà un po’ difficile, per ora. Vi consiglio di far spiegare le vele; più tardi farete liberare l’elica.
— Il vento è favorevole, disse il capitano. Soffia dal nord-ovest e potremo filare comodamente sei o sette nodi all’ora.
— Fate — disse Linderman.
Al primo fischio emesso dal mastro d’equipaggio, i marinai si affrettarono ad eseguire la manovra.
Le rande, le contro-rande e i fiocchi in pochi istanti furono spiegati, e la goletta, obbedendo all’azione del vento e del timone, scivolò leggiera leggiera sul denso strato d’alghe, civettuolamente inclinata sul babordo.
Come aveva detto Wilkye, era giunta nel mezzo di un immenso banco di kelp. Queste alghe, che chiamansi Macrocystis pyrifere, nascono solamente nei mari australi e avvertono la vicinanza di bassi-fondi o di isole. Raggiungono delle lunghezze incredibili, poichè sovente misurano settecento, ottocento e perfino mille piedi, ossia circa trecentotrenta metri.
Esse fissano le radici in fondo al mare, si ramificano e salgono obliquamente verso la superficie. Alcune sottilissime si tengono celate sott’acqua, ma altre più larghe, in forma di lamine dentellate, emergono. Queste sono le più pericolose, poiché giunte a fior d’acqua si ramificano enormemente, imprigionando di frequente le navi.
Esse sono sorrette da piccolissime vesciche aeree e in mezzo a quel caos di nastri giganteschi brulica una quantità di animaletti, come l’uraster, che è di un bel giallo aranciato, l’acanthocyclus gai, che è un crostaceo, il lophyrus granosus e il comholepas oblungus, che sono molluschi e soprattutto dei veri banchi di clios australi, molluschi lunghi tre centimetri, che sono avidamente ricercati dai cetacei; anzi costituiscono la così detta zuppa delle balene.
Si dice che il kelp circondi tutto il continente australe, racchiudendolo entro un immenso cerchio.
La Stella Polare però passava facilmente sopra quella grande prateria marina. Se l’elica non poteva più funzionare, il vento la spingeva con rapidità verso il Sud, gonfiando le rande e le contro-rande.
Pel momento non era il caso di liberare l’elica, poiché quei lunghi vegetali non avrebbero tardato ad imprigionarla ancora.
Tutto il giorno la goletta navigò sul kelp, ma verso le otto di sera, nel momento in cui il nebbione si alzava, e che il sole cominciava ad apparire indorando le cupe acque dell’oceano Antartico, le alghe quasi improvvisamente scomparvero.
Tosto furono ammainate le vele, la gran scialuppa fu calata in mare e sei uomini andarono a sbarazzare l’elica. Non fu però una operazione facile, poichè le alghe si erano attorcigliate alle pale in siffatto modo, da richiedere una lunga operazione prima di reciderle.
Alle nove però, la Stella Polare si rimetteva in marcia a tutto vapore.
Quasi nel medesimo istante compariva in coperta Bisby. Aveva dormito una dozzina di ore dopo d'aver bevuto una bottiglia di vino caldo e pareva completamente rimesso da quella brutta avventura che per poco non gli era costata la vita.
Si era infagottato in vesti di pelle di foca, si era avvolto maestosamente nella sua famosa pelle di bisonte che gli dava un aspetto di capo indiano e si era messo in testa un cilindro nuovissimo, avendo perduto l’altro nel brutto capitombolo.
La sua prima domanda, appena mise piede in coperta, fu questa:
— È cucinato il mio albatros?
— Il ghiottone! esclamò Wilkye. Tanto vi preme la carne coriacea di quell’uccellaccio?
— Cospettaccio!..... se mi preme?..... Ah! voi non sapete che voleva mangiarmi?
— Eh via! esclamò Linderman, ridendo. Non siete un gabbiano, nè un pesce.
— Mi aveva assalito, signore, e se non lo strozzavo non so se sarei ancora vivo.
— Ma come siete caduto? chiese Wilkye. ... alcuni uomini andarono a sbarazzare l’elica (pag. 82)
— Ve lo dirò poi; ma voi, non vi eravate accorti della mia scomparsa?
— No, Bisby; vi credevamo nella vostra cabina e ci accorgemmo solamente due ore dopo. Siete stato fortunato di farvi trovare, con quel nebbione che scendeva sull’oceano.
— Lo credo, ma ora sto benissimo e non ho che un solo desiderio, cioè quello di dare un buon colpo di dente a quel brutto uccellaccio che aveva scambiato la mia testa per un pesce.
— Lo mangerete a cena in salsa piccante.
— Ma io ho fame!
— Fra mezz’ora la campana ci radunerà a cena.
— A cena?..... esclamò Bisby stupito. A pranzo, vorrete dire.
— No, amico mio: avete dormito dodici ore e sono quasi le 9 di sera.
— Ma voi siete pazzo o volete scherzate, Wilkye. Non vedete che splende ancora il sole?
— E cosa vuol dire ciò?
— Che in nessun paese del globo, alle nove di sera si vede il sole, guardate come è ancora lontano dall’orizzonte.
— Questa regione, mio caro Bisby, è diversa dalle altre e l’astro diurno, per ora, non tramonterà che a undici ore, fra pochi giorni a mezzanotte, e fra qualche settimana non si nasconderà più e c’illuminerà per ventiquattro ore continue, anzi per tre o quattro mesi, se continueremo a scendere al sud, e per sei se toccheremo il polo.
— Ma che storie strabilianti mi narrate, Wilkye. Volete scherzare, approfittando della mia ignoranza?
— No, vi do la mia parola; guardate il mio orologio: segna otto ore e cinquanta minuti ed il sole non accenna a tramontare.
— E anche il mio! esclamò Bisby, che cadeva di sorpresa in sorpresa. Ma che paese è mai questo?....... C’è da impazzire, Wilkye.
— E perchè amico mio?
— Perchè non comprendo questo fenomeno.
— Non è un fenomeno e la spiegazione è semplicissima, mio caro Bisby. Nelle nostre regioni settentrionali, sapete perchè le giornate d’inverno si accorciano?
— Non ve lo saprei dire; non m’intendo che di carni salate.
— Semplicemente pel fatto, che allora il sole volge i suoi raggi più diretti verso le regioni meridionali situate al di là dell’equatore, le quali appunto allora godono l’estate. Il polo nord, essendo il più lontano dall’equatore e quindi anche dal sole che si trova nell’emisfero australe, in causa della rotondità della terra non può ricevere alcun raggio solare.
Infatti se Baltimora, e per conseguenza tutte le regioni situate sullo stesso parallelo, all’inverno godono dieci ore di luce, quelle più al nord ne godranno solamente nove, le altre più lontane di otto, sette e via via finchè talune non ne avranno affatto.
La stessa cosa avviene nelle regioni australi. Il sole ha passato l’equatore e si allontana sempre più dall’emisfero settentrionale scendendo verso il sud. I paesi situati al di là del circolo antartico, avranno sempre il giorno e la notte, poichè la terra gira, ma il polo che può considerarsi come il perno, rimane quasi fisso, quindi laggiù il sole, durante l’estate non tramonta mai; quando però si allontana e risale nell’emisfero settentrionale, piomba laggiù una notte orrenda che ha l’istessa durata. Aspettate che sopraggiunga l’autunno, e in queste regioni vedrete il sole allontanarsi rapidamente, le giornate scorciarsi presto, finché regnerà un’oscurità così profonda che nè le stelle nè la luna riesciranno a rompere.
— Brrr! Mi fate venire freddo, Wilkye.
— Ne avrete allora, Bisby, e molto. Queste regioni si copriranno di nevi e di ghiacci spaventevoli e la temperatura discenderà a 40° e perfino a 50° sotto lo zero.
— Ho la mia pelle di bisonte: sento che mi fa sudare.
— Ora sì, ma allora vi farà ben poco.
— E non ritorneremo prima?
— Chi può dirlo? Se la Stella Polare viene imprigionata dai ghiacci, saremo costretti a svernare sulle coste della Terra di Graham.
— Fra i ghiacci?
— Sì, Bisby.
— Non mi spiacerebbe vedere quei famosi monti di ghiaccio. Si dice che siano belli.
— Volete vederne alcuni?
— Sì, Wilkye.
— Eccone laggiù una vera flotta: sono ammirabili quegli ice-bergs, ma indicano che lo scioglimento è cominciato sulle coste del continente polare e ci dicono che ben presto, la nostra valorosa goletta, sarà messa a dura prova.