Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/24
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Anno di | Cristo xxiv. Indizione xii. Tiberio imperadore 11. |
Consoli
Ancorchè Tiberio non chiedesse al senato la confermazione della sua suprema autorità1, finito il decennio di essa, come usò Augusto, perchè egli non l’avea dianzi ricevuta per un determinato tempo: pure si solennizzarono i decennali del suo imperio con varii giuochi pubblici e feste. E perciocchè2 i pontefici e sacerdoti aveano fatto dei voti per la conservazione della vita di Tiberio, unendo anche con lui Nerone e Druso, cioè i due maggiori figliuoli del defunto Germanico, se l’ebbe a male il geloso Tiberio. Volle sapere, se così avessero fatto per preghiere o per minacce d’Agrippina lor madre; ed inteso che no, li rimandò, non senza qualche riprensione. Poscia nel senato si lasciò meglio intendere, con dire che non si avea con prematuri onori da eccitare od accrescere la superbia de’ giovani per lo più sconsigliati. Sejano anch’egli non lasciava di fargli paura, ripetendo essere già divisa Roma in fazioni; una d’esse portare il nome di Agrippina; e doversi perciò prevenire maggiori disordini. Dato[p. 72] fu quest’anno fine alla guerra, già mossa da Tacfarinate in Africa. Era proconsole di quelle provincie Publio Dolabella, e tuttochè fosse stata richiamata in Italia la legione nona che era in quelle parti, pure raccolti quanti soldati romani potè, all’improvviso assalì i Numidi, mentre sotto il comando di esso Tacfarinate stavano raccolti sotto un castello mezzo smantellato. Fatta fu strage di loro, e fra gli uccisi vi restò il medesimo Tacfarinate, per la cui morte ritornò la quiete fra que’ popoli. Fu in quella azione aiutato Dolabella da Tolomeo figliuolo di Giuba, re della Mauritania. Erano dovuti al vincitore proconsole gli onori trionfali, ed egli ne fece istanza; ma non gli ottenne, perchè a Sejano non piacque di vederlo uguagliato nella lode a Bleso suo zio, predecessore di Dolabella nel governo che pure avea ricevuto quel premio, con aver operato tanto meno. A Tolomeo re fu inviato da Tiberio in dono uno scettro d’avorio, e una veste ricamata in segno del gradimento dello aiuto prestato. Perseguitò Tiberio in quest’anno alcuni de’ nobili, non d’altro delitto rei che d’aver mostrato il loro amore a Germanico e a’ suoi figliuoli; e ad alcuni per questo gran misfatto, tolta fu la vita, crescendo ogni dì più la crudeltà del principe, e per conseguente il comune odio contro di lui. Abbondavano allora le spie; orecchio si dava a tutti gli accusatori, e niuno era sicuro. Nelle contrade di Brindisi un Tito Cortisio, soldato pretoriano ne’ tempi addietro, mosse a sedizione i servi o, vogliam dire, gli schiavi di quelle parti; e vi fu paura d’una guerra servile. Ma per la sollecitudine di Tiberio e di Curzio Lupo questore, che con un corpo di armati volò contro di loro, restò in breve estinto il nascente incendio. Hanno osservato gli eruditi3 che nell’anno presente avendo Valerio Grato dato fine al suo governo della Giudea, Tiberio spedì colà per procuratore e governatore Ponzio Pilato, di cui è fatta menzione nel Vangelo.
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