Baby (Rovetta)/XI

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Ma non ostante l’umore bizzarro della cugina, Andrea si sentiva assai più tranquillo vedendola a Castelguelfo. Non c’erano visite, nè viaggiatori, e anche il Damonte e Scipio Spinola non capitavano altro che la domenica a pranzo, per ripartire la sera stessa. La fabbrica, i ristauri d’Oriano e i disegni relativi erano occupazioni che si confacevano allo stato suo; ed egli vedendo che trovava modo di attendere a quegli impegni, s’illudeva promettendo ogni giorno a sè stesso, che all’indomani avrebbe ricominciato i suoi studi con nuova lena; ed era tanto sicuro [p. 125 modifica]di spicciarsene in breve, che avea già scritto a Milano per procurarsi un editore.

Egli, intanto, sopportava ogni capriccio della Baby; era sola in villa, e ciò lo confortava di tutto.

E infine quelle durezze non attestavano la piena innocenza della sua amicizia?... Come dovevano essere diverse le soavi espansioni e gli incanti dell’amore! Si era ingannato quando aveva creduto che gli occhi della cugina somigliassero a quelli della povera Adele... — Avevano tutt’altra espressione! — No, no; egli non veniva meno alla sua fede, nè alle sue promesse recandosi sovente a Castelguelfo. La Baby (avevano ragione di chiamarla in tal modo: alle volte, era proprio un baby) non gli addolciva punto la vita; ed egli continuava a rimanerle amico, perchè quella testolina sventata gli faceva paura. Essa, circondata com’era da mille pericoli, aveva bisogno di consiglio, di guida, e si sentiva in dovere di non abbandonarla.

Ingannandosi in tal modo nel giudicare i [p. 126 modifica]propri sentimenti, Andrea rimaneva assiduo presso la bimba crudele, vivendo della vita sua, e respirando del respiro suo; divorandola cogli occhi, adorandola coll’abbandono più appassionato dell’anima e soffrendo spasimi ineffabili, che soltanto una parola buona o un atto cortese di lei riuscivano a mutare in altrettanta felicità. A poco a poco egli aveva talmente rinchiusa la propria esistenza in quella della Castelguelfo, da perdere persino il giusto criterio delle cose. Un oggetto che apparteneva alla Contessina gli era sacro, e Andrea provava un senso di dispetto e di gelosia quando il Baldi prendeva nelle sue mani o il cestino da lavoro, o l’astuccio delle spagnolette, o lo sciallettino che ella si faceva portare sotto la tenda. Quegli oggetti erano cari al suo occhio e al suo cuore. Voleva essere lui solo quello che li presentava a Baby; ed essa, che aveva indovinata la strana gelosia del cugino, affidava volentieri lo sciallettino a Marco Baldi, e da lui si faceva offrire e accendere la spagnoletta. E come il cuore di Andrea avea [p. 127 modifica]raggiunto tanta finezza, così anche la sensibilità di lui si era fatta maravigliosa.

Il tic tac dei piccoli passi della Castelguelfo, il fruscìo leggiero della sua veste lo facevano impallidire, e la sera, aspettava con ansia il momento in cui, abbandonando il picco della quercia e ritornando verso la villa, essa usava appoggiarsi al braccio di uno dei suoi amici. Quando la vedeva alzarsi, egli era inquieto, agitato... — Avrebbe preso il suo braccio o quello di Marco Baldi?... E le si metteva vicino vicino, ma non osava mai offrirsi per il primo, impacciato e intimidito da uno strano turbamento.

Ma pure quelle belle sere di settembre erano tutte un incanto. Il lago tranquillo sotto le stelle scintillanti; il profilo cupo delle colline e dei monti lontani, che chiudevano l’orizzonte con immagini strane e diverse: l’armonia quieta e uniforme della notte, solo interrotta dallo schiocco echeggiante della frusta e dal cigolìo de’ carri che salivano la strada erta della riviera, tutto ciò rendeva più deliziosa al Santasillia, in [p. 128 modifica]quella pace serena, la muta contemplazione del fumo della spagnoletta, che usciva lento come il respiro, fra le labbra socchiuse della Baby.

Certe volte, quando il rapimento di Andrea sembrava più intenso, la Contessina lo interrompeva a un tratto, mormorando con un piccolo sbadiglio: — Dio, Dio! com’è seccante la campagna! Ha proprio ragione il mio Giuliano di rimanersene a Vienna! — Andrea, allora, la guardava addolorato; ma mentre il Baldi protestava galantemente «che se fosse stato lui nel suo Giuliano, sarebbe rimasto sempre a Castelguelfo», lo sbadiglio della Baby pareva mutarsi in un sospiro di tenerezza, in un saluto, in un invito misterioso del cuore a un’immagine cara e lontana.

Dal picco della quercia si dominava bene tutto il palazzotto, e ogni sera, quando erano vicine le dieci, si vedeva rischiararsi una camera del primo piano.

— Ecco la Gege — era il nome della cameriera — che accende la veilleuse! — aveva [p. 129 modifica]esclamato una volta Marco Baldi. — Ah, Contessina, come io la manderei al diavolo la... la diplomazia!

— Andremo a dormire... a sognare! — mormorò la Baby stringendosi con un fremito nello scialletto e facendo un po’ la ninna nanna colla poltrona di vimini.

Andrea s’era messo a guardare quella finestra lontana, rischiarata, senza più dire una parola.

— Perchè guarda così fissamente la finestra della mia camera? — gli domandò la Baby, dopo qualche momento di silenzio. — Gli fa ricordare, forse, il lumicino della Valpantena.

Andrea, offeso da tali parole, si alzò sdegnato. La Contessina, in quel punto, non gli era più cara; non era altro per lui che un baby cattivo. Le rivolse uno sguardo pieno di collera e se ne andò quasi subito da Castelguelfo, dopo averla salutata freddamente e aver giurato a sè stesso che non ci sarebbe più ritornato.

— Sì, sì; non era altro che un baby cattivo; un ragazzo senza cuore, che non avea nulla di [p. 130 modifica]sacro. Si faceva gioco di lui e non rispettava nemmeno quella poveretta che era morta di dolore!... Così non poteva durare; anche la sua dignità non lo potea più permettere. Sarebbe ritornato subito a Verona, vicino alla sua Adele; avrebbe ripreso la vita solitaria, che non avrebbe mai dovuto abbandonare, i suoi studi e... — E di sua cugina non voleva più sentirne parlare.

Ma poi, la mattina dopo, pensò che così sui due piedi, non gli era possibile di partire da Oriano. Come poteva sospendere i lavori da un momento all’altro? Licenziare tutti gli operai?... Sarebbe stata una ridicolaggine, una scenata, e la Castelguelfo ne avrebbe tratto argomento per metterlo in burletta!... D’altra parte sarebbe stato un voler dare alle parole di quel baby una importanza che proprio non avevano.

Cheh, cheh! Voleva continuare i restauri, la fabbrica, e figurarsi che Castelguelfo non esistesse nemmeno, o, invece di essere lì vicino, fosse in capo al mondo. Ma quando scese in giardino e gli fu mostrata una cesta di fiori [p. 131 modifica]bellissimi, appena colti, si sentì impacciato non potendo ordinare, come al solito, che fossero mandati alla Contessina. Che cosa ne avrebbe fatto di tutti quei fiori? E poi, nel restauro della villa s’era tanto uniformato ai gusti e ai consigli della Baby, che adesso molte di quelle opere gli parevano diventate inutili; e non andò nemmeno a vedere i lavori.

Tuttavia, per qualche giorno seppe resistere, e non si mosse da Orlano. Egli, per altro, sperava sempre in una visita del Baldi e in un invito della cugina. Infine, non vedendolo a Castelguelfo essa avrebbe potuto dubitare ch’egli fosse ammalato! — Perchè non mandava a vedere che cosa c’era di nuovo? — E tutti i giorni sperava, e tutti i giorni cresceva il desiderio e lo sconforto: ma non gli capitava nulla da Castelguelfo! Era proprio un baby senza cuore! No; non sarebbe stato lui a cedere; non ci sarebbe ritornato mai più!... Ma invece, quando venne la domenica, pensando che in quel giorno ci sarebbero andati il Damonte e Scipio Spinola, [p. 132 modifica]all’amore gli si aggiunse la gelosia, non potè più resistere, ordinò che attaccassero per andare a Castelguelfo, e adesso che si era risolto, dopo tanto aspettare, aveva l’ansia, la febbre di far presto, e montato a cassetta spingeva i cavalli al trotto, e gli pareva come di rinascere e ritornava a sentirsi contento e consolato.

Andrea respirava con gioia quell’aria fine, che gli sfiorava la faccia. Il lago era più limpido, il cielo più sereno, e più ridenti gli parevano i vivi colori della collina, sparsa di ulivi e verdeggiante di vigneti.

I cavalli erano affaticati e spumanti, ma Andrea, impaziente, li stimolava di continuo; e quando gli apparve la villa, alta sulla roccia, e tutta bianca nel barbaglio vivido del sole; e quando, infine, rivide il picco della quercia che sporgeva cupo, simile a un gigante imbronciato, fra l’allegra nitidezza delle onde crespe, il cuore gli battè forte forte, esultando, come s’egli ritornasse allora, in mezzo agli affetti suoi, dopo un viaggio lontano e increscioso. [p. 133 modifica]

In quel momento egli aveva obliato rimorsi e dolori. La figuretta mesta e soave della povera Adele era dileguata dal suo cuore; l’immagine minacciosa di Francesco Parabiano era scomparsa dalla sua mente. Egli aveva dimenticato anche tutto ciò che la Baby stessa gli aveva fatto soffrire; e nella mente, nel cuore, nel sangue non aveva più che un pensiero, una gioia, una febbre: rivederla!

Entrò nel cancello della villa e fece tutto il largo e ripido viale del giardino spingendo i cavalli sempre al trotto, ma quando fu presso alla casa tutta quella grande contentezza svanì quasi per incanto, e si sentì sopraffatto dal pentimento e dalla vergogna.

Perchè mai aveva ceduto all’impeto del cuore?... Perchè mai si era mosso da Oriano?...

Passando con la carrozza presso le finestre della sala terrena, aveva udito la voce della Baby che cantava al pianoforte; e sparsi nel prato aveva veduto i mallets e le palle del croquet; segno evidente che il Damonte e Scipio Spinola erano arrivati prestissimo: prima del solito. [p. 134 modifica]

Quando il Santasillia entrò nel salotto, la Contessina lo salutò con un cenno del capo e un sorrisetto esprimenti una certa maraviglia birichina; ma continuò a cantare, accompagnandosi al pianoforte. Il Damonte, in piedi vicino a lei, le voltava le pagine della musica e salutò Andrea, come Scipio Spinola, senza dir motto: mentre il Baldi, che stava leggendo sul canapè, si alzò, e in punta di piedi, gli andò incontro per istringergli la mano.

La Baby cantava con anima e con passione.

Aveva le guance rosee e il seno ansante, strappò gli ultimi accordi col tintinnio dei braccialetti, curvando, protesa sulla tastiera, la personcina flessuosa, scintillante di jais, poi, fra gli applausi de’ suoi caldi ammiratori, si voltò verso Andrea, girando sullo sgabellino:

— E così? — esclamò ridendo; — il nostro benamato cugino, non ha potuto resistere, e ha smesso il broncio? Sa, ha fatto bene a venire. Sono forse gli ultimi giorni che rimango in questo eremo, ameno sì, ma noioso alquanto!... Lo [p. 135 modifica]zio Pancrazio sta male assai, e se succedesse una disgrazia, andrei probabilmente a finire l’autunno a Navaledo... Povero Santasillia, — continuò poi con un’aria leggermente canzonatoria, — rimarrà qui solo solo, ed io non potrò nemmeno ammirare le meraviglie di Oriano!... Ma vuol dire che, per compensarlo della mia mancanza, affitterò Castelguelfo a madama Kraupen che, appunto, è in cerca di una villa!

Andrea non badò allo scherzo che avea fatto ridere gli altri; ma avvicinandosi vivamente alla Baby, le domandò con voce rotta dalla commozione:

— Davvero?... Davvero, Contessa?... Non rimane più a Castelguelfo?

— Ma... chi può sapere?... Tutto dipenderà dalla salute dello zio Pancrazio!

Era costui un vecchio decrepito, che giaceva infermo da parecchi anni nella sua tenuta di Navaledo, nel Friuli, ma che non moriva mai, come forse desideravano i creditori del conte di Castelguelfo. [p. 136 modifica]

Originale, di umore bizzarro e avarissimo, il conte Pancrazio, ricco a milioni, non aveva parenti all’infuori di Giuliano e di Baby, i quali spendevano senza scrupoli, fidandosi appunto in una tale eredità che, del resto, non poteva mancare. Ma il conte Pancrazio era stato altre volte in fin di vita, e poi era sempre ritornato indietro, per quanto i medici si fossero ostinati a dichiarare il caso suo disperato. E Andrea, sconvolto da quella inaspettata minaccia di perdere la Baby, e dimenticando che un momento prima aveva ancora fermamente promesso a sè stesso di non rivederla più, innalzò dal profondo del cuore una preghiera così fervida, che forse l’uguale non era mai stata fatta per la salute del conte Pancrazio. — Se la Baby fosse partita davvero, come avrebbe potuto vivere a Oriano? E dove sarebbe andato? Che cosa avrebbe fatto della vita sua?...

Tutto il mondo, senza la Baby, gli parea vuoto e triste.