Azioni egregie operate in guerra/1649

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1649

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Er l’adempimento, ed esecuzione d’essa pace di Munster erasi convenuto, che in Norimberga, Città Imperiale, si tenesse un congresso di Ministri Cesarei, Francesi, e Svezzesi. La Regina Cristina vi destinò il Principe Carlo Gustavo Palatino, che fu poi Re di Svezia. L’Imperatore vi mandò suo Plenipotenziario D. Ottavio. Si dovevano trattare molti punti scabrosissimi, e difficili ad accordare, senza la conclusione de’ quali la pace non poteva dirsi ferma, e stabile. I Generali Svezzesi dovevano evacuare gran quantità di Piazze, da loro occupate, ed alcune d’esse negli Stati di Cesare: licenziare gli Alemanni, che militavano in loro compagnia: ritornarsene nel loro nativo paese. E benchè colà fossero per riportare ricchezze grandissime, accumulate nella guerra presente, e di più alcuni milioni di Talleri, che gli Stati dell’Imperio dovevano sborsar loro dentro due anni; pure la speranza di guadagni maggiori, se la guerra tirava in lungo, faceva, che non curassero la pace, ed amassero, che nuovi ostacoli sorgessero, a disturbarla, e a romperla. Per tanto convenne a D. Ottavio adoperare finezza d’ingegno, prudenza esquisita, desterità di maneggi, pazienza longanime, e varietà di ripieghi, per ritrovar partiti, e fargli gradire a gli Svedesi, e a’ suoi Alleati; sicchè non s’intorbidasse il corso agli affari, e la pace conseguisse fermezza, e stabilità. Cristina Sovrana di Svezia concorse cogli ordini suoi premurosissimi, e incessanti; perchè si sciogliessero tutte le difficoltà; ed ebbe la gloria, e la consolazione d’intenderla appianata.

Il corpo dell’Imperio gradì al sommo i maneggi, le fatiche, e la pazienza adoperata da D. Ottavio in quel congresso con la prosperità dell’evento; sicchè nella Dieta fu decorato della dignità di Principe Sessionario. Anche il Duca Giulio Arrigo di Sassonia lo elesse per suo Genero, concedendogli la figlia Principessa Maria Benigna; con cui mentre spera di godere lunga quiete, e di ottener prole, fu sorpreso da gravissima infermità, la quale dopo il travaglio d’un anno tolse a [p. 126 modifica]lui la vita in età di 56 anni con sommo dispiacere delle Maestà Cesarea, e Cattolica, di tutti i Principi Austriaci, e di tutte le milizie. Era di statura mediocre, ma ben formato, di faccia rotonda, carnagione bianca, ma ben colorita, occhi sommamente vivaci, che sfavillavano fuoco guerriero. Godette sanità proporzionata alle fatiche militari, nelle quali era sopra modo indefesso. Nel maneggio della guerra su sempre giudicioso, intrepido ne’ pericoli, ardito nelle battaglie, intelligente, magnanimo, ed abile alle più sublimi ed eroiche azioni. In somma possedette, quante belle parti si ricercano, per essere acclamato eguale a’ gran Generali del suo secolo. Nello spendere fu piuttosto profuso che liberale; onde a’ suoi posteri ha lasciato più capitale di gloria, che di ricchezze. Ebbe due fratelli maggiori, Enea il primo, intendentissimo della teorica militare il quale dopo aver guerreggiato in varie imprese di Mare, passò alle guerre di Boemia in servigio di Casa d’Austria, e vi fu ucciso di moschettata in età di trenta tre anni. Da questi discende l’altro General Piccolomini, di cui si favella con lode nelle guerre d’Ungheria. Il secondo Ascanio, dottissimo nelle scienze sacre, fu creato Arcivescovo di Siena, ove con vita esemplarissima governò quella Chiesa. Due Nipoti del suo proprio Casato, combattendo sotto di lui, sagrificarono la propria vita, l’uno per nome Silvio nelle vicinanze di Norlinga contra gli Svezzesi, l’altro per nome Evandro nel soccorso, portato a S. Omer contra a’ Francesi. Suo Nipote fu pur anche il Maresciallo Conte Enea Caprara, perchè nato dalla Contessa Vittoria Piccolomini di lui Sorella, stata Consorte del Co: Niccolò Caprara Signor di Pantano, e Cavalier Bolognese. Il Caprara si rese eccellente imitatore del Zio nell’ottima direzione delle milizie, e in altre molto belle azioni. Governò per più Campagne sempre con lode gli eserciti Austriaci, del che ne rendono testimonianza gl’Istorici di quell’età. Nove anni sopravvisse Ferdinando Imperatore alla pace di Munster. In quel tempo tutta la sua applicazione versò in bene de’ suoi popoli, ma specialmente nella riduzione de’ Protestanti Vassalli alla Fede Ortodossa. E ciò con ordini caldissimi a’ Magistrati, perchè la favorissero, col dar mano agli Ecclesiastici, e alle Religioni antiche, che vi faticavano: col fondare molte Chiese, e Case agli Ordini nuovi, perchè vi travagliassero indefessamente con quantità di zelanti operarj. Incredibile fu il frutto, che ne raccolse; Mentre ogn’anno a lui, tutto giubilante, ne venivano le notizie di più, e più migliaja, che avevano abjurato gli errori ne’ paesi ereditarj, specialmente nobiltà, che poi accarezzava, e ricolmava di favori, per tenerli costantissimi nella credenza Romana. Finalmente dopo 48 anni di vita, e venti d’Imperio morì a’ 2 d’Aprile 1657.

Fu in Ferdinando terzo singolarissima l’innocenza de’ costumi, la pietà, e il santo timor di Dio. Capace di ogni gran negozio, perspicace nell’intelletto, circospetto nelle risoluzioni, posato ne’ suoi pareri, [p. 127 modifica]applicato al governo, quantunque spesso travagliato da indisposizioni. Solo sembrava freddo, ed irresoluto nel deliberare; se pure a cagione delle circostanze, nelle quali regnò, questo fu difetto, perchè originato dalle cognizioni che aveva de’ pericoli, di commuovere gli umori peccanti, radicati nella Germania, e per non suscitare sconvolgimenti peggiori, di quanti ne aveva esperimentati nelle altre guerre, da lui sofferte. Si mantenne sempre tenacissimo custode, e difensore della Religione Romana, riverente alla Chiesa, confidentissimo in Dio, pietoso co’ sudditi, amato da’ buoni.

All’estinto Ferdinando succedette il secondo genito Arciduca Leopoldo Ignazio; giacchè il Primogenito altresì Ferdinando, eletto Re de’ Romani, tre anni avanti, era premorto al Padre di Vajuoli, infermità fatale a’ Principi dell’Austriaca Casa. Nel 1655 Leopoldo ottenne la Corona di Ungheria, e nel susseguente l’altra di Boemia. A questo Principe deve assaissimo la Nobiltà de’ Nostri Paesi; poichè apprezzò non poco i talenti degli Italiani. Di loro si prevalse lungamente, e coll’impiegarli prestò il comodo ad essi, di far risplendere eccellentemente le loro abilità nel gran Teatro del Mondo, da cui riportarono elogj, ed applausi segnalatissimi nelle loro imprese, che operarono sotto le di lui bandiere. Encomiati perciò dalle lingue, di quanti le ammirarono, e dalla penna di tanti Scrittori, che le hanno descritte a memoria, e ad onore immortale.

Cominciò Leopoldo a regnare in circostanze scabrosissime. La Polonia, Reame prossimo a’ di lui Stati ereditarj ardeva d’un incendio funestissimo di guerra, che minacciava l’esterminio di que’ Palatinati, e gravissimi pregiudicj alla Religione Cattolica, ivi generalmente professata.

Carlo Gustavo Principe Palatino de’ Duchi di Dueponti, assunto alla Corona di Svezia per la dimissione fattane dalla Regina Cristina, a lui strettamente congiunta, fu quegli che impugnò le armi contro Gio: Casimiro Re d’essa Polonia. Questo Monarca era figlio di Sigismondo, stato già Re di Svezia, e poi escluso da quella dominazione, per essere, e voler vivere tanto egli, quanto i di lui Principi figli da buoni Cattolici; quando gli Svezzesi non volevano per Padrone se non un Protestante, giacchè abbracciati avevano i falsi dogmi di Lutero, e resisi professori di tale setta. Carlo Gustavo pretendeva, di conseguire la cessione a qualunque diritto, che il Re Polacco tuttavia conservasse sul Trono di Svezia. Si radunarono Plenipotenziarj, per accomodare la spinosa controversia. Ma per averla vinta, Carlo Gustavo giudicò mezzo migliore la guerra nelle circostanze, che allora correvano in Polonia. Colà il governo non piaceva alla Nobiltà. I litigj tra Grandi crescevano nelle Diete. Le Frontiere stavano disarmate. I Palatini disattenti alla difesa. Fu pur tanto facile al Re Svezzese, d’internarsi nella Polonia, e a misura, che camminava, impossessarsi di [p. 128 modifica]tutto il Paese. S’impadronì di Varsavia, di Cracovia, e di molte altre Città. Diede varie rotte a que’ corpi di Soldatesche, che il Re Casimiro avea raccolte tumultuariamente sotto le sue bandiere; Sicchè questi temendo di cadere nelle mani del Re nemico, per non trovare più sicurezza nel Regno, lo abbandonò, e prese ricovero negli Stati Austriaci. Fuggito il Re, quasi tutta la Nobiltà si sottomise all’ubbidienza del Vincitore. Il Generale Czerneschi, ed altri pochi rimasero fedeli a Casimiro, ed attesero a raccoglier nuove soldatesche. La Polonia è paese vastissimo con rarissime, e lontane Fortezze. Per tanto è difficilissimo il dominarla, se non si accordano universalmente i Nazionali, a soggettarvisi di buon cuore. La contrarietà di Religione che professavano gli Svezzesi, sprezzatori del culto Romano, fece riprender coraggio a’ Cattolici. Si unirono in maggior numero al Czerneschi, dal quale infervorati, fecero una generale sollevazione, e tagliarono a pezzi parecchie migliaja di Svezzesi, tra’ quali poco mancò, che il Re medesimo non vi rimanesse ucciso. Carlo Gustavo invitò in suo ajuto il Ragozzi Principe di Transilvania, che accorse con soldatesche, e fu messo in possesso di parte delle conquiste, fatte dagli Svezzesi. Ma contra d’amendue si dichiararono i Tartari, e il Gran Signore minacciò guerra al Ragozzi suo Vassallo, se non desisteva dall’Impresa.

Più legazioni de’ Signori Primarj, venute dalla Polonia, erano capitate a Vienna, implorando dall’Imperator Ferdinando un corpo d’esercito, che augumentasse la loro possanza contra i due Assalitori. Offerirono, dopo la morte di Casimiro senza prole, la padronanza del loro Regno all’Arciduca Zio di Cesare, o ad altro dell’Austriaca Famiglia, purchè venissero assistiti a rimettersi in libertà. Ferdinando amante di pace, e bramoso di ristorare i popoli sudditi colla quiete, rifiutò quello Scettro: Bensì si offerse ad interporre buoni ufficj per la Concordia. Destinò il Conte Petting suo Ambasciatore a Carlo Gustavo, il quale non fece verun conto di quella legazione, e seco conducendo qua, e là il Petting, nè meno in quattro mesi lo ammise all’udienza. Ferdinando, offeso da tale ripulsa, rinforzò con milizie i proprj confini, e promise di mandare un corpo di quattro mila uomini in rinforzo delle armate del Re Giovanni Casimiro. Prima però, ch’eseguisse la parola a’ 2 d’Aprile del 1652 passò a miglior vita. Il primo affare, che si ventilò da Leopoldo Re d’Ungheria nel suo consiglio versava nel numero delle milizie, da spedirsi in Polonia. Il Gran Tesoriere del Regno Lessinio, venuto alla Corte per quest’effetto, con ferventissime orazioni conseguì, che non fossero meno di sedici mila. La notizia, giunta di poi, che il Re di Danimarca avesse dichiarata la guerra allo Svezzese, e cominciate le ostilità, confermarono la determinazione presa. A mezzo Luglio si mosse l’esercito Austriaco. Capo d’esso il Conte d’Asfeld, che si portò ad inchinare il Re Casimiro, e ad in[p. 129 modifica]tendere i di lui voleri per la prima impresa, da eseguirsi. Fu concordato, che si facesse l’assedio di Cracovia. A diciotto di Luglio l’Asfeld accampò in quella vicinanza. Ma perchè prolungava l’attacco, mosse gran sospetti nella mente del Re, e de’ Polacchi, che tirasse in lungo l’affare fuori di proposito. Sopraggiunse opportuno a consolare Casimiro, e la Corte il Conte Raimondo Montecuccoli Generale della Cavalleria.

Il Conte Raimondo dopo la pace di Munster non erasi trattenuto ozioso; ma in compagnia del Conte Enea Caprara suo amicissimo aveva viaggiato per l’alta, e bassa Alemagna, osservando quelle Città, i costumi de’ popoli, e quanto v’era degno di sapere. Passato il Mare Baltico, si trasferì a Stocolm, Città regia, gloriosa per i Gran Generali, e per le insigni vittorie, riportate nell’Alemagna dalla Regina Cristina. Fu accolto con onore, e regalato con diamante di prezzo. Ritornato in Italia, fu presente alle Nozze del Duca suo Signore. Tra le molte feste solennissime ivi celebrate v’erano ancora le giostre. In una d’esse invitato il Montecuccoli, a maneggiar l’asta, incorse nella disgrazia di trapassare con la lancia la corazza del competitore, e piantargliela nel petto con estremo suo dolore, non avendo mai antiveduto l’esito funesto, che ne doveva sortire. Richiamato in Germania, per sottentrare all’eredità del Zio Conte Ernesto, a lui decaduta, incontrò la benevolenza del Principe di Diectrestein, che volle dargli in moglie la Figlia per nome Lodovica Principessa, di poi vissuta una lunghissima vita in istato vedovile molto piamente, e religiosamente. Tra’ generali, destinati alla guerra di Polonia fuvi compreso il Conte Raimondo. Arrivò egli al Campo Austriaco, desiderato, richiesto, ed amato dal Re, e dalla Regina di Polonia poco soddisfatti dell’Asfeld. Egli ben tosto racchiuse da vicino Cracovia, e ne promosse l’assedio. In amena, e fertilissima Campagna s’inalza quella Capitale, per la sua ampiezza divisa in più Città. L’attraversa il fiume Vistola; e quella parte che rimane di là dal fiume, si chiama Casimiro. Ella è la sede del Monarca, nobilitata da Palazzi, popolata da moltitudine di gente, protetta da Fortezza, munita su sasso eminente. Il Generale Paolo Viltz la difendeva con tre mila Svezzesi, e con due mila Transilvani. Impotente a custodire il gran giro delle mura mal fortificate, senza speranza di soccorso, pattuì la resa. Pochi giorni prima n’era uscito il Presidio de’ Transilvani a tenore d’altro trattato, conchiuso in avanti tra il Ragozzi, e i Generali Polacchi. L’Asfeld, e il Montecuccoli operarono, che non fossero svalligiati.

Liberata Cracovia, il Conte Raimondo1 con due mila Cavalli trascorse verso Turonia. Gettato un ponte di barche sulla Travenza, espugnò il Castello di Galup, distante solo quattro miglia da [p. 130 modifica]Turonia, ed altri Forti, tenuti da’ nemici. Avendo marciato tutta la notte con celerità, sorprese vicino a quella Città un corpo di nemici, morti, o feriti da dugento. La rigida stagione, che s’avvicinava, impedì quell’assedio. A’ primi di Gennajo del prossimo anno

  1. C. Gualdo. Vita di Leopoldo Cesare: to. 2.