Azioni egregie operate in guerra/1646

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1646.

L
’Esercito di Cristina Sovrana di Svezia mutò Comandante supremo, essendosi ritirato alla quiete per indisposizioni travagliose il Conte Leonardo Tosterdon, e subentrato alle di lui veci Carlo Gustavo Conte d’Urangel. Contra di lui uscì in Campagna l’Arciduca Leopoldo d’Austria con le soldatesche Cesaree, e Bavare. Benchè gli Svezzesi fossero milizie sceltissime, pure l’Arciduca, arrivando loro adosso con marcia inaspettata, e con numero superiore di Soldatesche, si trovava in istato o di ripulsarli ben addietro verso la Pomerania, o di costringerli a svantaggioso conflitto. A tal fine erasi collocato in un sito di mezzo tra loro, e i Francesi; onde gli uni non potevano congiungersi agli altri. Aveva di più raggiunti gli Svezzesi in paese, ov’eravi scarsezza di viveri. Colla sua numerosa Cavalleria scorrendo la Campagna, impediva loro il procacciarsene dalle terre vicine, e il ricevere convogli d’altrove. Era prossimo ad impossessarsi de’ luoghi forti di que’ contorni, colla presa de’ quali veniva in istato di circondarli, e gli riduceva a strane contingenze. I Plenipotenziarj Francesi, residenti a Munster per i trattati di pace, avvisati dall’Urangel dello Stato pericoloso, in cui versava, spedirono all’Elettore di Baviera calde istanze, perchè ritenesse le genti sue dall’assistere all’Arciduca. Quali fossero le ragioni, e quali le promesse, che addussero per indurlo ad acconsentire alle loro proposte non è qui luogo da riferirsi. E’ certo, che l’Elettore aveva nel corso di questa guerra tenuta corrispondenza perpetua colla Corte di Parigi, che sin dal principio gli aveva offerto di difenderlo dal Re Gustavo, e dagli Svezzesi, se abbandonava l’Imperatore. Come passassero quelle negoziazioni, maneggiate talvolta anche con ministri segreti, spediti alle Corti, e quali fossero le querele scambievoli, uscite posteriormente dall’una parte contra dell’altra, come ancora qual delle due parti prevalesse in sincerità, e in ragionevolezza, sarebbe impiego lungo, ed odioso lo svilupparlo. Possono leggersi appresso gl’Istorici favorevoli ad amendue i partiti; sopra de’ quali uno spirito indifferente avrà agio di formarne retto giudicio. Questa volta l’Elettore1, aderendo a’ Francesi, mandò ordini a’ Generali delle proprie truppe, che non proseguissero cogl’Imperiali a stringere gli Svezzesi, nè gli riducessero a tale necessità, che dovessero questi ripassar il Fiume Veser. In virtù di tali ordini i Bavari con precipitosa ritirata s’allontanarono da’ nemici. Se ne dolse amaramente l’Arciduca; poichè si vide rapire dalle mani considerabili vantaggi. Col silenzio coprì per allora il dispiacere. Ma quando poi da quel pas[p. 105 modifica]so ne risultarono danni gravissimi agli Stati del Bavaro medesimo, e all’esercito da lui governato, ne uscì in querele, che sconcertarono assaissimo i comuni affari. Il Bavaro s’era lusingato, che il Turena Capo de’ Francesi passasse a militare sul Lucemburgese ne’ Paesi bassi Spagnuoli; e in fatti quel Generale ricevette ordini pressantissimi dalla Corte di Francia di andarsene colà. Ma avendo poi inteso, che l’Urangel si trovava ristretto, affamato, e in pericolo d’esser respinto addietro malamente, con perdere molto paese; allora il Turena, senza attendere mutazione di comandi, scrisse alla Corte, come aveva giudicato necessario agl’interessi della Corona Francese, il camminare speditamente al soccorso degli Svezzesi, angustiati, e disimpegnarli dalle fastidiose contingenze, nelle quali erano inviluppati. Lasciò molta Fanteria nelle vicinanze di Magonza; e colla Cavalleria praticando un lungo giro intraprese marcia disastrosissima. Passò la Mosella ad un guado. Traversò l’Elettorato di Colonia sino a Rimberg. Chiese permissione agli Ollandesi, di valicare il Reno a Vesel, piazza allora sotto il dominio di quello Stato. La Guarnigione negò di concedergli il passo. Ma la fortuna, a lui propizia, dispose, che colà rinvenisse un Ambasciatore del suo Re, che a forza d’istanze gliene ottenne la facoltà. Alla metà di Luglio trapassò di là dal Reno. Per la Contea della Marca, secondando il fiume Lippa, giunse alla Capitale di quella Signoria; di là piegando a diritta, trascorse tutta la Vestfalia, e dopo altri ventisei giorni di rapido, e penosissimo viaggio si congiunse all’Urangel, trincerato sul fiume Lonh tra Vetzlar, e Giessen.

Gli Svezzesi accolsero con sommo giubilo, ed applauso il Turena, e lo colmarono di ampie lodi, ben meritate per la corsa fatta con tanto ingegno, e prosperità a loro sollievo. La notizia del di lui arrivo persuase gl’Imperiali, a ricoverarsi sotto Fridberg, ove cinsero con ripari il loro campo. I Confederati Francesi, e Svezzesi s’avanzarono sul fiume Meno a poche leghe da Magonza; d’onde il Turena richiamò a sè la Fanteria, lasciata in que’ contorni. Con questa congiunzione l’esercito combinato di Francia, e di Svezia, divenuto superiore, entrò nella Franconia, e nella Svevia donde riportò grossissimi bottini. Di là si fece largo nella Baviera; ove, espugnato Rain, assediò Augusta, presidiata dal Bavaro, e vi cominciò gli approcci. Ma all’arrivo dell’Arciduca coll’armata Imperiale, l’Urangel, non potuto accordarsi col Turena intorno alla guarnigione, da introdursi in quella piazza, se veniva espugnata, volle, che si lasciasse l’attacco, e si applicasse a ricavare grossissime contribuzioni da’ paesi circonvicini colle scorse che fece, e principalmente nella Baviera sino alle porte di Monaco.

Tra l’Arciduca Leopoldo, e l’Elettore erano cresciute le amarezze: pretendendo questi, che i suoi Stati non fossero stati coperti dalle invasioni nemiche, come dovevasi, e che i Capi Imperiali non sapessero il mestiere di ben maneggiare la guerra, come conveniva loro. Ris[p. 106 modifica]pose l’Arciduca, ch’egli a primo tempo, trascurando le urgenze gravissime de’ proprj Stati Patrimoniali, era passato colle maggiori sue forze, a congiungersi co’ Bavari, co’ quali accostatosi agli Svezzesi, gli avrebbe rovinati, se non fosse stato impedito da qual comando intempestivo, spiccato dall’Elettore a’ suoi Capitani, per compiacere i Ministri Francesi. Dalla ritirata delle truppe Bavare erano gli Svezzesi divenuti più animosi, e dopo l’arrivo del Turena avevano fatti passi arditissimi. Esso poi Arciduca aver dovuto governarsi con circospezione, non essendo sicuro, che i Bavari, benchè di poi riuniti, non avessero altri ordini, che gli gettassero a terra le proprie risoluzioni, come avevano praticato in avanti. Essersi egli tenuto coll’esercito in siti, che coprivano buona parte della Franconia, e le provincie Austriache. Tanto più che a lui era pervenuto avviso, uscito dalla Corte Elettorale, come da Parigi era assicurato esso Elettore, che l’unione del Turena coll’Urangel erasi fatta per l’impegno dell’antica Alleanza; ma non avrebbe inferito male alcuno alla Baviera, e pure era accaduto tutto l’opposto.

Queste vicendevoli querele disgustarono acerbamente i due Principi Cognati. E però l’Arciduca, invitato dal Re di Spagna, ad assumere il governo de’ Paesi bassi Cattolici, dove le dissensioni fra Capi militari apportavano danni gravissimi agl’interessi di quelle provincie, volontieri abbracciò l’impegno d’andarvi. L’Imperatore, rammentandosi, come assai meglio la condotta de’ suoi eserciti era proceduta sotto la direzione del Generale Galasso, volle per ogni modo, ch’egli ne ripigliasse il comando. Ma quando nell’anno prossimo era in procinto d’uscire in Campagna, un’infermità dolorosissima lo tolse di vita con detrimento gravissimo degl’interessi di Casa d’Austria.

Il Conte Mattia Galasso merita la stima d’uno de’ maggiori Capitani del suo secolo per li grandi talenti, de’ quali era dotato, e per le illustri imprese, che promosse ad ottimo fine. Venuto al mondo con inclinazione alla guerra, cominciò da giovanetto, ad accostumare il suo corpo ne’ patimenti, e a non paventare nello spirito i pericoli. Col merito di segnalate azioni passò di grado in grado alle sublimi cariche degli eserciti. Possedeva un giudicioso ingegno, e grande intelligenza militare. Di queste doti si prevalse, a maneggiare saviamente la guerra. Sapendo, a quanti pericoli è sottoposto l’esito delle battaglie sfuggì di cimentarvisi, se non quando era quasi certo di vincere. Sagacissimo, ed industrioso ne’ stratagemmi militari, si prevaleva di questi per abbattere i nemici, e più volte gli riuscirono felicissimamente. Professava affezione sviscerata a’ Cesari suoi Sovrani, in di cui servigio per occorrenze penuriose impiegò il proprio denaro, assoldando truppe, e talvolta ancora sostentandole. In diverse fazioni difficili, e scabrosissime fece conoscere la sua prudenza, e destrezza2. Radrizzò molti affari, che [p. 107 modifica]parevano ormai disperati, e quando l’inimico si lusingava talvolta, d’aver già in pugno la vittoria, rimaneva tosto deluso. Penetrava i di lui disegni. Antivedeva le di lui insidie, lo tratteneva, lo stancava; e quando meno se l’aspettava, allora lo assaliva. Ebbe a fronte eccellenti Capitani, confessati per tali da tutte le Istorie, come il Duca Bernardo di Vaimar, il Banner, il Tosterdon, che lo esperimentarono niente inferiore a loro in tutti i pregi di buon guerriero, e di egregio conduttore di eserciti. Patì bene spesso un disavvantaggio, a cui essi non soggiacquero, cioè mancanza di denaro da somministrare a’ proprj soldati; quando sopra de’ loro Svezzesi, ed Alleati Alemanni pioveva l’oro da più parti, e massime dalla Francia. Entrati i Generali, e gli Ufficiali Svezzesi in Alemagna, scarsi di denaro poi ricchissimi, e carichi di gran dovizie ritornavano alla patria. Fu maraviglia, che tante volte esso Galasso potesse mantenere fedeli, ed ubbidienti le proprie soldatesche senza soldo, e con iscarsezza di viveri. Conosceva il modo di farsi amare, e con questo si guadagnava la benevolenza altrui. Per i proprj soldati avrebbe impegnato sè stesso, non che profuse le proprie sostanze, per ischermirli dalla fame, e da’ patimenti. La sua Casa era aperta a tutti; ed ogni fantaccino veniva accolto a mensa. Mai si lasciò spaventare da’ rigori del freddo, mai dall’eccesso del caldo, nè da alcuna incomodità. A niuna fatica cedeva, non al sonno, non a’ dolori acuti di Podagra. Voleva trovarsi presente a tutto, per esser con sicurezza istruito di tutto. Da un cavallo si faceva mettere sopra un altro, e non mai si stancava d’operare, dar udienze pronte sin dal letto, spedire ordini, e lettere secondo le occorrenze. Sempre andava macchinando, ed investigando nuovi ripieghi di combattere, di prevenire, e di vincere l’inimico.

Fu riverentissimo a’ luoghi sacri, liberale verso de’ poveri, e de’ Religiosi, a’ quali dispensava con larga mano elemosine. Provvide con entrata competente parecchie Case di Ecclesiastici, obbligandoli ad ufficiarle, e ad insegnare i Misteri, spettanti alla nostra fede, e la Dottrina Cristiana; Onde si può credere, che per le orazioni di questi sia stato preservato in diversi pericolosi incontri dalla mano onnipotente di Dio. L’ultima sua infermità fu cagionata da fierissimi dolori di pietra; nel tollerare i quali comparve, quanto insigne fusse la di lui pazienza, costanza, e rassegnazione a’ Divini voleri. I Sacerdoti, che gli assistevano, ammirarono la di lui sofferenza, e pietà verso Dio, bramando di finire la vita loro con simile morte.

La fortuna, propizia all’Austriaca Casa, surrogò al defonto altro Cavaliere Italiano, eguale nelle prerogative insigni, e nelle belle doti, ch’esso pure impiegò, a sostentare la grandezza, e la possanza de’ due Cesari, Ferdinando, e Leopoldo. Non fece egli così subito la comparsa di Generale supremo. Ma già da più anni aveva cominciato a distinguersi e a segnalarsi in comandi particolari. Fu questi il Conte Rai[p. 108 modifica]mondo Montecuccoli, di cui non conviene differire più oltre il dare esatta contezza dei di lui primi anni, e de’ primi servigi militari. Da famiglia antichissima, e Nobilissima, stabilita da parecchi secoli sul Modonese col dominio di più Castella, riconosciute per feudi Imperiali, finchè l’autorità Cesarea fu possente in Italia, derivò la sua origine il Conte Raimondo nel 1608. Ebbe per Genitori il Co: Galeotto, e la Contessa Anna Biggi Ferrarese, stata Dama della Duchessa Margherita d’Este, e poi l’ultima, in cui si estinse quel cospicuo Casato. Il Conte Galeotto sulla traccia di molti antenati, famosi in armi, applicò alla guerra. Ito venturiero in Ungheria, e in Francia. Indi Capitano d’Italiani, mandati in soccorso di Casa d’Austria, si segnalò distintamente nell’assedio di Canissa. Il Conte Galeotto ebbe due Fratelli, Girolamo, ed Ernesto. Il primo ascese alla dignità di primo Ministro della Corte dell’Arciduca d’Ispruc nel Tirolo. Il secondo pel merito d’azioni generose salì di grado in grado nella milizia Imperiale sino all’onore di Generale dell’Artiglieria.

Dalla prima giovinezza diede il Conte Raimondo nobili presagi, di dover ascendere a virtù grandi; giacchè fin d’allora mostrava gravità di costumi superiore all’età, praticava indefessa applicazione allo studio, vincendo colla forza dello spirito quella tediosità, che reca a’ fanciulli la fatica dell’apprendere. Altro spasso non gradiva, che l’esercizio delle arti Cavalleresche, dell’armeggiare, del cavalcare, e delle altre occupazioni, le quali rendono la Persona agile al travaglio signorile3. Esperimentava un gusto sommo nella lettura delle Storie. Palesava genio stupendo a sentir parlare di guerra, e de’ fatti illustri degli Eroi militari, nell’udire i quali dava a divedere ardor grande d’incamminarsi nella professione delle armi. Queste illustri doti, venute alla notizia del Zio Ernesto, lo persuasero, a chiamare in Germania il Nipote, ancor giovinetto; affine di provare a buon ora gl’impieghi e i patimenti della milizia. E perchè nel mestiero della guerra niuno riesce più eccellente in meglio comandare, quanto quegli, il quel dagl’infimi è trascorso a’ più alti impieghi, non volle il Conte Ernesto prevalersi de’ favori della Corte Imperiale, per avanzar il Nipote di lancio a governi militari; Ma ordinò, che in qualità di volontario operasse, e travagliasse da semplice soldato per tempo non piccolo, ora col moschetto sulle spalle, ora colla picca alle mani. Con una severa; ma pur discreta disciplina, indurasse il corpo alle fatiche, e agli stenti del Campo. Quindi servì per qualche tempo nella Fanteria, Uffiziale in più reggimenti, e per altro tempo nella Cavalleria. Essendosi ben fortificato, ed istruito, fu fatto Capitano di Cavalleria da D. Annibale Gonzaga de’ Principi di Bozolo, stato egli pure gran Guerriero. Dopo alcuni anni lo pose alla testa del suo reggimento di Corazze. In [p. 109 modifica]tutti quest’impieghi il Conte Raimondo si fece conoscere molto disinteressato, ed assai attento a’ proprj doveri; Perlochè l’Imperatore lo dichiarò suo Cameriero. In quel tempo inferocivano le guerre atrocissime, memorate di sopra tra l’Imperatore, i Principi, e i Capitani, che sostenevano l’Elettor Palatino.

In alcune Campagne d’essa guerra si trovò il Conte Raimondo; ma in quella del 1629, in cui seguitò il Conte Ernesto suo Zio a danni degli Ollandesi, cominciò a distinguersi, e ad acquistar nome. Il Principe d’Oranges, Generale delle Provincie unite, teneva assediata Bolduc, Città del Brabante Spagnuolo. Il Re Cattolico pregò l’Imperatore, a mandare in Fiandra un esercito, che recasse soccorso alla piazza assediata. Cesare, obbligato al Re di Spagna per i sovvenimenti, ricevuti in avanti, vi destinò un’Armata, e Capo d’essa il Conte Ernesto. Questi si congiunse al Conte Enrico di Berg, Comandante dell’esercito de’ Paesi bassi Austriaci. Aveva il Conte Enrico tentato d’introdurre soccorso di gente in Bolduc, che ne scarseggiava. Ma il tentativo era riuscito infruttuoso per la fortissima circonvallazione, con cui era chiuso il Campo nemico oltre a molte paludi, che v’erano d’avanti. I fanti destinati a sforzare questi ripari, marciarono per mezz’ora attraverso le acque de’ marassi, ma furono ributtati. Conosciuto impenetrabile il soccorso il Conte Enrico passò il Reno, e si congiunse agl’Imperiali. Superato il fiume Isel entrarono nelle viscere della provincia d’Ollanda.

Il Conte Ernesto, Generale di lunga esperienza, propose un partito, che allora approvato, non fu poi eseguito. Fu concluso, di passar avanti, e far l’acquisto di qualche piazza, con cui si stabilisse il piede in quella Contrada. Il Conte Ernesto espugnò Amesfort. Il primo ad entrarvi fu il di lui Nipote, Conte Raimondo con una bandiera alla mano. Il presidio di due mila soldati rimase prigione. Questa piazza non è molto distante da Amsterdam, e da Utrec, Città Capitali di quella unione. La Cavalleria Austriaca colle scorrerie portò la confusione, e lo spavento in tutti que’ Contorni. I Capi del governo, mezzo costernati, si trovarono molto alle strette, e poco mancò, che non ordinassero all’Oranges di sciogliere l’assedio, e di accorrere al loro sollievo. Un accidente impensato gettò a terra l’impresa così ben ordita. Le provvisioni necessarie, per sostentare l’esercito Cattolico, passavano per la piazza di Uesel. Questa era mal custodita con una parte della muraglia diroccata. Da essa il Conte di Berg ne aveva estratta buona parte del Presidio. Un abitante d’essa teneva corrispondenza cogli Ollandesi, per introdurveli. Scoperta debole la Guarnigione, invitò il Governatore d’Emeric, a tentarne la sorpresa, a cui esso prestò mano. Ingannò la sentinella, che vegliava vicino alla ruina di quel muro, e poi l’uccise. Per essa intromise gli Ollandesi, che imprigionarono il Comandante, e il Presidio. Chiusa la strada, per avere i vi[p. 110 modifica]veri, con cui sussistere, i due eserciti Alemanno, e Spagnuolo dovettero dar addietro.

Negli anni susseguenti il Conte Raimondo militò nell’esercito del General Tilli verso la Pomerania. Ebbe la vanguardia nell’assalto dato alla Città di Novo Brandeburg, dov’egli pure v’entrò de’ primi, e rapite le chiavi d’una porta4 le presentò al Conte Tilli, che in presenza di molti Uffiziali encomiò il di lui coraggio. Si trovò alla prima battaglia di Lipsia, ove caricò più volte gli squadroni Svezzesi con sì grande impulso, ch’entrato in mezzo a loro, rimase gravemente ferito, e poi prigione. Riscattato con denaro, seguitò a militare con saggi maravigliosi d’intrepidezza, e di bravura. Nella battaglia di Norlinga comandò ad un reggimento di Cavalli conforme al suo consueto. Quello, che operasse nella presa di Kaiserslautern, e dopo la battaglia di Vistoc, s’è spiegato a suo luogo. Passato nel 1639 a servire sotto un Generale Cesareo, gl’Istorici non ispiegano, se fosse il Maracini o l’Offirchen, e caduti l’uno, e l’altro in imboscata, o in altra insidia, preparatagli dal General Banner; giacchè ad amendue accadde la medesima disgrazia, rimasero disfatti con grave perdita massime d’Ufficiali Austriaci prigionieri, tra’ quali il Montecuccoli. Trasportato questi a Stettino, nella dimora di due anni, che vi fece, finchè fu cambiato con altro Generale Nemico, attese a rendersi fruttuoso quell’ozio cogli studj. Proseguì gl’incominciati da giovine, massimamente dell’Istoria. Sommamente dilettossi della Politica di Tacito. Apprese da Euclide i principj della Geometria, e da altri autori i fondamenti della Filosofia, e della Giurisprudenza. Prima di uscire di Stettino, ebbe l’incontro, d’entrar in rissa, provocato, e metter mano alla spada contra un Cavaliere, che prima gli era stato amico. Disarmato il competitore, già stava col ferro alla mano prossimo ad ucciderlo; quando con Cristiana vittoria di sè medesimo ritirò il colpo, e donò la vita all’avversario. Liberato uscì subito in campagna coll’Arciduca Leopoldo, e General Piccolomini. Precorrendo colla vanguardia di due mila cavalli, e cinquecento Dragoni, tentò di far prigione in Troppau il General Slang, che più Istorici hanno scritto, fosse quel d’esso, con cui fu permutato. Lo Slang, conosciutosi mal sicuro in Troppau, ne uscì retrocedendo a poco a poco il passo. Il Montecuccoli gli tenne dietro; lo raggiunse, scompigliò, e ruppe le di lui schiere, sicchè lo Slang appena si salvò colla velocità del Cavallo.

In più memorie stampate leggo, ch’esso intervenisse ed avesse gran parte nella vittoria, che i Generali Francesco Mercì, e Giovanni di Vert riportarono a Mariendal sopra il Visconte di Turena. Fu posto negli anni 1646, 1647 alla custodia della Silesia, e al [p. 111 modifica]comando delle armi Cesaree in quella Provincia. Nel 1646 colle batterie, e mine obbligò a rendersi a discrezione il Castello di Franchestein, coll’acquisto del quale troncò ogni speranza al Generale Vittemberg Svezzese, di penetrare nell’Austria, e scorrere Cornaiburg, ricuperato poco dopo da’ Cesarei. Espugnò, Lemos, ed altri luoghi di non poca considerazione.

Il General Vittemberg Svezzese attaccò Nemeslau, piazza di là dall’Odera verso i confini della Polonia. Il Montecuccoli, scielti due mila Cavalli5, camminando a traverso a boschi per istrade incognite, e quasi impraticabili, arrivò addosso agli Svezzesi, e gli costrinse a levar l’assedio, col lasciarvi l’artiglieria, e bagaglio. Accresciuto di forze il Vittemberg, passò a stringere Troppau. Allora il Montecuccoli, e il Conte Pompei marciarono al soccorso di quella Fortezza con disegno, d’aggredire gli Svezzesi ne’ loro quartieri; del che avvertito il Vittemberg si discostò da quella oppugnazione, e si ricoverò in siti vantaggiosi. Ad ogni intrapresa, che tentavano i Nemici, trovarono così pronte le opposizioni del Montecuccoli, talchè correva tra loro questo proverbio: Conviene dire che cotesto Italiano se l’intenda con qualche Spirito famigliare; poichè Egli prevede ogni nostro disegno.

Quello che operasse nel 1648, si esporrà a suo luogo.

  1. Tomo decimo terzo del Mercurio Istorico di D. Vittorio Siri Istoriografo del Re di Francia: pag. 41.
  2. C. Gualdo. Vite degli Uomini illustri in guerra. V. Galasso.
  3. C. Gualdo, Vite suddette. V. Montecuccoli.
  4. Conte Gualdo. Istoria de’ Personaggi. V. Montecuccoli.
  5. Memorie del General Montecuccoli nella vita.